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A Cold Coming

Tony Harrison
Lingua: Inglese


Tony Harrison

Lista delle versioni e commenti


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[1991]
A Poem by / Poesia / Poème / Runo:
Tony Harrison



*La didascalia della foto riportava testualmente: The real face of war. Price of victory : The charred head of an Iraqi soldier leans through the windscreen of his burnt - out vehicle , attacked during the retreat from Kuwait


Premessa

Il pentagramma di questa canzone è diverso dai tanti soliti in cui le note si snodano tra una linea e l’altra. Le note di questo sono sulla stessa linea, c’è una sola frequenza. E’ la durata delle note ad animare il pentagramma. Il compositore Tony Harrison ha scelto di farlo scorrere attraverso dei dimetri giambici, come a ricongiungere il presente con il passato remoto, la storia e il suo paradigma. Ci viene in mente l’immagine nota ai frequentatori di CCG, La guerra dei centomila anni.
Accanto alla dimensione diacronica c’é l’altra, sincronica, talmente forte e densa da sollecitare, diremmo costringere, Harrison a creare un universo poetico a sé, tanto l’immagine si è venuta a caricare di contenuti. Ci riferiamo ad una foto iconica indissolubilmente legata alla composizione di Harrison. Due lame di una forbice, chi scrive non saprebbe staccare l’una dall’altra.


Cenni di Storia della Prima Guerra del Golfo

1990 : l’Iraq è in ginocchio, schiacciato dai debiti contratti per la guerra con l’Iran protrattasi per 8 anni, dall’80 all’88. L’Arabia Saudita, più degli altri paesi arabi, aveva finanziato l’Iraq con un miliardo di dollari al mese. Con tali somme ingenti l’Iraq aveva acquistato carri armati T72 e Mig 29 dall’Unione Sovietica, caccia Mirage F1 , missili ed elicotteri Alouette e Super Frelon dalla Francia, 9 milioni di mine VS-50 e Valmara 69 dalla Valsella Meccanotecnica in Italia, impianti di produzione di armi chimiche e biologiche dalla Germania Ovest e parte negli Stati Uniti.

In breve l’Iraq è chiamato a ripianare il debito di 74 miliardi di dollari con i paesi del Golfo, in primis l’Arabia Saudita e Kuwait. Saddam Hussein chiede la cancellazione del debito dato che l’Iraq ha intrapreso la guerra con l’Iran anche per salvaguardare gli interessi dei paesi del Golfo. Picche. Inoltre questi paesi avevano intrapreso una politica di sovrapproduzione del greggio violando gli accordi precedenti, con il risultato di tenere basso il prezzo a 8 dollari /barile, un cappio al collo per il bilancio iracheno strettamente dipendente dalle entrate petrolifere. Saddam Hussein deve decidere tra le uniche due vie d’uscita possibili: dichiarare il default o la guerra. Sceglie di invadere il Kuwait, indotto a ritenere che gli Usa protesteranno, ma lasceranno fare.

1991: inizia il 16 Gennaio la 1^ Guerra del Golfo, intrapresa da una coalizione di 34 nazioni a guida statunitense contro l’Iraq. Fa seguito alla invasione irachena del Kuwait lanciata ad Agosto 1990, alla Risoluzione 660 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e al rifiuto dell’ultimatum della Risoluzione 678. E’ l’operazione Desert Storm. Si afferma il giornalismo embedded : inviati di guerra che inoltrano i rapporti al seguito di una unità militare. Alla sicurezza offerta al cronista non può fare da pendant l’obiettività dell’informazione e la neutralità. In altri termini, l’informazione viene militarizzata. Chi cerca di sottrarsi alle istruzioni o è un ficcanaso a 360° o se insiste su aspetti da nascondere o “pettinare” è escluso dal pool degli embedded.

A chi volesse saperne di più suggeriamo di attingere prima alla fonte. Il documento Public Affairs Guidance (PAG) on embedding media during possible future operations/deployments in the U.S. Central Commands (CENTCOM) area of responsibility (AOR) dà una buona idea anche se é posteriore, del 2003. Fu pubblicato dal Dipartimento della Difesa statunitense ed é’ articolato in finalità e procedure.
Chi preferisse commenti sporadici in italiano può leggere l’intervista all’embedded Monica Maggioni, ovviamente senza fare troppo conto su una visione imparziale. Un’analisi di grande spessore ci è offerta nella tesi Media Strategies and Coverage of International Conflicts del ricercatore Ehab Bessaiso nella prestigiosa Cardiff School of Journalism, al para.5.5.2 The embedding strategy. Anche l’ ottimo articolo Embedded journalism: A distorted view of war del columnist Patrick Cockburn sull’Independent espone efficacemente la questione.

Per un mese e mezzo agli eventi bellici si sovrapposero le trasmissioni in diretta televisiva su scala mondiale. Come in una fiction non stop, nel villaggio globale si proiettarono gli effetti dei bombardamenti di edifici, infrastrutture, strade, ponti.
Diamo alcune cifre del conflitto.In quel mese e mezzo 2.800 bombardieri effettuarono 110mila missioni sganciarono 250mila bombe, molte a grappolo con relativa frammentazione in centinaia di bomblets, micidiali minibombe, mentre 750mila uomini avanzarono senza troppe resistenze da sud . Il bilancio alla fine del conflitto fu di circa 700 morti e 700 feriti tra i militari della coalizione, mentre tra i militari iracheni le più recenti stime indicano 50mila morti e 100mila feriti, a cui occorre aggiungere 3.600 civili iracheni e 1.000 kuwaitiani.


Storia dell’autostrada della morte / طريق الموت [tariq al mawt]

26 Febbraio: Saddam Hussein annuncia alle 2:00 irachene di avere dato ordine alle truppe irachene di ritirarsi dal Kuwait lo stesso giorno.
27 Febbraio: Bush annuncia alle 21:00 EST [ Eastern Standard Time, l’ora di Washington]( 5:00 ora irachena) che la coalizione cesserà le ostilità a mezzanotte EST del 28 Febbraio, cioè alle 8:00 ora irachena.“Kuwait is liberated. Iraq’s army is defeated. Our military objectives are met.”

