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Τα βουρκωμένα μάτια μου

Eleni Karaindrou / Ελένη Καραΐνδρου


Eleni Karaindrou / Ελένη Καραΐνδρου

Lista delle versioni e commenti


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(Eleni Karaindrou / Ελένη Καραΐνδρου)



Ta Vourkoména Mátia Mou

[1986]
Tαινία / Film / Movie / Elokuva :

Θόδωρος Αγγελόπουλος [ Theodōros Angelopoulos ]
Ο Μελισσοκόμος / Il volo / The Beekeeper / L’Apiculteur

Στίχοι / Testo / / Lyrics / Paroles / Sanat:
Λευτέρης Παπαδόπουλος [ Lefteris Papadopoulos]

Μουσική / Musica / Music / Musique / Sävel:
Eleni Karaindrou / Ελένη Καραΐνδρου

Ερμηνεία / Interpreti / Performed by / Interprétée par / Laulavat:
Yorgos Dalaras / Γιώργος Νταλάρας

CD: Ο Μελισσοκόμος / The Beekeeper track #12




Il soggetto del film Il volo

Narra di Spyros, un maestro di mezza età, che vive con la famiglia in una cittadina dell’Epiro. Di origine contadina, ha la passione per le api. Il matrimonio della figlia segna una svolta, lo disorienta e lo induce a fare i conti con sé stesso. Abbandona famiglia e scuola, carica le arnie sul camion e inizia un viaggio verso sud, verso i luoghi dell’infanzia, un viaggio senza ritorno.
Durante il viaggio incontra vecchi amici malandati e vicini alla morte, paesaggi desolati e degradati. Incontra una ragazza vagabonda, con interessi giovanili lontani dal suo mondo. Ne nasce un rapporto complesso, tra il bisogno di appartenenza e la paura della dipendenza. L’assurdo esistenziale di una vita di cui avverte tutto il peso lo porta all’ultimo atto. Decide di farla finita straziato dalle api, metafora delle illusioni di una identità inseguita e non raggiunta.
Un critico del cinema, coglie i due aspetti del viaggio, spaziale e temporale. Le premier révèle l'attachement de Spyros à l'antique civilisation homérique ; le second manifeste la temporalité « messianique » mise en œuvre dans le récit [Yannick Lemarié in "Positif - Revue de cinéma"].


La musica

La musica di Eleni Karaindrou è in simbiosi mutualistica con il film. La musicista ha composto le colonne sonore per i film di Angelopoulos dal 1984 in poi. A nostro avviso ciò che ha caratterizzato tale scelta sono soprattutto due fattori: la sua formazione in etnomusicologia e la fusione dei generi. Come etnomusicologa sa cogliere quelle melodie semplici dell’imprinting popolare per sublimarle in un portato di immagini. La sua è una musica che si vede, che si guarda da lontano ma che afferra l’anima. Quanto alla fusione non stupisce che Eleni Karaindrou sia una profonda conoscitrice del jazz e della musica balcanica. Nelle sue colonne sonore l’innesto tra classico e popolare nel senso più autentico, tra ovest ed est, ne fanno quasi un genere a se stante, una sintesi preziosa.
Le parole della canzone proposta sono state scritte da Lefteris Papadopoulos,che ha scritto numerosi testi di canzoni memorabili, vere poesie. A conferire ulteriore espressività alla canzone contribuisce il pathos di Giorgos Dalaras, un’icona delle interpretazioni della musica greca negli ultimi decenni.





Due impressioni sul cinema di Theo Angelopoulos

Tra i tanti riferimenti culturali di Angelopoulos sono manifesti gli echi di Brecht, di Levy-Strauss e di Jung. Con ciò non si vuole dire che non se ne possano cogliere tanti altri, ma questi, a parere di chi scrive, si avvertono con più evidenza. La rappresentazione della Storia attraverso i racconti dei singoli e dei gruppi in via indiretta sfocia nella narrazione di un continuum metastorico. In alcune opere, si pensi ad esempio a La recita, tale straniamento brechtiano è attuato con i temi radicati nella cultura greca quali l’epos omerico. Le suggestioni del mito, il rapporto tra cultura e natura, il senso del viaggio, tema costante delle sue opere, non possono non evocare l’approccio strutturalista del maître à penser Claude Levy-Strauss.

