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Lingua: Yiddish


Pesach Burstein [Peysekh Burshteyn] / פסח בורשטיׅין

Lista delle versioni e commenti


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(Lara Fabian)
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(Alberto Marchetti)


Adesa mame

[1933 circa]
ליריקס און מוזיק / Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel :
Pesach Burstein

“Teatro Colosseum<br />
Direzione: H. Sandler<br />
PEYSEKH(ke) BURSHTEYN<br />
Nadia Careni e Hannah Levin<br />
[…] in:<br />
GORTN FUN LIBE<br />
(“Giardino dell'Amore”) “
“Teatro Colosseum
Direzione: H. Sandler
PEYSEKH(ke) BURSHTEYN
Nadia Careni e Hannah Levin
[…] in:
GORTN FUN LIBE
(“Giardino dell'Amore”) “


פּערפאָרמער / Interpreti / Performed by / Interprétée par / Laulavat:
1. The Klezmer Conservatory Band
Album: The Thirteenth Anniversary Album ,1993

2. Pesach Burstein
Album: The Mazeltones Odessa, Washington



*Black-and-white lithograph of Jewish traders and merchants in Odessa by Denis Auguste Marie Raffet,. From “Voyage dans la Russie Méridionale & la Crimée par la Hongrie, la Valachie et la Moldavie”

E’ una canzone yiddish di Pesach Burstein. Parole e musica sono diverse da quelli dell’ omonima אדעסאַ מאַמאַ di Lebedeff. Entrambe condividono la nostalgia di Odessa, città di singolare convivenza metatemporale. Le Storie, così come i crimini contro l’umanità, raramente si ripresentano nelle stesse forme mentre i paradigmi di morte si ripetono, prima o poi bussano alla porta. Qui Burstein accenna alla Moldavanka , quartiere di Odessa abitato da innamorati, marioli e ladri patentati, il quartiere storico della “mala”. Deve il suo nome alla colonia di Moldavi che si insediarono nei pressi nel XVIII secolo. Fu popolata da Rumeni, Bulgari e da ebrei sino al 1917. Sono i luoghi celebrati da Isaac Babel in “I racconti di Odessa”. La canzone accenna anche alla via Bulgarskaja : salvo errori, sarebbe l’attuale Bolgarska ulica, che corre parallela alla costa est della città.
Segue un passo di un saggio di Joachim Schlör Odessity pubblicato nel Quest Journal, Issues in Contemporary Jewish History Issue 2, 2011

Joachim Schlör- Odessità : Alla ricerca dell’ Odessa transnazionale

La particolarità di Odessa, il porto ucraino del Mar Nero, rispetto ad altre città in Ucraina e Russia è attribuita a qualità definibili come "cosmopolite". Oggi sia i residenti che i non residenti insistono sul fatto che Odessa sia "internazionale", "multietnica", "ebraica", "tollerante" ma "non ucraina". Eppure, l'Odessa "cosmopolita" del XIX secolo documentata dagli storici è stata radicalmente trasformata dai cataclismi della storia del XX secolo. La città perse metà della sua popolazione a causa della rivoluzione e della guerra civile. La classe dirigente dell'Unione Sovietica ridusse drasticamente l'importanza economica e i legami di Odessa con il mondo. La seconda guerra mondiale annientò la popolazione ebraica rimasta nell'Odessa occupata mentre le successive politiche sovietiche deportarono tedeschi e tatari per la collaborazione con i nazisti. Nel frattempo la campagna postbellica di Stalin contro il cosmopolitismo prendeva di mira gli ebrei e negava esplicitamente i contatti e l'orientamento verso il mondo esterno, per cui il passato cosmopolita di Odessa era, almeno ufficialmente, denigrato e represso. Cominciarono i processi della "diversità" presto, e come in tante altre parti dell'Impero, gli ebrei furono quelli ad essere isolati, emarginati, almeno finché cercarono di mantenere la loro ebraicità o di imprimerle una nuova forma nel movimento sionista. Alla fine, questi processi distrussero il precario equilibrio tra le comunità che un tempo avevano costituito Odessa e che avevano caratterizzato l’ “Odessità”.
[…]
Odessa potrebbe essere stata - o forse anche è ancora - "ebrea" nella misura in cui la città ha riverberato le ambivalenze ebraiche sul desiderio e sull'appartenenza, la casa e l'esilio, Israele e la diaspora. Per molti decenni, l'idea di Odessa si era trasformata in un ricordo, un libro, una poesia, una canzone: oggi molte cose sono cambiate di nuovo. Odessa è una città ucraina, ma tra alcuni dei suoi abitanti si può trovare una nuova consapevolezza del passato della città. C'è un nuovo museo ebraico, al “Bavarski dom” si insegnano lingue straniere, c'è un club culturale greco e il turismo ha portato membri di molti e vari gruppi a visitare la città. Alcuni di coloro che sono emigrati in Israele o in Germania all'inizio degli anni '90 stanno tornando o almeno fanno i pendolari. Allora, dov'è Odessa? Per molti anni, club e squadre nazionali in tutto il mondo e nel mondo virtuale di Internet sono stati gli unici luoghi in cui l’"Odessità" poteva essere ricordata e celebrata. Oggi la diversità, il multiculturalismo e lo spirito intraprendente che resero Odessa oggetto di fama e di nostalgia si possono ritrovare nella città che ne porta il nome.