Tra il 26 e il 27 Febbraio una colonna di soldati iracheni abbandona il Kuwait percorrendo la superstrada che va da Kuwait City a Bassora, la طريق 80 (الكويت) / Highway 80. Ne fanno parte anche prigionieri kuwaitiani, prigionieri politici e molti profughi palestinesi con le famiglie e gli effetti personali. E’ formata non soltanto da veicoli militari ma anche da automobili, autobus e camion, parecchi dei quali requisiti ai civili kuwaitiani per trasportare il bottino di guerra. Gli aerei statunitensi di attacco Grumman A6 Intruder dell’aviazione della Marina bombardano la testa e la coda della colonna con bombe a grappolo CBU-100, ciascuna dotata di 240 minibombe. Un tiro a segno su bersagli facili, praticamente immobili e senza opporre resistenza. Successivamente gli aerei dei Marines, della Marina e dell’Aviazione prendono di mira tutto quanto si trova in mezzo, intrappolato. I pochi sopravvissuti vengono falciati da unità terrestri. E’ una carneficina per circa 10 ore, un crimine di guerra statunitense che si aggiunge ai più noti crimini di guerra del regime iracheno contro i curdi e la popolazione civile kuwaitiana. Dallo stato di avanzata carbonizzazione di corpi e veicoli si evince che furono impiegate bombe al napalm o incendiarie ad alto potenziale, del tipo a uranio impoverito. È quella che nel linguaggio militare statunitense viene definita “turkey shot”, in italiano mattanza.
La giustificazione addotta dallo stato maggiore americano, che la colonna costituiva un pericolo in quanto si apprestava a combattere, si è rivelata falsa.

Riteniamo utile menzionare che il generale Barry McCaffrey al comando della 24^ divisione di fanteria annientò la divisione corazzata Hammurabi , il 2 Marzo 1991, due giorni dopo la cessazione delle ostilità. Per tale attacco, noto come battaglia di Rumaila, nonostante le numerose controversie sorte, la 24^ fu pluridecorata al merito. L’esito della battaglia fu il seguente: da parte americana 1 (un) ferito, 2 blindati distrutti; da parte irachena più di 700 morti, 3000 prigionieri, 250 carri armati distrutti, oltre ad altri armamenti. Una sproporzione a cui si stenta a credere, se non fosse documentata. Anche tenuto conto che il rapporto di forze era di 3:1 a favore degli americani, sorge spontanea la domanda se le unità militari della famigerata Guardia Repubblicana non fossero così addestrate e temibili come si era sostenuto sino a qualche giorno prima o se caddero in una trappola ritenendo che, essendo stata universalmente concordata la cessazione delle ostilità, avrebbero potuto ritirarsi in sicurezza secondo la Convenzione di Ginevra. Nella prima ipotesi rimarrebbe incomprensibile il dispiegamento di forze della coalizione e i bombardamenti ad oltranza durante il conflitto, se invece fosse valida la seconda non si comprenderebbe il motivo delle tante decorazioni ad una divisione impegnata nel tiro a segno su bersagli umani in ritirata.

Le denuncie dell’accaduto furono rese sterili, al pari di altri crimini di guerra a Ovest e a Est. Noi non possiamo né vogliamo aggiungere silenzio al silenzio. Consigliamo a chi vuole documentarsi di leggere questo articolo di Joyce Chediac , giornalista libanese-americana in odore di marxismo e perciò mal tollerata.
Il seguente articolo di Peter Turnley , grande fotografo e docente statunitense naturalizzato francese, è tratto da una lettera che scrisse a Dirck Halstead, direttore del webzine The Digital Journalist. In rete è presente un adattamento pubblicato su NiemanReports, una fondazione di Harvard, che si discosta poco dall’originale. Tuttavia abbiamo preferito riportare l’originale The Unseen Gulf War .
Si raccomanda di dare un’occhiata anche all’appendice che contiene foto con didascalie, documenti di eccezionale valore storico e professionale riprese da Turnley durante la Prima Guerra del Golfo per Corbis. Non furono pubblicate per una decina d’anni.


Dirck,
mentre siamo vicini ad una probabile nuova Guerra del Golfo [ la seconda, nel Marzo 2003, ndt], ho un'idea e mi viene in mente che il Digital Journalist [ il webzine pubblicato dall’amico destinatario Dirck, ndt] potrebbe essere il posto giusto. Com’è noto, il pool system militare [ gruppo di cronisti di guerra in seno a unità militari, ndt] concepito allora doveva essere, ed è stato, un ostacolo notevole per i fotoreporter nella loro ricerca di informare sulle realtà della guerra (questo fatto non diminuisce i grandi sforzi, il coraggio e molte immagini importanti create da molti dei miei colleghi che hanno partecipato a tali gruppi). A parte ciò, mentre sarebbe molto difficile trovare un editore di una pubblicazione americana oggi che non condanni tale pool system e le sue limitazioni durante la Guerra del Golfo, la maggior parte delle pubblicazioni e delle emittenti televisive, chi più chi meno, hanno acquistato il programma prima dell’inizio della guerra (questa realtà è stata molto meno discussa rispetto alle critiche dei pool systems).
Mi sono rifiutato di partecipare al pool system. Sono stato nel Golfo per molte settimane mentre era in corso l'organizzazione delle truppe, quindi ho saltato la "guerra aerea" e sono volato da Parigi a Riyadh non appena è iniziata la guerra terrestre. Sono arrivato al "miglio della morte" il mattino del giorno in cui la guerra era finita. Era molto presto e pochi altri giornalisti erano presenti. Quando sono arrivato sulla scena di quella incredibile carneficina, sparsi per tutto quel miglio c'erano auto e camion con le ruote che ancora giravano, le radio ancora accese e corpi sparsi qua e là lungo la strada. Molte persone si sono chieste "quante persone sono morte" durante la guerra con l’Iraq, a tale domanda non è mai stata data una risposta calibrata. In quel primo mattino, ho visto e fotografato un soldato dell'esercito americano con un distintivo di becchino seppellire in grandi tombe molti corpi.
Non ricordo di aver visto molte immagini televisive delle conseguenze umane di questa scena, o del resto molte fotografie pubblicate in merito. Il giorno dopo, mi sono imbattuto in un'altra scena su una strada poco nota più a nord e a est dove, nel mezzo del deserto, ho trovato un convoglio di camion che trasportava soldati iracheni a Baghdad, dove era stata sganciata con tutta evidenza una potenza di fuoco enorme, tutti quelli che si potevano scorgere erano stati carbonizzati. La maggior parte delle fotografie che ho realizzato di questa scena non sono mai state pubblicate da nessuna parte e questo mi ha sempre turbato.
Mentre siamo chiaramente prossimi ad un'altra possibile guerra, mi viene in mente un pensiero. Le fotografie che ho realizzato non rappresentano, di per sé, alcuna valutazione politica o un punto di vista personale rispetto alla politica e a ciò che era giusto o sbagliato nella prima Guerra del Golfo. Ciò che rappresentano è una parte di un quadro più accurato di ciò che accade realmente in guerra. Penso sia importante che i cittadini abbiano il diritto di vedere queste immagini. Ciò non per comunicare il mio punto di vista, ma per offrire agli spettatori in quanto cittadini una migliore opportunità di considerare l'intero quadro e le conseguenze di quella guerra e di qualsiasi guerra. Sento che fa parte del mio ruolo di fotoreporter offrire allo spettatore l'opportunità di trarre quante più informazioni possibili per elaborare il proprio giudizio.
Questa guerra passata e qualsiasi altra incombente, sono state spesso trattate come qualcosa di simile a un videogioco Nintendo. Questa visione è funzionale ad oscurare le realtà a tinte forti e spesso grottesche come si presentano a quanti sono direttamente coinvolti nella guerra. Come testimone dei risultati della passata Guerra del Golfo, questa versione televisiva, aerea e tecnologica del conflitto non è quella che ho visto; vorrei mostrare alcune delle immagini che ho realizzato che rappresentano un quadro più completo di come questo conflitto si è mostrato.
La guerra è nella migliore delle ipotesi un male necessario, e sono certo che chiunque la percepisca diversamente non l'ha mai sperimentata né ci si è trovato in mezzo. Ho sempre sperato che le vere immagini del conflitto dessero l'opportunità di testimoniare e riflettere più a fondo sulla piena realtà della guerra. Dopo aver attraversato molti conflitti in tutto il mondo negli ultimi 20 anni e aver assistito a molta sofferenza umana, sento la responsabilità di contribuire ad assicurare con le mie immagini che nessuno che veda le brutalità del conflitto, possa mai percepire che la guerra è comoda e/ o utile.
Vorrei proporre di discutere un portfolio di queste immagini difficili ora, poiché una futura guerra in Iraq diventa sempre più probabile ogni giorno che passa. Aspetto tue notizie.
Cordialmente. Peter Turnley
[traduzione di Riccardo Gullotta]

