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Pumpaj

187 [One Eight Seven]
Lingua: Serbo


187 [One Eight Seven]

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[2002]
Album / Albumi: One Eight Seven

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Gli studenti di Belgrado in marcia per 80 km attraverso la Vojvodina. (Foto di Gavrilo Andrić)


A questo link di Pressenza l'articolo completo sulle proteste in Serbia. Vi ho estratto e incollato il testo che parla del Pumpaj. Ieri ci sono stati almeno 300.000 manifestanti a Belgrado la più grande manifestazione della Serbia. [Paolo Rizzi]

Quattro mesi dopo il crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad e la morte di 15 persone, le proteste studentesche in Serbia non si placano, anzi, diventano sempre più massicce, assumendo la forma di una ribellione civile.

Pumpaj! – Senza abbassare la tensione!

Durante le proteste, la frase “Pumpaj” (“Pompa”) al tempo stesso ironica e seria, è diventata praticamente uno slogan e un simbolo per mantenere alta l’energia e il ritmo della mobilitazione. “Pumpaj” significa non fermarsi, continuare con lo stesso slancio, senza pause, senza arrendersi.

Mentre le generazioni precedenti di studenti protestavano con le classiche parole d’ordine e messaggi di tipo politico, le proteste di oggi adottano elementi della cultura di Internet, intrisi di ironia e meme. “Pumpaj” diventa così la voce di una nuova generazione che sceglie di ribellarsi in modo diverso dai propri genitori, senza slogan ideologici e discorsi solenni, ma portando la protesta nel cuore – “Il cuore è una pompa, e noi pompiamo dal cuore!”

“Pumpaj” serve a ricordare che la tensione non deve calare, che è importante aumentare la pressione fino a quando il pallone non scoppia, fino a riportare tutto al proprio posto – cioè, tutti e tutto entro i limiti delle proprie competenze. In questo modo, “Pumpaj” racchiude in sé ironia e serietà, determinazione, la derisione dei presuntuosi e il rispetto per le vere autorità.

Non sorprende, quindi, che gli studenti insistano nel prendere le distanze dalla politica e dai partiti, sottolineando che non vogliono un cambio di governo, ma il funzionamento delle istituzioni. Tuttavia, è ironico che proprio il corretto funzionamento delle istituzioni, in questo caso, significherebbe probabilmente un significativo cambiamento di governo.
“Le proteste di solito dipendono almeno dalla minaccia della violenza, mentre allo stesso tempo esprimono una disponibilità al dialogo aperto, affinché il governo prenda sul serio i manifestanti. Qui la situazione è opposta: non c’è minaccia di violenza, ma c’è un chiaro rifiuto del dialogo. Questa insistenza sulle richieste provoca confusione per la sua semplicità, dando origine a teorie del complotto: chi c’è dietro tutto questo?” afferma il filosofo e critico sociale sloveno Slavoj Žižek, aggiungendo che queste proteste non chiedono solo cambiamenti di governo, ma trasformazioni più profonde – vogliono cambiamenti fondamentali nel funzionamento delle istituzioni statali.
Neko bira između ribe il' dve
A neko bira kroz koje će klubove sve
Noćas da prođe, da malo opusti se
A meni nije bitno ništa od toga, ne

Večeras biram samo zatamljena stakla
Biram nadrkane felne sa pet duplih kraka
Četri hiljade kubika, nije bitna marka
Al' bitno je da ima mnogo jaka stakla

I kad pojačam do kraja limarija kuka
Woofer pumpa, da je u želucu muka
Sonijev surround sistem u dva luka
Pojačalo od hiljadu vati, kakva bruka

I sve to vibrira vazduh, u tome je car
Kada prozori se tresu, to prava je stvar
Samo da pumpa, da jako udara bas
Da se muzika čuje dugo posle nas

Pumpaj, pojačaj jako taj bas ma hajde, pumpaj
I samo gledaj od nas
I zato pumpaj! Pumpaj kao i mi
I nemoj stati nikad, hajde da pumpamo svi

