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Prometheus

Johann Wolfgang Von Goethe
Lingua: Tedesco


Johann Wolfgang Von Goethe

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[1774]

Gedicht / A Poem by / Poesia / Poème / Runo:
Johann Wolfgang Von Goethe

Musik / Musica / Music / Musique / Sävel :
Franz Schubert
Prometheus, D.674 [1819]

Rubens Geketende Prometheus 1612, Philadelphia Museum of Art
Rubens Geketende Prometheus 1612, Philadelphia Museum of Art


Prometeo, da avventuriero a rivoluzionario

Secondo la tesi più diffusa l’etimo di Prometeo deriva dal prefisso πρό [pro] / pre, prima e dal verbo μανθάνω [manthano] imparare, sapere, cioè “colui che sa prima” ossia il preveggente e, per estensione, “colui che riflette prima di agire”. Quest’ultima accezione è significativa in quanto vede il titano Prometeo contrapposto al fratello Epimeteo, il cui nome significa “colui che riflette dopo”.
Il mito e la sua interpretazione hanno subito molte variazioni sino alla modernità. Il mitema di base è costituito dalla genealogia di Prometeo, figlio di Giapeto e dell’oceanina Climene. Prometeo subisce la condanna da parte di Zeus per avere sottratto a questi il fuoco portandolo tra gli uomini. Vediamo per sommi capi varianti e mitemi.

Nella Teogonia , versi da 507 a 616, Esiodo elabora il mito come un episodio della cosmogonia in cui ogni dio presiede ad una funzione. Il centro della narrazione è l’azione ordinatrice di Zeus che vince le forze ostili relegandole alla marginalità. Zeus condanna Prometeo facendolo incatenare ad una colonna tra i tormenti di un’aquila che ogni giorno gli divora il fegato. Per Esiodo il titano è un ἀγκῠλομήτης [ankylomḗtēs], letteralmente “ingegno tortuoso”, un avventuriero diremmo oggi, animato dalla vocazione all’inganno. Subisce la punizione di Zeus insieme ai fratelli Menezio e Atlante. Tanto per il poeta basta; infatti solo dopo avere descritto nei particolari la punizione dei titani Esiodo passa a descriverne il motivo. In un’epoca in cui divino e umano non erano nettamente distinti, Prometeo a banchetto con gli dei a Mecone ( oggi Sikyōn, nel Peloponneso) si permise di raggirare Zeus offrendogli le ossa di un bue dopo la spartizione lasciando per sé le carni.
Nel mitema successivo Zeus adirato sottrae il fuoco agli uomini. Prometeo non demorde, sottrae il fuoco e lo riporta sulla terra. Da qui la seconda punizione: il genere umano deve subire la creazione della donna, la cui immagine è associata alla rovina. In Esiodo l’epos di Prometeo non è fondativo di alcuna missione civilizzatrice, posto che il titano restituisce all’umanità ciò che questa già possedeva. Piuttosto la narrazione esiodea muove da un altro presupposto, quello di dare una spiegazione dell’eden perduto, della cessazione dell’età dell’oro.

Eschilo, nel Προμηθεὺς δεσμώτης [Promēthéus desmṓtes] /” Prometeo incatenato” dà una versione rinnovata del mito, base per le acculturazioni successive . Eschilo non fa menzione dell’inganno di Mecone. Spiega la lotta tra Titani e Zeus, la Titanomachia, con il disegno di Zeus di distruggere il genere umano per crearne uno nuovo. Ecco il punto: Prometeo non è più l’artefice di inganni, l’antesignano dell’Ulisse omerico, bensì l’eroe che salva l’umanità dalla distruzione. Zeus non è più l’ordinatore del mondo, meno ancora il riferimento di una giustizia universale, ma un autocrate violento.
Accanto a questo aspetto occorre accostarne un altro, non meno importante: la relatività della techne, del progresso, rispetto all’ordine naturale. Eschilo non poteva fare di Prometeo un ribelle di successo, capace cioè di tradurre il suo agire in un atto politico volto a rovesciare l’ordine costituito.Infatti:

καὶ τοῖσιν οὐδεὶς ἀντέβαινε πλὴν ἐμοῦ.
ἐγὼ δ᾽ ἐτόλμησ᾽: ἐξελυσάμην βροτοὺς
τὸ μὴ διαρραισθέντας εἰς Ἅιδου μολεῖν.
τῷ τοι τοιαῖσδε πημοναῖσι κάμπτομαι,

Nessuno provava a resistergli,
in questo: io da solo. Io, temerario, io volli salvare i viventi,
che non finissero - polvere sfatta - sotterra, da Ade.
Per questo m'inarca il tormento

E più avanti:
οὐ ταῦτα ταύτῃ Μοῖρά πω τελεσφόρος
κρᾶναι πέπρωται, μυρίαις δὲ πημοναῖς
δύαις τε καμφθεὶς ὧδε δεσμὰ φυγγάνω:
τέχνη δ᾽ ἀνάγκης ἀσθενεστέρα μακρῷ

Il Fato, che porta tutto a compimento,
non ha destinato per me di concludere in tale modo.
Solo quando sarò stato piegato da spasimi e torture infinite potrò sfuggire alla mia schiavitù.
L’ingegno è di gran lunga più debole della necessità.

Quest’ultima affermazione di Prometeo fu ben messa in evidenza da Emanuele Severino che la connotava come la cifra della tragedia, restituendo a Eschilo il suo, cioè rovesciando la vulgata dell’età moderna che ha fatto di Prometeo il simbolo dell’eroe assoluto, svincolato da tutto e da tutti.

Nel Protagora Platone dà una lettura ben diversa. In modo antitetico alla presentazione di Esiodo, Zeus non è rivale del genere umano. Per ovviare all’errore del fratello Epimeteo, che aveva mancato l’obiettivo di distribuire le risorse al genere umano, Prometeo strappa non solo il fuoco ma anche la scienza, la entehnon sofian alla divinità per donarle agli uomini. (Da profani riteniamo che non a caso Platone usa il termine sofia e non techné). Ma, è questo il punto centrale nella filosofia di Platone, la scienza non può bastare alla sostenibilità dell’azione civilizzatrice, non garantisce la convivenza e la stabilità della società. Ecco che Zeus invia al genere umano i doni che fondano la politica, il rispetto e la giustizia, aidos e dike. Platone si avvale del mito non in senso tragico, derivante dalla contrapposizione tra vita, o meglio la speranza, e la morte, ma in senso ontologico.

Nel mondo romano Prometeo non riscosse molte attenzioni. La cultura romana apprezzava le abilità e i vantaggi della tecnica fini a se stessi, non come fattori di emancipazione ,tanto meno se promossi per di più da individui disposti a mettere in crisi l’ordine sociale. Sorvoliamo sulle interpretazioni letterarie di Orazio e Ovidio e del moralista Seneca.
Si comprende agevolmente l’interesse limitato, se non quello contrario, del mondo medievale e della cultura cristiana a misurarsi con Prometeo. La sua figura si poneva in conflitto con l’azione creatrice di Dio e con il riscatto di Cristo. Si notano alcune iconografie che cercano di combinare i due aspetti ma sono poche.
Nel trattato di mitologia Genealogia Deorum Gentilium Boccaccio espone il mito di Prometeo quasi a precorrere il tema che si diffonderà con il Rinascimento, dopo la traduzione della tragedia di Eschilo a metà del XVI secolo. Calderón de la Barca verso la metà del XVII secolo dedica al titano una commedia, La estatua del Prometeo. E’ un’opera allegorica con Pandora nel ruolo della vittima e Prometeo , ora promosso a hidalgo, che la soccorre tra peripezie. Finiscono per sposarsi. Insomma, delle problematiche del mito non scorgiamo traccia.