Dirck,
as we approach the likelihood of a new Gulf War, I have an idea and it occurs to me that the Digital Journalist may be the place for it. As we all know, the military pool system created then was meant to be, and was, a major impediment for photojournalists in their quest to communicate the realities of war (This fact does not diminish the great efforts, courage, and many important images created by many of my colleagues who participated in these pools.). Aside from that, while you would have a very difficult time finding an editor of an American publication today that wouldn't condemn this pool system and its restrictions during the Gulf War, most publications and television entities more or less bought the program before the war began (this reality has been far less discussed than the critiques of the pools themselves).
I refused to participate in the pool system. I was in the Gulf for many weeks as the build-up of troops took place, and then sat out the "air war", and flew from Paris to Riyadh as soon as the ground war began. I arrived at the "mile of death" the morning the day the war stopped. It was very early in the morning and few other journalists were present. When I arrived at the scene of this incredible carnage, strewn all over on this mile stretch were cars and trucks with wheels still turning, radios still playing, and there were bodies scattered along the road. Many people have asked the question "how many people died" during the war with Iraq and the question has never been well answered. That first morning, I saw and photographed a U.S. Military 'graves detail' bury in large graves many bodies.
I don't recall seeing many television images of the human consequences of this scene, or for that matter many photographs published. A day later, I came across another scene on an obscure road further north and to the east where, in the middle of the desert, I found a convoy of lorries transporting Iraqi soldiers back to Baghdad, where clearly massive fire power had been dropped and everyone in sight had been carbonized. Most of the photographs I made of this scene have never been published anywhere and this has always troubled me.
As we approach the distinct possibility of another war, a thought comes to mind. The photographs that I made do not, in themselves, represent any personal political judgment or point of view with respect to the politics and the right or wrong of the first Gulf War. What they do represent is a part of a more accurate picture of what really does happen in war. I feel it is important and that citizens have the right to see these images. This is not to communicate my point of view, but so viewers as citizens can be offered a better opportunity to consider the whole picture and consequences of that war and any war. I feel that it is part of my role as a photojournalist to offer the viewer the opportunity to draw from as much information as possible, and develop his or her own judgment.
This past war and any one looming, have often been treated as something akin to a 'Nintendo game'. This view conveniently obscures the vivid and often grotesque realities apparent to those directly involved in war. As a witness to the results of this past Gulf War, this televised, aerial, and technological version of the conflict is not what I saw and I'd like to present some images that I made that represent a more complete picture of what this conflict looked like.
War is at best a necessary evil, and I am certain that anyone that feels differently has never experienced or been in it. I have always hoped that true images of conflict give one the opportunity to witness and reflect more fully on the full realities of war. After covering many conflicts around the world in past 20 years and witnessing much human suffering, I feel a responsibility to try to contribute to making sure with my images that no one that sees the brutal realities of conflict, ever feels that war is comfortable and/or convenient.
I would like to propose that we discuss a portfolio of these difficult images now, as a future war in Iraq grows more likely every passing day. I look forward to hearing from you.
My best. Peter Turnley




Storia in una foto, Storia di una foto

Era il 28 Febbraio 1991 intorno alle 6. Kenneth Jarecke , inviato della rivista Time, stava percorrendo l’autostrada n. 8 da Bassora a Kuwait City con un ufficiale delle Pubbliche Relazioni dell’ esercito americano, Patrick Hermanson. Si imbatté in un camion isolato, bruciato. A bordo un uomo carbonizzato in una posa di chi stava cercando di sollevarsi per uscire dal camion. Hermanson sollevò qualche obiezione ma alla fine non impedì a Jarecke di fare delle riprese nonostante non fosse consentito dalle regole del pool. Jarecke scattò due foto con la sua Canon Eos-1 e zoom 80-200, 1/60 sec e f/2,8. Quando la pellicola fu sviluppata a Dhahran, in Arabia Saudita, il JJB [Joint Information Bureau] , la divisione militare di interfaccia tra forze armate e organi di informazione, si oppose dapprima alla divulgazione, poi fu raggiunto il compromesso di aggiungere una nota sul contenuto. Quando l’immagine arrivò all’Associated Press di New York ne fecero delle copie, però decisero di censurarla perché era un’immagine sensibile, troppo carica per gli editori dei giornali . Anche il New York Times, quelli che “Public has right to know”, decise di censurarla. Di fatto negli Stati Uniti non arrivò al pubblico per mesi.
Fu pubblicata invece dall’inglese Observer il 3 marzo 1991 a pagina 9, con il titolo a otto colonne “The Real Face of War”. La didascalia della foto riportava:

The charred head of an Iraqi soldier leans through the windscreen of his burned-out vehicle, February 28. He died when a convoy of Iraqi vehicles retreating from Kuwait City was attacked by Allied Forces.

La testa carbonizzata di un soldato iracheno si affaccia dal finestrino del suo veicolo bruciato, 28 febbraio. Il soldato morì quando un convoglio di veicoli iracheni in ritirata da Kuwait City fu attaccato dalle Forze Alleate.

