Nell’anno 1624 la peste arrivò alla Cala [1]
Porto che c’era, porto che c’è
E la città oggi come allora é infetta
Sento che è infetta
soprattutto dove non si vede
Lì, nelle sue zone d’ombra.
Palermo è appestata
Palermo è invasa
Assediata nel sonno
da topi refrattari al suo bel nome
discesi da villaggi soffocanti brutali nani
cresciuti nei retrobottega delle macellerie.
Al tribunale udienze sospese
Visi affranti contriti
Si commemora il giudice ucciso
Ai chioschi dei giornali gruppetti di gente
Leggono i titoli silenziosamente:
E’ l’invasione dei topi.
Le cose vanno dette nella trasparenza del cristallo
La nostra cara patria città di Palermo è infetta.
Guardo i suoi muri
Ignari custodi di sopraffazioni
La peste insidia il suo bel corpo di madre
E tu madre piantasti il basilico nelle graste [2]
Moristi nelle tue chiaie [3]
Pisciavano le grondaie davanti al tuo corpo azzolo [4],
Non c’è consolo.
L’estate che c’asciugarono i giudici
La città era regolarmente arsa
Il vento afoso batteva il cassaro morto [5]
I taurrieri [?] stavano al porto
E nei tombini delle vecchie case fetenti
Nell’abisso dei mandamenti [6]
Nelle more del risanamento
I topi ci addentarono nel sonno a tradimento
Questi stessi topi la sera delle stragi
Dentro le mura dell’Ucciardone [7] brindarono.
Quello che succede ha un nome e cognome
E impone una costernazione ragionata
Un preciso dolore
Perciò non diremo:
città ferita
nostro amore
arpione nelle nostre carni
Non chiameremo lenzuoli il tuo sudario
Né pianto né strepiti.
Quando l’aria si farà failla[8], meteora miserabile di timer
e il tritolo imita il tuono
e i corpi e le macchine si spezzano
e il fumo delle lamiere diventa rantolo
Allora tutto è più sgamato
perché il rumore buca la riservatezza
Corrono nomi sulla bocca di tutti
Nomi consueti e nefandi
Nomi di santi che sfidano dio fuori dal cielo
Punta Raisi Palermo
Siepi bruciate violenza della luce
C e c i t à
Qui il fratello si è venduto il fratello
E tu madre pietosa fai la chiaia verminosa
Perciò urge un dio che spieghi come la pece calda
Spegne la vernice delle macchine
Stendendo sull’erba e sulle casse
la resa la rassegnazione
Urge un dio che spieghi
perché morire nel proprio letto a Palermo è già qualcosa
Urge un dio che spieghi perché Palermo ha le sue banche piene
Ma per il resto siamo liberi di morire.
Ecco Gesùùùùù cu Maria questa panza portati via…
Sacrificarono la vita ad un paese
Accaparrato dagli amici dei loro nemici
Conclusero l’ordinanza del Maxi [9]
Nascosti in un’isola come latitanti
Furono soldati che andarono contro il nemico
Mentre dalle loro file gli sparavano alle spalle
Urlano i muri urlano i lenzuoli:
Da ultimo il Potere tentò di ingabbiare
Perché il Potere ha già i suoi giudici
Quelli che chiudono un occhio
Quelli che insabbiano
Quelli che annullano
Urlano i muri urlano i lenzuoli:
Meglio un giorno da Borsellino che cent’anni da Ciancimino
Meglio un giorno da Borsellino che cent’anni da Ciancimino
Meglio un giorno da Borsellino che cent’anni da Ciancimino
Urlano i muri urlano i lenzuoli:
Falcone vive Falcone in noi
Porto che c’era, porto che c’è
E la città oggi come allora é infetta
Sento che è infetta
soprattutto dove non si vede
Lì, nelle sue zone d’ombra.
Palermo è appestata
Palermo è invasa
Assediata nel sonno
da topi refrattari al suo bel nome
discesi da villaggi soffocanti brutali nani
cresciuti nei retrobottega delle macellerie.
Al tribunale udienze sospese
Visi affranti contriti
Si commemora il giudice ucciso
Ai chioschi dei giornali gruppetti di gente
Leggono i titoli silenziosamente:
E’ l’invasione dei topi.
Le cose vanno dette nella trasparenza del cristallo
La nostra cara patria città di Palermo è infetta.
