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La java des bombes atomiques

Boris Vian
Lingua: Francese


Boris Vian

Lista delle versioni e commenti


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(Boris Vian)
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(Marco Valdo M.I.)


viangatto
[1955]
Paroles de Boris Vian
Musique d'Alain Goraguer
Testo di Boris Vian
musica di Alain Goraguer

javabom

Interpretata da:
# Boris Vian (1955), # Jan et Rod (1957)
# Elsa Popping et sa musique sidérante (1957)
# Pauline Julien (1966)
# Serge Reggiani:

  • 1968
  • 1971 in italiano (La java delle bombe atomiche)
  • 1983 live
  • 1993 live

  • # Les Charlots (1969)
    # Serge et Stéphane Reggiani (1975)
    # Mouloudji (1976)
    # Bernard Lavilliers (1982)
    # Liselotte Hamm, Jean-Marie Hummel (1995)
    # Stéphane Aubry (2003)



    Cette chanson eut les honneurs de la publication en première page du 'Canard enchaîné' du 13 juin 1955.

    javaspar


    La canzone fu onorata della pubblicazione in prima pagina del 'Canard enchaîné', la notissima rivista satirica francese, del 13 giugno 1955.
    Mon oncle un fameux bricoleur
    Faisait en amateur
    Des bombes atomiques
    Sans avoir jamais rien appris
    C'était un vrai génie
    Question travaux pratiques
    Il s'enfermait tout' la journée
    Au fond d'son atelier
    Pour fair' des expériences
    Et le soir il rentrait chez nous
    Et nous mettait en trans'
    En nous racontant tout

    Pour fabriquer une bombe " A "
    Mes enfants croyez-moi
    C'est vraiment de la tarte
    La question du détonateur
    S'résout en un quart d'heur'
    C'est de cell's qu'on écarte
    En c'qui concerne la bombe " H "
    C'est pas beaucoup plus vach'
    Mais un' chos' me tourmente
    C'est qu'cell's de ma fabrication
    N'ont qu'un rayon d'action
    De trois mètres cinquante
    Y a quéqu'chos' qui cloch' là-d'dans
    J'y retourne immédiat'ment

    Il a bossé pendant des jours
    Tâchant avec amour
    D'améliorer l'modèle
    Quand il déjeunait avec nous
    Il avalait d'un coup
    Sa soupe au vermicelle
    On voyait à son air féroce
    Qu'il tombait sur un os
    Mais on n'osait rien dire
    Et pis un soir pendant l'repas
    V'là tonton qui soupir'
    Et qui s'écrie comm' ça

    A mesur' que je deviens vieux
    Je m'en aperçois mieux
    J'ai le cerveau qui flanche
    Soyons sérieux disons le mot
    C'est même plus un cerveau
    C'est comm' de la sauce blanche
    Voilà des mois et des années
    Que j'essaye d'augmenter
    La portée de ma bombe
    Et je n'me suis pas rendu compt'
    Que la seul' chos' qui compt'
    C'est l'endroit où s'qu'ell' tombe
    Y a quéqu'chose qui cloch' là-d'dans,
    J'y retourne immédiat'ment

    Sachant proche le résultat
    Tous les grands chefs d'Etat
    Lui ont rendu visite
    Il les reçut et s'excusa
    De ce que sa cagna
    Etait aussi petite
    Mais sitôt qu'ils sont tous entrés
    Il les a enfermés
    En disant soyez sages
    Et, quand la bombe a explosé
    De tous ces personnages
    Il n'en est rien resté

    Tonton devant ce résultat
    Ne se dégonfla pas
    Et joua les andouilles
    Au Tribunal on l'a traîné
    Et devant les jurés
    Le voilà qui bafouille
    Messieurs c'est un hasard affreux
    Mais je jur' devant Dieu
    En mon âme et conscience
    Qu'en détruisant tous ces tordus
    Je suis bien convaincu
    D'avoir servi la France
    On était dans l'embarras
    Alors on l'condamna
    Et puis on l'amnistia
    Et l'pays reconnaissant
    L'élut immédiat'ment
    Chef du gouvernement

    inviata da Pasquino Bocci




    Lingua: Italiano

    Versione italiana di Riccardo Venturi
    21 novembre 2004

    javadisc
    LA GIAVA DELLE BOMBE ATOMICHE

    Mio zio, un famoso faidatté
    fabbricava, appunto da sé,
    delle bombe atomiche
    senza aver mai imparato nulla
    Era davvero un genio
    nei lavoretti pratici,
    si rinchiudeva tutto il giorno
    dentro al suo laboratorio
    per fare esperimenti
    e la sera rientrava a casa
    e ci metteva in ansia
    raccontandoci tutto quanto

    Fabbricare una bomba "A"
    ragazzi miei, credete a me,
    è veramente un giochetto:
    il problema del detonatore
    si risolve in un quarto d'ora,
    ma è di quelle da scartare.
    Quanto alla bomba "H"
    beh, non è molto più dura,
    ma una cosa mi tormenta:
    gli è che quelle che ho fatto
    non hanno che un raggio d'azione
    di tre metri e mezzo:
    c'è qualcosa che non va,
    ci ritorno immediatamente