Joachim Schlör- Odessity: in Search of Transnational Odessa

The distinctiveness of Odessa – Ukraine’s Black Sea port - vis à vis other cities in Ukraine and Russia is attributed to qualities identifiable as ‘cosmopolitan’. Today residents and non-residents alike insist that Odessa is ‘international’, ‘multi-ethnic’, ‘Jewish’, ‘tolerant’ but ‘not Ukrainian’. Yet, the 19th century ‘cosmopolitan’ Odessa documented by historians was radically transformed by the cataclysms of 20th century history. The city lost half its population as a result of revolution and civil war. The establishment of the Soviet Union drastically curtailed Odessa’s economic importance and links with the world. World War II annihilated the Jewish population that remained in occupied Odessa while subsequent Soviet policies deported Germans and Tatars for collaboration with the Nazis. Meanwhile Stalin’s post-war campaign against cosmopolitanism targeted Jews and explicitly negated contact with, and orientation to, the outside world as a result of which Odessa’s cosmopolitan past was, at least officially, denigrated and repressed.
The processes of “othering” began soon, and as in so many other parts of the Empire Jews were the ones to be isolated, outcast, at least as long as they tried to maintain their Jewishness or to give it a new form in the Zionist movement. In the end, these processes destroyed the precarious balance between the communities that had once made up Odessa and characterized “Odessity”…
[…]
Odessa might have been – or maybe even still is – “Jewish” insofar as the city reflected Jewish ambivalences about longing and belonging, home and exile, Israel and the Diaspora. For many decades, the idea of Odessa had been turned into a memory, a book, a poem, a song: Today, many things have changed again. Odessa is a Ukrainian city, but a new consciousness of the city’s past can be found among some of its inhabitants. There is a new Jewish museum, international languages are being taught at the “Bavarski dom”, there is a Greek cultural club, and tourism has brought members of many and varied groups for visits to the city. Some of those who emigrated to Israel or Germany in the early 1990s are returning or at least commuting between places. So, where is Odessa? For many years, clubs and landsmannshaft all over the world and in the virtual world of the Internet were the only places were “Odessity” could be remembered and celebrated. Today, the diversity, multi-culturalism and enterprising spirit which made Odessa an object of fame and of nostalgia can once again be found in the city that bears its name.


Le interpretazioni

Di solito quando proponiamo più di una interpretazione, preferiamo esporre per prima l’originale o la più datata. In questo caso abbiamo derogato al criterio storico per un motivo semplice e banale: da anni nutriamo un debole per la Klezmer Conservatory Band, una band straordinaria con un repertorio vasto e interessante, frutto di quarant’anni di attività.
[Riccardo Gullotta]


Interpretata da Peysekh Burshteyn
Performed by Peysekh Burshteyn
[1] איך האָב געהערט פֿיל לידער זינגען גוטע,
מען זינגט זײ אַלע מיט גרױס אינטערעס.
פֿון סלוצק, פֿון בעלז, פֿון זלוטכיב און פֿון ליטע,
נאָר נישט געהערט האָב איך פֿון מײַן אַדעס.