Così come già da La Recita, frequente è la citazione di archetipi junghiani oltre al riferimento ai mitemi dell’antropologia strutturalista. I miti come strumento di comunicazione, linguaggio, appunto, o come dati immutabili, gli archetipi, con cui non è dato interagire. È come se venissero fuori due anime di Angelopoulos. Il saggio di Iga Łomanowska mette in evidenza tali aspetti con notevole rara acutezza. Non si può escludere peraltro, è opinione di chi scrive, che Angelopoulos sia stato sensibile agli ulteriori sviluppi dell’antropologia interpretativa, all’approccio cognitivista, che va oltre gli “universali” simbolici dello strutturalismo di Levy-Strauss per focalizzarsi sui processi ermeneutici delle culture. Quindi Geertz. Non sapremmo dire se il regista ne ebbe cognizione immediata o se la sua semeiotica fu permeata anche da un’indiretta sensibilità a tali ultime urgenze culturali dell'epoca.
I luoghi geografici nei film Angelopoulos hanno una rilevanza che merita una citazione.

For Angelopoulos, the house is a place, which is sought; it is a desirable destination aiming at asserting a precious certainty. In Reconstruction, it is the place of return, which eventually becomes the place of ultimate departure (death). In Alexander the Great, Ulysses’ Gaze, and The Beekeeper [ Il volo] it is the resort of the heroes’ private memory, consolatory and hopeful image; in Voyage to Cythera it is an unfeasible expectation while there are some films in which the house does not exist as a natural place (The Travelling Players, Days of ’36, Landscape in the Mist ). It is present as a metaphor, as the Promised Land in which we never arrive.
[Ειρήνη Στάθη, Χώρος και χρόνος στον κινηματογράφο του Θόδωρου Αγγελόπουλου / Irini Stathi , Chóros kai chrónos ston kinimatográfo tou Thódorou Angelópoulou ]

Il linguaggio filmico di Theo Angelopoulos è inconfondibile. Predilige i piani lunghi e i long-takes al limite di piani-sequenza. D’altronde non potrebbe essere diversamente alla luce di ciò di cui si è accennato. Simmetricamente: da questo suo linguaggio, che non scava con la macchina da presa, non assedia la persona ma osserva, non distaccato, situazioni ed esseri, non può che scaturire una narrazione straniata e simbolica. Queste considerazioni potrebbero far nascere l’impressione errata di un simbolismo al limite dell’astrazione. No, non è così: nulla a che vedere con il formalismo di certi registi dell’Europa dell’Est che fanno del nitore dell’immagine e del simbolismo un leit motiv fine a sé stesso, esprimendosi in uno stile forse impeccabile ma che evoca il profumo assai intenso di un vaso vuoto. Angelopoulos partecipa, e come, alle sofferenze della sua gente, ma lo fa senza andare sopra le righe, forte di una cultura moderna che non può ignorare storia e strutture che sfidano il tempo.

Lo stile di Angelopoulos spiega perché le impressioni dei cinefili vadano da un estremo all’altro: Angelopoulos o appassiona o rimane indigesto, così come accade per il teatro di Brecht o accadeva per le interpretazioni di Carmelo Bene. Chi cerca i film caratterizzati dall’azione dove il montaggio fa la parte del leone, le narrazioni in cui le vicende fanno premio sulle declinazioni e profondità dell’animo o è in cerca di a-storiche escavazioni freudiane farebbe meglio a rivolgersi altrove. Il cinema di Angelopoulos non è per chi cerca narrazioni basate sulla eccitazione del nervo ottico.

