Lingua   

Per una Fantasima, Sopra Due Cadaveri

Gian Pietro Lucini
Lingua: Italiano




[24.5.1901]
Poesia di Pieter [Gian Pietro] Lucini
A poem by Gian Pietro Lucini
Poème de Gian Pietro Lucini
Gian Pietro Lucinin runo
Revolverate e Nuove Revolverate
Edizione a cura di Edoardo Sanguineti, Einaudi, 1974

Pieter Lucini, detto Gian Pietro [1867-1914]
Pieter Lucini, detto Gian Pietro [1867-1914]


La fluviale poesia Per una Fantasima, Sopra due cadaveri, non di rado nominata (erroneamente) come “Per un Fantasma”, detiene almeno due record riconosciuti e omologati: è la prima composizione in assoluto in lingua italiana scritta dopo la morte di Gaetano Bresci (avvenuta, in circostanze mai chiarite ma usualmente catalogata come suicidio, nel reclusorio dell’isola di Santo Stefano, il 22 maggio 1901), ed anche la più lunga. Un vero e proprio poemetto in liberi versi che il poeta Gian Pietro Lucini scrisse soltanto due giorni dopo la notizia della morte di Bresci, “anarchico e uccisore di re”, il 24 maggio 1901.
EXORIARE ALIQUIS NOSTRIS EX OSSIBUS ULTOR.

Giusta di gloria dispensiera è morte.
UGO FOSCOLO, I Sepolcri.

Sto colla Morte, indiscusso fenomeno del Bene,
la Morte che purifica ed assolve.
G. P. LUCINI.

ils ne sont pas des criminels, ce sont des vengeurs;
l’histoire ajoute que ce sont des héros...
AMILCARE CIPRIANI, Réponse à mes Calomniateurs, Paris, 1900; Le Petit Sou.

Dei rossi fiori sulla rossa aurora;
macchie di sangue, le nuvole in cielo:
macchie di sangue, garofani rossi,
tra l’erba grassa.

Corone vive di sangue, garofani;
oh, bocche tumide di lungo pianto,
bocche sformate, viole appassite,
bocche sizienti,
bocche affamate,
corone votive ed umane al Suicida.

Fu nella notte illune;
grave e densa alli scogli schiaffeggiò la marata.
Onde sommosse, inquiete, chiedendo
al granito di un morso secolare,
corpi d’alghe, di fiori e di frutta,
ostie vive, sacrificate;
onde, accogliete Chi si rifiuta;
Chi suppose l’uomo migliore,
seppe l’indifferenza delli uomini e uccise,
prima, classicamente, poi si dié morte.

Onde; le cripte rosee dei coralli,
come il sorriso delle Oceanine;
onde, le sale lattee di conchiglie,
come il bel fianco delle Oceanine;
onde, i boschetti preziosi e fiammanti,
fiammanti verdi e fiammanti di croco,
come i capelli delle Oceanine;
onde, morbide, instabili, seriche,
tra il scivolar delle spume e l’irridere
del risucchio, capriccio umido e glauco;
onde, mistero del mare e superbia,
avete preparato, nella notte,
bara meravigliosa e imperiale,
lunghe teorie al funerale,
perché scenda l’Araldo dispiccato,
nel tonfo sonoro, compreso,
dentro il vostro riposo indisturbato?
Stette beffardo al nobile giubbetto,

Ed Egli, che fu povero e contese spesso alla fame
il giorno ed il pane, Egli è cosí munifico
di gittare Sé stesso, cadavere, alle bieche paure di un regno,
di sdrajarsi, sformato, assassinatosi,
tra i merletti, i gingilli ed i sorrisi
di un favorito natale principesco.
Ecco, il regalo enorme, eccezionale
del pezzente galeotto infamato;
Sé morto donare piú vivo dalla stessa morte,
al vagito iniziale del bambolo, nipote
di un uomo da Lui assassinato.

