I.
“ Bandiera e spada, bandiera e spada…
“ Bello il pugnare per la sua contrada,
“ Afferrar l’erta, correr sul piano
“ E nel nemico insanguinar la mano! …
“ Lascia la mamma, Guido fa' core, [1]
“ Lascia il silenzio della tua casetta -
“ Al campo, o Guido! - ivi t’aspetta
“ La palma della gloria e dell’onore -
“ Bandiera e spada, bandiera e spada…
“ Bello il pugnare per la sua contrada!”
II.
E corsi. Un’ira dentro m’ardea
Così che tutto sangue io vedea.
Fu allor che svelto, libero e fiero,
Siccome un falco di Montanero, [2]
Io sulle fulve tedesche genti
Piombai sognando lauri e portenti;
Ed a Palestro fui salutato
Prode soldato – prode soldato!
III.
Oimè che strazio quel giorno, oh quanto
Fiume di sangue, fiume di pianto!
Voce che langue, voce che tuona…
Qui si bestemmia, lì si perdona…
Fumo d’inferno – palle e mitraglia…
Morti e morenti nella battaglia…
Ed in quell’ora lieta ruggía
L’anima mia – l’anima mia.
IV.
Passò quell’ora – venne la sera -
S’udì la squilla della preghiera.
Solo e pensoso pel campo io mossi,
D’Austria guardando morti e percossi -
L’ira mi cadde, cessò il furore,
Ed una voce sentii nel core
Dirmi e ridirmi che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
V.
Così ristetti muto e compresso -
Ma la dimane tornai lo stesso
E lì sui campi di San Martino
Pugnai cogli estri d’un Paladino -
E ancor non pago, fiero e commosso,
Seguii sull’acque l’Angelo Rosso; [3]
E fui dei mille giovani baldi
Di Garibaldi – di Garibaldi.
VI.
Scesi a Marsala. Pugnar fra’ primi
Mi vide l’ardua Calatafimi.
Da Gibilrossa, notturno e cheto,
Chinai sul vecchio margo [4] d’Oreto,
E col drappello securo e fermo
Irruppi dentro la mia Palermo,
Cacciando a furia la gran legione
Del re Borbone – del re Borbone.
VII.
Corsi a Milazzo, - vidi Messina -
Spirai le brezze di Mergellina -
Poi sul Volturno, quel dì che orrendo
Mugghiò il conflitto, ben fui stupendo!
Alla borbonia folle masnada
Sterminio e lutto fu la mia spada,
Ed all’avverse tenaci schiere
Corsier di morte – fu il mio corsiere.
VIII.
Ferve la mischia – da Maddalone
Squillan le trombe – tuona il cannone…
Napoli bella trema ed aspetta
La sua riscossa, la sua vendetta -
Che fu?… Sul fiume la strage ingrossa,
Fuma la terra di sangue rossa,
Ed in quell’ora lieta ruggía
L’anima mia – l’anima mia.
IX.
Passò quell’ora – venne la sera -
S’udì la squilla della preghiera.
Solo e pensoso pel campo andai
E nei caduti gli occhi affissai…
L’ira mi cadde – cessò il furore -
L’antica voce sentii nel cuore
Dirmi e ridirmi che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
X.
E quella notte sognai vaganti
Orfani, e spose limosinanti,
E con le mani conserte al core
Sognai fanciulle morte d’amore,
E scapigliate madri correnti
Pei campi in traccia dei figli spenti…
E vecchi padri fremer gridando:
Giorno nefando – giorno nefando!
XI.
E dietro a quelle povere larve
La mia defunta veder mi parve,
Veder mi parve la madre mia
Pallida e lenta che a me venia,
Che a me dappresso poi s’inchinava
Ed all’orecchio mi susurrava [5]
Sommessamente che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
XII.
Trepido, ansante, girando il ciglio,
Balzai repente dal mio giaciglio,
E un desiderio forte mi prese
Delle mie case, del mio paese!
E tosto ai cari lochi tornai
Ove fanciullo piansi ed amai;
Ove sepolta la mia Rosetta
Dorme ed aspetta – dorme ed aspetta.
XIII.