A chi fosse interessato ad approfondire il contesto dei film di Angelopoulos in relazione alla sua vita, in modo diretto, si suggerisce la lettura delle interviste raccolte nel libro Theo Angelopoulos: Interviews , ed. University of Mississippi.
Crediamo che non siano molti gli artisti capaci di vedere sé stessi e la propria opera con oggettività e semplicità. Theo Angelopoulos lo ha fatto in una Lectio Magistralis . Desideriamo condividere quella che, a parere di chi scrive, è una perla in termini di testimonianza e occasione per saperne di più su una figura che si staglia come un gigante dell’Olimpo del cinema.



Lectio Magistralis de Theo Angelopoulos, 2006

Le cinéma est entré dans ma vie comme une ombre projetée sur un mur et comme un cri.J’ai commencé à écrire à peu près à la même époque, à cause du trouble et de l’émotion que les récents bouleversements de l’Histoire avaient créés en moi: Les sirène de la guerre de 40,l’entrée de l’armée allemande dans une Athènes déserte [....] Puis la guerre civile en 44. Le massacre. Mon père condamné à mort.La main de ma mère, tremblante dans la mienne, lorsque nous cherchions son cadavre parmi les dizaines d’autres dans un champ.
Longtemps après, un message de lui, venu de loin. Son retour, un jour de pluie.
Premières histoires. Premier contact avec les mots. Des mots qui appellent des images. Mais
à l’époque Je ne savais pas. Je l’ai compris plus tard, quand j’ai écrit le premier mot de mon premier
scénario : «βρέχει, il pleut».
Homère, les grands poètes tragique et la littérature greque classique, occupaient à mon époque, une large part dans nos études. Les mythes antiques nous habitaient et nous les habitions. Nous vivons dans un pays de souvenirs, de vieilles pierres, de statues brisées.L’art grec moderne porte l’emprinte de cette symbiose. Ma démarche, ma pensée ne pouvaient qu’en être nourris [....] Mon rapport à la littérature et à la poésie m’a porté très tôt vers les rechereches linguistiques
et esthétiques du Modernisme. Plus tard à Paris, le Théâtre Epique de Brecht, qui contestait en quelque sorte la definition de l’art dramatique selon Aristote, était devenu la référence essentielle.
Il m’a fallu des années avant de revenir à Aristote et à sa définition de la tragédie: ἔϲτιν οὖν
τραγῳδία μίμηϲιϲ πράξεωϲ ϲπουδαίαϲ καὶ τελείαϲ, «donc la tragédie est l’imitation d’une action de
caractère élevé et complète». Il m’a fallu des années pour découvrir que le long monologue de Molly, dans le dernier chapitre de l’Ulysse de Joyce, n’est autre qu’un lontain écho de la magnifique description des armes d’Achille dans l’Iliade. Un plan séquence [....]
Je me suis inscrit à la Sorbonne. Littérature française, filmologie avec Sadoul et Mitry, que j’ai retrouvés l’année suivante à l’IDHEC, anthropologie avec Levi-Strauss.
Paris, c’etait magique à l’époque. Une ambiance de fête. Des films du monde entier. Les mouvements politiques, les changements, la Nouvelle Vague, le Cinema Novo brésilien, Buñuel,Antonioni. Langlois et la Cinémathèque, l’histoire du cinéma [....]
Mais un accident de parcours a modifié mon chemin. C’était en juillet 64.
L’agitation politique. La jeunesse révoltée. Les rues d’Athénes qui respiraient la contestation
et la chanson. Une charge de la police. Mes lunettes en miettes sur la bitume.
Je suis resté en Grèce pour comprendre et j’y suis tuojours.
La Reconstitution, mon premier film, tourné sous la dictature des colonels c’est une tentative de
recomposer la verité à partir des fragments qui la modèlent. La reconstitution, non comme objectif
mais comme defi. La petite histoire qui se reflète dans l’Histoire avec la grand H, et est déterminée
par elle.
La père comme symbole, présence ou absence, métaphore, point de référence.Le voyage, les frontières, l’exil.La condition humaine.L’éternel retour.
Des thèmes qui me hantaient et me hantent toujours.
Toutes mes obsessions, dans mes films, entrent et sortent commes les instruments d’un
orchestre qui entrent et sortent, se taisent et réapparaissent.
Nous sommes condamnés à vivre avec nos obsessions. On ne fait qu’un seul film, on n’écrit
qu’un seul livre.
Variations et fugue sur un même thème.



