Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove il silenzio cieco si spezza
E nei capelli il vento accompagna la sera.
Dunque nessun cammino in discesa si mostra
Se non il buio che a casa non porta
E sono d’acqua i rami, sono passati i pensieri
Solo alla fine di questa guerra.
Dunque nessun cammino in discesa si mostra
Se non il buio che a casa non porta
E sono d’acqua i rami, sono passati i pensieri
Solo alla fine di questa guerra.
Dunque fra poco senza parole la bocca
E questa sera vedremo in fondo alla valle
Le luci spente, le feste morte, le folle mute
Gli amici offuscati dal tempo non ci conoscono più.
Dunque fra poco senza parole la bocca
E questa sera vedremo in fondo alla valle
Le luci spente, le feste morte, le folle mute
Gli amici offuscati dal tempo non ci conoscono più.
Dove il silenzio cieco si spezza
E nei capelli il vento accompagna la sera.
Dunque nessun cammino in discesa si mostra
Se non il buio che a casa non porta
E sono d’acqua i rami, sono passati i pensieri
Solo alla fine di questa guerra.
Dunque nessun cammino in discesa si mostra
Se non il buio che a casa non porta
E sono d’acqua i rami, sono passati i pensieri
Solo alla fine di questa guerra.
Dunque fra poco senza parole la bocca
E questa sera vedremo in fondo alla valle
Le luci spente, le feste morte, le folle mute
Gli amici offuscati dal tempo non ci conoscono più.
Dunque fra poco senza parole la bocca
E questa sera vedremo in fondo alla valle
Le luci spente, le feste morte, le folle mute
Gli amici offuscati dal tempo non ci conoscono più.
inviata da Riccardo Venturi - 8/11/2023 - 10:59
Lingua: Italiano
Foglio di via [1944]
La poesia originale di Franco Fortini
Franco Fortini's original poem
Le poème original de Franco Fortini
Franco Fortinin älkuperäinen runo
La poesia originale di Franco Fortini
Franco Fortini's original poem
Le poème original de Franco Fortini
Franco Fortinin älkuperäinen runo
Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.
Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d’acqua i rami degli alberi.
Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.
Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.
Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d’acqua i rami degli alberi.
Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.
Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.
inviata da Riccardo Venturi - 8/11/2023 - 11:55
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Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel: Tommaso Ghezzi
Da una poesia di / From a poem by / D'après un poème de Franco Fortini
Franco Fortinin runosta
Foglio di via (1944)
"Sono nato mentre i Litfiba registravano su molteplici piste audio le performance dal vivo del tour conseguito all’album Litfiba 3, delle quali solo una piccolissima percentuale sarebbe stata effettivamente utilizzata per il disco live Pirata. Sono nato in tempo per vedere, molti anni dopo, Piero Pelù solista, mentre si dimena nei pantaloni in pelle nera e dedica una canzone al nipotino sul palco di Sanremo; sono altresì nato in tempo per leggere i post su Facebook di Federico Fiumani, sporcati da un irriducibile astio senile e un improprio uso dei social network. Sono nato in tempo per vedere Giovanni Lindo Ferretti sciorinare improbabili endorsement al centro destra cattolico. Per non parlare poi di tutto lo sbrodolame nazionalistico di supporto alla destra britannica delle uscite pubbliche di Morrissey."
Così Tommaso Ghezzi, in una sorta di “autointroduzione”. Tommaso Ghezzi è nato a Sinalunga, nella vasta provincia di Siena, nel 1989; Sinalunga, l’antica Asina Lunga, si trova lungo l’itinerario della Via Francigena, l’onnipresente fascio di percorsi che dalla Francia conducevano nell’Europa meridionale, giungendo a Roma e collegandosi poi con i cammini che menavano in Puglia, terra di porti e d’imbarco per la Terrasanta. E’ quell’Asina Lunga che, nel XII secolo, fu attraversata da un abate islandese benedettino, Nikulás Bergsson di Munkaþverá, durante il suo pellegrinaggio romeo che descrisse minuziosamente nella sua relazione di viaggio, intitolata Leiðarvísir, che significa semplicemente: “Itinerario”. Scritto in islandese antico, il Leiðarvísir “islandizza” praticamente tutti i toponimi italiani dell’epoca presi in rassegna dall’abate Nikulás: ed è così che Sinalunga diviene Langasýn, che le dà il significato di “lunga vista”. E sembra davvero che tale significato si attagli bene al sinalunghese Tommaso Ghezzi, autentico animatore e esploratore culturale e musicale della sua terra, dalla quale non si è allontanato.
