Un contadino che ammazza il padrone [Il fatto di San Lorenzo]
Guerrino Cittadini
Lingua: Italiano (Toscano Fiorentino)
In quel paese detto San Lorenzo
Viveva una famiglia di contadini:
Il padre si chiama Gaudenzo,
Avea la moglie con cinque bambini.
E la miseria li facea soffrir,
Allora i’contadino piangeva notte e dì.
Perché padrone suo è senza cuore
E mai ebbe pietà dei poverini,
E disse a Gaudenzo con terrore:
“Bada, ti mando via da’ miei confini.
Cerca il terreno di farlo ben fruttar,
Tu sei il mi’ contadino e devi faticar.”
Rispose il contadino a i’ su’ padrone:
“Vede, lavoro peggio dei somari!
Almeno abbia pietà e compassione
E dia del pane ai miei figliuoli cari.
Non ho più grano e niente da mangiar,
E lei, caro padrone, mi deve un po’ aiutar.
Come io devo fare a andare avanti,
E a me mi dà la terza parte solo.
Io devo lavorar fra pene e pianti,
E presto ci avrò anche un altro figliolo.
Perciò le dico: Anch’io voglio mangiar!
Mi dia della raccolta dell’anno la metà.”
“Vattene via da me con tal parole,
Vergognati a parlar, brutto villano!
Anzi ti avverto: Pria che spunti il sole
Parti da i’mi’ terren, vanne lontano!
E se domani sarai ancora qua,
Io dai carabinieri ‘e ti farò cacciar.”
Intese tal parole, il contadino
Racconta tutto il fatto alla famiglia.
Ma che pensò di fare un bel mattino,
D’ammazzare il padrone si consiglia.
La rivortella presto si preparò,
E quindi, verso sera, co’ i’ padrone s’incontrò.
Vide il padrone suo in carrozza,
Che con un servo stava in compagnia,
E il contadino lo fermò di corsa:
“’Scolti, sor Conte, la parola mia.
Io ci ho la moglie che sta malata già,
Mi dia un po’ di denaro, oppure un po’ di pan.”
Disse il padrone: “Io non ti do niente,
Cosa m’importa della tu’ famiglia?
Vai via da i’ mi’terreno prestamente!”,
E il contadino tanta rabbia piglia.
La rivortella a i’ su’ padron spianò:
E gli sparò tre colpi, con quelli l’ammazzò.
Viveva una famiglia di contadini:
Il padre si chiama Gaudenzo,
Avea la moglie con cinque bambini.
E la miseria li facea soffrir,
Allora i’contadino piangeva notte e dì.
Perché padrone suo è senza cuore
E mai ebbe pietà dei poverini,
E disse a Gaudenzo con terrore:
“Bada, ti mando via da’ miei confini.
Cerca il terreno di farlo ben fruttar,
Tu sei il mi’ contadino e devi faticar.”
Rispose il contadino a i’ su’ padrone:
“Vede, lavoro peggio dei somari!
Almeno abbia pietà e compassione
E dia del pane ai miei figliuoli cari.
Non ho più grano e niente da mangiar,
E lei, caro padrone, mi deve un po’ aiutar.
Come io devo fare a andare avanti,
E a me mi dà la terza parte solo.
Io devo lavorar fra pene e pianti,
E presto ci avrò anche un altro figliolo.
Perciò le dico: Anch’io voglio mangiar!
Mi dia della raccolta dell’anno la metà.”
“Vattene via da me con tal parole,
Vergognati a parlar, brutto villano!
Anzi ti avverto: Pria che spunti il sole
Parti da i’mi’ terren, vanne lontano!
E se domani sarai ancora qua,
Io dai carabinieri ‘e ti farò cacciar.”
Intese tal parole, il contadino
Racconta tutto il fatto alla famiglia.
Ma che pensò di fare un bel mattino,
D’ammazzare il padrone si consiglia.
La rivortella presto si preparò,
E quindi, verso sera, co’ i’ padrone s’incontrò.
Vide il padrone suo in carrozza,
Che con un servo stava in compagnia,
E il contadino lo fermò di corsa:
“’Scolti, sor Conte, la parola mia.
Io ci ho la moglie che sta malata già,
Mi dia un po’ di denaro, oppure un po’ di pan.”
Disse il padrone: “Io non ti do niente,
Cosa m’importa della tu’ famiglia?
Vai via da i’ mi’terreno prestamente!”,
E il contadino tanta rabbia piglia.
La rivortella a i’ su’ padron spianò:
E gli sparò tre colpi, con quelli l’ammazzò.
inviata da L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 16/10/2024 - 13:04
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La si potrebbe chiamare la bisnonna di Mio caro padrone, domani ti sparo; solo che questo, pare, fu un fatto vero, accaduto nei primissimi anni del ‘900 a San Lorenzo in Campo, in provincia di Pesaro-Urbino. Il componimento fu scritto da un cantastorie locale, Guerrino Cittadini, che, come d’uso allora, lo fece stampare su un foglio volante (un broadside, direbbero nella Perfida Albione) dalla famosa e storica tipografia Campi di Foligno. Come regolare alla radice certi problemi nell’idilliaca società rurale: il contadino è ridotto alla fame, non ha più nulla da mangiare, ha una caterva di figli e gliene sta arrivando un altro, la moglie sta male e va dal padrone a chiedergli un po’ d’aiuto. Solo che il padrone (dalla ballata si scopre che è persino un conte) è un’autentica merda secca: non solo non gli dà un bel nulla, ma anzi lo caccia via dai suoi terreni, da vero servo della gleba. Ora, il contadino sarà pure affamato e disperato, però è pure armato; e la questione viene risolta drasticamente, con lo stronzissimo conte stecchito da tre colpi di rivoltella. Ora, noialtri, come è noto, siamo contro la violenza; però ripensavo anche, tipo, a quel padrone che sfrutta gli operai fra Prato e Carmignano, e che manda i picchiatori a pestarli mentre sono in sciopero. E questi non sono fatti del primo ‘900, ma di pochi giorni fa. Brutti pensieri, d’accordo. Si terminerà col dire che la ballata, pur d’ambiente marchigiano, sembra essersi diffusa particolarmente in Toscana e, più particolarmente, nella Val di Sieve. Tant’è che fu ritirata fuori dalla pontassievese Dodi Moscati, cantata con accento toscano assai, ed inserita in quell’album storico che si chiama La miseria l’è un gran malanno; in tempi più recenti è stato riproposto anche da altri pontassievesi, i Suonatori Terra Terra. In ultimo: le melodie popolari girano, girano e rigirano. Se ci mettete un po’ d’orecchio, vi accorgerete che la linea melodica è la stessa del Maschio di Volterra. Del testo così come fatto stampare da Guerrino Cittadini non ne so niente, né si trova niente (magari in qualche archivio ci sarà, senz’altro). Neanche un testo si trovava in Rete, e così l’ho trascritto all’ascolto con tutti i suoi rigorosi toscanismi, anzi, valdisievismi. [AT-XXI]