Fu il photo editor irlandese Tony McGrath, scomparso lo scorso 25 Luglio, che decise di pubblicarla perché l’immagine mostrava che“ war is disgusting, humiliating and degrading, and diminishes everybody“.
L’indomani fu la volta del Guardian e del parigino Libération. Si sollevarono ondate di polemiche ma anche di dibattiti. Qualche mese dopo, ad Agosto 1991, fu pubblicata nel secondo numero della rivista American Photo, a pag. 41.

Qualcuno ha così descritto l’immagine in termini di semiotica visiva:
Una volta vista, l'immagine è difficile da dimenticare. I resti bruciati di un uomo siedono sul sedile anteriore, un braccio con il pugno chiuso disteso sul cofano della sua jeep. Lo sguardo dello spettatore segue i fasci di muscoli anneriti e sfilacciati dalle nocche alla spalla. Fili di pettorale pendono dalla sua clavicola e il deltoide appare come una spallina dell'esercito sopra la sua sede. La testa è proprio carbonizzata, ma riconoscibile. Le orecchie si sono rinsecchite fino all'osso e il fuoco ha scoperto la superficie liscia della metà destra del cranio. I suoi occhi sono spariti, ma le grandi orbite nere continuano ad attirare lo sguardo. Il naso è appiattito e le labbra ritirate mettono in rilievo quattro denti anteriori affilati. La testa è mantenuta rigidamente eretta da un rachide cervicale carbonizzato. Ci viene negato il permesso di vedere quest'uomo come un cadavere comune. Appare invece come una forma vivente congelata.



Storia in una poesia

Il poema “A Cold Coming” è stato composto da Tony Harrison dopo avere preso visione della foto di Jarecke. Fu pubblicato come commento alla foto nell’edizione del 18 Marzo 1991 del Guardian. Harrison la modula come un’ intervista di un giornalista al soldato carbonizzato. Il linguaggio, tipico del grande poeta, è assai originale, una commistione di espressioni gergali con forme stilistiche attinte anche dai classici, non soltanto dalla tradizione letteraria inglese.
Nei versi iniziali Harrison fa riferimento alla poesia di T.S.Elliot “The Journey of Magi” con sottile ironia sia nei riguardi dell’icona della cultura occidentale, sia, riteniamo, verso la poetica di Elliot che si tenne abbastanza lontano dal tema della guerra.
Massimo Bacigalupo, traduttore ed interprete di Harrison, descrive la sua poetica in questi termini:

“Una poesia dantescamente «petrosa», fatta di materia sonora esplosiva: i versi di Harrison possono essere politici, sociali, storici, familiari, autobiografici, metapoetici, ma tendono sempre alla deflagrazione. Insieme alle consonanti e alle rime, spesso ardite, a esplodere è l’apparenza tranquilla della realtà, che viene aperta come una ferita e di cui vengono mostrati i conflitti che stanno al suo interno.” E ancora: “Harrison pratica il genere maccheronico della poesia come saggio, racconto, ragionamento. Come le sue poesie giornalistiche sono destinate non alla terza ma alla prima pagina, così tutta la sua opera vuole essere letta come comunicazione di esperienze e scoperte e letture, luoghi e persone. Leggendo Harrison, abbiamo a che fare con dei realia. Il poeta come corrispondente dal fronte (Iraq, Bosnia) e come storico e coscienza della sua epoca”.

[Riccardo Gullotta]

A cold coming we had of it.
T. S. Eliot, Journey of the Magi

I saw the charred Iraqi lean
towards me from bomb-blasted screen,

his windscreen wiper like a pen
ready to write down thoughts for men,[1]

his windscreen wiper like a quill
he’s reaching for to make his will.

I saw the charred Iraqi lean
like someone made of Plasticine

as though he’d stopped to ask the way
and this is what I heard him say:

«Don’t be afraid I’ve picked on you
for this exclusive interview.[2]

Isn’t it your sort of poet’s task
to find words for this frightening mask?

If that gadget that you’ve got records
words from such scorched vocal chords,

press RECORD before some dog
devours me mid-monologue».

So I held the shaking microphone
closer to the crumbling bone:

«I read the news of three wise men
who left their sperm in nitrogen,

three foes of ours, three wise Marines[3]
with sample flasks and magazines,

three wise soldiers from Seattle
who banked their sperm before the battle.

Did No. 1 say: God be thanked
I’ve got my precious semen banked.

And No. 2: O praise the Lord
my last best shot is safely stored.

And No. 3: Praise be to God
I left my wife my frozen wad?

So if their fate was to be gassed[4]
at least they thought their name would last,[5]

and though cold corpses in Kuwait
they could by proxy procreate.[6]

Excuse a skull half roast, half bone
for using such a scornful tone.

It may seem out of all proportion
but I wish I’d taken their precaution.

They seemed the masters of their fate
with wisely jarred ejaculate.

Was it a propaganda coup
to make us think they’d cracked death too,

disinformation to defeat us
with no post-mortem millilitres?

Symbolic billions in reserve
made me, for one, lose heart and nerve.

On Saddam’s pay we can’t afford
to go and get our semen stored.

Sad to say that such high tech’s
uncommon here. We’re stuck with sex.

If you can conjure up and stretch
your imagination (and not retch)

the image of me beside my wife
closely clasped creating life…»

(I let the unfleshed skull unfold
a story I’d been already told,

and idly tried to calculate
the content of ejaculate:

the sperm in one ejaculation
equals the whole Iraqi nation

times, roughly, let’s say, 12.5
though that. 5’s not now alive.

Let’s say the sperms were an amount
so many times the body count,

2,500 times at least
(but let’s wait till the toll’s released!)

Whichever way Death seems outflanked
by one tube of cold bloblings banked.

Poor bloblings, maybe you’ve been blessed
with, of all fates possible, the best

according to Sophocles i.e.
«the best of fates is not to be»

a philosophy that’s maybe bleak
for any but an ancient Greek

but difficult these days to escape
when spoken to by such a shape.

When you see men brought to such states
who wouldn’t want that «best of fates»

or in the world of Cruise and Scud
not go kryonic if he could,

spared the normal human doom
of having made it through the womb?)

He heard my thoughts and stopped the spool
«I never thought life futile, fool!

Though all Hell began to drop
I never wanted life to stop.

I was filled with such a yearning
to stay in life as I was burning,

such a longing to be beside
my wife in bed before I died,

and, most, to have engendered there
a child untouched by war’s despair.

So press RECORD! I want to reach
the warring nations with my speech.

Don’t look away! I know it’s hard
to keep regarding one so charred,[7]

so disfigured by unfriendly fire
and think it once burned with desire.