L’illuminismo dedicò discreta attenzione a Prometeo. Comincia nel XVIII secolo la stagione moderna dei significati e delle ideologie che utilizzarono il mito per alimentarsene. Voltaire nella sua Pandore vede nella Titanomachia il soffio dei venti contrari all’assolutismo monarchico. Più che Voltaire fu Rousseau a imprimere un sostanziale interesse per la rivisitazione del mito. Prometeo è figura malefica in quanto ha guastato irrimediabilmente la felicità umana. È nota la tesi di Rousseau sulla negatività del progresso delle scienze e delle arti che finiscono con il generare la corruzione dei costumi. Il mito diventa il pretesto per accendere un dibattito che non conoscerà soste nel seguito, incentrato sui rapporti tra il progresso scientifico e il progresso sociale e etico.

Goethe con l’ode Prometeo si spinge oltre le tematiche illuministe. Precorre, naturalmente in senso letterario , non sistematico, il conflitto determinato dalla rivoluzione industriale. Sono vivi gli impeti della ribellione espressione del movimento Sturm und Drang in pieno Romanticismo. Non stupisce quindi l’iniziativa di Franz Schubert che musicò l’ode. La composizione , catalogata con il codice D674, è un lied che si attaglia allo spirito dell’ode con passaggi di intensa drammaticità. Prometeo è l’eroe che si oppone allo sfruttamento dei detentori dei mezzi di produzione economica, del potere rappresentato da Zeus. Il titano si ribella all’assoggettamento al cielo. Le sue creature debbono riconoscere di non essere necessitate dal ricorso agli dei. Piuttosto sono gli dei a dovere realizzare che senza le devozioni e i tributi umani non riescono ad esistere. Anche in questa ode la poesia di Goethe svetta come messaggio universale, nato dall’uomo e rivolto all’uomo, un inno di liberazione.
Con gli anni Goethe compirà una inversione a U, esaltando i “valori” della riverenza in contrapposizione alle suggestioni giovanili.

Rimanendo nel filone romantico al mito di Prometeo dedicarono la loro attenzione poeti come Byron, Percy Bysshe Shelley, Mary Shelley, Leopardi. Le rivisitazioni, le interpretazioni e, perché no, le manipolazioni del mito di Prometeo andarono oltre sino ai nostri giorni. Nella seconda metà del XIX è evidente la manipolazione positivista tesa ad esaltare in Prometeo soltanto il valore della scienza in senso acritico. Di altro spessore furono le elaborazioni del Nobel della letteratura Spitteler, di Gide con il suo “Prometeo male incatenato” sino a Camus nel saggio “Prometeo agli inferi”. Di capitale importanza è la figura di Prometeo nell’analisi di Nietzsche sullo spirito dionisiaco, paradigma della tensione verso la conoscenza che comporta sofferenza in quanto lotta per il superamento dell’individualità.

Una storia tutta a sé è la rivisitazione che dà Kafka, avvincente e attuale: la sconfitta del genere umano sopraffatto dallo sfruttamento capitalista e dal militarismo bellicista. Tra gli autori più recenti segnaliamo Heiner Müller con il dramma “La liberazione di Prometeo”. Singolare e feconda è una sua tesi, la Versteinerung /pietrificazione: l’ipostasi della borghesia ridotta a roccia come il titano con tutta una serie di implicazioni culturali e politiche.
Desideriamo concludere questo excursus su Prometeo citando la trattazione da parte del Marx giovane. Ci sembra una chiave interessante per meglio comprendere gli sviluppi successivi e per dare qualche informazione sugli orientamenti del filosofo prima che si accingesse a produrre le opere più note. Non sapremmo dire se i letterati posteriori ne furono a conoscenza. Anche a prescindere, l’influenza e le suggestioni delle argomentazioni marxiane sono state , direttamente o indirettamente, un fattore propulsivo verso le elaborazioni teoriche successive e la produzione letteraria in parte citata. Come non rilevare in proposito le analisi della scuola di Francoforte, di Erich Fromm e segnatamente di Herbert Marcuse ?

