Quan pes qui sui, fui so que·m franh:
mas trop m’an dich fals fach flac frach,
per qu’ieu volgra cor franc e ferm
fi e fizel, fermat e fort,
quar manhs mi dizon qu’aissi·m pert,
quar m’abric say, on sols non fer.
En folh atur m’atur e·m fer
qar miels mon cor bru blau ieu franh;
e sieu amor per amar pert,
car compri·l cor menut e frach,
may er amar mi son e fort
li fals fag flac per que m’enferm.
En Selh qui·m fes me·n fi que·m ferm
mon desfermat cor fals e fer
quar tant m’aprim que·l crim que·m franh,
aprim e lim, per qu’elh s’espert,
qu’ab dur atur l’auray tost frach
s’asag maltrag ni s’ai cor fort.
S’ieu leu no·m leu del fays trop fort
tem so, que·l cors e·l cor mi franh.
E qui apert e fols si pert
non s’es mes en luec fort ni ferm,
per qu’ieu m’afferm, quon ferm fort fer,
qu’en luec son mes e ferm e frag.
Er lays lo lays fel fol e frag
per selh que silh canton plus fort
e cre que be ses dupte·m franh
quar trop atrop selh qui·s franh, fer
bis bric bas blos fals e non ferm
e selh qui plus l’ama, s’espert.
Ben sai ques ay que sai si pert
tam be, que uns no ve que frach
per que·m deslonh de so qu’es fer
e·m met en so que sai plus ferm
e qui layssa feni per fort,
pren ferm per so, qu’el ponh se franh.
Quec prec que lays feni per ferm
ans que layssat l’aya plus fort:
so que·sse pert, ad autruy franh.
mas trop m’an dich fals fach flac frach,
per qu’ieu volgra cor franc e ferm
fi e fizel, fermat e fort,
quar manhs mi dizon qu’aissi·m pert,
quar m’abric say, on sols non fer.
En folh atur m’atur e·m fer
qar miels mon cor bru blau ieu franh;
e sieu amor per amar pert,
car compri·l cor menut e frach,
may er amar mi son e fort
li fals fag flac per que m’enferm.
En Selh qui·m fes me·n fi que·m ferm
mon desfermat cor fals e fer
quar tant m’aprim que·l crim que·m franh,
aprim e lim, per qu’elh s’espert,
qu’ab dur atur l’auray tost frach
s’asag maltrag ni s’ai cor fort.
S’ieu leu no·m leu del fays trop fort
tem so, que·l cors e·l cor mi franh.
E qui apert e fols si pert
non s’es mes en luec fort ni ferm,
per qu’ieu m’afferm, quon ferm fort fer,
qu’en luec son mes e ferm e frag.
Er lays lo lays fel fol e frag
per selh que silh canton plus fort
e cre que be ses dupte·m franh
quar trop atrop selh qui·s franh, fer
bis bric bas blos fals e non ferm
e selh qui plus l’ama, s’espert.
Ben sai ques ay que sai si pert
tam be, que uns no ve que frach
per que·m deslonh de so qu’es fer
e·m met en so que sai plus ferm
e qui layssa feni per fort,
pren ferm per so, qu’el ponh se franh.
Quec prec que lays feni per ferm
ans que layssat l’aya plus fort:
so que·sse pert, ad autruy franh.
inviata da Riccardo Gullotta - 3/8/2021 - 14:21
Lingua: Italiano
Traduzione italiana / Traduccion italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Dario Mantovani
Dario Mantovani
QUANDO PENSO A CHI SONO, SONO L’INSIEME DEI MIEI PEZZI INFRANTI
Quando penso a chi sono, sono l’insieme dei miei pezzi infranti
poiché troppe m’han detto di mendaci molli menzogne,
ond’io vorrei un cuore nobile e fermo,
puro e fedele, sicuro e forte,
poiché molti mi dicono che così mi perdo,
poiché trovo riparo dove non batte il sole.
In una folle ostinazione mi ostino e mi getto
poiché meglio mando in pezzi il mio cuore di tenebra
e se io perdo l’amore per l’amaro,
poiché ho schiacciato il cuore meschino e in pezzi,
talora più amare mi sono e dure
le malvagie menzogne per le quali m’infermo.
In Colui che mi creò rivolgo la fede, che renda saldo
il mio cuore scosso, finto e fiero,
poiché tanto mi sforzo per logorare e consumare
l’accusa che mi distrugge, che quello si sconvolge:
poiché col duro sforzo l’avrò presto mandato in pezzi,
se io provo sofferenza e non ho forza nel cuore.
Se veloce non mi libero del fardello troppo grave
temo che esso mi distrugga il corpo e il cuore.
E se colui che come un pazzo si perde
non si è posto in un luogo ben difeso,
io perciò tento di rinsaldarmi, per quanto un uomo vigoroso può
[colpire forte,
poiché mi trovo in un luogo tanto sicuro quanto esposto.