Though fire has flayed off half my features
they once were like my fellow creatures»,

till some screen-gazing[8] crop-haired boy
from Iowa or Illinois,

equipped by ingenious technophile
put paid to my paternal smile

and made the face you see today
an armature half-patched with clay,

an icon framed, a looking glass
for devotees of “kicking ass”,[9]

a mirror that returns the gaze
of victors on their victory days

and in the end stares out the watcher
who ducks behind his headline: GOTCHA![10]

or behind the flag-bedecked page I
of the true to bold-type-setting «SUN»![11]

I doubt victorious Greeks let Hector
join their feast as spoiling spectre,

and who’d want to sour the children’s joy
in Iowa or Illinois

or ageing mothers overjoyed
to find their babies weren’t destroyed ?

But cabs beflagged with « SUN» front pages
don’t help peace in future ages.

Stars and Stripes in sticky paws
may sow the seeds for future wars.

Each Union Jack the kids now wave
may lead them later to the grave.

But praise the Lord and raise the banner
(excuse a skull’s sarcastic manner!)

Desert Rat [12] and Desert Stormer [13]
without scars and (maybe) trauma,

the semen-bankers are all back
to sire their children in their sack.

With seed sown straight from the sower
dump second-hand spermatozoa![14]

Lie that you saw me and I smiled
to see the soldier hug his child.

Lie and pretend that I excuse
my bombing by B52S,

pretend I pardon and forgive
that they still do and I don’t live,

pretend they have the burnt man’s blessing
and then, maybe. I’m spared confessing

that only fire burnt out the shame
of things I’d done in Saddam’s name,

the deaths, the torture and the plunder
the black clouds all of us are under.

Say that I’m smiling and excuse
the Scuds we launched against the Jews.[15]

Pretend I’ve got the imagination
to see the world beyond one nation.

That’s your job, poet, to pretend
I want my foe to be my friend.

It’s easier to find such words
for this dumb mask like baked dogturds.

So lie and say the charred man smiled
to see the soldier hug his child.

This gaping rictus once made glad
a few old hearts back in Baghdad,

hearts growing older by the minute
as each truck comes without me in it.

I’ve met you though, and had my say
which you’ve got taped. Now go away».

I gazed at him and he gazed back
staring right through me to Iraq.[16]

Facing the way the charred man faced
I saw the frozen phial of waste,

a test-tube frozen in the dark,
crib and Kaaba [17], sacred Ark [18],

a pilgrimage of Cross and Crescent [19]
the chilled suspension of the Present.

Rainbows seven shades of black
curved from Kuwait back to Iraq,[20]

and instead of gold the frozen crock’s
crammed with Mankind on the rocks,

the congealed geni who won’t thaw
until the World renounces War,

cold spunk meticulously jarred
never to be charrer or the charred,

a bottled Bethlehem of this come –
curdling Cruise/Scud-cursed millennium.

I went. I pressed REWIND and PLAY
and I heard the charred man say:
All the subsequent notes are from prof. John Patrick Leech, confirmed associated Professor of English Language and Culture at the Alma Mater Studiorum University of Bologna

[1] The charred Iraqi is ready to give his testimony through the pen, though he does so instead by giving an “exclusive interview” with the poet, chosen because he can give expression to the “frightening mask”. The charred Iraqi is thus a voice which speaks from beyond the grave, like Virgil for Dante or like the dead German soldier in Wilfred Owen’s ‘Strange Meeting’ ‘Strange Meeting’

[2] War journalism and journalism in general is characterized by the desire for exclusive interviews. Imagine the scoop to get the real story from an Iraqi soldier, and a dead one too. Tony Harrison’s poetry itself is linked to journalism: his poem appeared, on his insistence, in the news (rather than the literature) section of the Guardian. He was subsequently sent to Bosnia in 1995 specifically to write poems about the war. Tony Harrison is thus a “war poet” in a very special sense, with a job similar to that of a “war correspondent”.

[3] The first lines of T.S. Eliot’s ‘The Journey of the Magi’ (“A cold coming we had of it/Just the worst time of the year/For a journey ...”) gave the title to Tony Harrison’s poem and appeared at the head of Harrison’s poem when it was originally published. Harrison gives Eliot’s first words a sexual sense, and this is typical of his iconoclastic treatment of some of the accepted canons of English literature. Harrison’s poem, however, continues the sense of the cold and unwelcome nature of the epiphany: in Eliot’s version an awakening to the cold difficulties of the Christian life; in Harrison’s the cold barbarism of the war in Iraq.

[4] The Iraqi army used nerve gas during the war against Iran in the 1980s.

[5] last rhymes with gassed in Tony Harrison’s Yorkshire accent. See his poem ‘Them and [uz]’ if you want to enjoy Harrison’s attacks on Received Pronunciation, which he throws “into the lap of dozing Daniel Jones”.

[6] The technological sophistication of the Americans enables them to be immortal – or at least to procreate after death. The rest of us are “stuck with sex”.

[7] But the poet’s job is to do just this: to look into the frightening mask, the “gaze of the Gorgon” and be able to speak, to reach the warring nations with the soldier’s testimony.

[8] The American soldier watches television – but also fires his weapons through monitoring the target on a screen?

[9] “to show them that you are angry with them, either by telling them or by using physical force” [AM: INFORMAL, RUDE] (Collins Cobuild English Dictionary for Advanced Learners). An expression beloved by George Bush Snr. with regard to Iraq

[10] “GOTCHA” (= got you, “preso”). This was the full page headline of the Sun newspaper in 1982 “celebrating” the sinking of the Argentinian ship the Belgrano during the Falklands War. The Belgrano was in fact sailing away from the hostilities and was outside of the 200-mile exclusion zone proclaimed by the British. 323 Argentinian lives were lost. In the British general election of 1983, an independent candidate stood against Margaret Thatcher, the British Prime Minister during the war, in her constituency, Finchley, for a party ironically named “Belgrano Blood Hunger”.

[11] Tabloid newspaper owned by Rupert Murdoch well-known for its large headlines in bold type.

[12] The “Desert Rats” was the name given to the British 7th Armoured Division in North Africa during the Second World War, commanded by General Montgomery.

[13] “Desert Storm” was the name given to the military campaign of the US against Iraq in 1991.

[14] In the voice of an advertiser.

[15] During the 1991 war, the Iraqis fired 39 Scud missiles into Israel in an attempt to draw it into the conflict. The missiles resulted in some damage and a few casualties.

[16] Notice the direction that the charred Iraqi is facing – away from Kuwait and the conflict, towards Baghdad.

[17] The sacred mosque of Mecca.

[18] The ark of the covenant, sacred to the Jews

[19] Christian and Muslim symbols respectively.

