Jambo abari yako
Sasa unzuri sana
Hello Swahili people
Ciao Africa mama
Maji uhuru amani
Water for everybody
Acqua diritto umano
Per tutti pace e libertà
Maji significa Acqua
Uhuru libertà
Amani Pace
E quindi l’acqua è sorgente di pace e di libertà
Jambo abari yako
Sasa unzuri sana
Hello Swahili people
Ciao Africa mama
Maji uhuru amani
Water for everybody
Acqua diritto umano
Per tutti pace e libertà
Sasa unzuri sana
Hello Swahili people
Ciao Africa mama
Maji uhuru amani
Water for everybody
Acqua diritto umano
Per tutti pace e libertà
Parlato:
Con jambo si salutano gli stranieri
Abari yako è il saluto ai locali in lingua Swahili
Sasa lo si dice ai bambini
E tutti rispondono Unzuri sana
Con jambo si salutano gli stranieri
Abari yako è il saluto ai locali in lingua Swahili
Sasa lo si dice ai bambini
E tutti rispondono Unzuri sana
Maji significa Acqua
Uhuru libertà
Amani Pace
E quindi l’acqua è sorgente di pace e di libertà
Jambo abari yako
Sasa unzuri sana
Hello Swahili people
Ciao Africa mama
Maji uhuru amani
Water for everybody
Acqua diritto umano
Per tutti pace e libertà
inviata da Paolo Rizzi - 23/3/2023 - 06:40
Ciao Paolo e grazie ancora per le tue canzoni. Poiché rappresenta una parte importante nelle tue canzoni e nelle tue esperienze, continuo un po' a....raccontare qualcosa sullo Swahili (o meglio: Kiswahili).
Prima di tutto, va detto che, in realtà, non esiste un “popolo Swahili” (Swahili people): esistono diversi popoli, ognuno in origine con la propria lingua (spesso della famiglia Bantu), che hanno adottato lo Swahili come lingua poi divenuta materna, o come lingua ausiliare di comunicazione. Lo Swahili sembra essere nato verso il 12° secolo nell'isola di Zanzibar (Unguja) e nella zona costiera prospiciente (adesso in Tanzania) proprio come “lingua franca” di comunicazione tra i mercanti arabi e le popolazioni indigene di lingua Bantu. In effetti, lo Swahili è una lingua mista, su base Bantu ma con oltre il 30% di parole derivate dall'arabo (e, poi, anche dal portoghese e dall'inglese). Lo stesso nome della lingua è arabo: Swahili significa “costiero” (ha la stessa radice araba di Sahel). Con il suo prefisso Bantu ki-, usato tra le altre cose coi nomi delle lingue, si ha Kiswahili, che significa “lingua costiera”.
In seguito, si è diffuso ed è stato adottato da un grande numero di popolazioni che, in alcuni casi, hanno mantenuto anche la loro lingua originaria, ed in altri la hanno invece abbandonata facendo divenire lo Swahili una vera e propria lingua materna. Lo Swahili letterario e “puro” è rimasto quello di Zanzibar, e per questo è detto Kiunguja; diffondendosi via via si è frammentato in diversi “dialetti”, molti dei quali hanno inserito nel linguaggio caratteristiche e parole delle proprie lingue originarie (quasi sempre, va detto, molto simili). Lo si vede, ad esempio, anche nel testo che hai proposto: nella frase Sasa unzuri sana, il termine unzuri (che significa propriamente “bene”, dalla radice dell'aggettivo -zuri “bello; buono” -esattamente come il greco kalós !-) è di uso locale. In Swahili letterario è nzuri, e la frase suona Sasa nzuri sana (lett. “Bambino, tanto bene!”; ma sasa è anche un avverbio che significa “ora, adesso”).