I sada plovim kroz crni grad sasvim sam
Niko ne vidi unutra, ja sve vidim i znam
Napolju sto stepeni vrućina iz Rija
A ja u kolima sa salom, da, klima mi prija

Kao jelka svetli Kenwood CD
Alpina sarzer do kraja napunjen je
Pored njega ekvilajzer prati zvukove sve
Da li će prozori izdržati do jutra il' ne

Sve dok pumpa meni najbolje je
Samo da pumpa ništa ne zanima me
Na mokrom asfaltu kad felne odsijavaju se
To je taj prizor koji mami da nas gledaju sve

Jer kada čuju taj uragan što stiže
Sve žele da ga vide, da priđu mu bliže
Da uđu unutra i ostanu, zar ne
Tu u koži one bi radile sve

Odjednom oko mene četiri hiljade pičića
Svaka priča je suvišna osim pola somica
Vati, koji tresu četri kvarta u daljinu
Osim besne bazuke koja mi razara mašinu

Prva, druga miris zapaljene gume
Cice vriste pumpaj ko to najbolje ume
Spuštam ručnu, svi smo u dimu
Opet crveno ispred nas kao u filmu

Gas, gas u treću, četvrta tako drži
Noćas mnogo litara još mora da se sprži
Za prozor zakačena stotka da svi vidi ko sme
Da nam stane na crtu i ona njegova je

Al' takvog nemapa se trkam sa sobom sam
Auto trese, noć je duga ali bliži se dan
Dok u kolima pumpa a ne boli nas glava
Sami ja i moj bas koji u gepeku spava

inviata da Paolo Rizzi - 16/3/2025 - 10:54


Jaho di Sevdah baby
Aggiungo questo articolo di Wired sul fenomeno della "istant Song" che sta spopolando in Serbia assieme al brano Pumpaj.
Questo rap-tecno è nato a partire da un servizio radiofonico con tanto di comunicato stampa governativo cestinato in diretta.
La musica torna ad essere strumento di critica e lo fa con nuovi linguaggio. Quest'anno è il 30 trentennale delle stragi di Tuzla e Srebrenica (in questi giorni ho postato sul sito un mio omaggio Alex Langer e Tuzla) speriamo che queste proteste non siano represse dal nazionalismo sempre spietato nei Balcani

https://www.wired.it/article/proteste-...

P.r - 16/3/2025 - 12:50


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La rivoluzione di Belgrado non si ferma | il manifesto

Balcani (Europa) #custom_field-ochiello. Di #custom_field-autore


Ed ecco una grande piazza europea dove si fa politica, cioè si propone un cambiamento allo stato delle cose: Belgrado, piazza del parlamento. Di bandiere blu con le stelle gialle non ce n’è neanche una, solo tanti volti giovani che chiedono una magistratura indipendente, stampa libera, rispetto dello stato di diritto e non un presidente padrone. Hanno sfilato per le strade, dandosi il tempo con i fischietti, promettendosi di buttare giù un sistema che offre come orizzonte solo insicurezza, o l’‘esilio volontario’ verso altri paesi. «Hai mai visto così tanta gente?», chiede una ragazza alla sua amica, con una grande mano rossa come il sangue dipinta sulla guancia, simbolo della protesta. «Nikad, mai» risponde quella, e soffia tutto il fiato di cui è capace nel fischietto che si porta al collo.

Vučić ha fatto a lungo leva sulla paura e sulla frammentazione sociale per evitare questo tipo di rivolta, ora è sulla difensiva, nel tentativo di spegnere il fuoco.

È TRA LE PIÙ GRANDI manifestazioni nella storia moderna serba. Sono centinaia di migliaia di persone, tra gli organizzatori si sussurra «mezzo milione», a riempire tutte le principali strade e piazze di Belgrado, inclusa Slavija, quella che ospita la fontana sonora, simbolo delle brutture e delle speculazioni urbanistiche in atto nel paese.