Volle cosí:
Fosco, tenace percosse ed aperse le porte al mistero.
Volle cosí:
materiare e stringere di sua mano il groviglio della vita;
baciar la coda e i denti, nello stesso minuto,
del mistico serpente che inanella il presente ed il poi.
Racchiuse eternità,
tra la morte pensata e amministrata,
giustiziere di altrui,
tra la sua morte cercata e confermata,
ultimo orgoglio del suo volere.

Amare la Morte; raggiunger l’Infinito;
spingersi in sui confini e guardare al di là.
Non avere timori: sperare nella Morte,
nella sua e d’altrui:
dal fatto che riduce e riconduce
il palpito al silenzio e la carne alla gleba,
suscitar, proclamare, invocare la Vita.

Dell’acquile scarlatte battono l’ali aperte;
stridono, chiamano, in questa aurora pigra
l’annuncio al Desiderio.
Nuda Bellezza sui sandali d’oro,
scenderai dalle nubi di vermiglio,
candida come un giglio,
sopra la doppia morte, o Pace di Giustizia, ad imperare?

Volle Colui incitare il destino
di questa elementar benedizione?
E sparse sangue? Le miti tuberose
fioriscono vicino ai carnai suburbani:
l’indomani giocondo e glorioso fermenta
dentro alla nuvolaglia del crepuscolo:
una fiaccola acuta ferisce per le tenebre;
e le tenebre raggiano alla fiaccola.
Candida come un giglio, sopra ai sandali d’oro,
nuda Bellezza si cinge i fianchi di porpora.
Volle Colui:
sul passo estremo e atroce, sospettosa,
nuda Bellezza ancora sogguarda ed indugia.

Anima:
non vogliamo sapere chi Tu sia:
anche Tu fosti tra noi il pio innamorato
a rivolger lo sguardo calmo, e stanco,
e molto pensieroso sulla umana tristezza.
Non vogliamo sapere chi Tu sia:
od il bimbo lasciato per la via, nel fango dei rigagnoli,
fatale, destinato alle sue gesta,
fiamma vivente, livellatrice e delinquente.

Non vogliamo sapere!
Uomo, sintesi d’ogni e qualunque moral soferenza,
Uomo senza clemenza;
o il Mago Galileo, Agni a morir per noi, sopra il Calvario,
Eroe delle sincere abdicazioni:
non vogliamo sapere, noi vogliamo ignorare.
Il Tuo Nome è d’istoria:
s’incide nel fondo della morte, Anima,
bello ed atroce simbolo di un dí.

Noi crediamo cosí:
che Tu fosti assai peggio e migliore di un uomo:
e abbiamo trasalito al gesto orrendo
sopra a lui, donde venne tua morte:
oggi, commemoriamo il gesto di rinuncia
che Ti rigetta al nulla.

Atomo, Vita!
La materia distilla pure essenze;
e le nostre credenze ci rinnovano
mitologie antiche, Atomo.
Liberi fiati sprigionansi all’etere,
per il sole, pei fiori;
sorrisi di luce ritornano, Atomo,
qui integrati nella dissoluzione,
costante ai mirifici amori;
Anima, per vagare e per desiderare,
stanno sopra al concetto comune
del Bene e del Male.

E perché Tu facesti, e qual sia la ragione
dell’una morte e dell’altra non vogliam dimandare.
Spesso l’amore abrucia,
le fiamme dell’amore s’avvelenano d’odio;
l’odio, l’amore dei miserabili.
Lunghi angosciosi pensieri di dubio
nella muda ferrata.
Vecchie letture di fiabe orientali;
Jhave feroce che fuma battaglie,
sui campi devastati di Saaron, attesta
la protesta teocratica contro il pensiero.
Cammina Asvero, cammina sempre,
egli porta la soma dei delitti e prega alle sciagure,
ma predice venture incontrastate.
Vecchie letture dentro alla muda:
a cercare, con Paolo giustiziato,
sulla strada di Roma, l’amore,
a cercar, con il critico Marco, porto racchiuso, calmo
per lo sbarco delle venienti coorti d’amore!
Quindi gittò le fiabe e sorrise alla morte.