Ora abbandono il canto triste, folle e franto,
per quello che quelli cantano più forte,
e credo bene che senza dubbio io vado in pezzi
poiché troppo compongo quello che va in pezzi,
feroce e bigio, sciocco e grave, vuoto, falso e instabile,
e chi più l’ama si dispera.
So bene che cos’ho da perdere qui,
tanto bene che non si vedono che rovine,
perciò mi allontano da ciò che è crudele
e mi rifugio in ciò che so più sicuro,
e colui che lascia il debole per il forte
da ciò trae forza, ché il colpo è meno duro.
Prego ciascuno che lasci il debole per il certo,
prima che l’abbia lasciato più forte:
ciò che si perde, rovina sugli altri.
Quando penso a chi sono, sono l’insieme dei miei pezzi infranti
poiché troppe m’han detto di mendaci molli menzogne,
ond’io vorrei un cuore nobile e fermo,
puro e fedele, sicuro e forte,
poiché molti mi dicono che così mi perdo,
poiché trovo riparo dove non batte il sole.
In una folle ostinazione mi ostino e mi getto
poiché meglio mando in pezzi il mio cuore di tenebra
e se io perdo l’amore per l’amaro,
poiché ho schiacciato il cuore meschino e in pezzi,
talora più amare mi sono e dure
le malvagie menzogne per le quali m’infermo.
In Colui che mi creò rivolgo la fede, che renda saldo
il mio cuore scosso, finto e fiero,
poiché tanto mi sforzo per logorare e consumare
l’accusa che mi distrugge, che quello si sconvolge:
poiché col duro sforzo l’avrò presto mandato in pezzi,
se io provo sofferenza e non ho forza nel cuore.
Se veloce non mi libero del fardello troppo grave
temo che esso mi distrugga il corpo e il cuore.
E se colui che come un pazzo si perde
non si è posto in un luogo ben difeso,
io perciò tento di rinsaldarmi, per quanto un uomo vigoroso può
[colpire forte,
poiché mi trovo in un luogo tanto sicuro quanto esposto.
Ora abbandono il canto triste, folle e franto,
per quello che quelli cantano più forte,
e credo bene che senza dubbio io vado in pezzi
poiché troppo compongo quello che va in pezzi,
feroce e bigio, sciocco e grave, vuoto, falso e instabile,
e chi più l’ama si dispera.
So bene che cos’ho da perdere qui,
tanto bene che non si vedono che rovine,
perciò mi allontano da ciò che è crudele
e mi rifugio in ciò che so più sicuro,
e colui che lascia il debole per il forte
da ciò trae forza, ché il colpo è meno duro.
Prego ciascuno che lasci il debole per il certo,
prima che l’abbia lasciato più forte:
ciò che si perde, rovina sugli altri.
inviata da Riccardo Gullotta - 3/8/2021 - 14:22
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Paraulas e musica / Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel:
Pons Fabre D’Uzès
Album: Troubadours Art Ensemble, Gérard Zuchetto – Trob'art Concept 1, Art Des Troubadours [2000]
Trobador e Trobairitz furono chiamati i compositori e le compositrici di liriche in lingua d’oc a partire dall’XI secolo. Furono loro a lanciare il volgare abbandonando il latino.
Questa composizione in sestine liriche è attribuita al trobador Pons Fabre D’Uzès. Nell’immaginario collettivo la produzione letteraria dei trovatori è associata all’amore fatto di sospiri e desideri struggenti, di adulterio mentale in quanto rivolto a una domna/midons rigorosamente sposata, un presupposto intrinseco affinché la consumazione del desiderio fosse cortocircuitato.
E’ l’amor cortese , locuzione postuma per indicare la fin’amor , un amore camuffato dietro al senhal ( lo “schermo” dantesco) platonico per metà, rarefatto talvolta al punto da indurre a ritenere che l’oggetto del desiderio del trobador fosse un parto continuato dell’immaginazione.
Oggi chiameremmo in soccorso qualche psicanalista lacaniano per analizzare quelli che appaiono i sintomi tipici di disturbi schizoaffettivi. In realtà il fenomeno, ancora prima che con la psicoanalisi, andrebbe analizzato con altre categorie storiche centrate sui rapporti di rapporti di produzione e sulle trasformazioni sociali dell’Europa feudale nel XII secolo. In ogni caso questo ampio fenomeno socio-letterario si fece espressione di una via di fuga, un modo per estinguere o deviare le pulsioni guerresche e le violenze predatorie di cavalieri e assimilati.
Questa composizione, come tante di Arnaut Daniel (Arnaldo Daniello, che Dante fa parlare in provenzale nel XXVI del Purgatorio) mostra in realtà non solo la consistenza concreta, la corporeità del tema rappresentato ma altresì l’intensa carica erotica delle liriche, non sempre convogliata nella sublimazione. Insomma ai lambiccamenti delle sestine, costruite con acribia intorno a schemi rigidi, facevano da contrappunto in sottofondo le mai sopite pulsioni dell’eros, del fals’amor.
[Riccardo Gullotta]