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Τα σύνορα της πατρίδας μου

Katerina Gogou / Κατερίνα Γώγου


Katerina Gogou / Κατερίνα Γώγου

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(Katerina Gogou / Κατερίνα Γώγου)


Ta sýnora tis patrídas mou
[1980]
Κατερίνα Γώγου, “Ιδιώνυμο”
Katerina Gogou, “Idionymo”
Αμηλοποίητα / Non musicata

synora


Con questa composizione, anch'essa rigorosamente αμηλοποίητα, termina la mia recente “scorribanda” nelle cose meno note di Katerina Gogou; meno note, e anche più difficili da rendere in una qualsiasi lingua, perché scritte letteralmente in gergo, una poesia maledetta da bassifondi che ricorda per certi versi le Ballades en jargon di François Villon. Termina anche un po' com'era cominciata: siamo nelle stesse strade, nello stesso quartiere, negli stessi ambienti di Η ζωή μας είναι σουγιαδιές. Siamo nella “patria” di Katerina Gogou, ed è una patria limitata e terribile della quale la poetessa enuncia con precisione i confini fatti di rosticcerie bisunte, di vecchi teatri che hanno preso fuoco, di taverne dove si gioca d'azzardo. In questa patria, i ragazzi più belli (e il greco, anche stavolta, autorizza un'altra interpretazione: i “figli migliori”) fanno sovente una brutta fine, in giovanissima età. Vita da strada, scalini consunti, taverne di quart'ordine, gioco d'azzardo e, alla fine, la prostituzione maschile, magari con ricchi borghesi (i “culi di serie A”) che si recano in quell'inferno per “provare l'emozione”. Alla fine, parecchi si ritrovano a prostituirsi sulle navi da crociera di un qualche armatore greco, battenti ovviamente bandiera panamense.

Poiché erano cose che Katerina Gogou aveva sotto gli occhi, non bisogna stupirsi della crudezza di una composizione del genere, crudezza che non ho certo voluto occultare in una traduzione, francamente, molto difficile. Il concetto di “patria” viene qui ricondotto a uno spazio angusto, tetro, tragico; e viene a mente, senz'altro, la Roma sottoproletaria di Pier Paolo Pasolini, anche se siamo in pieno centro di Atene. Perché siamo ancora dalle parti di Patissìon e di Exarchia, lo avrete certamente capito. In questa “patria” Katerina Gogou visse e morì. La sua "patria" non era la "Grecia", la Grecia è un concetto astratto e artificiale -così come l'Italia, o la Francia. La sua patria non era nemmeno "Atene". La sua patria erano quelle strade, quei vicoli, quei locali, quegli angiporti, quegli appartamenti da fame, quegli scalini. E tutta quella gente.

Altro non ho da dire. Di composizioni, αμηλοποίητα o meno, ce ne sono in realtà ancora diverse, e molte sono state a suo tempo tradotte da Gian Piero Testa per Στίχοι, il mare magnum della canzone e della poesia greca, un sito che, per estensione, fa impallidire anche le “CCG”. Altre non sono state mai tradotte da nessuno, ma avrebbero ben poco a che fare con questo sito e coi suoi pur vasti argomenti. A dire il vero, uno dei più bei testi di Katerina Gogou, Α ρε Σύντροφε, dedicato al Che Guevara da un'ottica assai particolare, è pure presente nel sito (e, addirittura, è una delle mie scarsissime presenze su Στίχοι). [*] Però, a suo tempo, lo avevo attribuito alla cantante, la grande Martha Frintzila, e resterà così. Ma si tratta comunque di un testo di Katerina Gogou che va a integrare tutti gli altri. Mi piace segnalarlo proprio in questi giorni di anniversario, sempre più lontano e perso nelle nebbie, dell'assassinio del Che Guevara in Bolivia, anche perché, lo ripeto, si tratta al tempo stesso di una delle cose meno agiografiche, meno ortodosse e più belle scritte sul Che.

Detto questo, vorrei ringraziare davvero di tutto cuore Marco Valdo M.I., che ha “adottato” Katerina Gogou rendendola in francese da par suo; e non è certamente una sinecura, nemmeno traducendo dall'italiano molto sorvegliato di Gian Piero Testa, o dal mio, molto più scalcagnato, sgarrupato e idiolettico. Lo stesso, naturalmente, vale per Riccardo Gullotta e per le sue stupefacenti traduzioni siciliane che fanno pensare a una "Catarina Gòggu", famosa anarchica palermitana che andava su e giù per la Kalsa. [RV]