    Ha sgobbato per dei giorni
    cercando, con amore
    di migliorare il modello;
    quando pranzava con noi
    inghiottiva tutta in un colpo
    la sua minestrina in brodo
    e si vedeva, dall'aria feroce,
    che ci aveva qualche impiccio
    ma non si osava dire niente;
    E, peggio, una sera a cena
    ecco che lo zio sospira
    e grida quel che segue:

    Via via che divento vecchio
    me ne accorgo sempre meglio
    ho la testa che mi cede,
    è come una besciamella.
    Sono mesi, sono anni
    che cerco di aumentare
    la portata della mia bomba
    e non mi sono reso conto
    che la sola cosa che conta
    è il posto dove va a cascare!
    C'è qualcosa che non va,
    ci ritorno immediatamente.

    Sapendo che c'era quasi arrivato
    tutti i grandi capi di Stato
    gli hanno reso visita:
    li ricevette e si scusò
    che il suo rifugio
    fosse così piccolo,
    ma appena furon tutti entrati
    ce li ha chiusi dentro
    dicendo loro: fate i bravi!
    E quando la bomba è esplosa
    di tutti 'sti personaggi
    non ne è rimasto niente.

    Lo zio, con quel risultato
    non si è certo scoraggiato
    e ha fatto il finto tonto
    al Tribunale dove lo han trascinato
    e, davanti ai giurati,
    eccolo farfugliare:
    Signori, è stato un caso malaugurato
    ma sono certo, davanti a Dio,
    in mia fede e in mia coscienza
    che distruggendo tutti quegli sonati
    sono ben convinto
    d'aver servito la Francia.
    Erano molto imbarazzati:
    allora lo han condannato,
    e poi lo hanno amnistiato
    e la Patria riconoscente
    lo ha eletto immediatamente
    capo del Governo.

    inviata da Riccardo Venturi - 21/11/2004 - 19:21




    Lingua: Italiano

    Versione italiana di Fausto Amodei
    LA JAVA DELLE BOMBE ATOMICHE

    Mio zio che amava far da sé faceva bombe atomiche da dilettante
    e senza aver studiato mai raggiunse più di un risultato rilevante.
    Passava tutto il giorno chiuso nel laboratorio a fare esperimenti
    la sera ci chiamava a sé e a noi tutti contenti
    raccontava che:
    Per fabbricar la bomba A non c'è difficoltà
    se non elementare ed anche col detonatore
    bastan poche ore a farla funzionare.
    Invece con la bomba H c'è un problema pratico
    che mi tormenta: che quella di mia produzione
    ha un raggio d'azione di tre metri e trenta.
    E un difetto cui però presto io rimedierò.
    Ed ha passato lunghe ore a rimediar l'errore nella sua officina.
    Pranzando assieme a noi sbobbava in un sol colpo la sua zuppa di gallina.
    Da come è diventato rosso si capì che un osso gli era andato storto
    accadde proprio un martedì che lo zio mezzo morto ci gridò così:
    Più io divento vecchio e più m'accorgo che
    il cervello scema ad ogni mese. Per dir le cose come stanno
    non è più un cervello ma una maionese.
    Per anni cercoTaumentare la portata della
    bomba mia diletta, non mi son reso conto
    che quello che conta è solo dove la si getta.
    Se qualcosa ancor non va presto si rimedierà.
    I gran capi di Stato per veder la bomba gli hanno chiesto udienza in fretta
    lo zio li ha ricevuti tutti e ha chiesto scusa se la camera era stretta
    ma quando sono tutti entrati lui li ha chiusi dentro e ha detto
    "State buoni!". La bomba esplose e così fu
    che di 'sti capoccioni non ce n'eran più.
    Lo zio davanti al risultato non perse la testa
    e fece il finto tonto. Lo misero davanti al giudice
    perché dell'atto lui rendesse conto.
    "Signori è stata una sciagura ma non ho paura
    a dirvi chiaro e tondo che distruggendo 'sti bastardi
    anche se un po'1ardi ho salvato il mondo!"
    Si fu incerti per un po' e lo si condannò ma poi lo si graziò.
    Il paese che gradì lo fece capo del governo lì per lì.

    12/6/2005 - 19:55




    Lingua: Italiano

    Versione italiana di Bruno Lauzi

    LA GIAVA DELLE BOMBE ATOMICHE

    Mio zio, famoso rigattiere
    Vive la sua vita in uno scantinato
    Eppur, essendo autodidatta
    Ha la mente adatta a fare lo scienziato
    Lui come un grande luminare
    Passa le sue ore a fare esperimenti
    Ma poi la sera su da noi
    Narra gli avvenimenti e si rilassa un po':
    "Per fabbricar la bomba A, ragazzi miei
    Si sa che non ci vuole niente
    Per mettere il detonatore
    Bastano due ore per chi è intelligente
    Riguardo poi la bomba H
    Certo, porca vacca, ci ho studiato un pezzo
    C'è il fatto che il raggio d'azione
    Tocca a mala pena i quattro metri e mezzo
    C'è qualcosa che non va
    Do un occhiata e torno qua!"