װי קען מען גאָר פֿאַרגעסן אַזאַ שטאָט אַ שײנע,
װוּ אױפֿגעװאַקסן בין איך, װוּ ׳ס איז דאָרט מײַן הײם.
׳ס איז אין דער גאַנצער װעלט אדעסאַ דאָ נאָר אײנע,
דערמאָנען װעל איך אײַך אַצינד אין דעם.

אַך אדעסאַ, מײַן אַדעסאַ טײַער ביסטו מיר,
װוּ איך גײ און װוּ איך גײ טראַכט טראַכט איך נאָר פֿון דיר.
דײַנע גאַסן, דײַנע מאַסן װוּ איך בין פֿאַרבראַכט,
איך בענק נאָך דיר בײַ טאָג אױך בײַ בײַ נאַכט.

דערמאָנט זיך נאָר דעם טאַלטשאָק און די טראַקטירן,
און די טאַנצ־פּלאַצן מיט דעם מאַלאַדיאָזש,
װוּ ׳ס פֿלעגן פּאָרעלעך דאָרטן ליבעס פֿירן,
און די שפּאַנאַ מיט די װאָנצעלעך דײַאָט

קױם פֿלעגט אַ דאַמע טראָגן אַ פֿוטער פֿון קאַראַקול,
מיטן קאַראַקול אין טעאַטער אַרײַנגײן.
איז ביז זי פֿלעגט אַרױסקומען פֿון דעם טעאַטער,
איז אױף די פּלײצעס דער קאַראַקול נישט געװײן.

אַך אדעסאַ, מײַן אַדעסאַ טײַער ביסטו מיר,
װוּ איך גײ און װוּ איך גײ טראַכט טראַכט איך נאָר פֿון דיר.
דײַנע גאַסן, דײַנע מאַסן װוּ איך בין פֿאַרבראַכט,
איך בענק נאָך דיר בײַ טאָג אױך בײַ בײַ נאַכט.

מײַן מאַלדאַװאַנקע ווּו איך בין דערצױגן,
װי האָט איר נאָך אין דער װעלט אַזאַ דימאַנט,
אױ דער פֿאַסאַד ער שטײט נאָך פֿאַר די אױגן,
און דער הורבאָטער פֿרעמדער שװאַרצער ים.

אױף דער בולגַרסקע זײ איך זיך אַ בחור גײען,
ער פֿירט אַ מײדל געאָרעמט, סעמעטשקעס ער קנאַכט,
גיט איר אַ קוש פֿאַרטיפֿט, אַז קײנער זאָל נישט זײען,
און זינגט זיך צו אַ לידעלע צום טאַקט.

אױ יאַבלאָדקאַ, איך נעם מײַן שײנער ציפּע,
דזשעלאַ מײַנע מאַמושקע, שטעל מיט איר אַ חופּה,
זײַט שע מיר גײט, די מאַמע, שטעל מיט איר אַ חופּה

אַך אדעסאַ, מײַן אַדעסאַ טײַער ביסטו מיר,
װוּ איך גײ און װוּ איך גײ טראַכט טראַכט איך נאָר פֿון דיר.
דײַנע גאַסן, דײַנע מאַסן װוּ איך בין פֿאַרבראַכט,
איך בענק נאָך דיר בײַ טאָג אױך בײַ בײַ נאַכט.
[1] Ikh hob gehert fil lider zingen gute,
men zingt zey ale mit groys interes.
Fun Slutsk, fun Belz, fun Zlutkhiv un fun Lite,
nor nisht gehert hob ikh fun mayn Ades.

Vi ken men gor fargesn aza shtot a sheyne,
vu oyfgevaksn bin ikh, vu s´iz dort mayn heym.
S´iz in der gantser velt Adesa do nor eyne,
dermonen vel ikh aykh atsind in deym.