Marx venne accusato da alcuni critici di “produttivismo prometeico”, di una certa inclinazione a concepire il dominio dell’uomo sulla natura come necessario per la liberazione dal dominio dell’uomo sull’uomo. Hannah Arendt in particolare addebita a Marx l’”identificazione acritica della fabbricazione con l’azione” ovvero della sostituzione della definizione dell’uomo da “animal rationale” ad “animal laborans”. Sono temi che con altre categorie fanno parte di un intenso dibattito politico e sociale attuale ( si pensi, per dirne solo una, alla questione ecologica).

Il brano che segue è tratto dalla tesi di laurea di Marx.
Differenz der demokritischen und epikureischen Naturphilosophie
Vorrede


[…]Die Philosophie, solange noch ein Blutstropfen in ihrem weltbezwingenden, absolut freien Herzen pulsiert, wird stets den Gegnern mit Epikur zurufen:

ασεβης δε ουχ ο τους πολλων θεους αναιρων αλλ'ο τας των πολλων δοζας ωεοις προσαπτων

Die Philosophie verheimlicht es nicht. Das Bekenntnis des Prometheus:

ἁπλῷ λόγῳ τοὺς πάντας ἐχθαίρω θεούς

ist ihr eigenes Bekenntnis, ihr eigener Spruch gegen alle himmlischen und Irdischen Götter, die das menschliche Selbstbewußtsein nicht als die oberste Gottheit anerkennen. Es soll keiner neben ihm sein
Den tristen Märzhasen aber, die über die anscheinend verschlechterte bürgerliche Stellung der Philosophie frohlocken, entgegnet sie wieder, was Prometheus dem Götterbedienten Hermes:

τῆς σῆς λατρείας τὴν ἐμὴν δυσπραξίαν,
σαφῶς ἐπίστασ᾽, οὐκ ἂν ἀλλάξαιμ᾽ ἐγώ.
κρεῖσσον γὰρ οἶμαι τῇδε λατρεύειν πέτρᾳ
ἢ πατρὶ φῦναι Ζηνὶ πιστὸν ἄγγελον.

Prometheus ist der vornehmste Heilige und Märtyrer im philosophischen Kalender.
Berlin, im März1841.


Segue la traduzione italiana del testo originale della dissertazione a cura di Alfredo Sabetti, fine studioso e apprezzato docente di Filosofia. Fu pubblicata dalla rivista Società, edita da Einaudi, nel 1957.

Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro
Prefazione


[…]La filosofia, fintanto che una goccia di sangue ancora pulserà nel suo cuore assolutamente libero, dominatore dell'universo, griderà sempre agli avversari con Epicuro:

“Empio non è colui che nega gli dèi del volgo, ma colui che attribuisce agli dèi i sentimenti del volgo”

La filosofia non fa mistero di ciò. La confessione di Prometeo:

“Francamente, io odio tutti gli dèi”

è la sua propria confessione, la sentenza sua propria contro tutte le divinità celesti e terrestri che non riconoscono come suprema divinità l'autocoscienza umana. Nessuno può starle a fianco.
Alle tristi lepri marzoline, che gioiscono della apparentemente peggiorata condizione civile della filosofia, essa replica quanto Prometeo replica al servo degli dèi Ermete:

“Io, t’assicuro, non cambierei la mia misera sorte con la tua servitù.
Molto meglio lo star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel messaggero esser di Giove” [obiezione sarcastica di Ermes, ndR]

Prometeo è il più grande santo e martire del calendario filosofico.

Berlino, marzo 1841.
[trad. Alfredo Sabetti]


Ci fermiamo qui per godere dell’ascolto, rinfrancati da Goethe. In tempi in cui le ”lepri marzoline” prolificano a tutto spiano, non vogliamo indulgere a nostalgie, noi che mezzo secolo fa come Prometeo, sognammo con gioia, senza incubi notturni, per una volta ancora l’”assalto al Cielo”. Ma i sogni,si sa, muoiono all’alba.
[Riccardo Gullotta]
Bedecke deinen Himmel, Zeus,
Mit Wolkendunst,
Und übe, dem Knaben gleich,
Der Disteln köpft,
An Eichen dich und Bergeshöhn;
Musst mir meine Erde
Doch lassen stehn,
Und meine Hütte, die du nicht gebaut,
Und meinen Herd,
Um dessen Glut
Du mich beneidest.