Il volto di Aleksandar Vučić, presidente serbo e protagonista indiscusso degli ultimi dieci anni con il Partito Progressista Serbo (SNS), non figurava da nessuna parte fra i cartelli della marea umana né negli slogan: non ce n’era bisogno. Ha a tal punto incarnato il potere autoritario in Serbia da essere naturalmente il destinatario politico del movimento di protesta.

TUTTI I CHILOMETRI percorsi in questi mesi di manifestazioni partecipatissime – a partire da novembre, quando la pensilina della stazione ferroviaria appena ristrutturata di Novi Sad è crollata sui passanti, uccidendone 15 – hanno condotto qui, davanti alla sede del parlamento. Senza simboli politici o partitici, questo movimento sta dando alla Serbia la scossa più politica di tutte, e chiede partecipazione ai processi decisionali, trasparenza, a partire dalla pubblicazione di tutti i documenti relativi al progetto di rifacimento della stazione.

«La nostra è una domanda rivoluzionaria, molto più delle semplici dimissioni del governo: pubblicare i documenti vorrebbe dire smascherare le responsabilità criminali del potere, chiedere che la classe politica corrotta vada in prigione», racconta uno studente con il gilet catarifrangente e il casco protettivo, che cala sulla fronte, pronto, teoricamente, a proteggere la folla dalle auto che in più occasioni, nei mesi scorsi, hanno speronato i manifestanti. I trattori dei contadini arrivati dalle campagne aprono e chiudono i cortei, bloccando le strade e assicurando protezione. «Il nostro sembrava un paese vecchio, morto, e invece…», esulta Zoran, la sigaretta spenta tra le labbra, osservando compiaciuto il fiume in piena di persone, assiso sul suo trattore.

NIŠLIJE, LOZNICA, Kraljevo, Cacak, Užice, Kragujevac: i ragazzi di tante città hanno risposto all’appello, nonostante molte linee ferroviarie siano state interrotte per due giorni, con la motivazione ufficiale di un allarme per un «pacco bomba». Hanno macinato fino a 150 chilometri, dormendo nelle palestre comunali dei piccoli centri abitati, che li hanno accolti con lunghi applausi e mestolate di zuppe calde. È una delle tante magie portate da questo vento di primavera: anche i residenti delle zone rurali, dove il controllo clientelare del potere è asfissiante, e a lungo è riuscito a bloccare la scintilla della protesta, sentono di avere nuove energie. Belgrado non appare più come la roccaforte del dissenso politico, isolata dal resto del paese, ma la destinazione finale di una staffetta liberatoria. Anche le nonnine serbe davanti al parlamento premono a tutto spiano sulle trombette da stadio.

Nei giorni precedenti era stato tutto un tambureggiare bellico di dichiarazioni: «Ci aspettiamo violenze», «c’è un piano per scatenare la guerra civile», aveva dichiarato la presidente del parlamento, Ana Brnabić. Toni apocalittici di chi, più che temere lo scontro, sembrava auspicarlo.

Loschi figuri si erano accampati in piazza dai giorni scorsi, i bicipiti e qualche cicatrice bene in mostra: «Studenti impazienti di tornare sui banchi dell’università», li ha presentati il governo. Sono perlopiù scagnozzi prezzolati del Sns, ultras della squadra di calcio del Partizan, in cui sono confluiti alcuni ex riservisti dell’Unità per le operazioni speciali durante l’era Milošević, tra i cui ranghi fu rintracciato l’assassino del primo ministro serbo Zoran Đinđić nel 2003. Nella messa in scena, che avrebbe anche qualcosa di comico se non fosse per la violenza insita in essa, non potevano mancare i «trattori senza conducenti», fatti arrivare in fretta da un’azienda fuori città, per creare un cordone a difesa dell’accampamento, sulla falsariga di quanto avevano fatto i contadini «veri», a protezione degli studenti «veri». Nel tardo pomeriggio, fra «desiderosi di apprendere» e alcuni manifestanti c’è stato uno sporadico lancio di fumogeni, e gli organizzatori hanno spostato la parte finale del concentramento in una piazza più decentrata per allentare la tensione.