[20] The retreating Iraqi army set fire to Kuwaiti oil plants before leaving. The result was immense clouds of smoke from burning oil


inviata da Riccardo Gullotta - 1/8/2021 - 17:39




Lingua: Italiano

Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös :
Massimo Bacigalupo, Docente di letteratura inglese e americana
UN FREDDO VENIRE

Fu un freddo venire il nostro
T.S. Eliot, Viaggio dei Magi

Ho visto piegarsi un iracheno carbonizzato
verso me attraverso il parabrezza schiantato,

col tergicristallo che pare una penna
pronta a scrivere pensieri per la Terra,

col tergicristallo che pare uno strumento
che egli afferra per fare testamento.

Ho visto piegarsi l’iracheno carbonizzato
come un uomo fatto di plastilina

fermo a chiedere la direzione
e queste furono le sue parole:

«Non aver paura se ho scelto te
per questa intervista irripetibile.

Non è forse compito di un poeta della tua scuola
trovare parole per questa maschera paurosa?

Se il tuo apparecchio può registrare
le parole di corde vocali bruciate,

schiaccia RECORD prima che un cane
mi sbrani a metà del mio monologare».

Spinsi il microfono traballante
più vicino alle ossa sgretolate:

«Ho letto sul giornale che tre uomini assennati
hanno lasciato campioni di sperma congelati,

tre nostri nemici, tre assennati marò
muniti di fialette e foto porno,

tre assennati marines di Seattle
che depositarono lo sperma prima di battersi.

Disse il numero 1: Dio sia ringraziato
il mio seme prezioso l’ho depositato;

e il numero 2: Oh grazie Maria
la mia ultima cartuccia è messa via;

e il numero 3: Se Dio vuole
ho lasciato a mia moglie il mio schizzo migliore.

Così se gli toccava di essere gassati
almeno i loro nomi sarebbero restati,

e pur cadaveri freddi nel Kuwait
si sarebbero indirettamente moltiplicati.

Perdona un teschio mezz’arrosto e mezz’osso
se usa un tono così poco ortodosso.

Sarà un eccesso di presunzione
ma vorrei aver preso la loro precauzione.

Sembravano maestri del loro fato
a mettere sotto vetro il loro eiaculato.

È stata una trovata propagandistica –
avevano debellato anche la morte fisica! –

disinformazione per confonderci,
noi senza milligrammi postumi?

Quei simbolici milioni di riserva
a me almeno hanno fatto saltare i nervi.

Con la paga di Saddam non è roba da noi
far conservare i nostri spermatozoi.

Triste a dirsi, una tecnologia di tale livello
qui manca. Dobbiamo accontentarci del sesso.

Se sforzando (senza vomitare)
la fantasia puoi evocare

l’immagine di me che tengo avvinta
mia moglie per generare la vita…»

(Lasciai che il teschio si diffondesse
su quella faccenda senza sorprese

e a tempo perso feci il calcolo
del contenuto di un orgasmo:

gli spermatozoi di una eiaculazione
sono pari a tutta la popolazione

dell’Iraq per 12,5, suppergiù,
anche se un 0,5 non c’è più.

Diciamo che gli spermatozoi erano un bel po’
di volte il numero dei morti,

2.500 per lo meno
(ma la cifra precisa chissà se la sapremo!)

Comunque sia la Morte sembra soverchiata
dalle gocce in vetro di una singola scopata.

Povere gocce, forse vi è toccata
di tutte la sorte più fortunata

secondo Sofocle, e cioè
«la miglior sorte è non essere»,

un filosofema magari tetro
per chiunque non sia un antico greco,

ma difficile da giudicare eccessivo
se si intervista un tale divo.

Quando si vede un uomo ridotto in quello stato
chi non vorrebbe per sé quel «migliore fato»,

o nel mondo degli Scud e Cruise
non essere se possibile refrigerato,

evitando il destino umano solito
di doverla spuntare per arrivare all’utero?)

Intercettò i miei pensieri e fermò la cassetta:
«La vita non mi è parsa mai futile, fesso!

Anche se tutto l’inferno veniva giù
non ho mai desiderato non vivere più.

Ero pieno di un tale desiderio
di restare in vita mentre ardevo,

un tale anelito di essere vicino
a mia moglie a letto mentre morivo,

e soprattutto di aver lì generato
un figlio che per la guerra non fosse disperato.

Perciò schiaccia RECORD! Voglio raggiungere
le nazioni belligeranti con le mie parole.

Non guardare da un’altra parte! Lo so che è duro
continuare a fissare un coso scuro,

così sfigurato dal fuoco aereo
e pensare che una volta arse di desiderio.

Il fuoco ha portato via metà dei miei tratti
ma una volta erano come quelli dei miei fratelli,

finché qualche ragazzo dai capelli corti al video
dell’Iowa o dell’Idaho,

equipaggiato dal tecnocrate ingegnoso
prese di mira il mio paterno sorriso

e fece la faccia che oggi vedi,
un’armatura per metà coperta di creta,

un’icona in cornice, uno specchio
per i devoti del “calcio in culo”,

una sfera che restituisce lo sguardo
ai vincitori nel loro giorno gagliardo

e alla fine ha la meglio sull’osservatore
che si nasconde dietro al tronfio titolone

o dietro alla bandiera in prima pagina
del «SUN» coi suoi soliti titoli cubitali.

I Greci vittoriosi non invitarono Ettore
a unirsi, spettro incomodo, al loro banchetto,

e chi vorrebbe rovinare la gioia ai boys
dell’Iowa o dell’Illinois

alle madri anziane in festa
perché i loro bambocci si sono salvati?

Ma i tassì imbandierati di copertine del « SUN»
non giovano alla pace futura.

Le stelle e strisce in grinfie appiccicose
possono gettare i semi di guerre prossime.

Ogni bandiera inglese che i ragazzini sventolano
può più tardi condurli alla loro tomba.

Ma Dio sia lodato e la bandiera garrisca
(scusa il sarcasmo di un povero teschio!),

Topi del Deserto e Tempestatori del Deserto,
senza cicatrici e (forse) senza traumi,

i depositatori di sperma sono tutti tornati
a fare figli come hanno sempre fatto.

Con seme direttamente seminato dal seminatore
buttate via gli spermatozoi nel refrigeratore!

Menti pure, di’ che mi hai visto sorridere
vedendo il soldato abbracciare il figlio.

Menti pure, di’ che perdono
di essere stato annientato dai B52,

fingi che perdono e mando assolto
chi ancora fa mentre io son morto,

fingi che ha la benedizione dell’uomo bruciato,
e allora forse mi sarà risparmiato

confessare che il fuoco bruciò la vergogna
delle cose fatte in nome di Saddam,

le morti, torture e deportazioni,
le nubi nere sotto cui stiamo tutti.

Di’ che sorrido e che trovo scuse
per gli Scud lanciati su Israele.