    Ha cominciato martedì
    A dare segni di violenza concentrata
    Quando è venuto su da noi
    Aveva lì con sé la bomba incriminata
    E solo quando ha preso fiato
    Che ha ricominciato a raccontar la storia
    Tenendo in braccio quell'ordigno
    La sua creatura, il suo bel bebè:
    "Non basta non guardar lo specchio
    Per sentirsi meglio e non sentirsi vecchio
    Ormai il cervello mi si squaglia
    E dianzi a uno chiaro pare una brodaglia
    Ho perso tutta la mia vita
    Dietro la questione della sua portata
    E non mi sono reso conto
    Che il problema bomba
    È dove va tirata
    C'è qualcosa che non va
    Do un occhiata e torno qua"

    Sapendo prossimo e scontato
    Questo risultato di grande importanza
    I maggiorenti dello stato
    Son venuti tutti per rappresentanza
    Ma appena loro sono entrati
    Lui li ha chiusi dentro ed ha gridato "Calma!"
    Pero quando l'aggeggio è esploso
    Livido e corroso, c'era solo lui
    Davanti a questo risultato
    Lui non si è smontato anzi ma che niente
    Se vuoi lo puoi vedere lì
    Davanti al gran giurì, guardato da un agente
    "Signori della corte, io lo giuro innanzi a Dio
    Che è un fatto di coscienza
    L'averli fatti fuori è un bene
    Tanto per l'Italia quanto per la scienza"
    Non potendo dir di no
    Il giurì lo condannò e dopo l'amnistiò
    E il paese lo premiò, lo elesse senator
    Per meriti d'onor

    inviata da Alberto Scotti - 7/6/2020 - 00:01




    Lingua: Spagnolo

    Versione spagnola di Nacha Guevara da "Nacha Guevara Mezzo Soprano" (1969)

    nachague
    LA JAVA DE LAS BOMBAS ATÓMICAS

    Mi tío era un ladronzuelo
    que tenía el hobbie
    de fabricar bombas.
    Aunque era un tanto analfabeto
    se las ingeniaba

    y las hacía redondas.
    Se encerraba todo el día
    en su tallercito
    a ver qué le salía.
    Y a la noche cuando regresaba,
    nientras se afeitaba,
    así nos relataba:

    Para decirles la verdad
    hacer las bombas "A"
    es un juego de niños.
    Hacerlas explotar
    se hace sin pensar,
    me lleva apenas seis semanas.
    En cuanto a las bombas "Napalm",
    si he de decir verdad,
    son las que me atormentan,
    porque no alcanzan más
    que un radio de acción
    de cuatro metros con cincuenta.
    Hay algo que no anda bien.
    Volveré para el taller.

    Dedicó toda su vida
    y su sabiduría
    a tal experimento.
    Ni su madre, cuando puso
    cohetes en su cama,
    pudo distraerlo.
    Hasta el día en que probaba
    si un tornillo andaba
    y le explotó en la cara
    y, cubierto por las gasas,
    tomando tisanas,
    así se lamentaba:


    A medida que envejezco
    yo me avivo más
    que mi cerebro falla.
    Si he de decirles la verdad
    yo que en lugar de sesos
    tengo salsa blanca.
    Tanto tiempo que he perdido
    queriendo extender
    el radio de mi bomba
    sin haberme dado cuenta
    que lo que interesa
    es dónde se coloca.
    Hay algo que no anda bien.
    Volveré para el taller.

    El día en que se enteraron
    los Jefes de Estado
    fueron de visita.
    Y el tío se lamentaba
    de que su inventiva
    fuera tan chiquita.
    Enseguida que entraron
    él cerró la puerta
    y les dijo "Cuidado!"
    y cuando la bomba explotó
    de esos personajes
    ni sombra quedó.

    Mi tío frente al resultado
    y sin desanimarse
    se hizo bien el burro.
    Mas luego, frente al tribunal,
    al ser interrogado,
    se-se puso tartamudo:
    "Señores, a decir verdad,
    fue por casualidad
    que yo metí la pata.
    Mas juro ante dios
    que amasijándolos
    he servido a la Patria".

    El Jurado lo entendió,
    primero le condenó
    y después le absolvió.
    La población, en agradecimiento,
    instantáneamente
    le hizo un monumento.

    inviata da Alessandro - 16/4/2009 - 16:03


    Nacha y Boris Vian: la historia de la "Nueva Canción Argentina"

    Del libro de Sergio Pujol "La década rebelde. Los años 60 en Argentina", pp.274-278 (Buenos Aires, Emecé, 2002).