GLI SQUILLI DI TROMBA, gli applausi e le urla di incoraggiamento degli studenti coprono così il silenzio dell’Unione europea, al cui consesso la Serbia rimane candidata. Le proteste oceaniche sono state finora sostanzialmente ignorate da Bruxelles. Solo venerdì la rappresentanza Ue in Serbia ha invitato al «rispetto dei diritti democratici».

Qualcuno, più spiritoso, sventola in corteo le bandiere dei regni mitici del "Signore degli Anelli" per incoraggiare la lotta contro Vucić, «l’oscuro signore». Perché un mondo letterario sia da preferire all’Ue è presto detto. «L’Europa è complice», attacca Milos, uno studente che si trascina dietro una gigantografia con la copertina della costituzione serba. «In tutti questi anni ha sostenuto Vucić, convinta che fosse il solo capace di assicurare la stabilità e lasciare campo libero agli investimenti che le stanno a cuore. La Germania vuole che venga aperta qui la più grande miniera di litio d’Europa, la Francia ha firmato un accordo per vendere i suoi jet Rafale… lo stato di diritto, per cui noi ci battiamo, viene calpestato in nome della ‘stability’».

VUČIĆ, IL LEADER POLITICO alto due metri che sognava di fare il pivot ed è stato invece ministro dell’Informazione negli anni novanta, durante la presidenza di Miloševic, ha addolcito da tempo i toni da giovane radicale nazionalista, quale era, e si è accreditato come il leader pragmatico, abile nel destreggiarsi su più tavoli da gioco, non solo con Bruxelles, ma anche con la Cina e ovviamente la Russia, di cui la Serbia rimane storica alleata (Belgrado non si è unita alle sanzioni contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina). «Ha fatto a lungo leva sulla paura e sulla frammentazione sociale per evitare questo tipo di rivolta – spiega Ivica Mladenovic, ricercatore presso l’Istituto di filosofia dell’Università di Belgrado – ora è sulla difensiva, costretto a destreggiarsi tra repressione e concessioni limitate nel tentativo di spegnere il fuoco». Finora ha preso tempo, tenendo nella manica la carta delle elezioni anticipate che in più occasioni ha fornito la scappatoia ideale, grazie alla forte presa esercitata sugli impiegati statali, dopo le dimissioni del primo ministro avvenute a gennaio. Ma nessuno, tra i manifestanti, ha urgenza di tornare alle urne, proprio perché sa che la libertà di voto rischia di non essere garantita (Vucic ha annunciato un discorso alla nazione in tarda serata, dopo la chiusura del giornale).

TRA LE AULE OCCUPATE delle 60 facoltà, negli estenuanti dibattiti che si susseguono prima degli eventi di protesta, serpeggiano le opzioni più disparate: chiedere un governo di transizione, fondare un nuovo partito, rimanere fuori dall’arena parlamentare. La protesta ha anime politiche variegate e finora ha tratto vigore dall’aver convogliato il grande risentimento nei confronti della corruzione.

«Non c’è ancora una forza strutturata che possa incarnare l’alternativa» riflette Milos, proteggendosi con una bandiera serba dalle sparute gocce di pioggia che bagnano la festa.
«Dobbiamo organizzarci al di là delle strade, costruire una base militante nelle campagne, nelle assemblee locali, nei sindacati». La strada è in salita, ma la Serbia si è risvegliata giovane, si è affacciata sulla piazza del proprio futuro, e pretende che nessuno le chiuda la finestra in faccia.

16/3/2025 - 12:58


La pagina è (ovviamente) ancora in corso di costruzione e completamento.

CCG/AWS Staff - 16/3/2025 - 14:20




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