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Λαθραία ελπίδα

Dimitris Mitsotakis / Δημήτρης Μητσοτάκης


Dimitris Mitsotakis / Δημήτρης Μητσοτάκης

Lista delle versioni e commenti


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(Nâzım Hikmet)


Lathraía elpída
[ 2010 ]

Στίχοι και μουσική / Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel :
Dimitris Mitsotakis [ Δημήτρης Μητσοτάκης ]

Ερμηνεία / Interpreti / Performed by / Interprétée par / Laulavat:
Dimítris Mitsotákis e gli Evdaímones [ Δημήτρης Μητσοτάκης & οι Ευδαίμονες ]

'Αλμπουμ / Album:
Ο Δημήτρης Μητσοτάκης Και Οι Ευδαίμονες







È una canzone che da sola basterebbe a qualificare l’opera musicale di Dimitris Mitsotakis, un autore relativamente poco noto, i cui album meriterebbero un ascolto più ampio per i temi affrontati e per la musica. In una ventina di versi Mitsotakis esprime con semplicità e rara efficacia la condizione dei disperati che cercano un approdo e una speranza di vita. Il titolo è Speranza clandestina , ogni riga concorre a figurare la precarietà anzi la non-esistenza di esseri che sembrano venire dal nulla e svanire nel nulla.
Un greco a Creta ha voluto esprimere solidarietà con i migranti con un murale parafrasando l’epigrafe al Milite Ignoto caduto per la Patria / υπέρ πατρίδας πεσόντων αγνώστων στρατιωτών. Il graffito, realizzato prima del 2014, era ancora presente a Heraklion nel 2017; non sapremmo se oggi è ancora integro. Vi si legge:

ΣΤΟΝ ΆΓΝΩΣΤΟ ΜΕΤΑΝΑΣΤΗ
ΕΠI ΤΟΥΣ ΣΥΝΟΡΟΥΣ
ΥΠΕΡ ΔΟΥΛΕΙΑΣ
ΠΕΣΟΝΤΑ

AL MIGRANTE SCONOSCIUTO
CADUTO ALLE FRONTIERE
PER LO SCHIAVISMO

Sui migranti riteniamo interessante un articolo di Sarantis Thanopulos, che citiamo non a caso. Fa riferimento alle testimonianze vive della cultura greca, patrimonio dell’umanità, per suggerire delle riflessioni sul migrante come realtà non epifenomenica, ma parte inalienabile della coscienza, della memoria e della civiltà dell’Occidente.

Per chi muore vivo, tutta la terra è tomba
Sarantis Thanopulos, il manifesto 9 Gennaio 2016

Seguendo l’autostrada che da Eleusi porta ad Atene, si incontrano sulla sinistra, avendo sulla destra il mare, delle piccole colline e un laghetto. Qui sono morti, in uno scontro agli inizi della guerra fratricida di Peloponneso, i soldati ateniesi a cui Pericle ha reso onore nel suo celeberrimo Epitafios (orazione funebre) tramandatoci da Tucidide. «Degli uomini epifanòn (illustri) – disse Pericle, riferendosi ai caduti – tutta la terra è tomba». [1]
Oggi stabilimenti petrolchimici deturpano il luogo di quella morte brillantemente celebrata. Sopravvive alla retorica l’idea dei morti non come ospiti di un pezzo ristretto di terra, ma come patrimonio umano.
«Epifanés», di cui «epifanón» è il genitivo al plurale, può essere usato estensivamente per indicare qualcosa «in vista», «illustre», ma più precisamente significa ciò «che viene alla luce», «che appare». Tra le sagome umane che si approssimano alla nostra vista e la nostra incapacità di farle venire alla luce del nostro campo visivo, si consuma la tragedia dei migranti. Affogano nella nostra indifferenza, che la messinscena di un dolore, il quale profondo e duraturo non è, non fa che esaltare.
L’insondabile opacità del mare, diventata concreta accoglienza cimiteriale, è la più eloquente metafora della nostra dignità, umanità perduta.
Un poeta greco del novecento, Nikos Kavvadias, considerato di «nicchia», ma di indubbia intensità, ha lavorato gran parte della sua vita come marinaio. In una sua poesia recita:
«Resterò sempre ideale e immeritevole amante dei viaggi lontani e dei mari aperti azzurri
e morirò una sera, uguale a tutte le sere, senza attraversare la vaga linea degli orizzonti». [2]
Parla di sé, di Ulisse che è in ognuno di noi, del navigatore che dopo il ritorno a Itaca riprende a remare per andare a morire in Gibilterra – una sera, uguale a tutte le sere-senza attraversare gli orizzonti.
Itaca, scrive Kavafis, «ti ha dato il bel viaggio». La vaga linea degli orizzonti, scrive dopo di lui Kavvadias, ti spinge ad anelare la vita oltre l’ostacolo, così terrificante quanto ingannevole, della morte.

Vivere è respirare profondamente, godere dei profumi respirati, stare nel movimento e nel ritmo del corpo che li respira. Abitare la vita che fa del futuro un viaggio, che assapora la continuità e la discontinuità dell’esistenza. Della vita oltre la morte, del nirvana assoluto, la beatitudine come ultima meta agognata dell’esistenza (il ritorno al grembo materno), resteremo sempre amanti ideali e, per fortuna, immeritevoli. Possiamo meritarci, invece, il pieno vivere che alloggia al di qua della morte. Sentirsi vivi perfino nel momento in cui si muore.
La guerra, la distruzione della propria casa, gli stenti, la mancanza di libertà spingono all’esilio.
Non è la disperazione, tuttavia, bensì il coraggio, il desiderio di vivere, che spinge a sfidare i pericoli del viaggio, la morte.
I migranti non sono suicidi: attraversano le lunghe distese (che anche quando sono fatte di montagne sempre distese di mare sono) per apparire, venire alla luce. E se muoiono a causa della nostra cecità – di sera, nel buio dello sguardo – muoiono da vivi, con accesa la loro piccola fiamma di vita (che tuttavia fa più caldo dei nostri grandi fuochi di parole). Per necessaria simmetria di condicio, noi siamo morti da vivi.
Le infinite ragioni e le complesse spiegazioni del perché questo accade, un alibi, non ci fanno guarire.
Parafrasando Pericle: «Degli sconosciuti che cercano di venire alla luce, spostando lo sguardo dai loro piedi verso l’orizzonte lontano, tutto il mare, la memoria di un’umanità in viaggio, è tomba».