    "Listos, apunten... ¡canten!" (da "The Folk Song Army" di Tom Lehrer, nella versione di Nacha Guevara, ossia il "manifesto" della Nueva Canción Argentina)

    La música beat fue más rebelde que revolucionaria. Fue hija de la inso­lencia, no de la protesta. El folclore y la llamada Nueva Canción Argenti­na, en cambio, fueron las vertientes de la canción popular que, en cierto modo, se hicieron cargo de la protesta política y social. El foldore lo hizo en su doble operación de rescate y renovación. La Nueva Canción, en cambio,, nació sin raíces, como en el aire. Ese aire por el que corrían voces de otros ámbitos: el París de Vian y Brassens; el Greenwich Village de Joan Báez; el Berlín de Bertolt Brecht y' Kurt Weill.
    Para que la Nueva Canción prosperara -algo que sucedió no antes de 1968- fue necesario que madurara una idea teatral de la música y la poe­;ia: la Nueva Canción fue un fenómeno de actuación, de escenarios, de salas pequeñas atiborradas de gente. Desde luego, fue un fenómeno de cla­se media ilustrada interesada en recuperar los códigos del music-hall, de lectores de Primera Plana (tanto fue así, que Ernesto Schóo, crítico de la re­vista escribió algunas letras para Nacha Guevara). Obviamente, la Nue­va Canción llegó a un público no necesariamente juvenil, un público que estaba más o menos habituado a frecuentar el Di Tella (allí se hicieron los principales eventos del nuevo género, como Canciones en informalidad y Anasrasia querida), galerías de arte, bares en los que se discutía acalora­damente de política y funciones de cine europeo en el Lorraine.
    El pionero había sido Carlos Waxemberg, quien a fines del '66 ya can­taba como un folk singer porteño, haciendo participar al público con las palmas y demás menesteres, que pronto tuvieron como escenarios carac­terísticos Michelángelo o La Botica del Ángel de Bergara Leuman. Waxem­berg no llegó a capitalizar el éxito de su idea. Ésta prosperó dos años más tarde, cuando un grupo de cantantes formó algo muy parecido a un movi­miento. Para entonces, ya se hablaba de Nueva Canción Argentina, el últi­mo boom de la década del 6o. "Fue un movimiento espontáneo, por lo tan­to desordenado", rememora Nacha Guevara. "Nunca nos juntamos a decir: vamos a hacer una nueva canción. En realidad, cada uno por su lado iba coincidiendo en esa necesidad de hacer una canción urbana. Había gente muy dispar, por lo tanto mucha libertad expresiva. Creo que éramos una divertida bolsa de gatos y ratones".
    Dina Rot cantaba viejos poemas sefardíes. Marikena Monti se revela­ba como una fiel discípula de Edith Piaf. Horacio Molina cantaba tangos y baladas pensando tanto en Joáo Gilberto como en Carlos Gardel. El fu­turo director de agencias publicitarias Jorge Schussheim dejaba el conjun­to 1 Musicisti para abordar un repertorio más cálido e intimista, con can­ciones como "Para Buenos Aires", "Juan y María" y un irónico homenaje a sus colegas, los ejecutivos argentinos. Poni Micharvegas se olvidaba de su profesión de médico y en Canciones de fogueo creaba un puente entre rock y balada. Facundo Cabral dejaba definitivamente atrás al Indio Gas­Patino. Una orquesta de cámara hecha de instrumentos no convenciona­les llamada Les Luthiers estrenaba en el Di Tella un espectáculo basado en complejos sexuales de Caperucita Roja. Y el artista plástico Jorge de Vega, tal vez convencido de que la anunciada "muerte del arte" era un he­cho inminente, deslumbraba a la clientela de calle Florida con una canción entre surrealista y naif llamada "El gusanito". La canción decía: "Y el gusanito sigue paseando/ y al mismo tiempo se va preguntando/ si el mundo entero no es/ un dibujito al revés./ Un gusanito del derecho/ y un gusanito del revés./ Un dibujito del derecho/ y el mundo entero del revés'”
    La Nueva Canción Argentina recibió el apoyo del periodismo y del público del Di Tella. Un público que, tal como lo recuerda Nacha Gue­vara, "fue cambiando, ya que al principio estaba conformado por los ra­ros, los intelectuales y los hippies. Luego el público se fue aburguesando. Empezó a llegar gente al Di Tella más interesada en ver a los raros, los intelectuales y los hippies que en escucharnos a nosotros. Y a veces sa­lían escandalizados".
    ¿Qué posibilidades tenía la Nueva Canción de crecer más allá de loss guiños para iniciados y la curiosidad de un público de gustos volubles? Era tal vez demasiado intelectual para ser popular, y no lo suficientemente compleja como para ser considerada entre las artes de vanguardia. En ese sentido, sólo dos figuras de la Nueva Canción trascendieron los límites de * la "café society" de los 6o: María Elena Walsh y Nacha Guevara. En el pri­mer caso, se trataba de una persona de gran popularidad dispuesta a dar un giro en su carrera: de los niños a los grandes. Y Nacha dejaba su vida de pinap para debutar como artista e iniciar una carrera algo zigzagueante pe­ro no por ello carente de interés.
    A María Elena Walsh bien podía considerársela una adelantada, ya que en sus canciones para chicos había apelado a una variada gama de ritmos y formas para crear algo nuevo. Cuando en abril de 1968 presentó un ciclo de canciones para adultos-enseguida volcadas al disco-, la gente descu­brió otra faceta de la "juglaresa". Desde el teatro Regina, María Elena de­mostró que podía hacer algo más que "Manuelita la tortuga" o "La mona Jacinta".
