Platero es pequeño, peludo, suave; tan blando por fuera, que se diría todo
de algodón, que no lleva huesos. Sólo los espejos de azabache de sus ojos son
duros cual dos escarabajos de cristal negro.
Lo dejo suelto, y se va al prado, y acaricia tibiamente con su hocico,
rozándolas apenas, las florecillas rosas, celestes y gualdas... Lo llamo
dulcemente: "¿Platero?", y viene a mí con un trotecillo alegre que parece que
se ríe, en no sé qué cascabeleo ideal...
Come cuanto le doy. Le gustan las naranjas mandarinas, las uvas
moscateles, todas de ámbar, los higos morados, con su cristalina gotita de
miel...
Es tierno y mimoso igual que un niño, que una niña...; pero fuerte y seco
como de piedra. Cuando paso, sobre él, los domingos, por las últimas callejas
del pueblo, los hombres del campo, vestidos de limpio y despaciosos, se
quedan mirándolo:
—Tiene acero...
Tiene acero. Acero y plata de luna, al mismo tiempo.
de algodón, que no lleva huesos. Sólo los espejos de azabache de sus ojos son
duros cual dos escarabajos de cristal negro.
Lo dejo suelto, y se va al prado, y acaricia tibiamente con su hocico,
rozándolas apenas, las florecillas rosas, celestes y gualdas... Lo llamo
dulcemente: "¿Platero?", y viene a mí con un trotecillo alegre que parece que
se ríe, en no sé qué cascabeleo ideal...
Come cuanto le doy. Le gustan las naranjas mandarinas, las uvas
moscateles, todas de ámbar, los higos morados, con su cristalina gotita de
miel...
Es tierno y mimoso igual que un niño, que una niña...; pero fuerte y seco
como de piedra. Cuando paso, sobre él, los domingos, por las últimas callejas
del pueblo, los hombres del campo, vestidos de limpio y despaciosos, se
quedan mirándolo:
—Tiene acero...
Tiene acero. Acero y plata de luna, al mismo tiempo.
inviata da Riccardo Gullotta - 26/12/2024 - 00:14
Lingua: Italiano
Traduzione italiana / Traducción italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
prof. Andrea Briganti
prof. Andrea Briganti
PLATERO E IO
Platero è piccolo, peloso e soffice, così morbido al di fuori che si direbbe fatto tutto
di cotone, senza ossa all'interno. Solo gli specchi di giaietto dei suoi occhi sono
duri come scarabei di cristalli neri.
Lo lascio libero, e se ne va nel prato, e accarezza timidamente con il suo muso,
sfiorandoli appena, i fiorellini rosa, celesti e giallo zafferano...lo chiamo
dolcemente "Platero?" e vien verso di me con un trotterellio allegro che sembra che
rida, in non so quale tintinnio ideale...
Mangia quello che gli do. Gli piacciono i mandarini, l'uva
moscatella, tutta color ambra, i fichi viola, con la loro gocciolina
di miele cristallina...
E’ tenero e coccolone come un bambino, come una bambina... ma dentro è forte e asciutto
come se fosse di pietra. Quando passo sopra di lui, la domenica, per le ultime viuzze
del paese, gli uomini della campagna con i vestiti puliti e con gesti lenti, si
fermano a guardarlo:
"Ha dell'acciaio"…
Dell'acciaio. Acciaio e argento di luna allo stesso tempo.
Platero è piccolo, peloso e soffice, così morbido al di fuori che si direbbe fatto tutto
di cotone, senza ossa all'interno. Solo gli specchi di giaietto dei suoi occhi sono
duri come scarabei di cristalli neri.
Lo lascio libero, e se ne va nel prato, e accarezza timidamente con il suo muso,
sfiorandoli appena, i fiorellini rosa, celesti e giallo zafferano...lo chiamo
dolcemente "Platero?" e vien verso di me con un trotterellio allegro che sembra che
rida, in non so quale tintinnio ideale...
Mangia quello che gli do. Gli piacciono i mandarini, l'uva
moscatella, tutta color ambra, i fichi viola, con la loro gocciolina
di miele cristallina...