Lo Swahili è adesso lingua nazionale e ufficiale in Tanzania, Kenya, Uganda e Ruanda; ma in tutti questi paesi le lingue locali e coloniali continuano ad essere parlate ed usate (in Ruanda, ad esempio, lo Swahili convive con il più diffuso Kinyarwanda, col francese e con l'inglese). E' lingua veicolare in Burundi, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, nelle isole Comore, a Mayotte (tuttora appartenente alla Francia), in Mozambico, nel Malawi e persino nel Sultanato dell'Oman. In questi paesi, lo Swahili è più considerato come lingua-simbolo dell'unità africana (è anche una delle sei lingue ufficiali dell'Unione Africana), viene studiato e imparato, ma non ha e non ha mai avuto parlanti nativi (della forma letteraria o di un suo dialetto).
Il discorso sarebbe lungo, ma quello che mi premeva è di non credere che esista un “popolo Swahili”: esistono i parlanti della lingua Swahili in una qualsiasi sua forma o dialetto, esiste chi lo usa solo per iscritto, ma è un idioma legato a un popolo forse soltanto in Tanzania, dove è nato secoli fa. I suoi “dialetti” sono numerosi: persino a Zanzibar/Unguja, dove è nato, nelle zone rurali interne si parla una variante detta Kitumbambu. In Congo si parla, in alcune zone, il Kingwana e, a Dar Es Salaam, il Kimrima. Lo Swahili di Nairobi, quello che hai probabilmente sentito parlare, si chiama Sheng: è uno Swahili pesantemente infarcito di parole inglesi. Lo Swahili unificato, ufficiale e letterario, è parlato solo nell'ambiente “elevato” (amministrativo, intellettuale ecc.). A livello di curiosità, ecco qualche parola che ci suona vagamente familiare perché derivata dal portoghese: gereja (“chiesa”, da igreja), bendera (“bandiera”), meza (“tavolo”, da mesa che poi è il nostro “mensa”) ed anche il bomba da te citato nell'introduzione a L'acqua di Kibera, che è il portoghese bomba nel significato di “pompa, tubo” (non ha quindi nulla a che fare con le bombe, fortunatamente).
Se Kiswahili è il nome della lingua, grazie ai particolari procedimenti delle lingue Bantu si può fare il sostantivo: Mswahili (plurale: Waswahili) è però solo “chi parla lo Swahili”, il “parlante dello Swahili”, e non ha nessuna connotazione etnica. A Zanzibar, il termine ha anche un significato speciale: significa “uno che è musulmano, ma non ha un nome arabo”. Analogamente, cambiando prefisso, si ha Uswahili, sostantivo astratto che significa "cultura di lingua Swahili" oppure "regione abitata da persone che parlano lo Swahili". E' lo stesso procedimento per cui dall'aggettivo -huru "libero", si forma uhuru "libertà".
Lo Swahili, comunque sia, è attualmente parlato e/o conosciuto da oltre settanta milioni di persone. E' stato definito “una delle 12 lingue più importanti del mondo”, e la sua importanza in Africa è indubbia; ma, a livello “crudo” di parlanti nativi (non semplici utenti) si trova solo al 58° posto nel mondo (per fare un paragone, l'italiano è al 23° posto). Inoltre, è abbastanza diffusa una forma di Swahili “elementare” usata spesso proprio coi turisti, consistente nell'apprendere qualche parola e qualche verbo ed usare il tutto in una forma completamente sgrammaticata (come in italiano “tu comprare stoffa” o “io no parlare Swahili”). Nonostante tutte le grammatiche Swahili si affrettino fin dalla prima riga a dire che “lo Swahili è facile”, non è per niente così. E', anzi, una lingua molto, molto complicata.
Natumaini kwamba umefurahia utangulizi huu mdogo, na kwamba utaanza kujifunza lugha hii nzuri hivi karibuni. Asante tena Paolo kwa nyimbo zako!
Prima di tutto, va detto che, in realtà, non esiste un “popolo Swahili” (Swahili people): esistono diversi popoli, ognuno in origine con la propria lingua (spesso della famiglia Bantu), che hanno adottato lo Swahili come lingua poi divenuta materna, o come lingua ausiliare di comunicazione. Lo Swahili sembra essere nato verso il 12° secolo nell'isola di Zanzibar (Unguja) e nella zona costiera prospiciente (adesso in Tanzania) proprio come “lingua franca” di comunicazione tra i mercanti arabi e le popolazioni indigene di lingua Bantu. In effetti, lo Swahili è una lingua mista, su base Bantu ma con oltre il 30% di parole derivate dall'arabo (e, poi, anche dal portoghese e dall'inglese). Lo stesso nome della lingua è arabo: Swahili significa “costiero” (ha la stessa radice araba di Sahel). Con il suo prefisso Bantu ki-, usato tra le altre cose coi nomi delle lingue, si ha Kiswahili, che significa “lingua costiera”.