    Juguemos en el mundo, también conocido como Show de los ejecu­tivos, abordaba los tópicos adultos desde la candidez musical ya estrenada en el ciclo para niños, aunque ahora la ironía ardía por doquier. Por ejem­plo, una canción como "Gilito de Barrio Norte" revisaba con dureza las contradicciones del progresismo político. En "El 45” María Elena evoca­ba el comienzo de su adolescencia, remarcando el contexto histórico, y en "Miranda y Mirón" se mofaba de los críticos culturales, acaso los mis­mos que la habían encumbrado. Para "Diablo está" se había inspirado en una canción de Leo Ferré -la influencia francesa rondaba por todas par­tes y "Serenata para la tierra de uno" era una bellísima melodía destinada a integrar el cancionero argentino.
    Pero fue en "Los ejecutivos" donde la Walsh encontró el tono perfecto para los años 6o. Mediante la crítica a los ejecutivos, la cantautora desnudaba el funcionamiento esencialmente corporativo de la sociedad ar­gentina. La canción era una especie de descripción fenomenológica del nuevo actor de la economía del país. Pero no era una descripción indife­rente, ya que los privilegios y prebendas del ejecutivo como figura en­cumbrada bajo el régimen de Onganía eran expuestos con sorna: "Ay qué vivos/ son los ejecutivos, qué vivos que son...". El poder económico que­daba sintetizado en una imagen: "La sartén por el mango y el mango tam­bién". Es decir: todo. Eso tenían los ejecutivos. Uno de ellos, herido por la canción, le encargó a Jorge Schussheim una composición de desagravio. Pero ésta no tuvo el efecto de la primera: nadie volvió a referirse a los eje­cutivos sin sonreír con cierta mordacidad.
    Por su parte, Nacha Guevara desarrolló un repertorio más irónico aún que el de la Walsh. Y más teatral: aquellos primeros discos de Nacha se convirtieron, con los años, en piezas para coleccionistas, mientras la mú­sica de María Elena seguió vigente y siempre a mano de oyentes infanti­les y adultos. Para Nacha, intérprete antes que autora, la escena lo fue to­do. Para María Elena, autora y compositora de casi todo lo que cantaba, actuar en público significó apenas un capítulo en el largo texto de una vi­da de poesía y música.
    Había cantado por primera vez en 1965, en una puesta de Locos de ve­rano, de Gregorio de Laferrére. Más tarde, con Nacha de noche en el Ins­tituto Di Tella, se reveló como una mujer del espectáculo. Llevando todo a la máxima tensión, Nacha desplegó un histrionismo que abrevaba en el grotesco. Su estilo era duro, impiadoso. Elegía y traducía con la originali­dad de los creadores. Decía no ser una cantante de protesta, pero no por debilidad, sino porque su mordacidad no conocía límites: también de la protesta directa sabía tomar distancia, como lo habían hecho sus admira­dos autores franceses. Nacha cuenta que "de adolescente escuchaba mu­cha canción francesa, y así descubrí a Brel, Brassens y Vian. Y pensé: esta gente habla de otras cosas, utiliza la canción para comunicar ideas, poesía, rebeldía y humor. Ahí dije: quiero hacer esto. Y entonces hice traduccio­nes libres de aquellas canciones y agregué cosas de poetas y letristas argen­tinos, como Carlos del Peral, César Fernández Moreno y Ernesto Schóo".
    Con el soporte musical de Alberto Favero -destacado músico de jazz que por esos años estrenó la Suite Trane, dedicada al saxofonista John Col­trane-, Nacha siguió con Hay que meter la pata y el que sería su show más recordado: Anastasia querida. Anastasia era el nombre en clave de la censura: “Nuestra Anastasia querida, te damos la bienvenida la país”, cantaba Nacha, poniendo a su público en estado de alerta. Pero el espíritu contestatario de aquellas elaboradas piezas de music-hall no era obstáculo para que las puestas fuesen muy cuidadas e ingeniosas, aunque premeditadamente alejadas del teatro convencional. En Nacha Mezzosoprano, por ejemplo, un inodoro con florcitas pintadas ocupaba el centro del escenario.
    La gente -o al menos su gente- siguió a Nacha con admiración. No eran muchos, pero eran fieles: a ellos Nacha les daba de todo un poco, como en botica. Los hacía pasar del frío al calor, de la distancia al compromiso, en un vaivén sobre el que la cantante no siempre tenía control. Sobre el final de Anastasia querida, de junio del '69, el disparate de Vian ("No se casen chicas", "La Java de las bombas", "Un buen par de patadas") era suplantado por "El tiempo no tiene nada que ver", de Brassens. Y entonces la temperatura subía, según la crónica de Primera Plana: "Es entonces cuando una audiencia enardecida por la frescura y la libertad que campea en las estrofas entona, junto a Nacha Guevara, los versos de la canción que titula el show. Marchando con `Anastasia querida', el público abandona la sala con un entusiasmo que debería desalentar los afanes de la cantante por conseguir un cierto distanciamiento brechtiano. Es que, lentamente, el recital caldea los ánimos a pesar de las advertencias: ¿Recuerdan la guerra española/que tanto nos conmovió?/Aunque Franco ganó las batallas/ a hacer canciones ¿quién nos ganó?, ataca Nacha a través de Tom Lehrer.Y termina invitando: Por eso, enrólese en nuestras Filas/la guitarra es nuestro cañón/ con ella venceremos la guerra y el hambre/Listos, apunten, ¡canten! Y es imposible, ganados por el ritmo, apasionados por la letra, desdeñar toda lucidez en favor de un reflejo irresistible: cantar".