Akh Adesa, mayn Adesa tayer bistu mir,
vu ikh gey un vu ikh shtey trakht ikh nor fun dir.
Dayne gasn, dayne masn vu ikh bin farbrakht,
ikh benk nokh dir bay tog un oykh bay nakht.

Dermont zikh nor dem taltshok un di traktirn,
un di tants-platsn mit dem mаladiozh,
vu s´flegn porelekh dortn libes firn,
un di shpana mit di vontselekh dayot.

Koym flegt a dame trogn a futer fun karakul,
mitn karakul in teater arayngeyn.
iz biz zi flegt aroyskumen fun dem teater,
iz oyf di pleytses der karakul nisht geveyn.

Akh Adesa, mayn Adesa tayer bistu mir,
vu ikh gey un vu ikh shtey trakht ikh nor fun dir.
Dayne gasn, dayne masn vu ikh bin farbrakht,
ikh benk nokh dir bay tog un oykh bay nakht.

Mayn Maldavanke vu ikh bin dertsoygn,
vi hot ir nokh in der velt aza dimant,
oy der Fasad er shteyt nokh far di oygn,
un der hurbater fremder shvartser yam.

Oyf der Bulgarske zey ikh zikh a bokher geyen,
er firt a meydl georemt, semetshkes er knakht,
git ir a kush fartift, az keyner zol nisht zeyen,
un zingt zikh tsu a lidele tsum takt:

"Ekh, Yablodka, ikh nem mayn sheyner Tsipe,
Dzhela mayne mamushke, shtel mit ir a khipe,
zayt she mir geyt, di mame, shtel mit ir khipe."

Akh Adesa, mayn Adesa tayer bistu mir,
vu ikh gey un vu ikh shtey trakht ikh nor fun dir.
Dayne gasn, dayne masn vu ikh bin farbrakht,
ikh benk nokh dir bay tog un oykh bay nakht.

inviata da Riccardo Gullotta - 14/3/2022 - 08:32




Lingua: Italiano

Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Venturi, 14-3-2022 21:03

Due parole del traduttore. Dal titolo ho eliminato la specificazione “Burstein”: il titolo si differenzia già da solo dalle altre Odessa Mama perché contiene la vera parola yiddish per “madre, mamma” che è mame (assieme a tate “padre, babbo”, è a titolo di curiosità una delle due sole parole che ancora in yiddish si declinano). Ho riportato il nome di Pesach Burstein anche nella sua vera traslitterazione dallo yiddish, vale a dire Peysekh Burshteyn. In realtà, per tutta la sua carriera Burstein si fece chiamare, in yiddish, col diminutivo del nome: Peysekhke (“Pesach”, come si sa, è il nome della Pasqua ebraica): lo si vede anche nel manifesto riportato da Riccardo Gullotta sotto i dati autoriali. In pratica, si faceva chiamare "Pasqualino".
Mamma Odessa

Ho sentito cantare tante buone canzoni,
le si cantano tutte con grande interesse,
Su Sluck [1], su Belz [2], su Zlutkhiv [3] e sulla Lituania,
solo non ne ho mai sentite cantare sulla mia Odessa.

Come si può dimenticare una città tanto bella,
dove io son cresciuto, dov'è casa mia ?
In tutto il mondo, di Odessa ce n'è una sola,
e adesso ve la vorrei ricordare.

Ah, Odessa, Odessa mia, mi sei cara,
ovunque vada, ovunque stia, penso solo a te.
Le tue strade, le tue folle dove son vissuto,
ho nostalgia di te di giorno e anche di notte.

Ricordatevi del mercato delle pulci [4] e delle botteghe, [5]
e delle balere con la gioventù, [6]
dove le coppiette son solite andare a pomiciare,
e il teppistello [7] con i baffi finti.