Lectio Magistralis di Theo Angelopoulos, 2006

Il cinema è entrato nella mia vita come un’ombra proiettata su un muro e come un grido. Ho cominciato a scrivere più o meno in quell’epoca, a causa dei sommovimenti e delle emozioni che i recenti scossoni della Storia avevano suscitato in me: Le sirene della guerra degli anni quaranta, l’entrata dell’esercito tedesco in un’Atene deserta [....] Poi la guerra civile nel ‘44. Il massacro. Mio padre condannato a morte. La mano di mia madre, tremante nella mia, quando cercavamo il cadavere in mezzo alle dozzine di morti in un campo.
Molto tempo dopo un suo messaggio, venuto da lontano. Il suo ritorno in un giorno di pioggia.
Prime storie. Primo incontro con le parole. Parole che richiamavano immagini. Ma, a quel tempo, non avevo cognizione. L’avrei capito dopo, quando ho scritto la prima parola della mia prima
sceneggiatura: «βρέχει, piove».
Omero, i grandi poeti tragici e la letteratura greca classica occupavano a quel tempo una gran parte
dei nostri studi. I miti antichi abitavano in noi e noi in loro. Noi [Greci] viviamo in un paese di ricordi, di ruderi, di statue sbrecciate. L’arte greca moderna reca l’impronta di tale simbiosi. Il mio percorso, il mio pensiero non potevano non nutrirsene [....]
Il mio rapporto con la letteratura e la poesia mi ha spinto ben presto verso le ricerche linguistiche ed estetiche del Modernismo. Più tardi, a Parigi, il teatro epico di Brecht, che contestava in qualche modo la definizione dell’arte drammatica secondo Aristotele, era diventato il riferimento fondamentale.
Mi ci sono voluti anni per ritornare ad Aristotele e alla sua definizione di tragedia: ἔϲτιν οὖν
τραγῳδία μίμηϲιϲ πράξεωϲ ϲπουδαίαϲ καὶ τελείαϲ, «dunque la tragedia è l’imitazione di un’azione di tono alto e compiuto».
Mi ci sono voluti anni per scoprire che il lungo monologo di Molly, nell’ultimo capitolo
dell’Ulisse di Joyce, non è altro che una lontana eco della descrizione, magnifica, delle armi di
Achille nell’Iliade. (Un piano sequenza) [....]
Mi sono iscritto alla Sorbona. Letteratura francese, filmologia con Sadoul e Mitry (che ho ritrovato l’anno dopo all’IDHEC), antropologia con Lévi-Strauss.
Allora Parigi era magnifica. Un’atmosfera di festa. Film del mondo intero. I movimenti politici, i
cambiamenti, la Nouvelle vague, il Cinema Nôvo brasiliano, Buñuel, Antonioni. Langlois e la
Cinémathèque,la storia del cinema [....]
Un incidente di percorso doveva cambiare il mio cammino. Era il luglio del ’64.
Le agitazioni politiche. I giovani in rivolta. Le strade di Atene che respiravano la contestazione e
la canzone. Una carica della polizia. I miei occhiali in frantumi sull’asfalto.
Sono rimasto in Grecia per capire e lì sto ancora.
La Ricostruzione di un delitto, il mio primo film, girato durante la dittatura dei colonnelli è un
tentativo di ricomporre la verità a partire dei frammenti che la plasmano. La ricostruzione non
come scopo, ma come sfida. La microstoria, mentre si riflette nella Storia con la S maiuscola, da
questa è determinata.
Il padre come simbolo, presenza o assenza, metafora, punto di riferimento. Il viaggio, le frontiere, l’esilio.
La condizione umana. L’eterno ritorno.
Sono questi i temi che allora mi assillavano e mi assillano sempre.
Tutte le mie ossessioni, nei miei film, entrano ed escono come gli strumenti di un’orchestra che
entrano ed escono, tacciono e poi suonano.
Noi siamo condannati a vivere con le nostre ossessioni. Non facciamo che un solo film, non scriviamo
che un solo libro.
Variazioni e fuga su uno stesso tema.