    Alessandro - 17/4/2009 - 07:59


    Ah, dit Lucien l'âne, il me faut bien rapporter ici - car c'est quand même essentiel une autre version de cette Java, du moins de sa fin et très précisément des deux derniers vers.
    Dans la version ici présente, la fin est la suivante :
    "Et l'pays reconnaissant
    L'élu immédiat'ment
    Chef du gouvernement"

    J'en profite au passage pour corriger le texte (une coquille, sans doute):
    Et le pays reconnaissant
    L'élut immédiatement
    Chef du gouvernement"

    Mais, il en existe une autre un peu plus complexe et à mon sens plus vianesque, plus empreinte de sel d'ironie... la voici:
    "Et le pays reconnaissant
    Lui fit immédiatement
    Élever un monument".

    D'abord, car un monument, ça reste... Un gouvernement... Bof... On se rend à peine compte qu'il existe, qu'il est déjà reparti...

    Et un monument, ça fait plus sérieux, ça vous carre son homme (ou sa femme) pour l'éternité...

    Ils ont tous été très friands de monuments : le petit Père Joseph (alias Staline), son copain Lénine, Napoléon, César, Caligula, un tas de Louis, d'Alexandre - tsars de toutes les Russies, les papes, les dieux, li Torê, Adolf, Benito, la femme sans bras, les inconnus (spécialement quand ils portaient un uniforme), l'inventeur de la démocratie (à Poil), Manneken Pis , Jeanneke Pis...

    Bref, il y a de quoi faire une chanson...

    Donc, je préfère la version monumentale...
    D'autant qu'elle est complétée par cette réplique donnée avec une parodie de la voix de l'incroyable Michel Simon :
    « Un monument... Un monument ? Mais qu'est ce que vous voulez que je foute d'un monument ? »
    Bonne question, en effet.

    Vanitas vanitatum.

    Ainsi Parlait Lucien Lane

    Lucien Lane - 11/5/2012 - 10:24


    Moins connue que son compère, Manneken Pis et beaucoup plus récente aussi, Jeanneke Pis est une grande conquête de l'égalité entre genres...






    Moi, ce que j'en dis, c'est pour faire avancer la chose...

    et puis, un monument à ces jeunes, c'est quand même moins con et plus pacifique ...

    Et plus vrai...

    Et comme disait Boris Vian (légèrement modifié)... mais ça donne bien le sens de ces artistes populaires :

    C'est que ça m'amuse et je vous pisse au nez !


    Lucien Lane

    Lucien Lane - 11/5/2012 - 10:37


    Pour conclure avec cette histoire de pisseurs qui sont les vrais représentants des gens d'Europe en colère contre les mesures délirantes qui leur sont imposées... « VOYEZ CE QU'ILS FONT AUX GRECS, ILS VOUS LE FERONT DEMAIN ! »...

    Donc, suivant en cela Vian, Jeanneke disait à ces sombres canailles qui veulent régenter nos vies et imposer notre misère afin d'augmenter leurs profits et leurs richesses : « Je vous pisse au nez !» et elle avait bien raison...

    Manneken Pis arrosait consciencieusement leurs mollets en signifiant d'un coup d'oeil malicieux : « Je vous pisse sur la jambe »...

    Mais, j'avais oublié le troisième pisseur, le Zinneke Pis, qui n'est autre qu'un chien bâtard des rues de la capitale de l'Europe, lequel en tirant la langue, s'écrie : « Je vous pisse sur les pieds ! »

    september-401


    Telle est la réponse des petits monuments aux grands exacteurs des peuples d'Europe et d'ailleurs.

    Lucien Lane

    Lucien Lane - 11/5/2012 - 19:46


    Quand je vous disais qu'il existait une version où on lui élève finalement un monument au tonton-bricoleur qui a sauvé la France...
    En voici une et même deux...
    Une dame Olivia Ruiz (version de 2009) et les Charlots - version 1969.



    Moi ce qui me botte, c'est surtout celle des Charlots (la deuxième) et puis, là, on trouve cette référence à Michel Simon qui me plaît tant, mais encore différente de celle que j'avais précédemment entendue - et qui devait être de Reggiani...

    Donc, ayant reçu son monument, Tonton dit :
    "Un monument... Un monument... Mais j'ai une sale gueule sur ce monument... Remarquez... Il vaut mieux avoir une sale gueule que pas de gueule du tout..."

    Une belle vérité...

    À tous présents et à venir, salut !

    Lucien Lane

    Lucien Lane - 14/5/2012 - 18:45




    Lingua: Portoghese

    Traduzione portoghese di Jorge Stolfi, professore d’informatica all’Università di Campinas, São Paulo, Brasile.
    A JAVA DAS BOMBAS ATÔMICAS

    Meu tio, jeitoso com ferramentas,
    fazia como amador
    umas bombas atômicas.