Ich kenne nichts Ärmeres
Unter der Sonn’ als euch, Götter!
Ihr nähret kümmerlich
Von Opfersteuern
Und Gebetshauch
Eure Majestät,
Und darbtet, wären
Nicht Kinder und Bettler
Hoffnungsvolle Toren.

Da ich ein Kind war,
Nicht wusste wo aus noch ein,
Kehrt’ ich mein verirrtes Auge
Zur Sonne, als wenn drüber wär’
Ein Ohr, zu hören meine Klage,
Ein Herz wie mein’s,
Sich des Bedrängten zu erbarmen.

Wer half mir
Wider der Titanen Übermut?
Wer rettete vom Tode mich,
Von Sklaverei?
Hast du nicht alles selbst vollendet,
Heilig glühend Herz?
Und glühtest jung und gut,
Betrogen, Rettungsdank
Dem Schlafenden da droben?

Ich dich ehren? Wofür?
Hast du die Schmerzen gelindert
Je des Beladenen?
Hast du die Tränen gestillet
Je des Geängsteten?
Hat nicht mich zum Manne geschmiedet
Die allmächtige Zeit
Und das ewige Schicksal,
Meine Herrn und deine?

Wähntest du etwa,
Ich sollte das Leben hassen,
In Wüsten fliehen,
Weil nicht alle
Blütenträume reiften?

Hier sitz’ ich, forme Menschen
Nach meinem Bilde,
Ein Geschlecht, das mir gleich sei,
Zu leiden, zu weinen,
Zu geniessen und zu freuen sich
Und dein nicht zu achten,
Wie ich!

inviata da Riccardo Gullotta - 17/12/2024 - 12:42



Lingua: Italiano

Traduzione italiana / Italienische Übersetzung / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös :
Giuliano Baioni
PROMETEO

Copri il tuo cielo, Giove,
col vapor delle nubi!
E la tua forza esercita,
come il fanciullo che svetta i cardi,
sulle querce e sui monti!
Ché nulla puoi tu
contro la mia terra,
contro questa capanna,
che non costruisti,
contro il mio focolare,
per la cui fiamma tu
mi porti invidia.

Io non conosco al mondo
nulla di più meschino di voi, o dèi.
Miseramente nutrite
d’oboli e preci
la vostra maestà
ed a stento vivreste,
se bimbi e mendichi
non fossero pieni
di stolta speranza.

Quando ero fanciullo
e mi sentivo perduto,
volgevo al sole gli occhi smarriti,
quasi vi fosse lassù
un orecchio che udisse il mio pianto,
un cuore come il mio
che avesse pietà dell’oppresso

Chi mi aiutò
contro la tracotanza dei Titani?
Chi mi salvò da morte,
da schiavitù?
Non hai tutto compiuto tu,
sacro ardente cuore?
E giovane e buono, ingannato,
il tuo fervore di gratitudine
rivolgevi a colui
che dormiva lassù?

Io renderti onore? E perché?
Hai mai lenito i dolori di me ch’ero afflitto?
Hai mai calmato le lacrime
di me ch’ero in angoscia?

Non mi fecero uomo
il tempo onnipotente
e l’eterno destino,
i miei e i tuoi padroni?

Credevi tu forse
che avrei odiato la vita,
che sarei fuggito nei deserti
perché non tutti i sogni
fiorirono della mia infanzia?

Io sto qui e creo uomini
a mia immagine e somiglianza,
una stirpe simile a me,
fatta per soffrire e per piangere,
per godere e gioire
e non curarsi di te,
come me.

inviata da Riccardo Gullotta - 17/12/2024 - 12:44




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