Volser [6] degli anni – quando una lieta
Voce s’intese: “Risorta è Creta - [7]
Creta la maschia, Creta la bella
Creta, d’Italia – fida sorella!
Corriam fratelli, pugniam pei forti
Che della Grecia compion le sorti:
Via dalla sacra isola bruna
La Mezzaluna – la Mezzaluna.”
XIV.
E un’altra volta corsi, e le spalle
Mirai del Turco nell’idia valle…
Ma quando al suolo distese io vidi
Le turbe ignare degli Osmanidi, [8]
Sebben divisi d’ara [9] e linguaggio,
Sebben ci parta [10] l’antico oltraggio,
Sentia nel cuore che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
XV.
Perso [11] o Giudeo, Turco o Bramino,
Una è la meta, uno è il cammino!
Un sole istesso ci scalda – a tutti
Una è la terra che dà i suoi frutti.
Che val se i monti, che val se i mari
Ci fan diversi patria ed altari?
A tutti è padre provvido e pio
Lo stesso Iddio – lo stesso Iddio.
XVI.
E allor, deposti daga e moschetto,
Tornai pensoso verso il mio tetto,
E sulle tombe di lor che amai
Un’altra volta piansi e pregai:
Pregai per quelli che all’erta [12] e al piano
Cadder trafitti dalla mia mano;
Poi, quando il viso levai nel cielo,
Cader dagli occhi – m’intesi un velo…
XVII.
E questa voce dal cor m’è uscita:
La guerra? È il dritto del Caïnita. [13]
Orsù gridiamo: Guerra alla guerra
Che un gran patibolo – fa della terra.
Largo...lasciatela – passar la rea
Che in mezzo al sangue si tuffa e si bea…
Noi sulla via dov’è passata
Scriviam fratelli: Via Scellerata.
Cefalù 1869.
“ Bandiera e spada, bandiera e spada…
“ Bello il pugnare per la sua contrada,
“ Afferrar l’erta, correr sul piano
“ E nel nemico insanguinar la mano! …
“ Lascia la mamma, Guido fa' core, [1]
“ Lascia il silenzio della tua casetta -
“ Al campo, o Guido! - ivi t’aspetta
“ La palma della gloria e dell’onore -
“ Bandiera e spada, bandiera e spada…
“ Bello il pugnare per la sua contrada!”
II.
E corsi. Un’ira dentro m’ardea
Così che tutto sangue io vedea.
Fu allor che svelto, libero e fiero,
Siccome un falco di Montanero, [2]
Io sulle fulve tedesche genti
Piombai sognando lauri e portenti;
Ed a Palestro fui salutato
Prode soldato – prode soldato!
III.
Oimè che strazio quel giorno, oh quanto
Fiume di sangue, fiume di pianto!
Voce che langue, voce che tuona…
Qui si bestemmia, lì si perdona…
Fumo d’inferno – palle e mitraglia…
Morti e morenti nella battaglia…
Ed in quell’ora lieta ruggía
L’anima mia – l’anima mia.
IV.
Passò quell’ora – venne la sera -
S’udì la squilla della preghiera.
Solo e pensoso pel campo io mossi,
D’Austria guardando morti e percossi -
L’ira mi cadde, cessò il furore,
Ed una voce sentii nel core
Dirmi e ridirmi che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
V.
Così ristetti muto e compresso -
Ma la dimane tornai lo stesso
E lì sui campi di San Martino
Pugnai cogli estri d’un Paladino -
E ancor non pago, fiero e commosso,
Seguii sull’acque l’Angelo Rosso; [3]
E fui dei mille giovani baldi
Di Garibaldi – di Garibaldi.
VI.
Scesi a Marsala. Pugnar fra’ primi
Mi vide l’ardua Calatafimi.
Da Gibilrossa, notturno e cheto,
Chinai sul vecchio margo [4] d’Oreto,
E col drappello securo e fermo
Irruppi dentro la mia Palermo,
Cacciando a furia la gran legione
Del re Borbone – del re Borbone.
VII.
Corsi a Milazzo, - vidi Messina -
Spirai le brezze di Mergellina -
Poi sul Volturno, quel dì che orrendo
Mugghiò il conflitto, ben fui stupendo!