Appena una signora si mette una pelliccia di agnellino, [8]
per andarci a teatro impellicciata,
quando poi esce da teatro
sulle spalle la pelliccia non ce la ha più. [9]

Ah, Odessa, Odessa mia, mi sei cara,
ovunque vada, ovunque stia, penso solo a te.
Le tue strade, le tue folle dove son vissuto,
ho nostalgia di te di giorno e anche di notte.

La mia Moldavanka [10], dove sono stato educato,
c'è forse al mondo un simile diamante?
Oh, la Fasada [11] ce l'ho ancora davanti agli occhi,
Ed il Mar Nero, ignoto, che sciaborda.

Sulla Bulgarska [12] mi rivedo ragazzo, [13]
a braccetto con una fanciulla, con in mano girasoli,
le do un bacio furtivo, ché nessuno deve vedere,
e le canto una canzonetta bene a tempo:

“Ehi Jablodka, sposo la mia bella Tsipi, [14]
Dzhela, mammina mia, me la prendo in moglie, [15]
Stai pronta, mamma, me la prendo in moglie.”

Ah, Odessa, Odessa mia, mi sei cara,
ovunque vada, ovunque stia, penso solo a te.
Le tue strade, le tue folle dove son vissuto,
ho nostalgia di te di giorno e anche di notte.
[1] [1] Sluck (russo e bielorusso Слуцк, polacco Słuck) è attualmente una città bielorussa di circa 60.000 abitanti. Il 27 ottobre del 1941 fu teatro di un massacro nazista.

[2] Belz (ucraino Белз, polacco Bełz) è una cittadina di circa 2500 abitanti nell'oblast di Leopoli, in Ucraina. Fino al 1951 appartenne alla Polonia, per passare poi all'URSS. Dal 1991 fa parte dell'Ucraina indipendente.

[3] Qui non sono riuscito a determinare con precisione (neppure all'ascolto) di quale località si tratti; la traduzione tedesca riporta un'altrettanto misteriosa “Tiatev”. Può darsi comunque che si tratti di un villaggio, in quanto il senso di tutto l'attacco della canzone è che l'autore ha sentito “buone canzoni” su cittadine e paesi abbastanza insignificanti, ma non su Odessa. L'aggiunta della Lituania, che ovviamente insignificante non è, sembra soltanto una sorta di riempitivo per dire: “ho sentito canzoni su questo e quel posto...”

[4] A Odessa, il Толчок (pron. [tałčók], da cui la resa in yiddish) era, un tempo, un grosso mercato delle pulci e dell'usato dove si vendeva roba di ogni genere (la parola è russa, e significa, brutalmente, “tazza del cesso, WC”; è passata anche in altre lingue con il significato di “mercato delle pulci”, come ad es. il rumeno talcioc). Per questo motivo, traduco così data l'epoca di ambientazione della canzone. Dopo la Rivoluzione, il Talčók di Odessa divenne in pratica il più grosso mercato di manufatti abusivi e di contrabbando dell'intera Unione Sovietica, più volte chiuso dalle autorità ma sempre poi riaperto, e addirittura potenziato, con la connivenza “sotterranea” di queste ultime. Vi si potevano trovare, ad esempio, merci richiestissime e introvabili altrove come blue jeans, giacconi in pelle, piccoli elettrodomestici occidentali, ecc. Negli anni '90 del XX secolo, come si vede dalla foto, era un enorme ammasso di baracche e containers suddiviso in vere e proprie vie denominate con nomi di colori (la dicitura Бежевая улица in primo piano significa “Via Beige”).

talchokodessa


[5] Si veda la nota 4 a אדעסאַ מאַמאַ. Qui, però, ho preferito tradurre genericamente "botteghe".

[6] Per indicare la “gioventù”, i “giovani del posto”, qui l'autore si serve della parola russa, молодëж (pron, appr. [maladióž]). L'uso del termine yiddish, yugnt, avrebbe forse significato esclusivamente la gioventù ebraica.

[7] Termine gergale russo, шпана, dal significato di “teppista, teppistello, bulletto”. Si noti che, ancora, le figure e i luoghi caratteristici di Odessa sono tutti denominati in lingua russa.

[8] Propriamente la pelliccia di “agnellino persiano”. La karakul è una pecora originaria del Turkestan, allevata sia per le pellice di lana che per la carne.