In seguito, si è diffuso ed è stato adottato da un grande numero di popolazioni che, in alcuni casi, hanno mantenuto anche la loro lingua originaria, ed in altri la hanno invece abbandonata facendo divenire lo Swahili una vera e propria lingua materna. Lo Swahili letterario e “puro” è rimasto quello di Zanzibar, e per questo è detto Kiunguja; diffondendosi via via si è frammentato in diversi “dialetti”, molti dei quali hanno inserito nel linguaggio caratteristiche e parole delle proprie lingue originarie (quasi sempre, va detto, molto simili). Lo si vede, ad esempio, anche nel testo che hai proposto: nella frase Sasa unzuri sana, il termine unzuri (che significa propriamente “bene”, dalla radice dell'aggettivo -zuri “bello; buono” -esattamente come il greco kalós !-) è di uso locale. In Swahili letterario è nzuri, e la frase suona Sasa nzuri sana (lett. “Bambino, tanto bene!”; ma sasa è anche un avverbio che significa “ora, adesso”).
Lo Swahili è adesso lingua nazionale e ufficiale in Tanzania, Kenya, Uganda e Ruanda; ma in tutti questi paesi le lingue locali e coloniali continuano ad essere parlate ed usate (in Ruanda, ad esempio, lo Swahili convive con il più diffuso Kinyarwanda, col francese e con l'inglese). E' lingua veicolare in Burundi, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, nelle isole Comore, a Mayotte (tuttora appartenente alla Francia), in Mozambico, nel Malawi e persino nel Sultanato dell'Oman. In questi paesi, lo Swahili è più considerato come lingua-simbolo dell'unità africana (è anche una delle sei lingue ufficiali dell'Unione Africana), viene studiato e imparato, ma non ha e non ha mai avuto parlanti nativi (della forma letteraria o di un suo dialetto).
Il discorso sarebbe lungo, ma quello che mi premeva è di non credere che esista un “popolo Swahili”: esistono i parlanti della lingua Swahili in una qualsiasi sua forma o dialetto, esiste chi lo usa solo per iscritto, ma è un idioma legato a un popolo forse soltanto in Tanzania, dove è nato secoli fa. I suoi “dialetti” sono numerosi: persino a Zanzibar/Unguja, dove è nato, nelle zone rurali interne si parla una variante detta Kitumbambu. In Congo si parla, in alcune zone, il Kingwana e, a Dar Es Salaam, il Kimrima. Lo Swahili di Nairobi, quello che hai probabilmente sentito parlare, si chiama Sheng: è uno Swahili pesantemente infarcito di parole inglesi. Lo Swahili unificato, ufficiale e letterario, è parlato solo nell'ambiente “elevato” (amministrativo, intellettuale ecc.). A livello di curiosità, ecco qualche parola che ci suona vagamente familiare perché derivata dal portoghese: gereja (“chiesa”, da igreja), bendera (“bandiera”), meza (“tavolo”, da mesa che poi è il nostro “mensa”) ed anche il bomba da te citato nell'introduzione a L'acqua di Kibera, che è il portoghese bomba nel significato di “pompa, tubo” (non ha quindi nulla a che fare con le bombe, fortunatamente).
Se Kiswahili è il nome della lingua, grazie ai particolari procedimenti delle lingue Bantu si può fare il sostantivo: Mswahili (plurale: Waswahili) è però solo “chi parla lo Swahili”, il “parlante dello Swahili”, e non ha nessuna connotazione etnica. A Zanzibar, il termine ha anche un significato speciale: significa “uno che è musulmano, ma non ha un nome arabo”. Analogamente, cambiando prefisso, si ha Uswahili, sostantivo astratto che significa "cultura di lingua Swahili" oppure "regione abitata da persone che parlano lo Swahili". E' lo stesso procedimento per cui dall'aggettivo -huru "libero", si forma uhuru "libertà".