Fingi che ho l’immaginazione
di vedere il mondo oltre una sola nazione.

Sta a te, poeta, illudere
che voglio che il nemico sia con me.

È più facile trovare parole accomodanti
per questa maschera muta come stronzi secchi.

Perciò menti, di’ che l’uomo di carbone ha riso
a vedere il soldato abbracciare suo figlio.

Questo rictus spalancato una volta rallegrò
qualche vecchio cuore lassù a Baghdad,

cuori che invecchiano di minuto in minuto
mentre i camion rientrano e io non ci sono.

Ti ho incontrato però, e detto quel che mi pare,
che tu hai registrato. Ora va’ pure».

Lo fissai e lui mi rese lo sguardo
vedendomi attraverso fino all’Iraq.

Guardando dalla parte che guardava lui
vidi la fiala ghiacciata della distruzione,

una provetta gelata nell’oscurità,
culla e Kaaba, Arca dell’Alleanza,

un pellegrinaggio di Croce e Crescente,
la sospensione fredda del Presente.

Arcobaleni con sette tonalità di nero
dal Kuwait all’Iraq coprivano il cielo,

e la pentola ghiacciata era stracolma
non di oro ma di uomini on the rocks,

i geni congelati che non si scioglieranno
finché il mondo non rinuncerà alla guerra,

sperma freddo meticolosamente inscatolato
per non essere mai carbonizzatore o carbonizzato,

Betlemme in fiala di un millennio maledetto
da Cruise e da Scud, che raggela ogni venire.

Proseguii. Schiacciai REWIND e PLAY
e udii l’uomo carbonizzato dire:

inviata da Riccardo Gullotta - 1/8/2021 - 17:48




Lingua: Siciliano

Traduzzioni siciliana / Sicilian translation / ترجمة صقلية / Traduction sicilienne / Traducción al siciliano / Sizilianische Übersetzung / Сицилийский перевод / תרגום סיציליאני / Σικελική μετάφραση / Sisiliankielinen käännös :
Riccardo Gullotta

NA VINUTA FRIDDA

Fu na vinuta fridda a nostra
T.S.Elliot, Viaggiu dî Magi

Vitti gnutticarisi n’irachenu arsu
stinnutu do vitru tuttu aschïatu ‘nvers’ i mia,

U tergicristallu ca pari na pinna
prontu ppi scriviri pinsera ppi l’umanitati

U tergicristallu ca pari na chiuma
ca iḍḍu stassi gghiarpannu ppi fari testamentu.

Vitti l’irachenu arsu gnutticatu
com’un cristianu fatt’i cira

Comu si s’avissi pusatu ppi dumannari a strata,
chisti foru i so sintenzia:

“Un ti scantari ,ju assiḍḍii a tia
ppi essiri spiatu na vota sula

Un ti pari ca ‘n pueta dâ to jnìa s’avi a pigghiari a stagghiata
di nescir’i palori ppi sta mascara i scantu?

Si u strummentu ca porti cu tia po registrari
i palori di sti cannarozza arsi,

Mmacca REGISTRA prima ca ‘n cani
mi lania mentri staiu parrannu ”

‘Ncugnai u microfonu c’abballariava
allatu i l’ossa sfatti:

“Liggii nto jurnali ca tri cristiani saggi
lassaru ‘mpullini di spacchiu nto cugnilaturi

Tri nimici nostri, tri saggi marò
ccu ‘mpullini e fotugrafìi vastasi

Tri saggi marò di Seattle
ca sarbar’u spacchiu prima di jri ‘nguerra

Dissi u nummaru 1: Grazzii a Diu
U me spacchiu prezziusu ci l’aiu sarbatu

E u nummaru 2: Grazzii ô Signuri
a me urtima scupittata, a megghiu, je sarbata o sicuru

E u nummaru 3: Grazzii a Diu
chì lassai a me mugghjeri u me megghiu sgricciu.

Accussì, su ci capitava di cripari sfissiati cc’u gas,
pinsaru c’a nenti i nnomi avissiru ristatu

E cuttuttu ca iḍḍi fussiru catafari nto Kuwait,
putevanu u stissu pricurari di ‘mprinari.

A scusari na crozza menza arsa e menza ossa
ca usa parlari senza rispettu.

Po pariri esaggeratu,
macari m’avissi quartiatu comu a iḍḍi !

Parevanu i patruna dî so distini
ccâ spirtizza di mbuattari i so spacchi

Fu nu ‘ncegnu dâ propaganna
ppi farni cridiri c’avevanu scassatu macari a morti,

Na farfantaria ppi mbrugghiari
a nuautri senza na sbrizza lassata ppi testamentu ?

Ḍḍi miliuna mis’i latu
a mia a nenti m’abbileru e mi ficiru veniri u nirbusu

Ccu sordu di Saddam nun putemu vidiri u lustru
i cataminarini ppi sarbari i nostri spacchi

Je cosa ‘nfuscata, cca un n’avemu na ticnoluggìa accussì fina,
Semu ancora accippati ô futtisteriu

Si po arrivisciri a fantasia e stinnicchiarila
( senza jttari li vudeḍḍa )

Po finciri di vidiri a mia e me mugghieri
‘ncucchiati ppi criari vita …”

( Lassai a crozza scurciata ca sdignutticava u cuntu
ca ju avia già ‘ntisu,

E adaҫiatu ju fici u cuntu
dâ sustanzia di na sburrata:

I spermatozoi di na sburrata
assummanu a tutt’a pupulazzioni

Di l’Iraq murtiblicata ppi 12,5 pressappocu,
cuttuttu ca nu 0,5 un c’è cchiù.

Ora , vegnu e dicu, i spermatozoi jeranu assa’ voti
i cchiù dê catafari

2.500 a quannu a quannu
( ma spittamu ‘nsina ca ni spalisan’u cuntu !)

Comu je gghié a Morti pari ‘ntunnata
di na ‘mpullin’ i pupiḍḍi ‘ncugnilati

Poviri pupiḍḍi, capaci ca di tutti li sorti possibbuli
avistivu a megghiu

Veni a diri, secunnu Sofocli,
“A megghiu sorti je chiḍḍa di un essiri”,

Na pinzata ca pari fusca a cuegghiè
menu ca pp’un grecu anticu,

ma di sti tempi je na marreḍḍa i spirugghiari
quannu parra un pirsunaggiu di ssa fattizza

Quannu talii cristiani arridduciuti i ssa mala manera
Cu je ca un addisiassi ḍḍa “ megghiu sorti”,

o nto munnu dî Scud e Cruise
un essiri pussibbilmenti ‘ncugnilatu,

canziannu l’ordinaria sorti umana
di trafichiari ppi mmattìri nte l’uteru?)