[1] Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 43
ἀνδρῶν γὰρ ἐπιφανῶν πᾶσα γῆ τάφος, καὶ οὐ στηλῶν μόνον ἐν τῇ οἰκείᾳ σημαίνει ἐπιγραφή, ἀλλὰ καὶ ἐν τῇ μὴ προσηκούσῃ ἄγραφος μνήμη παρ’ ἑκάστῳ τῆς γνώμης μᾶλλον ἢ τοῦ ἔργου ἐνδιαιτᾶται.

Infatti, la terra intera è la tomba per gli uomini illustri, e non solo un'iscrizione sulle stele nella loro terra natale li ricorda, ma anche in terra straniera risiede in ognuno un ricordo non scritto, affidato alla mente più che alle cose materiali.

[2] È la prima strofa della poesia Ιδανικός κι ανάξιος εραστής ( Mal du Départ )

[Riccardo Gullotta]


 Solidarietà ad Atene per la Mare Jonio,2019 (foto: Iásonas Apostolópoulos [Ιάσονας Αποστολόπουλος] )
Solidarietà ad Atene per la Mare Jonio,2019 (foto: Iásonas Apostolópoulos [Ιάσονας Αποστολόπουλος] )
Αρμυρό νερό - λαθραία ελπίδα
γλώσσα μου βαριά σαν αλυσίδα
Και για πού τραβώ, για ποιο γκρεμό
για ποια πατρίδα;
Αρμυρό νερό - λαθραία ελπίδα

Και μένουμε κοιτάζοντας να φεύγει σαν μπαλόνι
ζωή που δε μας άξιζε και που δε μας σηκώνει
και ξέφυγ` απ` το χέρι μας κι εκεί ψηλά ανεβαίνει
ζωή που μας βαρέθηκε και δε μας περιμένει.

Σίδερο και βράχος και αγιάζι
σφίγγει το σεντόνι και πλαγιάζει
Να ο ουρανός ο γαλανός
που σου ταιριάζει !
Σίδερο και βράχος και αγιάζι!

Και μένουμε κοιτάζοντας να φεύγει σαν μπαλόνι
ζωή που δε μας άξιζε και που δε μας σηκώνει
και ξέφυγ` απ` το χέρι μας κι εκεί ψηλά ανεβαίνει
ζωή που μας βαρέθηκε και δε μας περιμένει.

Και μένουμε κοιτάζοντας να φεύγει σαν μπαλόνι
ζωή που δε μας άξιζε και που δε μας σηκώνει
και ξέφυγ` απ` το χέρι μας κι εκεί ψηλά ανεβαίνει
ζωή που μας βαρέθηκε και δε μας περιμένει.

inviata da Riccardo Gullotta - 3/11/2020 - 21:53




Lingua: Inglese

English translation / Μετέφρασε στα αγγλικά / Traduzione inglese / Traduction anglaise / Englanninkielinen käännös:
paren8esis
FURTIVE HOPE

Salty water, furtive hope
my language, heavy like a chain
And where I'm heading to, towards which crag
which homeland?

And we stand here, watching life fly away like a baloon
a life that we weren't worth nor fit for
it escaped our grasp and flies high
a life that got bored of us and can't wait anymore

Iron and rock and sharp night
holds tight on the bedsheets and lies down
That's the sky, the blue one
that suits you!

And we stand here, watching life fly away like a baloon
a life that we weren't worth nor fit for
it escaped our grasp and flies high
a life that got bored of us and can't wait anymore.

inviata da Riccardo Gullotta - 3/11/2020 - 21:54




Lingua: Italiano

Traduzione italiana / Μετέφρασε στα ιταλικά / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Gullotta
SPERANZA CLANDESTINA [1]

Acqua salata, speranza clandestina
la lingua pesante come catena.
E dove sto andando, verso quale scogliera,
quale patria?
Acqua salata, speranza clandestina

E noi restiamo qui, a guardare la vita volare via come un palloncino
una vita per la quale non valevamo né eravamo tagliati
ci è sfuggita di mano e sale su, su
una vita che si è stancata di noi e non sa più aspettare

Ferro e roccia e umidità fradicia [2]
Stringi a te le lenzuola e ti corichi
Quello è il cielo, quello blu
quello che fa per te!
Ferro e roccia e umidità fradicia

E noi restiamo qui, a guardare la vita volare via come un palloncino
una vita per la quale non valevamo né eravamo tagliati
ci è sfuggita di mano e sale su, su
una vita che si è stancata di noi e non sa più aspettare

E noi restiamo qui, a guardare la vita volare via come un palloncino
una vita per la quale non valevamo né eravamo tagliati
ci è sfuggita di mano e sale su, su
una vita che si è stancata di noi e non sa più aspettare.
[1] nel testo: λαθραία, che significa anche illegale, di contrabbando

[2] nel testo : αγιάζι

inviata da Riccardo Gullotta - 3/11/2020 - 22:50




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