Guardo i suoi muri
Ignari custodi di sopraffazioni
La peste insidia il suo bel corpo di madre
E tu madre piantasti il basilico nelle graste [2]
Moristi nelle tue chiaie [3]
Pisciavano le grondaie davanti al tuo corpo azzolo [4],
Non c’è consolo.
L’estate che c’asciugarono i giudici
La città era regolarmente arsa
Il vento afoso batteva il cassaro morto [5]
I taurrieri [?] stavano al porto
E nei tombini delle vecchie case fetenti
Nell’abisso dei mandamenti [6]
Nelle more del risanamento
I topi ci addentarono nel sonno a tradimento
Questi stessi topi la sera delle stragi
Dentro le mura dell’Ucciardone [7] brindarono.
Quello che succede ha un nome e cognome
E impone una costernazione ragionata
Un preciso dolore
Perciò non diremo:
città ferita
nostro amore
arpione nelle nostre carni
Non chiameremo lenzuoli il tuo sudario
Né pianto né strepiti.
Quando l’aria si farà failla[8], meteora miserabile di timer
e il tritolo imita il tuono
e i corpi e le macchine si spezzano
e il fumo delle lamiere diventa rantolo
Allora tutto è più sgamato
perché il rumore buca la riservatezza
Corrono nomi sulla bocca di tutti
Nomi consueti e nefandi
Nomi di santi che sfidano dio fuori dal cielo
Punta Raisi Palermo
Siepi bruciate violenza della luce
C e c i t à
Qui il fratello si è venduto il fratello
E tu madre pietosa fai la chiaia verminosa
Perciò urge un dio che spieghi come la pece calda
Spegne la vernice delle macchine
Stendendo sull’erba e sulle casse
la resa la rassegnazione
Urge un dio che spieghi
perché morire nel proprio letto a Palermo è già qualcosa
Urge un dio che spieghi perché Palermo ha le sue banche piene
Ma per il resto siamo liberi di morire.
Ecco Gesùùùùù cu Maria questa panza portati via…
Sacrificarono la vita ad un paese
Accaparrato dagli amici dei loro nemici
Conclusero l’ordinanza del Maxi [9]
Nascosti in un’isola come latitanti
Furono soldati che andarono contro il nemico
Mentre dalle loro file gli sparavano alle spalle
Urlano i muri urlano i lenzuoli:
Da ultimo il Potere tentò di ingabbiare
Perché il Potere ha già i suoi giudici
Quelli che chiudono un occhio
Quelli che insabbiano
Quelli che annullano
Urlano i muri urlano i lenzuoli:
Meglio un giorno da Borsellino che cent’anni da Ciancimino
Meglio un giorno da Borsellino che cent’anni da Ciancimino
Meglio un giorno da Borsellino che cent’anni da Ciancimino
Urlano i muri urlano i lenzuoli:
Falcone vive Falcone in noi
[1] Antico porto di Palermo, oggi porto turistico
[2] vaso tradizionale di coccio per piantine
[3] piaga, ferita
[4] turchino cupo
[5] Parte nuova del Cassaro (dall’arabo القصر [alqasr] / fortificazione), attuale corso Vittorio Emanuele.
[6] area controllata da una o più famiglie mafiose
[7] Carcere ottocentesco di Palermo
[8] altrove in Sicilia faiḍḍa , sta per favilla, scintilla
[9] Maxiprocesso alla mafia del 1986, giudici istruttori Falcone e Borsellino
[2] vaso tradizionale di coccio per piantine
[3] piaga, ferita
[4] turchino cupo
[5] Parte nuova del Cassaro (dall’arabo القصر [alqasr] / fortificazione), attuale corso Vittorio Emanuele.
[6] area controllata da una o più famiglie mafiose
[7] Carcere ottocentesco di Palermo
[8] altrove in Sicilia faiḍḍa , sta per favilla, scintilla
[9] Maxiprocesso alla mafia del 1986, giudici istruttori Falcone e Borsellino
inviata da Riccardo Gullotta - 20/7/2022 - 08:05
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Testo / Lyrics / Paroles / Sanat:
Salvo Licata
Interpreti / Performed by / Interprétée par / Laulavat:
Salvo Piparo
Salvo Licata compose l’opera il 4 Agosto 1992, sedici giorni dopo la strage di via D’Amelio . Il lamento in versi sciolti fu letto una sola volta a Gibellina il 16 Agosto 1992, giorno di S.Rocco. Qualche anno dopo fu adattato a versione teatrale. Viene riproposto quest’anno alle Orestiadi di Gibellina il prossimo 5 Agosto.
[Riccardo Gullotta]