Alla borbonia folle masnada
Sterminio e lutto fu la mia spada,
Ed all’avverse tenaci schiere
Corsier di morte – fu il mio corsiere.
VIII.
Ferve la mischia – da Maddalone
Squillan le trombe – tuona il cannone…
Napoli bella trema ed aspetta
La sua riscossa, la sua vendetta -
Che fu?… Sul fiume la strage ingrossa,
Fuma la terra di sangue rossa,
Ed in quell’ora lieta ruggía
L’anima mia – l’anima mia.
IX.
Passò quell’ora – venne la sera -
S’udì la squilla della preghiera.
Solo e pensoso pel campo andai
E nei caduti gli occhi affissai…
L’ira mi cadde – cessò il furore -
L’antica voce sentii nel cuore
Dirmi e ridirmi che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
X.
E quella notte sognai vaganti
Orfani, e spose limosinanti,
E con le mani conserte al core
Sognai fanciulle morte d’amore,
E scapigliate madri correnti
Pei campi in traccia dei figli spenti…
E vecchi padri fremer gridando:
Giorno nefando – giorno nefando!
XI.
E dietro a quelle povere larve
La mia defunta veder mi parve,
Veder mi parve la madre mia
Pallida e lenta che a me venia,
Che a me dappresso poi s’inchinava
Ed all’orecchio mi susurrava [5]
Sommessamente che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
XII.
Trepido, ansante, girando il ciglio,
Balzai repente dal mio giaciglio,
E un desiderio forte mi prese
Delle mie case, del mio paese!
E tosto ai cari lochi tornai
Ove fanciullo piansi ed amai;
Ove sepolta la mia Rosetta
Dorme ed aspetta – dorme ed aspetta.
XIII.
Volser [6] degli anni – quando una lieta
Voce s’intese: “Risorta è Creta - [7]
Creta la maschia, Creta la bella
Creta, d’Italia – fida sorella!
Corriam fratelli, pugniam pei forti
Che della Grecia compion le sorti:
Via dalla sacra isola bruna
La Mezzaluna – la Mezzaluna.”
XIV.
E un’altra volta corsi, e le spalle
Mirai del Turco nell’idia valle…
Ma quando al suolo distese io vidi
Le turbe ignare degli Osmanidi, [8]
Sebben divisi d’ara [9] e linguaggio,
Sebben ci parta [10] l’antico oltraggio,
Sentia nel cuore che a me pur quelli
Eran fratelli – eran fratelli.
XV.
Perso [11] o Giudeo, Turco o Bramino,
Una è la meta, uno è il cammino!
Un sole istesso ci scalda – a tutti
Una è la terra che dà i suoi frutti.
Che val se i monti, che val se i mari
Ci fan diversi patria ed altari?
A tutti è padre provvido e pio
Lo stesso Iddio – lo stesso Iddio.
XVI.
E allor, deposti daga e moschetto,
Tornai pensoso verso il mio tetto,
E sulle tombe di lor che amai
Un’altra volta piansi e pregai:
Pregai per quelli che all’erta [12] e al piano
Cadder trafitti dalla mia mano;
Poi, quando il viso levai nel cielo,
Cader dagli occhi – m’intesi un velo…
XVII.
E questa voce dal cor m’è uscita:
La guerra? È il dritto del Caïnita. [13]
Orsù gridiamo: Guerra alla guerra
Che un gran patibolo – fa della terra.
Largo...lasciatela – passar la rea
Che in mezzo al sangue si tuffa e si bea…
Noi sulla via dov’è passata
Scriviam fratelli: Via Scellerata.
Cefalù 1869.
[1] abbi coraggio.
[2] il falcone pellegrino (Falco Rusticolus)
[3] Garibaldi.
[4] latinismo per "margine" (qui vale "riva, sponda").
[5] sic (è un latinismo)
[6] qui: passarono
[7] La terza rivolta di Creta (1866-1869). Qui Lombardi "romanza" le esperienze di Guido, largamente autobiografiche; non risulta che si fosse recato a Creta per combattere.
[9] Ottomani.
[9] altare; qui vale "religione"
[10] ci divida.