    Sem nunca ter estudado nada,
    era um verdadeiro gênio
    em se tratando de trabalhos práticos.

    Ele se trancava o dia todo
    no fundo de sua oficina
    para fazer experiências;

    e ao anoitecer ele vinha para casa
    e nos deixava boquiabertos
    enquanto nos contava tudo.

    "Para fabricar uma bomba A,
    meninos, acreditem-me,
    é na verdade moleza.

    questão do detonador
    a gente resolve em quinze minutos,
    mas essas são de jogar fora.

    E quanto à bomba H,
    não é muito mais difícil.
    Mas uma coisa me tormenta:

    é que as de minha fabricação
    tem apenas um raio de ação
    de três metros e cinquenta!--

    Tem algo fazendo barulho lá dentro;
    tenho que voltar lá imediatamente!"

    Ele trabalhou durante dias
    procurando, com amor,
    melhorar o modelo;

    quando almoçava conosco
    ele engolia de uma vez só
    sua sopa de macarrãozinho.

    Via-se, pelo seu olhar feroz,
    que estava com um osso duro de roer,
    mas não ousávamos dizer nada.

    E enfim uma noite, durante o jantar,
    eis que titio suspira,
    e grita assim:

    "À medida que envelheço
    percebo cada vez mais,
    tenho o cérebro que falha;

    é sério, tenho que dizer,
    não é nem mais um cérebro,
    é como um monte de molho branco!

    Há bons meses e anos
    que tento aumentar
    o alcance da minha bomba,

    e eu nem me dei conta
    que a única coisa que conta
    é o lugar onde ela cai!

    Tem algo fazendo barulho lá dentro;
    tenho que voltar lá imediatamente!"

    Ao saber que o resultado estava próximo,
    todos os grandes chefes de Estado
    fizeram-lhe uma visita.

    Ele os recebeu, e se desculpou
    por suas acomodações
    serem tão pequenas.

    Mas assim que todos entraram
    ele os trancou,
    dizendo, "comportem-se";

    e, quando a bomba explodiu,
    de todas essas personalidades
    não sobrou nadinha.

    Titio, face a este resultado,
    não desanimou,
    e se fez de bobo;

    ao Tribunal o arrastaram,
    e, diante dos jurados,
    eis que ele diz gaguejando:

    "Senhores, foi um acidente infeliz,
    mas juro diante de Deus,
    de minha alma e consciência,

    que ao destruir todos esses babacas
    eu estou firmemente convencido
    de ter servido à França!"

    Estavam numa sinuca;
    então o condenaram,
    e depois o anistiaram;

    e o país, agradecido
    o elegeu imediatamente
    Chefe do governo!

    inviata da Bernart Bartleby - 6/10/2015 - 08:35




    Lingua: Italiano

    Traducanzone in italiano di Andrea Buriani

    LA JAVA DELLE BOMBE ATOMICHE :

    Mio zio che era un noto amante anche se dilettante delle bombe atomiche.
    E senza aver studiato si era preparato nelle questioni pratiche
    Lui si rinchiuse un giorno con nessuno intorno a fare degli esperimenti
    ed alla sera quando poi lui rincasava ci stupiva e raccontava:
    "Per fabbricar la Bomba "A" è una banalità non c'è bisogno di arte.
    Per la questione strana del detonatore ho già una soluzione a parte.
    La Bomba "H"poi, non mi fa paura ma una cosa mi tormenta:
    quelle che produco fanno, certo, un buco,ma di un metro e quasi trenta.
    C'è qualcosa che non va, ma ora si rimedierà".

    Per giorni poi ha lavorato certo ha migliorato i primi suoi modelli.
    E se da noi pranzava spesso trangugiava zuppa con i vermicelli.
    E se dall'aria ch'era triste a volte si capiva, mai nessun fiatava.
    Finchè una sera con un gran sospiro il nostro amato Zio disse così:
    "Nella misura in cui divento vecchio il mio cervello sempre più vacilla.
    Diciamoci la verità: più che un cervello sembra quasi besciamella.
    Per una vita ho sempre ricercato di aumentar gli effetti e la portata
    Ora mi rendo conto che quello che conta è solo il posto dove cade.
    C'è qualcosa che non va, ma ora si rimedierà".

    Avvicinandosi al risultato, i Vertici di Stato chiesero una visita.
    Quel gruppo ha convocato poi lui si è scusato per l'officina piccola.
    Dicendo poi "Adesso fate i bravi" chiuse tutti dentro bene a chiave.
    La bomba dello zio scoppiò, di quei personaggi nulla ci restò.
    Lo zio a quel risultato non s'è scoraggiato ed ha giocato allora forte.
    In Tribunale lui non ha tremato confessando poi a quella Corte:
    "Egregi miei Signori è stato un incidente e non accampo delle scuse.
    Col botto di quegli svitati ho servito bene, certo, il mio Paese".
    Ci fu un verdetto imbarazzante : metà condanna e per metà assolvente.
    E così, riconoscente il Paese ha eletto mio zio Presidente.

    inviata da dq82 - 16/11/2015 - 12:12


    Il est intéressant d'aller voir sur You Tube les très nombreuses versions françaises de cette Java des Bombes atomiques, qui est toujours reprise et reprise...
    Par exemple :



    ou



    ou, ou, ou...

