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Lettera di un precario

Giuseppe Mereu [Doc Pippus]
Lingua: Italiano


Giuseppe Mereu [Doc Pippus]

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2019
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5
Testo di Salvo Lo Galbo
Musica di Giuseppe Mereu

Michele, 30 anni, di Udine. Precario. Il 31 Gennaio 2017 si impiccava, stanco di una vita senza felicità, senza realizzazioni, senza prospettive. Il ministero del lavoro era presieduto da Giuliano Poletti del Partito Democratico, faccia emblematica della riforma scolastica "Alternanza Scuola-Lavoro", le cui esternazioni nei confronti delle giovani generazioni (su tutte l'umiltà che esigeva da chi cerca lavoro) proletarie furono un affronto continuo, scavato nella pietra. Esplicitamente contro di lui, un passaggio della lettera di Michele.

«Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.

Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.

A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.

Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.

Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.

Ho resistito finché ho potuto».

Michele
Di vivere a esclusivo frutto
di margini di imprese ladre,
di un privato che ci ha privato
di tutto e di più,
ti prego, perdonami madre,
ti prego, perdonami padre,
io non riesco più.

In questa civiltà tarocca
in cui ci si scanna ed azzanna
per portarsi un tozzo alla bocca
tra noi operai,
io chiedo anche scusa alla donna
che a vivere in questa condanna
non ho amato mai.

E già che si dà all’immodestia
la colpa, la mia sarà immensa!
Ché se, ai livelli di bestia
a cui si svilì
l’umana, l’umana esistenza,
non ho più diritto a un’essenza,
all’assenza sì!

Da dietro un sipario di orrori,
di sempre peggiori massacri,
puoi forse venir solo fuori
se fuori ti fai.
Si sa che allo Stato son sacri
solamente i morti, lavacri
di coscienze ormai.

Da dietro le squallide quinte
di questi trionfi, di questa
Italia di canzoni finte,
di prime TV,
io chiedo perdono alla festa
se le macchio il palco e l’onesta
uniforme blu.

M’aiuta, mi è di conforto
l’idea che ci sono momenti
in cui può servire più un morto
che un vivo così.
E chiedo lo sprezzo ai parenti
di non rilasciare commenti
sui loro tiggì.

Campare in giustificazione
della propria vita è un assurdo,
ed è questa generazione,
ed è questa età
tradita che vendico d’urto,
che vendico d’un furto, il furto
della felicità.

Si può alzare gli occhi riarsi
dal silenzio d’un quinto piano
in cui uno riesce a guardarsi
al di sopra di sé,
e chiedersi se un gesto insano
possa dargli un senso più umano
di quell’uomo che
ormai più non è.

È questo il mio inchino, ministro,
al vostro partito di marci.
E scusami se sul registro
t'incrino così
la rioccupazione che spargi!
Tu sì che sai valorizzarci,
noi stronzi, tu sì!

inviata da Salvo Lo Galbo - 8/5/2022 - 00:41




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