Note sul film

Rispetto ai primi film del regista, quelli della cosiddetta Trilogia della Storia, in cui era la storia di un popolo a fare da protagonista, questo film dà piuttosto risalto al privato, così sembra. Fa parte della Trilogia del Silenzio, preceduto da Viaggio a Citera. Sarà seguito da Paesaggio nella nebbia.
Protagonista è l’individuo che vorrebbe riscattare la propria esistenza, orientarla, percorrerla in modo liberatorio ma invano. Il tono è lirico. Tale è, grosso modo, ciò che rileva la maggior parte delle recensioni nella stampa ad elevata tiratura. Ad una analisi meno affrettata però, la dimensione collettiva traspare, non è affatto assente. Angelopoulos dirà in un’intervista che Spyros era il nome di suo padre.
Citiamo un autorevole webzine che ha colto questa dimensione:

Desperately attempting to connect with the realities of an unfamiliar modern world through a promiscuous, rootless, Western pop culture-addicted young hitchhiker (Nadia Mourouzi) who seems oblivious of the past, Spyros represents the lost generation of Greeks who, like Angelopoulos’ father, have become irrelevant, anecdotal relics within their own country after decades of divisive wars, economic turmoil, and unstable governments.

E ancora:
The film turns into a portrayal of an existential angst where two worlds collide. The beekeeper is an old leftwing activist and the girl a drifter oblivious of the past. The beekeeper’s journey to the South maps a clash between memory and a perpetual present of amnesia. The landscape gradually changes into a mental geography that slowly prepares the beekeeper for his final exit.
[Evangelos Makrygiannakis, The Films of Theo Angelopoulos - University of Edinburgh]


Aggiungiamo una nostra marginale considerazione.
La maggior parte dei film di Angelopoulos sono ambientati in Epiro. La scelta non ci sembra casuale. È una regione che alla povertà del suolo unisce la difficile accessibilità, squassata dall’emigrazione e da storie assai travagliate culminate nella guerra civile del secolo scorso. L’Epiro ha pagato caro sino ai tempi recenti di essere stato dalla parte sbagliata, con l’Eam/Elas. La regione è stata l’ultima in Grecia nella lista degli investimenti per lo sviluppo mentre i suoi abitanti sono stati discriminati nel pubblico impiego. Se teniamo presente le vicende di Spyros Angelopoulos, il padre del regista, dopo la Decembriana del ’44, è più che plausibile che il regista l’Epiro se lo portò dentro per tutta la vita insieme al ricordo vivo di Spyros.
[Riccardo Gullotta]
Μπορεί και να `ναι απ’ τον καπνό
μπορεί κι απ’ τον αγέρα
τα βουρκωμένα μάτια μου
και τούτη η παγωνιά.

Μπορεί και να `ναι απ’ τον καπνό
που θάμπωσε τη μέρα
κι όχι από σένα μάτια μου
που άνοιξες πανιά.

Μπορεί και να `ναι απ’ τον καπνό
μπορεί κι απ’ τον αγέρα
μπορεί κι από τ’ απόδειπνο
το μελαγχολικό.

Μπορεί και να `ναι απ’ τη φωτιά
μπορεί κι από το χιόνι
το δάσος που ρημάχτηκε
και διώχνει τα πουλιά.