    Il suffit de chercher un peu

    Ainsi parlait Lucien Lane

    Lucien Lane - 9/8/2018 - 18:40




    Lingua: Italiano

    Versione italiana di Gerardo Balestrieri
    Mio zio, amando il fai da te
    Una passione in sé
    Aveva per l'atomica
    E senza avere mai studiato
    Aveva ormai imparato
    Che è questione pratica
    Lui se ne stava tutto il dì
    Nel suo bell'atelier
    A fare non so che
    E poi la sera, su da lui
    Meravigliava tutti
    Raccontando che

    Per fabbricare la bomba
    Fanciulli miei, si sa
    Che non ci vuole tanto
    Per il detonatore poi
    Un quarto d'ora e vai
    E parti per l'incanto
    Riguardo poi la bomba a idrogeno
    Non è l'ossigeno, ma mi tormenta
    Saper che la dolce invenzion
    Ha un suo raggio d'azion
    Di tre metri e cinquanta
    C'è qualcosa che non va
    Vado, ma ritorno qua

    Sono stato tutti questi anni
    Dietro alla mia bomba
    E alla sua forma ovalica
    E senza avere mai studiato
    Ormai ho imparato
    Che è questione pratica
    Io me ne stavo tutto il dì
    Nel mio bell'atelier
    A fare non so che
    E poi la sera, su da lui
    Meravigliavo tutti
    Raccontando che

    Man mano che ci si fa vecchi
    Senza usar gli specchi
    Il cervello arranca
    Diciamo pure è cosa seria
    Che più che materia
    È una salsa stanca
    Son stato tutti questi anni
    Dietro alla mia bomba ed alla sua portata
    E non mi sono reso conto
    Conta per il mondo
    Dove va tirata
    C'è qualcosa di cui dubito
    Vado, ma ritorno subito

    Sapendo del suo risultato
    I capi di ogni stato
    Vennero a cercarlo
    Lui accolse tutti, escluso sé
    Ché l'umile atelier
    Era piuttosto piccolo
    Appena entraron tutti, rise
    E con la chiave chiuse
    Urlando: "State attenti"
    A volte, se il gioiello brilla
    Di tutti i potenti non rimane nulla

    Davanti allo stato di cose
    Lui non si scompose
    Fece il finto tonto
    In tribunale trascinato
    Al giudice togato
    Farfugliò convinto:
    "Signori della corte
    Io lo giuro innanzi a Dio
    Con anima e coscienza
    - Sono bene convinto
    E grido di aver ben servito
    La mia amata Francia -"
    Sorte della sua ironia
    Prima la condanna e dopo l'amnistia
    E il paese riconoscente
    Lo elesse come presidente

    inviata da Alberto Scotti - 16/3/2021 - 00:37




    Lingua: Portoghese

    Versione portoghese di Sérgio Salvia Coelho
    A JAVA DAS BOMBAS ATÔMICAS

    Meu tio, notório inventor
    Era contrafeitor de bombas nucleares
    Sem ter graduação formal
    Era o maioral em manutenção dos lares

    Trancado dias em surdina
    Em sua oficina, para experiências;
    E à noite com o seu relato
    Punha a audiência em estado estupefato

    Para fazer uma Bomba A
    Podem acreditar é uma molezinha
    A questão do detonador é um parto sem dor
    Eu faço na cozinha

    No que toca à Bomba H
    Eu vou mais devagar mas o que me atormenta
    É que as de minha fabricação
    Têm um raio de ação de só três e cinquenta

    Algo aqui não está bom
    Volto já pro meu porão

    Camelou dias a fio
    Com seu desafio de melhorar o modelo
    No café da manhã
    Comia com afã seu mingau de farelo


    A gente pela sua careta
    Via a coisa preta, mas ninguém dava um pio
    E uma noite no jantar
    Titio deu um suspiro e passou a declarar:

    À medida que envelheço
    Agora eu reconheço, o dano é diário
    Isto nem é mais cabeça, por incrível que pareça
    Está mais para minhocário

    Pois já faz bem mais de ano
    Que eu me desengano com o alcance do aparato
    Sem ter consideração que a real questão
    É seu local de impacto

    Algo aqui não está bom
    Volto já pro meu porão

    Na véspera do resultado
    Grandes chefes de Estado vieram para a festa
    Meu tio ao recepcionar
    Mandou não reparar na sua casa modesta

    Mas vendo todos presentes
    Lhes passou a corrente dizendo: quietinhos!
    E quando a bomba explodiu
    Todos esses cretinos, ninguém nunca mais viu.

    Diante desse resultado
    Titio foi bom soldado e alegou demência
    Levado aos tribunais ele gaguejou mais
    E falou à Imprensa:

    Senhores foi um baita azar
    Mas devo declarar em meu juízo profundo
    Que detonando o topo
    Eu encontrei um modo de salvar o mundo.

    Confundindo os jurados
    Meu tio foi condenado depois anistiado

    E em grande comoção
    Venceu a eleição de chefe da nação

    inviata da Sérgio Salvia Coelho - 5/1/2022 - 00:21




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