Ci vuole appunto una lunga vista. Ammetto di avere una particolare predilezione per chi riesce ad esplorare il mondo e tutte le sue infinite spire e volute senza muoversi troppo dalle sue radici, rimanendovi abbarbicato per inserirle, appunto, a pieno titolo in quel mondo di cui fanno parte. Mi piace pensare che Tommaso Ghezzi sia una di queste persone. Credo lo si veda bene anche da questo suo particolarissimo omaggio al grande poeta Franco Fortini, per sua stessa ammissione scritto nel 2009 ma reso pubblico nel 2014.
La poesia “Foglio di via” è del 1944. Nel testo originale di Franco Fortini, la guerra e il periodo non vengono neanche nominati; ma sono, probabilmente, negli interstizi invisibili di quei versi, interstizi che promanano anche dalla vicenda umana dell’ebreo fiorentino Franco Lattes. Vi promana un senso di straniamento personale e collettivo, di solitudine che spinse via definitivamente il poeta da Firenze, una città che considerò da allora in poi nemica. Straniarsi, allontanarsi mentre le persone che consideravi amiche neanche ti riconoscono. E’ su questo senso di improvvisa estraneità, maturato in un periodo terribile, che scatta l’omaggio, ampliato, di Tommaso Ghezzi. Prende questa poesia e, mettendovi sopra una musica, la spiega un po’ meglio, la schiarisce.
E’ un procedimento assai particolare e, direi, molto raro. Sono tanti e tanti gli esempi di poesie prese così come sono, musicate e cantate; molto scarsi, invece, gli esempi di poesie prese come base per un’interpretazione al tempo stesso personale, originale, ma anche infilata in profondo nel senso più abissale dei versi del poeta. La ho chiamata un “ampliamento”; meglio, forse, sarebbe dire un tuffo in un interiore altrui, un interiore plasmato da un ambiente, da un periodo, dalla Storia.
Ed è un’operazione terribilmente difficile, infida. Il testo della canzone, va detto senza possibili malintesi, è interamente di Tommaso Ghezzi. I versi originali ripresi dalla poesia di Franco Fortini vi sono, ma servono all’intelaiatura del testo, quasi fossero citazioni. Qua e là anche tali versi originali vengono modificati. Probabilmente, l’ “omaggio” reso da Tommaso Ghezzi a Franco Fortini potrebbe essere inteso come arbitrario; non è così. Restando Tommaso Ghezzi, ha scritto una poesia di Franco Fortini utilizzando qua e là delle sue parole, e per il resto cercando veramente di immedesimarsi in moti dell’animo ai quali, in una qualche misura, sente di appartenere. Deve, a questo punto, rientrarvi per forza di cose il periodo, la Storia, la guerra alla fine della quale il sentimento di estraniamento e di solitudine sono ancora più forti. “Solo alla fine di questa guerra”, scrive Ghezzi; laddove non si sa bene se quel “solo” sia l’avverbio, “solamente, soltanto”, o l’aggettivo, “solitario, in solitudine”. Forse entrambe le cose. La poesia è il meraviglioso regno dell’ambiguo e del plurale, dove il signifié e il signifiant si confondono.
Si crea quindi un intreccio indissolubile tra il Fortini-Fortini e il Ghezzi-Fortini, che è, appunto, il meccanismo dell’immedesimazione -che anche chi scrive a volte ha provato, in particolare con Juan Rodolfo Wilcock. L’omaggio di Tommaso Ghezzi risiede di mettersi veramente in una pelle altrui, una pelle che non può più dire alcunché. E’ intervenuta la morte; la morte viene ricacciata indietro. Alla fine di quella guerra, tutto è buio e sospeso; e questo costringe a ripercorrere l’intera vicenda umana di Franco Fortini, il suo antifascismo, la perdita dei riferimenti, le “feste morte”, gli amici perduti. Luci spente, il “buio che a casa non porta”, il tempo che offusca e che offuscherebbe anche senza l’intervento di una guerra; figurarsi quando invece la guerra annichilisce e oscura senza speranza.
Non è un caso che Franco Fortini, morto a Milano nel 1994, sia stato, oltre che un grandissimo poeta e scrittore, anche il principale traduttore italiano di Bertolt Brecht, assieme alla moglie Ruth Leiser. Non è un caso che Franco Fortini abbia anche scritto una meravigliosa versione italiana dell’ “Internazionale”, purtroppo conosciuta e cantata da non molti. Non è nemmeno un caso che, anni e anni dopo la sua morte, Franco Fortini abbia incontrato un appartato esploratore sinalunghese, un giovane nato alle soglie del 2000 in una provincia dalla quale non si è voluto separare, presa come punto di osservazione ben al di là del muoversi fisicamente. In questo senso, l’omaggio è davvero completo. Incompleta è forse soltanto la mia percezione, ma è un periodo in cui la mia vista non è lunga, non è langasýn proprio nel senso letterale del termine. Mi siano perdonate da chi legge, da Franco Fortini e da Tommaso Ghezzi, queste mie imperfette parole. [RV]