[9] Ovvero, gliela hanno rubata.

[10] Per la Moldavanka, lo storico “macroquartiere” di Odessa (un tempo località autonoma, poi inglobata nella città), si veda l'introduzione di Riccardo Gullotta e anche il cospicuo articolo di en.wikipedia. Una cosa piuttosto importante da aggiungere, è che nella Moldavanka si trovava anche il quartiere ebraico ortodosso. Nella canzone, viene trasposto in yiddish il nome del quartiere secondo la pronuncia russa (Maldavanke).

[11] Si tratta dell' "Affacciata" di Odessa sul Mar Nero.

[12] Si veda anche qui l'introduzione. La strada pure si trova nella Moldavanka.

[13] Avvertenza: pur traducendo qui con la prima persona, più consonamente all'andamento dell'italiano (e di altre lingue), tutta la strofa originale è condotta in terza persona: “mi rivedo, ragazzo... lui andava a braccetto...le dà un bacio”, ecc.

[14] Tsipi è il diminutivo (anche in ebraico) del nome femminile Tsip(p)orah (= “uccello”). E' nome biblico: nella Bibbia, Tsipporah è la moglie di Mosè, madre di Gershom e Eliezer.

[15] L'espressione yiddish, “fare un baldacchino nuziale”, significa semplicemente “sposare”.







14/3/2022 - 21:04




Lingua: Tedesco

Deutsche Übersetzung / דייַטש איבערזעצונג /Traduzione tedesca / German translation / Traduction allemande / Saksankielinen käännös :
letras
Ich habe gehört, viele gute Lieder werden gesungen,
man singt sie alle mit großem Interesse.
Über Slutsk, über Belz, über Tiatev und Lituania.
Nur nichts habe ich über mein Odessa gehört.

Wie kann man eine so schöne Stadt vergessen,
wo ich aufgewachsen bin, wo meine Heimat ist.
Es gibt in der ganzen Welt nur ein Odessa,
ich möchte euch jetzt daran erinnern.

Ach Odessa, mein Odessa, lieb bist du mir,
wo ich gehe, wo ich stehe denke ich nur an dich.
Deine Straßen, deine Menschenmengen, wo ich lebte,
ich sehne mich nach dir bei Tag und bei Nacht.

Ich erinnere mich an den Marktplatz und die Läden,
und die Tanzplätze mit den jungen Leuten.
Wo junge Pärchen dort sich lieben,
und die Taschendiebe mit den lustigen Schnurrbärten.

Kaum trägt eine Dame einen Lammfellmantel,
geht mit dem Mantel ins Theater hinein,
Bis sie aus dem Theater herauskommt,
ist der Mantel nicht mehr auf ihren Schultern gewesen.

Ach Odessa, mein Odessa, lieb bist du mir,
wo ich gehe, wo ich stehe denke ich nur an dich.
Deine Straßen, deine Menschenmengen, wo ich lebte,
ich sehne mich nach dir bei Tag und bei Nacht.

Mein Moldavanka wo ich aufgezogen wurde,
wo gibt es in der Welt noch so einen Diamant,
oh die Fassade, sie steht noch vor den Augen,
und die Wellen des fremden schwarzen Meeres.

Auf der Bulgarsker Straße sehe ich mich als Junge gehen,
er führt ein Mädchen Arm in Arm, Sonnenblumen schwingt er.
Gibt ihr einen Kuss, versteckt, weil es keine sehen soll,
und singt sich ein Lied im Takt.

Oh Jablodka, ich nehme meine schöne Zipe,
Dschela meine Mutter, stell mir einen Traubaldachin,
sei bereit, Mutter, stell mir einen Traubaldachin.