‘Nzirtò i me pinzera e astutò a cassetta:
“Mai pinzai câ vita je na minchiata, pezz’i fissa!

Quantunchi l’universu ‘Nfernu mi sciḍḍicava ‘ncoḍḍu
mai m’addisiai di finirila.

Fui accussì chinu di disiu
di campari mentri stava bruҫiannu

Accussì sfilava lu cori di stari allatu
i me mugghieri ‘nto lettu mentri stava murennu

e primariamenti d’aviri criatu ḍḍa
un figghiu c’avissi canziatu i disperazioni dâ uerra.

Perciò mmacca REGISTRA ! Vogghiu abbjari
ê paisi in uerra i me palori

Un taliari di n’autra banna! U sacciu ca scura lu cori
appizzari l’occhi a unu accussì ‘ncravunutu

Accussì sfazzunatu dû focu nemicu
E penza ca na vota abbruҫiava dû disiu.

U focu scurciò na mità dê me fattizzi,
ma na vota jeranu com’a chiḍḍi dê me cumpagni,

‘Nzinu ca corchi picciottu cchî capiḍḍi curti
amminchiatu cchî televisuri , di l’Iowa o di l’Illinois

Carricatu di nu ‘ngignu lesu di tecnulogia
pigghiò di mira u me sorrisu di patri

e casciunò a facci ca stai taliannu oi
na curazza ppi mità accupunata i crita

Na stampa i ‘ncurniciari, un riflessu
ppi ddivoti dû “cauciu nto culu”

u specchiu ca renni l’ucchïata
dê vincituri nte jorna dâ vittoria

e ca infini talia ccu l’occhi sfunnati u spettaturi mmarazzatu
ca s’ammuccia darrè u tituluni “NZIRTATU”

Opuru darrè a paggina 1, addubbata ccâ bannera,
dô jiurnali “SULI” a carattiri ‘ngrassettu

Un criu ca i Greci vincituri dettiru largasia a Ettore
di participari â festa com’un fantasima ppi sminnittiarila,

e cu je ca vulissi ammacchiari a cuntintizza
dê carusi di l’Iowa o di l’Illinois

o dê matri vecchie mmenz’u scattiu dâ cuntintizza
picchì i so bamminiḍḍuni s’anu sarvatu a peḍḍi ?

Ma i taxi mercati cchî primi paggini dô “SULI”
un aggiuvanu a paci nte tempi a viniri

Stiḍḍi e strisci nte l’artigghi mpiccicusi
ponu jttari i simenti i uerre un jornu

Ogni bannera nglisi ca i picciriḍḍi ora salutanu
I po cunnuciri doppu â tomba.

Ma lodati u Signuri e isati u stinnardu
(scusa a furma i sdilliggiu di na crozza !)

I Surci dô Desertu e chiḍḍi dâ Tempesta dô Desertu
senza nu mercu e (po essiri) senza na botta

I bancheri do spacchiu anu turnatu
a fari figghi nto saccu i sempri

Ccu spacchiu siminatu direttamenti dô siminaturi
Jttati i spermatozoi di secunna manu !

Cunta na farfantaria, cunta ca mi truvasti ca surridevu
taliannu u surdatu c’abbrazzava u so picciriḍḍu.

Cunta na farfantaria e finci ca ju i discarricu
d’ essiri statu capuliatu dî B52S

Finci ca dugnu pirdunanza e pirdunu
a chiḍḍi ca ‘ncora u fanu mentre un sugnu cchiù vivu

Finci ca c’anu a binidizzioni di l’omu arsu
e allura po essiri ca ju scapulu i cunfissari

Ca sulu u focu abbruҫiò a vrigogna
dê cosi ca fici in nomu di Saddam

Ammazzatini, turturi e sacchiamenti,
nivuli nivuri ca n’accupunanu tutti

Dicci ca ju staiu surridennu e c’addumannu scusa
ppî Scud ca jttammu contra l’Ebrei.

Finci ca m’aiu figuratu
di vidiri u munnu sparti na sula nazioni

Je cosa tô, pueta, finciri
ca vogghiu a scanciu u me nemicu ppi amicu

Je cchiù spicciu nesciri ssi palori
ppi sta maschira lofia comu i strunz’ i cani

Perciò smàfara e dicci ca u bbruҫiatu surrisi
quannu vitti u surdatu c’abbrazzava u so picciriḍḍu.

Stu sgrignu sbalancatu na vutazza
arrimuḍḍava i cori di na maniata di picciotte a Baghdad,

cori ca ‘nsiccumanu ‘nsuppilu ‘nsuppilu
manu manu c’arrivanu i cami senza i mia.

Cuttuttu ti ‘ncuntrai e ti cuntai u cuntu
Ca tu registrasti. Ora vatinni”

C’appizzai l’occhi ‘ncoḍḍu a iḍḍu e iḍḍu cchî so occhi sbarrachïati
mi spirciava ppi taliari ‘nversu l’Iraq

Ccâ facci vutata unni taliava l’omu abbruҫiatu
vitti na ‘mpulla ncugnilata i munnizza

Na ‘mpulla a tubettu ncugnilata nto scuru,
naca e Muschìa dâ Mecca, Arca di l’Allianza,

Un Pilligrinaggiu di Cruci e Menzaluna,
u Prisenti ‘mmurratu e ‘ncugnilatu

Arcubbalena ccu setti sfumatin’i nivuru
‘ncimmiḍḍiati dû Kuwait ‘nzina l’Iraq

E ‘ncanciu d’oru a cascia jer’attippata
ccu Umani nte rocchi,

U giniu ‘ncugnilatu ca ‘n si squagghia
‘nzina ca u Munnu n’arrifiuta a uerra,

Sburra fridda , i pillicusi a ‘mbuattaru
pp’un essiri ma’ abbruҫiaturi o abbruҫiatu,

Na Betlemmi ‘mbuttigghiata d’un millenniu
jastimiatu di Cruise/Scud c’a pizzuḍḍiatu a vintura

Mi ni ji. ‘Mmaccai “VA ARRERI” e “SONA”
E sintii l’omu abbruҫiatu ca diceva:

inviata da Riccardo Gullotta - 8/8/2021 - 22:29


@Riccardo Gullotta

Abbiamo letto il tuo messaggio informale, ma la fotografia è al massimo ingrandimento possibile. Saluti.

Riccardo Venturi - 13/8/2021 - 11:18


@Riccardo Gullotta

La fotografia è stata reinserita nel formato maggiore che hai inviato. Purtroppo l'ho dovuta ancora un po' ridurre: nel formato 800 x 1200 sarebbe comunque "schizzata fuori" dalla maggior parte degli schermi. L'inserimento attuale è 800 x 900. Saluti cari.

Riccardo Venturi - 14/8/2021 - 00:25




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