Μπορεί και να `ναι απ’ τη φωτιά
που τη ζωή μου ζωνει
κι όχι από σένα μάτια μου
που άλλαξες φωλιά.

Μπορεί και να `ναι απ’ τον καπνό
μπορεί κι απ’ τον αγέρα
μπορεί κι από τ’ απόδειπνο
το μελαγχολικό .

inviata da Riccardo Gullotta - 24/3/2020 - 19:53




Lingua: Italiano

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I MIEI OCCHI VELATI

Forse dipende dal fumo,
forse dipende dal vento,
che i miei occhi siano velati
e che ci sia questo gelo.

Forse dipende dal fumo
che ha offuscato il giorno,
e non da te, occhi miei,
che hai spiegato le vele.

Forse dipende dal fumo,
forse dipende dal vento,
forse dipende dalla fine di questo giorno
malinconico.

Forse dipende dal fuoco,
forse dipende dalla neve,
che il bosco sia devastato,
e scacci gli uccelli.

Forse dipende dal fuoco
che circonda la mia vita,
e non da te, occhi miei,
che hai cambiato nido.

Forse dipende dal fumo,
forse dipende dal vento,
forse dipende dalla fine di questo giorno
malinconico.

inviata da Riccardo Gullotta - 24/3/2020 - 19:55




Lingua: Inglese

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MY MISTY EYES

It might be due to the smoke
or to the air
that my eyes are misty
and this chill around...

It might be due to the smoke
which made the day hazy
and not due to you, my love,
you who set sail...

It might be due to the smoke
or to the air
or to the melancholic
evening...

It might be due to the fire
or to the snow
that the forest was devastated
and throws the birds out...

It might be due to the fire
which surrounds my life
and not due to you, my love,
you who moved to a new nest...

It might be due to the smoke
or to the air
or to the melancholic
evening... 

inviata da Riccardo Gullotta - 24/3/2020 - 19:57




Lingua: Siciliano

Σικελική μετάφραση / Traduzione siciliana / Sicilian translation / Traduction sicilienne / Sisiliankielinen käännös:
Riccardo Gullotta
I ME OCCHI SBINTATI

Capaci ca je ppû fumu,
capaci ca je ppû ventu
ca l’occhi mi currunu
e ca c’è stu ielu.

Capaci ca je ppû fumu
C’ha nfuscat’u jornu
E no ppi ttia, occhi me,
ca isasti i vili.

Capaci ca je ppû fumu,
capaci ca je ppû ventu
capaci ca je ppâ fini di stu jornu
attristatu.

Capaci ca je ppû luci,
capaci ca je ppâ nivi,
ca u voscu je sminnittiatu
e caccia âceddi.

Capaci ca je ppû luci
Ca furria ntunnu a vita me,
E no ppi ttia, occhi mei,
ca cangiasti nidu.

Capaci ca je ppû fumu,
capaci ca je ppû ventu
capaci ca je ppâ fini di stu jornu
attristatu.

inviata da Riccardo Gullotta - 25/3/2020 - 07:40


Non sono un amante del cinema e quindi molto ignorante in materia, ma sono un etnomusicologo e l'intuito di Angelopoulos di accoppiare le immagini dei films con queste musiche fu geniale. E, badate bene, non dico accompagnare. La musica di Eleni è tutto il sangue che sullo schermo non si vede. Ma, anche ascoltata senza immagini, da soli, trasmette una spiritualità propria profondissima. Non a caso uno dei musicisti che talvolta collabora con lei è Jan Garbarek. Inizialmente ha composto anche per altri registi, ricordo un disco di una piccola produzione indipendente per un paio di films di Christophoros Christophis ("Rosa" e "Wandering"). Le sue composizioni hanno sempre respiri larghi e rimandano continuamente al silenzio della neve, al canto degli usignoli, ai fiati suonati nei piccoli villaggi e comunque all'infanzia. La sua, Eleni Karaindrou, la passò a Teichio, nel centro della Grecia, un posto isolato di montagna nella regione denominata Roumeli. Solo quando la sua famiglia si spostò ad Atene, scoprì che esistevano le macchine, l'elettricità, la radio e i films.

