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La razza in estinzione

Giorgio Gaber
Lingua: Italiano


Giorgio Gaber

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[2001]
Gaber - Luporini
Album / Albumi: La mia generazione ha perso

genepersoA me, questa canzone di Gaber e Luporini non era mai piaciuta. O meglio: non me la sono mai fatta, disperatamente, piacere. Canzone tremenda, senza uscita, senza “speranza” (con le “speranze” in mondi nuovi o altri mondi ci hanno sempre fregati tutti…), senza futuro. “Il futuro”, diceva -se mi ricordo bene- Oreste Scalzone, “è solo la rappresentazione promossa e inculcata dalle classi dominanti”. Insomma, una canzone disturbante, che intendeva chiudere, in forma di “astrazione”, ogni possibilità. La scriveva un uomo prossimo alla morte (è del 2001, curiosamente lo stesso anno in cui a Genova moriva l’ultimo tentativo, imperfetto, contraddittorio, ma pur sempre un tentativo; e, ancor più curiosamente, l’anno delle “Torri Gemelle”. Giorgio Gaber, come si sa, è scomparso il giorno di Capodanno del 2003, mentre il Luporini è ancora vivo e si avvia allegramente ai cent’anni); e lo si capisce. Non poteva “piacere” questa canzone cui, come del resto ad altre di Gaber, è stato appioppato di tutto: canzone qualunquista, superficiale, fatta per “épater le bourgeois” e, in particolare, la bourgeoisie più o meno alta e più o meno “progressista e di sinistra” cui lo stesso Gaber apparteneva, perdipiù nella sua oltremodo insopportabile declinazione milanese...di tutto e di più. Per arrivare, poi, ad un dato momento -poniamo nel mese di marzo dell’anno “2025”- in cui ci si accorge, senza più nemmeno tanto sgomento, che il sig. Gaberščik e il suo sodale Luporini ci avevano, ohimè, visto chiaro, e visto molto chiaro anche al di là delle questioni generazionali e al netto della tendenza all’ “après nous, le déluge” che è propria di quella famosa generazione attualmente formata da settanta o ottantenni che sono morti a vent’anni anche se vivranno fino a cento (citazione da una canzone di De Gregori). Inutile starci tanto a girare attorno: in questa canzone viene dipinto il mondo d’oggi, un mondo dove la “razza in estinzione” è quella umana. Una descrizione maledettamente esatta, che avrebbe bisogno soltanto di qualche aggiornamento “tecnologico”, chiamiamolo così. E una canzone squisitamente reazionaria, e qui lascio a chiunque leggerà queste righe stabilire in quale senso lo sia, e quale sia la natura (o quali siano le nature) della Reazione che sarebbe stata necessaria, e che non è avvenuta disperdendosi invece in un mondo “virtuale” fatto di falsa e e tragicomica “comunicazione globale” che ha comunicato soltanto il vuoto pneumatico assolutamente necessario al sistema di controllo ed all’oligarchica distruzione. Quanto alla mia generazione, che è una generazione “di mezzo”, a mezza strada tra quella di Gaber e quella di Genova, non ha neppure perso. Al massimo, ha pareggiato: uno scialbo e noioso zero a zero in un giorno di nebbia, con lo stadio mezzo vuoto. E non andremo nemmeno sugli alberi, perché, ragionevolmente presto, di alberi non ce ne saranno più. Del resto, “la Libertà non è star sopra un albero...” Ma, in definitiva, caro “RV”, questa canzone ora ti piace? No. Continuo a detestarla quietamente. Come si detesta qualcosa che si ha una gran paura a riconoscere, maledicendo se stessi perché ci si sente avviati a rotolare giù da una certa, deprecabile e inevitabile china. E, magari, facendo anche un inutile ancorché commovente sforzo per fermarsi, per aggrapparsi, per vivere come individui coscienti in un consesso di altri individui non ridotti ad una massa informe. [RV]
Non mi piace la finta allegria
Non sopporto neanche le cene in compagnia
E coi giovani sono intransigente
Di certe mode, canzoni e trasgressioni non me ne frega niente
E sono anche un po' annoiato da chi ci fa la morale
Ed esalta come sacra la vita coniugale
E poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
Ma io non riesco a tollerare le loro esibizioni

Non mi piace chi è troppo solidale
E fa il professionista del sociale
Ma chi specula su chi è malato
Su disabili, tossici e anziani è un vero criminale
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
Fra tutti gli assuefatti della nuova razza
E chi si inventa un bel partito per il nostro bene
Sembra proprio destinato a diventare un buffone