E’ tenero e coccolone come un bambino, come una bambina... ma dentro è forte e asciutto
come se fosse di pietra. Quando passo sopra di lui, la domenica, per le ultime viuzze
del paese, gli uomini della campagna con i vestiti puliti e con gesti lenti, si
fermano a guardarlo:
"Ha dell'acciaio"…
Dell'acciaio. Acciaio e argento di luna allo stesso tempo.
inviata da Riccardo Gullotta - 26/12/2024 - 14:43
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Poesia / A Poem by / Poésie / Runo:
Juan Ramón Jiménez
Musica / Music / Musique / Sävel:
1 Mario Castelnuovo-Tedesco
Intérpretes / Interpreti / Performed by / Interprétée par / Laulavat :
Esther Acevedo ,Silvia Nogales Barrios
2 Vicente Monera
Intérpretes / Interpreti / Performed by / Interprétée par / Laulavat :
Vicente Monera
Viene proposto qui il testo del primo capitolo dell’opera Platero y yo di Juan Ramón Jiménez
Platero y yo è comunemente ritenuto un libro per bambini e in libreria si trova nel settore a loro dedicato. Nella raccolta di istantanee tenute insieme dalla figura dell’asino Platero s’incontrano tuttavia cose che potrebbero turbare una mente sensibile, e altre che esulano dall’interesse dei bambini. Per questo preferisco considerare Platero y yo una serie di impressioni di vita della città andalusa, Moguer, dove è nato Juan Ramón Jiménez, ricordate da un adulto che non ha perso il contatto con l’immediatezza dell’esperienza infantile. Tali impressioni sono registrate con una delicatezza e una misura appropriate quando accanto al lettore adulto ci sia un pubblico di bambini.
Oltre all’onnipresente sguardo del bambino, c’è un altro e più evidente sguardo nel libro, quello di Platero. Per gli umani gli asini non sono creature particolarmente belle – non come le gazzelle (per fermarci agli erbivori), o anche i cavalli – ma hanno il vantaggio di avere begli occhi: grandi, scuri, liquidi – potremmo dirli profondi – e dalle lunghe ciglia. (Gli occhi dei maiali, più piccoli, più rossi, ci appaiono meno belli. Forse è per questo che non ci riesce di amare o fare amicizia con questi animali intelligenti, socievoli, divertenti? Quanto agli insetti, i loro organi della vista ci appaiono così strani che non è facile affezionarci a loro.)
C’è una scena spaventosa in Delitto e castigo in cui un contadino ubriaco colpisce una giumenta sfinita fino ad ammazzarla. La colpisce prima con una sbarra di ferro, poi la picchia sugli occhi con un bastone, quasi a voler cancellare la propria immagine dai suoi occhi. In Platero y yoleggiamo di una vecchia giumenta cieca scacciata via dai padroni ma che si ostina a tornare, facendoli arrabbiare così tanto che alla fine la uccidono a sassate e bastonate. Platero e il suo padrone (è questo il termine usato nella nostra lingua ma non è certamente quello che adopera Jiménez) la trovano morta sul ciglio della strada; i suoi occhi orbi alla fine sembrano vedere.
Alla tua morte, il padrone di Platero promette al suo asinello, non ti abbandonerò sul bordo della strada ma ti seppellirò ai piedi di quel grande pino che ami.
È lo sguardo reciproco che passa tra gli occhi di un uomo – un uomo deriso dai giovani zingari come matto, il narratore di Platero y yopiuttosto che di Io e Platero – e gli occhi del ‘suo’ asino a stabilire il legame profondo tra loro, un legame molto simile a quello che si stabilisce tra la madre e il neonato quando i loro sguardi si incrociano la prima volta. Un mutuo legame tra l’uomo e la bestia più volte confermato: “Ogni tanto Platero smette di mangiare e mi guarda. Ogni tanto io smetto di leggere e guardo Platero”.
Platero acquista la sua individualità – come vero e proprio personaggio – con una vita e un bagaglio di esperienze tutte sue nel momento in cui l’uomo che chiamo il suo padrone, il matto, si accorge che Platero lo vede, riconoscendolo così come suo simile. In quel momento ‘Platero’ cessa di essere un nome qualsiasi e diventa l’identità dell’asino, il suo vero nome, l’unica cosa che possiede al mondo.