[*] Per la cronaca, l'unica altra mia presenza su Στίχοι è Παυσίλυπον di Lavrendis Mahairitsas. Però mi consola il fatto che, a tutt'oggi, sono l'unico pazzo al mondo che ha provato a tradurre quel testo, bellissimo, amaro e strano, in una qualsiasi lingua (qui nel sito). Mi si perdoni questo accesso di ego smisurato, di autoreferenzialità e di insonnia, in certe serate serve pure quello.
Τα σύνορα της πατρίδας μου αρχίζουνε
απ'τα ψητοπωλεία του Μινιόν
περνάνε από τα καμένα ξύλα του Περοκέ και πέρα ...
Η ζωή από κει παίζει βρωμικο ξύλο με τη ζωή
στριμώχνει τα καλύτερα παιδιά της σε φαγωμένες σκάλες
τους στρώνει στο " Θανάση " σημαδεμένη τράπουλα από χέρι
τους περνάει μπρασελέ και ματωμένους σουγιάδες
και μπότες γυαλιστερές πορτοκαλιές με 10 πόντους τακούνι
Ζόρικο αντριλίκι τα γεννητικά τους όργανα
τα Άγια των Αγίων κι αλλιώτικο φιλότιμο
ώσπου μια μέρα - Παρασκευή μπορεί -
τους ρίχνει από κοντά επιδέξιους κώλους
καρφώνουνε τον αντρισμό τους
τους φέρνει καπάκι
κι ύστερα ευνουχισμένοι με τη γλώσσα κολλημένη στον ουρανίσκο
με το μαντήλι που σκουπίστηκαν
ένα με την καφέ του ρίγα περιθώριο γύρω γύρω
πνίγουν με ισόβια
φωταγωγημένα καράβια εφοπλιστικά κεφάλαια ξωτικές
θάλασσες Παναμαϊκές σημαίες χρεωμένες τραγουδίστριες
και τα δικά τους ταξίδια στη θάλασσα με καρπουζόφλουδες
το ξεχειλωμένο μαγιό απ το περίπτερο
και την τσατσάρα - πουτάνα ζωή - μαγκιά τους στο πλάι
- κανείς δεν ξέρει
- κανείς δεν είδε
19 20 21 χρονώ και τέλος .

inviata da Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 14/10/2022 - 21:09



Lingua: Italiano

Traduzione italiana / Μετέφρασε στα ιταλικά / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Venturi, 14-10-2022 21:10
I confini della mia patria

I confini della mia patria cominciano
dalle rosticcerie del Mignon, [1]
passano per i legni bruciati del Perroquet, e via oltre... [2]
La vita, da queste parti, fa a legnate di brutto con la vita,
i suoi ragazzi più belli li ammassa
col culo a terra su scalini sbrecciati,
li mette a un tavolo a giocare a “thanassis” [3]
con un mazzo di carte segnato in mano,
gli mette, ai polsi, manette insanguinate
e, in mano, coltelli a serramanico sporchi di sangue
e, ai piedi, stivaletti lucidi arancioni col tacco 10.
Ci hanno il cazzo sempre incannato,
il Sancta Sanctorum, un'insolita onestà,
finché un giorno -forse di venerdì-
non li fa imbattere di striscio in culi di serie A,
che sforacchiano la loro virilità,
li sbattono e li arrovesciano,
e alla fine, castrati e con la lingua incollata al palato,
col fazzoletto con cui si erano asciugati,
uno con una riga marrone e bordato giro giro,
vanno a affogarsi, come andassero all'ergastolo,
in navi sfavillanti, capitali armatoriali, mari esotici,
bandiere panamensi, cantanti indebitate,
e i loro viaggi per mare in mezzo a bucce di cocomero,
col loro costume da bagno lacero comprato all'edicola,
e il pettine a denti larghi -vita di merda-, con le budella rivoltate,
- nessuno sa niente
- nessuno ha visto niente
19, 20, 21 anni e stop.
[1] Il Mignon era, ma non so se esiste tuttora, una specie di grande magazzino – centro commerciale – mercato dove esistevano molte rosticcerie e chioschi di quel che ora va tanto di moda col nome di “street food”.

[2] Il Perroquet (Περοκέ nella grafia greca), situato in via Odysseos (via Ulisse) al n° 2 nel quartiere di Metaxurgio (“Seteria” in greco), è un teatro storico di Atene, anzi il più antico ancora in attività; i “legni bruciati” (o “travi bruciate”) si riferiscono al fatto che, nella sua storia, ha subito per due volte degli incendi. Non c'è da stupirsene: il Perroquet era celebre per mettere in scena rappresentazioni di valore sociale e politico. Fu inaugurato nell'agosto del 1931, e la sera della prima rappresentazione (l'operetta “Katergara” di Kimonas Kapetanakis), l'attore e cantante principale, il 27 enne Vassilis Avlonitis, si permise, in un'improvvisazione, di prendere in giro il governo di allora (all'epoca della “Seconda Repubblica Ellenica”). Avlonitis fu abbattuto in scena con tre revolverate.

[3] Il “thanassis” è un gioco di carte simile al poker.

14/10/2022 - 21:11




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