Ma forse sono io che faccio parte
Di una razza in estinzione

La mia generazione ha visto
Le strade, le piazze gremite di gente appassionata
Sicura di ridare un senso alla propria vita
Ma ormai son tutte cose del secolo scorso
La mia generazione
Ha perso

Non mi piace la troppa informazione
Odio anche i giornali e la televisione
La cultura per le masse è un'idiozia
La fila coi panini davanti ai musei mi fa malinconia
E la tecnologia ci porterà lontano
Ma non c'è più nessuno che sappia l'Italiano
C'è di buono che la scuola si aggiorna con urgenza
E con tutti i nuovi quiz ci garantisce l'ignoranza

Non mi piace nessuna ideologia
Non faccio neanche il tifo per la democrazia
Di gente che ha da dire, ce n'è tanta
La qualità non è richiesta, è il numero che conta
E anche il mio paese mi piace sempre meno
Non credo più all'ingegno del popolo Italiano
Dove ogni intellettuale fa opinione
Ma se lo guardi bene, è il solito coglione

Ma forse sono io che faccio parte
Di una razza in estinzione

La mia generazione ha visto
Migliaia di ragazzi pronti a tutto, che stavano cercando
Magari con un po' di presunzione, di cambiare il mondo
Possiamo raccontarlo ai figli, senza alcun rimorso
Ma la mia generazione
Ha perso

Non mi piace il mercato globale
Che è il paradiso di ogni multinazionale
E un domani, state pur tranquilli
Ci saranno sempre più poveri e più ricchi, ma tutti più imbecilli
E immagino un futuro senza alcun rimedio
Una specie di massa, senza più un individuo

E vedo il nostro Stato che è pavido e impotente
È sempre più allo sfascio e non gliene frega niente
E vedo anche una Chiesa che incalza più che mai
Io vorrei che sprofondasse, con tutti i Papi e i Giubilei

Ma questa è un'astrazione
È un'idea di chi appartiene
A una razza in estinzione.

inviata da Riccardo Venturi - 6/3/2025 - 13:10


@RV

Stavolta la botta è stata più forte del solito. Direi enorme in appena trenta righe, costringe a meditare e a rinunciare al torpore.

Lo zombie che scrive queste due minchiate in fretta non ha mai istintivamente avuto passione per la sapienza del sopravvissuto Gaber. Una capacità che mi fa venire in mente una fotografia forse chiara, “realistica” per la retina, ma non lucida per le cellule residue del nervo ottico. Tanto varrebbe tenersi delle modeste cataratte e “aggrapparsi” a simulacri senza contare neanche sul beneficio della commozione.

Niente Storia ma non è neanche "la fine della Storia" come stanno immaginando con troppa facilità e proiezioni oniriche un club di deliranti che non riusciranno a cooptare e mantenere il controllo.
Talvolta mi viene in mente un’immagine, quella degli ultimi giapponesi sopravvissuti in solitudine negli atolli sino a cinquant’anni dopo il ’45. Con una variante sfavorevole: loro per lo meno non sapevano che la guerra era finita da un pezzo.

Saluti cari

Riccardo Gullotta - 6/3/2025 - 15:29


@ Riccardo Gullotta

Credo che, comunque la si metta e la si pensi, il sig. Gaberščik e il suo “compagno di merende” Luporini, in fondo, non domandino passioni bensì pensiero. In un modo o nell’altro, bisogna sempre farci i conti; e, se non ce li abbiamo fatti, prima o poi arriva una specie di redde rationem. Sono due perfidi, che sanno persino instillare in chi li ascolta l’autoillusione che scrivano e dicano certe cose proprio per ingenerare una reazione ostinata e contraria (per questo sono “reazionari”, ma forse in un senso speciale e tutto “mio”). Di “fini della Storia”, del resto, è costellata tutta la Vicenda umana; anzi, direi che non c’è mai potuta essere Storia senza una sua periodica fine. Tutto un finire, un aggrapparsi, un rifinire e una resistenza; tutto un sogno, tutto un cupio dissolvi che potrebbe nascondere il suo esatto opposto. Chissà. No, non è questione di passioni ma di investigare -principalmente dentro se stessi. Ti saluto con una poesia di Juan Rodolfo Wilcock:

Nella mia stanza non c’è nulla
tranne il fonografo e il letto:
e anche nel cuore non c’è nulla
tranne un figlio da me diverso.

Così c’è spazio per muoversi
sia nel cuore che nella stanza;
ho buttato gli stracci al fuoco,
i sentimenti li ho buttati in mare.

Non tutti hanno vuota la stanza,
non tutti hanno il cuore vuoto:
ci si può lasciare entrare
ogni mattino un mondo nuovo.

Riccardo Venturi - 6/3/2025 - 16:16




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