[11] Persiano.
[12] sulla montagna, sui monti
[13] è il diritto cui ricorre chi vuole il male (il "Cainita", cioè l'adepto di Caino).
[2] il falcone pellegrino (Falco Rusticolus)
[3] Garibaldi.
[4] latinismo per "margine" (qui vale "riva, sponda").
[5] sic (è un latinismo)
[6] qui: passarono
[7] La terza rivolta di Creta (1866-1869). Qui Lombardi "romanza" le esperienze di Guido, largamente autobiografiche; non risulta che si fosse recato a Creta per combattere.
[9] Ottomani.
[9] altare; qui vale "religione"
[10] ci divida.
[11] Persiano.
[12] sulla montagna, sui monti
[13] è il diritto cui ricorre chi vuole il male (il "Cainita", cioè l'adepto di Caino).
inviata da Riccardo Venturi - 18/2/2025 - 23:34
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Poesia di / A Poem by / Poème: Eliodoro Ignazio Lombardi
Eliodoro Ignazio Lombardin runo
"Nuovi Canti", Bergamo, Tip. Colombo, 1876
Quei due soldi di (assai relativa) fama di cui Eliodoro (“Dono del Sole”) Ignazio Lombardi pare godere in circoli sempre più ristretti sono dovuti senz’altro alla Locomotiva e a questo sterminato componimento poetico di ben diciassette strofe, che mi permetto di dedicare ad un amministratore di questo sito, che di nome fa per l’appunto Guido nonostante s’ammanti d’un ben noto nom de plume donchisciottesco. E’ un componimento squisitamente autobiografico: il “Guido” che ne è protagonista e narratore, è in realtà Eliodoro Ignazio Lombardi stesso. Come già accennato nell’introduzione generale alla “Locomotiva”, Eliodoro Lombardi fu volontario garibaldino e seguì l’Eroe dei Due Mondi per tutte le sue campagne dal 1860 al 1866, in primis quelle siciliane (fu alla battaglia di Calatafimi, a Milazzo e alla presa di Palermo) per risalire poi al Volturno e per finire gravemente ferito a Condino. Fu esattamente dopo questa esperienza che maturò le sue convinzioni più profonde, vale a dire quelle della fratellanza universale, dell’opposizione alla guerra e, mi si passi, di un vero e proprio internazionalismo al di là di ogni credo politico e religioso.
L’esperienza di combattente, coraggioso e strenuo, si volge in presa di coscienza ben precisa; il patriottismo in cosmopolitismo fraterno; la “patria” cessa di essere quella territoriale o “di sangue”, per diventare quella degli Oppressi contrapposta agli Oppressori (“La pace tra gli oppressi, la guerra agli oppressor”, scriverà Pietro Gori, toscano e elbano sì, ma curiosamente anch’egli nato in Sicilia, a Messina). Sono concetti modernissimi, che in Italia ed altrove si vedranno soltanto con la I guerra mondiale; e poiché il (sotto)titolo “Guerra alla guerra” è originale, e non un’arbitraria apposizione successiva, occorrerà dire che, per rivederlo, bisognerà attendere Ernst Friedrich e il suo celeberrimo “Krieg dem Kriege”.
Per questo invito a...armarsi di pazienza, perché la lettura del componimento di Eliodoro Lombardi ne necessita assai, e non solo per la sua lunghezza. Il linguaggio poetico italiano classico non è mai di agevole lettura, ed occorre a’ giorni nostri abituarvicisi con qualche difficoltà. E’ il linguaggio “carducciano”, slatineggiante, di secolare derivazione dantesca e petrarchesca, con ammistioni manieriste e barocche. Occorre, soprattutto, abituarsi a non considerarlo ridicolo di per sé; è, del resto, un linguaggio che ha influenzato molto anche il canto popolare e sociale, si pensi solo ai canti anarchici e socialisti pieni di “speme”. Una volta fatto l’occhio, apparirà con Eliodoro Lombardi un poeta più che notevole, che racconta con precisione e partecipazione la sua presa di coscienza che si avviava ad essere rivoluzionaria. Qualche piccola nota, però, faciliterà forse la lettura. [RV]