Ach Odessa, mein Odessa, lieb bist du mir,
wo ich gehe, wo ich stehe denke ich nur an dich.
Deine Straßen, deine Menschenmengen, wo ich lebte,
ich sehne mich nach dir bei Tag und bei Nacht.

inviata da Riccardo Gullotta - 14/3/2022 - 08:42




Lingua: Francese

Version française – MAMA ODESSA (en 1933) – Marco Valdo M.I. – 2022 d’après la version italienne de Riccardo Venturi
d’une chanson ukrainienne (en yiddish) – Adessa Mame (1933 ça.) – Pesach Burstein – 1993

Interprétée par The Klezmer Conservatory Band
Album : The Thirteenth Anniversary Album, 1993
et par :
Pesach Burstein
Album : The Mazeltones Odessa, Washington

C’est une chanson yiddish de Pesach Burstein. Les paroles et la musique sont différentes de celles de la chanson éponyme אדעסאַ מאַמאַ de Lebedeff. Toutes deux partagent la nostalgie d’Odessa, ville à la singulière coexistence métatemporelle. Les histoires, comme les crimes contre l’humanité, se reproduisent rarement sous les mêmes formes alors que les paradigmes de la mort se répètent, frappant tôt ou tard à la porte.

Burstein y mentionne la Moldavanka, un quartier d’Odessa habité par des amoureux, des marioles et des voleurs patentés, le quartier historique de la “mala”. Elle doit son nom à la colonie de Moldaves qui s’est installée à proximité au XVIIIe siècle. Elle était peuplée de Roumains, de Bulgares et de Juifs jusqu’en 1917. Ce sont les lieux célébrés par Isaac Babel dans les « Contes d’Odessa ». La chanson mentionne également la rue Bulgarskaja : sauf erreur, il s’agirait de l’actuelle Bolgarska ulica, qui est parallèle à la côte est de la ville.
Ce qui suit est un passage d’un essai de Joachim Schlör : Odessity publié dans le Quest Journal, Issues in Contemporary Jewish History Issue 2, 2011.

À LA RECHERCHE DE L’ODESSA TRANSNATIONALE

DANSE  Porcelaine – Musée juif – Odessa – Ukraine
DANSE Porcelaine – Musée juif – Odessa – Ukraine


La particularité d’Odessa, le port ukrainien de la mer Noire, par rapport aux autres villes d’Ukraine et de Russie, est attribué à des qualités définissables comme « cosmopolites ». Aujourd’hui, tant les résidents que les non-résidents insistent sur le fait qu’Odessa est « internationale, multiethnique, juive, tolérante, mais pas ukrainienne ». Pourtant, l’Odessa cosmopolite du XIXᵉ siècle documentée par les historiens a été radicalement transformée par les cataclysmes de l’histoire du XXᵉ siècle. La ville a perdu la moitié de sa population à cause de la révolution et de la guerre civile. La classe dirigeante de l’Union soviétique a considérablement réduit l’importance économique d’Odessa et ses liens avec le monde. La Seconde Guerre mondiale a anéanti la population juive restante dans Odessa occupée, tandis que les politiques soviétiques ultérieures ont déporté les Allemands et les Tatars pour collaboration avec les nazis. Pendant ce temps, la campagne d’après-guerre de Staline contre le cosmopolitisme visait les Juifs et refusait explicitement tout contact et toute orientation vers le monde extérieur, de sorte que le passé cosmopolite d’Odessa était, du moins officiellement, dénigré et réprimé. Les procès de la « diversité » ont rapidement commencé, et comme dans tant d’autres parties de l’Empire, les Juifs ont été isolés, marginalisés, du moins tant qu’ils ont essayé de maintenir leur judéité ou de lui donner une nouvelle forme dans le mouvement sioniste. Ces processus ont fini par détruire l’équilibre précaire entre les communautés qui composaient autrefois Odessa et caractérisaient l’« Odessité ».
[…]
Odessa a pu être – ou est peut-être encore – “juive” dans la mesure où la ville a reflété les ambivalences juives sur le désir et l’appartenance, la maison et l’exil, Israël et la diaspora. Pendant plusieurs décennies, l’idée d’Odessa s’était transformée en un souvenir, un livre, un poème, une chanson ; aujourd’hui, beaucoup de choses ont à nouveau changé. Odessa est une ville ukrainienne, mais on peut trouver chez certains de ses habitants une nouvelle conscience du passé de la ville. Il existe un nouveau musée juif, des langues étrangères sont enseignées au « Bavarski dom », il y a un club culturel grec et le tourisme a amené des membres de groupes nombreux et variés à visiter la ville. Certains de ceux qui ont émigré en Israël ou en Allemagne au début des années 1990 reviennent ou, du moins, font la navette. Alors, où est Odessa ? Pendant de nombreuses années, les clubs et les équipes nationales du monde entier et le monde virtuel de l’internet ont été les seuls endroits où “Odessa” pouvait être commémoré et célébré. Aujourd’hui, la diversité, le multiculturalisme et l’esprit d’entreprise qui ont fait d’Odessa un objet de renommée et de nostalgie se retrouvent dans la ville qui porte son nom.