Flavio Poltronieri

Flavio Poltronieri - 25/3/2020 - 09:20




Lingua: Francese

Version française – MES YEUX VOILÉS – Marco Valdo M.I. – 2020
d’après les versions italienne et anglaise des Chansons contre la Guerre
d’une chanson grecque – Τα βουρκωμένα μάτια μου (Ta Vourkoména Mátia Mou) – Eleni Karaindrou / Ελένη Καραΐνδρου – 1986
Film : Ο Μελισσοκόμος / L’Apiculteur - Θόδωρος Αγγελόπουλος [ Theodōros Angelopoulos ]
Paroles : Λευτέρης Παπαδόπουλος [ Lefteris Papadopoulos]
Musique : Eleni Karaindrou / Ελένη Καραΐνδρου
Interprète : Yorgos Dalaras / Γιώργος Νταλάρας


Dialogue Maïeutique



Ce soir, il fait déjà bien sombre, Lucien l’âne mon ami, et je manque d’inspiration et vois-tu, je me demande pourquoi.

Oh, dit Lucien l’âne, peut-être est-ce le soleil ou peut-être est-ce ce vent glacial ou peut-être, cet après-midi, ce ciel si calme, cette toile bleue sans aucun nuage, sans aucune trace d’aéronef.

Soit, reprend Marco Valdo M.I., peut-être as-tu raison. Peut-être est-ce mes yeux fatigués ? Ou le coucher du soleil qui assombrit la fin du jour ?

Peut-être, dit Lucien l’âne, est-ce le hibou qui ulule ou la chouette qui vient de déployer ses ailes ? Peut-être est-ce la chauve-souris, petite pipistrelle, qui tournoie au-dessus du lilas et du houx du jardin ? Peut-être est-ce le chat noir qui chasse les oiseaux ?

Ou, Lucien l’âne mon ami, peut-être est-ce Jésus qui tarde à rentrer ? Peut-être est-ce l’ambiance délétère de ces temps infects ? Peut-être est-ce mon humeur de ce soir mélancolique ? Peut-être est-ce la fatigue d’une longue promenade, simplement ? Peut-être est-ce le sommeil qui voile mes yeux ? Peut-être est-ce mon oreille distraite qui écoute le vent ? Peut-être est-ce la perruche criarde qui s’en va à tire d’aile ? Oh, Lucien l’âne mon ami, peut-être est-ce que sais-je, que sais-je, que sais-je encore ? Rien ou si peu, naturellement. Rien ou si peu, peut-être est-ce là la définition même de la vie ?

Va-t’en savoir, Marco Valdo M.I. mon ami. Mais, en vérité, on ne peut continuer ainsi plus longuement, car il nous faut tisser le linceul de ce vieux monde déliquescent, soufflant, ahanant, pestant et cacochyme.

Heureusement !

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane

MES YEUX VOILÉS

C’est peut-être la fumée,
C’est peut-être le vent,
Qui a mes yeux voilés,
Qui a fait ce gel ambiant.

Peut-être est-ce la fumée,
Qui assombrit la journée,
Et non toi, ma toute belle,
Qui as déplié tes ailes.

Peut-être est-ce la fumée,
Peut-être est-ce le vent,
Peut-être cette soirée,
Qui s’en va mélancoliquement ?

Cela dépend du feu ; peut-être,
De la neige ; peut-être,
Des bois dévastés,
Et des oiseaux chassés.

Peut-être est-ce l'incendie
Qui encercle ma vie,
Et non toi, ma toute belle,
Partie à tire d’ailes.

Peut-être est-ce la fumée,
Peut-être est-ce le vent,
Peut-être cette soirée,
Qui s’en va mélancoliquement ?

inviata da Marco Valdo M.I. - 27/3/2020 - 21:47




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