Jiménez non umanizza Platero, ne tradirebbe l’asinità, mentre è proprio la sua natura asinina a precludere e a rendere inscrutabile agli uomini l’esperienza di Platero. E tuttavia questa barriera viene ogni tanto infranta quando per un attimo la visione del poeta riesce a illuminare come un raggio di luce il mondo di Platero; o per dirla in altre parole, quando i sensi che noi esseri umani abbiamo in comune con gli animali, imbevuti del nostro amore, ci consentono, con la mediazione del poeta Jiménez, di intuire quell’esperienza: “Platero, con gli occhi neri tinti del granata del tramonto, se ne va, pian piano, presso una pozza di acqua cremisina, rosa, violetta; affonda dolcemente la bocca in quegli specchi che paiono tornar liquidi quando li tocca lui; e nelle sue fauci enormi vi è come uno scorrere profuso di cupe acque di sangue.”
“Tratto Platero come se fosse un bambino… lo bacio, lo inganno, lo faccio arrabbiare… E lui capisce benissimo che gli voglio bene; e non mi serba rancore. È così uguale a me, così diverso dagli altri, che son giunto a credere che sogni i miei stessi sogni.” Qui siamo sospesi sull’orlo di quel momento così tanto desiderato nella vita fantastica dei bambini in cui la grande barriera tra le specie svanisce e siamo tutt’uno con le creature da cui siamo stati esiliati così a lungo. (Da quanto tempo dura l’esilio? nel mito giudaico-cristiano l’esilio dato dalla nostra espulsione dal Paradiso, e la fine dell’esilio è desiderata come il giorno in cui il leone giacerà con l’agnello).
In questo momento vediamo il matto, il poeta, comportarsi con Platero con la stessa gioia e affetto con cui i bambini trattano i cuccioli e i gattini, e Platero risponde come i giovani animali reagiscono ai bambini, con altrettanta gioia e affetto, come se sapessero, – lo sa il bambino, ma non l’adulto controllato e prosaico – che in fondo siamo tutti fratelli e sorelle a questo mondo, e che per quanto umili, dobbiamo avere qualcuno da amare o appassiremo e moriremo.
Platero alla fine muore. Muore perché ha ingoiato del veleno ma anche perché la vita di un asino non è lunga come quella di un uomo. A meno che non scegliamo di diventare amici di elefanti o tartarughe, capiterà più spesso a noi di piangere la morte dei nostri amici animali che a loro la nostra: è una delle dure verità cui Platero y yonon sfugge. Ma in un altro senso Platero non muore: questo “sciocco asinello” ritornerà sempre da noi, ragliando, circondato da bambini ridenti, e inghirlandato di fiori gialli.
Segue un’altra lettura tra quelle che si riferiscono alle rappresentazioni teatrali dell’opera
Platero y yo (Platero e io) è la storia allegorica di un'insolita amicizia: quella fra l'asino Platero e un poeta. In un viaggio immerso in un morbido paesaggio andaluso, il poeta ritrova assieme al suo fedele compagno i luoghi della giovinezza e con essi - fra illusioni e certezze - uno struggente sentimento di amore per la vita.
Moni Ovadia, voce narrante, ed Emanuele Segre, riconosciuto internazionalmente come uno degli esponenti più rappresentativi del concertismo italiano, ripercorrono questo itinerario attraverso 13 quadri scelti fra le bellissime liriche di Jiménez e le composizioni di Mario Castelnuovo-Tedesco, il musicista italiano di origine ebraica rifugiatosi negli Studi Uniti dopo l'applicazione delle leggi razziali in Italia.
Platero y yo è un poema scritto in prosa, un componimento che evoca un mondo agreste in bilico tra fantasia e realtà, in cui il poeta fa riferimento alla vita e ai sentimenti dell'asino per conoscere e riflettere sulla natura e sul mondo degli uomini. Narra l'esistenza di Platero che, con il poeta, ripercorre le strade di Moguer - i luoghi della giovinezza di Jiménez - aiutandolo a ritrovare in questo viaggio il sentimento della vita.
Tra illusioni e certezze, l'asinello conduce il poeta nelle zone dove il mistero del vivere si ricompone e la poesia del tempo riesce a restituire il sentimento forte che scorre su cose umili e belle. Il fare poesia diventa qui ricerca della saggezza, che trova il suo centro in una accettazione della vita, capace di riconoscere come parte di sé anche il dolore e la morte.