Les interprétations

En général, lorsque nous proposons plus d’une interprétation, nous préférons présenter d’abord l’originale ou la plus ancienne. Dans ce cas, nous nous sommes écartés du critère historique pour une raison simple et banale : depuis des années, nous avons un faible pour le Klezmer Conservatory Band, un groupe extraordinaire au répertoire vaste et intéressant, fruit de quarante ans d’activité.

[Riccardo Gullotta].
MAMA ODESSA (en 1933)

J’ai entendu beaucoup de bonnes chansons,
Toutes chantées avec beaucoup de passion.
Sur Slutsk, sur Belz, sur Tiatev et la Lituania.
Je n’ai rien entendu sur mon Odessa.

Peut-on oublier une ville si belle que ça,
Où vit ma patrie, où j’ai grandi.
Dans le monde entier, il y a une seule Odessa,
Je veux vous le rappeler ici.

Oh Odessa, mon Odessa, mon aimée,
Où je vais, où je suis, je ne pense qu’à toi.
Tes rues, tes foules, où ma vie est passée,
De jour, de nuit, j’ai nostalgie de toi.

Je me souviens du marché et des boutiques,
Et des bals mirifiques
Où les jeunes couples s’attachent,
Et vont les voyous aux fausses moustaches.

Et la dame au manteau en peau d’agneau,
Entrée au théâtre avec sa fourrure,
Ressortie, sans son beau manteau,
Ses épaules ont perdu leur parure.

Oh Odessa, mon Odessa, mon aimée,
Où je vais, où je suis, je ne pense qu’à toi.
Tes rues, tes foules, où ma vie est passée,
De jour, de nuit, j’ai la nostalgie de toi.

Ma Moldavanka où j’ai grandi,
Est-il au monde pareil diamant encore ?
Oh la Façade, devant mon œil encore épris,
Et les vagues de l’étrange Mer noire.

Rue de Bulgarsk, je me revois garçon,
Une fille au bras, à la main, les tournesols ;
Personne ne doit voir le baiser que je vole.
Je lui balançais ma chanson.

« Oh Jablodka, la belle Zipe est pour ma main,
Djela, ma mère, installe-moi un baldaquin,
Sois prête, Mère, installe-moi un baldaquin. »

Oh Odessa, mon Odessa, mon aimée,
Où je vais, où je suis, je ne pense qu’à toi.
Tes rues, tes foules, où ma vie est passée,
De jour, de nuit, j’ai la nostalgie de toi.

inviata da Marco Valdo M.I. - 15/3/2022 - 18:51


Rivolgo un cortese invito a Riccardo Venturi per la traduzione di questa e di una prossima canzone yiddish di cui sono disponibili le sole trascrizioni (presumo discoste da Yivo).
Per ora un saluto

Riccardo Gullotta - 14/3/2022 - 08:47


Ho cominciato a fare tutto il necessario per questa pagina, un po' come un "cantiere in lento movimento". La trascrizione è fortunatamente ben utilizzabile anche se dev'essere stata fatta da un tedesco: nessun tedesco, neppure il più "yivizzato", rinuncerebbe mai al suo "tz", e del resto tutti dicono "kleTZmer" come fosse Fritz e Klotz. Saluti per ora.

Riccardo Venturi - 14/3/2022 - 11:40




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