Stette beffardo dal nobile giubbetto.
Non disse una parola,
coll’ugna rotta del pollice grafí, sopra la pietra,
sangue; nel segno, confermò la minaccia:
«Vendetta!» E attende, ultimo Ruffini
sacrificatosi alla Patria sfuggendo
preteso accusar di fratelli, martire suicida.

Per Te si svolse ansia l’azione;
su Te discese nella muda oblio?
Ferme coscienze fucinano ancora,
temprano al fuoco la vendicazione, ripetono l’arringo;
Antinomia incorona i due poli stridenti
di rovi disposati ai magri cardi.

Venisti o troppo presto, o troppo tardi;
ma la tua mente ha compreso.
Tu non fosti sorpreso dalla morte
l’hai studiata ed amata: scendi alla pace.
Bellezza nuda sui sandali d’oro
ricomponesi all’ultimo respiro:
lacera la cortina delle nubi,
ti ammette e rappresenta per bianco avvisatore:
Egli ha soferto ed ha fatto sofrire
piú che noi non possiamo imaginare.
Angosciata Donna chinò il serto,
e le perle s’intrisero di sangue,
sulle ferite fresche del marito.
Ed, oltre il mare, balbettò un Bambino
con torbide parole di spavento;
e, nella casa toscana una Madre,
ebbe paura del proprio Figliuolo.
Ma fu Colui che suscitò il destino:
sul suo cammino dei cuori ha calpestato;
passò beffardo e inconturbato.

Perché sorresse per tutti i millenni
il carico dell’onte e fu l’Eterno;
venne percosso e fu sferzato a sangue,
per quanto non avesse mai peccato.
Portò ed offerse a noi Cristo e Barabba,
le reali e le apocrife sentenze;
né lo vedemmo a piangere.
Li occhi non davano ormai piú lagrime,
dai lontani millennii lagrimati.
Lo vedemmo sorridere; rimase chiuso,
appeso al giubbetto improvvisato.

L’Eumenidi di Grecia gli ghignarono intorno,
come ad Oreste sulle porte dell’Hades:
ed Ecuba vociò; strinse le pugne Prometeo allo Zeus;
a indovinare cieco, ed a rispondere,
si svolse dalla Sfinge e dalla figlia Edipo,
urta nel Giovanetto:
Egli fissò nelle pupille morte,
colle acute saette dello sguardo,
e di un gesto convinto gli si espose,
tumido e fiero del suo secreto.
Sempre beffardo, suase al Fato; non lo spiegò.
Passa fiaba ed istoria
Delle donne Ti piangono; un’altra Ti maledice.
Il Tempo sereno, frigido Ti ripone
di tra suoi numeri, dove s’acqueta la passione: stai.
Troppo vicini a Te, noi non possiamo
e non vogliamo conoscerti a fondo.

Dei fiori rossi, dalla rossa aurora,
piovon le nubi sopra la bara:
gettiam la bara al mare.
Mare divino, accoglila.
Le onde s’increstano, oh volontarie!
Ei volle, pervicace, come voi.

Corone vive di sangue, garofani,
navighin tra le spume, sopra al mare,
là dove fu gittato.
Oh! l’ardente rosaio pel glauco ondeggiare.
E tutte queste bocche d’affamati,
bocche sizienti di baci e di pace,
a piangere, ad urlare
Prefiche estreme sulli scogli del mare.
L’occhio torvo di sole si ricopre
di una scarlatta palpebra. Ogni cosa è passata,
la memoria conserva un poema;
voci, parole sperse nel vento,
anche bisbigli sereni e conciliati,
lenti singhiozzi di Carità,
propiziate verbene
sopra il mistero dell’impaziente Umanità.

Breglia, il 24 di Maggio 1901.

inviata da Riccardo Venturi - 3/12/2023 - 11:57




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