Lo Swahili, comunque sia, è attualmente parlato e/o conosciuto da oltre settanta milioni di persone. E' stato definito “una delle 12 lingue più importanti del mondo”, e la sua importanza in Africa è indubbia; ma, a livello “crudo” di parlanti nativi (non semplici utenti) si trova solo al 58° posto nel mondo (per fare un paragone, l'italiano è al 23° posto). Inoltre, è abbastanza diffusa una forma di Swahili “elementare” usata spesso proprio coi turisti, consistente nell'apprendere qualche parola e qualche verbo ed usare il tutto in una forma completamente sgrammaticata (come in italiano “tu comprare stoffa” o “io no parlare Swahili”). Nonostante tutte le grammatiche Swahili si affrettino fin dalla prima riga a dire che “lo Swahili è facile”, non è per niente così. E', anzi, una lingua molto, molto complicata.
Natumaini kwamba umefurahia utangulizi huu mdogo, na kwamba utaanza kujifunza lugha hii nzuri hivi karibuni. Asante tena Paolo kwa nyimbo zako!
Riccardo Venturi - 23/3/2023 - 11:48
Grazie Riccardo il lavoro che fai per il sito è magnifico. Viaggio spesso in treno e così ho l occasione di ascoltare in cuffia le canzoni pubblicate e leggere le note che le accompagnano. Questa tua spiegazione della lingua me lo conferma. Ora mi rimane la curiosità di sapere cosa hai scritto nel messaggio finale. Ho amici africani qui in Italia ma sono Senegalesi o Maliani e quindi parlano wolof o bambara. Un abbraccio buon lavoro...babenenion.
Ciao Paolo! Ti ho scritto semplicemente: "Spero che questa piccola introduzione ti sia piaciuta e che inizierai presto a imparare questa bellissima lingua. Grazie ancora Paolo per le tue canzoni!". In realtà ti confesso che, per scriverla correttamente, ci ho messo quasi mezz'ora...nonostante pratichi un po' lo Swahili da trent'anni, lo scrivo tutt'altro che speditamente. E' una lingua veramente difficile...
Riccardo Venturi - 24/3/2023 - 09:14
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Tanti bambini delle baraccopoli ci hanno accompagnato per tutta la marcia per la Pace che, nei suoi quattordici kilometri, da Korogoco a Kibera ha portato solidarietà in tutti gli "slum" della città. Ovviamente abbiamo cantato insieme.
Ho cambiato le parole della canzone per dedicarla al diritto all’acqua." - Paolo Rizzi
Ieri vi ho mandato il brano su Kibera e mi sono ricordato che imparando le parole chiave dello Swahili : Maji Acqua , Amani pace, Uhuru Libertà le ho messe nella canzone di saluti tipica del Kenya.
Il brano lo suono con una Goni che è uno strumento usato in Burkina Faso, fratello della più famosa Korà suonata in Mali e in tutta l'Africa subsahariana.
Come vedete nel video è costituito da una zucca (calebasse) un bastone e 12 corde.
L'ho comprato da degli amici musicisti del gruppo Kolonkandia che avevo invitato a fare un concerto a Oleggio dove avevo una libreria e a Omegna in provincia di Novara.
Eccoli in video che eseguono una danza dedicata alla Orisha dell'acqua: Yemaja, facente parte del rito del Candomblé poi arrivato con gli schiavi in Brasile a Rio de Janeiro.
Nella mitologia yoruba, e nei culti correlati afroamericani come il Candomblé e il Vodun, Yemaja è la madre di tutti gli Orisha. A seconda della tradizione, viene indicata anche come Imanja, Jemanja, Yemalla, Yemana, Yemanja, Yemaya, Yemayah, Yemoja, Ymoja e in altre varianti. È la regina del mare; si invoca per protezione (in particolar modo delle donne incinte).