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Tuareg

Agricantus
Lingua: Siciliano


Agricantus

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[1996]
Album : Tuareg

imri1503
Fora diseittu, rintra tanti ciuri
sbattinu 'nto ventu veli imajhiren
strati, terri battuti ri genti senza tempu
tejil, amuri e scantu.

U sali comu l'oru, carriatu supra e spaddi
a to vita appizzata 'nta na uccia r'acqua
I picciriddi cantanu 'ntunnu
casi ri pagghia e fangu
occhi funnuti e nivuri.

A dda banna suiddati appizzanu banneri
testi malati misiru, misiru 'i mura o ventu
na pocu ri paroli ritti senza cchiù amuri
'i mannanu luntanu, 'i vonnu ncatinari
L'occhi stricati abbampanu, p'a rina un si ci viri, u postu runni veni, t'adduni ch'è luntanu

Fujunu si nni vannu, 'i mannanu luntanu
tejil, amuri e scantu.

inviata da Dq82 - 1/10/2019 - 15:41



Lingua: Italiano

Versione italiana di Flavio Poltronieri
TUAREG

Fuori deserto, dentro tanti fiori
sbattono nel vento veli liberi
strade, terre battute da gente senza tempo
bellezza, amore e paura.

Il sale come oro, portato sulle spalle
la tua vita appesa ad una goccia di acqua
bimbi cantano, intorno case
di paglia e fango
occhi profondi e neri.

Altrove soldati appendono bandiere
teste malate hanno innalzato muri al vento
molte parole dette senza più amore
li mandano lontano, li vogliono incatenare
bruciano gli occhi strofinati, per la sabbia non ci si vede
ti accorgi che è lontano il posto da dove vieni.

Fuggono, se ne vanno, li mandano lontano
bellezza, amore e paura

inviata da Flavio Poltronieri - 1/10/2019 - 18:30


TUAREG E CURDI: DUE NAZIONI SENZA STATO IN BILICO TRA SPERANZE DI AUTODETERMINAZIONE E POSSIBILI STRUMENTALIZZAZIONI

Gianni Sartori

Sinceramente. Scrivendo (vedi: https://ogzero.org/il-deserto-diventa-...) che in fondo i tuareg si potevano considerare come i curdi dell’Africa, intendevo solo cogliere, suggerire un’analogia. Tra due popoli, due Nazioni senza Stato, i cui territori ancestrali (Kurdistan e Azawad) erano stati egualmente frantumati, divisi tra vari Stati. Niente altro. Ovviamente per entrambi si registravano periodiche ribellioni e lotte di liberazione, ma dall’esito piuttosto incerto. Comunque non mi aspettavo che si profilasse una sorta di scenario- fotocopia come quello che si intravede (almeno come possibilità) nei recenti sviluppi. Riassumendo in breve: il progressivo scollamento di alcuni stati del Sahel (tra cui quelli dove vivono e si spostano i Tuareg, il Mali in particolare) dall’ex potenza coloniale francese, una serie di colpi di stato e la penetrante presenza della Russia, sia per via diplomatica che militare (vedi i contractor della Wagner).

Con il sostegno di Mosca a regimi che possiamo definire genericamente populisti (sia in chiave anticoloniale che anti-jihadista), forse anche “sovranisti” e sicuramente militarizzati, autoritari. Scontata l’analogia con la Siria e il governo, non esattamente liberale, di Damasco.

Dove i curdi del nord e dell'est del Paese si son visti costretti dalle circostanza storiche (tra cui il rischio concreto di genocidio) ad allearsi con gli Stati Uniti (ma non in posizione subalterna) contro Daesh.

Se tanto mi da tanto, la visita di alcuni leader tuareg a Roma potrebbe costituire il preludio di uno scenario se non proprio identico, perlomeno simile.

E forse l’indicazione di venirne a discuterne in quel di Roma invece che a Parigi è stata suggerita dallo stesso governo francese. Non solo perché è lecito sospettare che dei tuareg i nostri esponenti politici in realtà ne capiscano una beata mazza. Ma perché in questi frangenti (vista il crollo di popolarità dell’Esagono nei territori del Sahel) poteva risultare inopportuno, controproducente. Soprattutto per i tuareg.

Ricordo che dopo un iniziale coinvolgimento con alcune forze jihadiste (un errore frutto di inesperienza compiuto dalle milizie tuareg “sul terreno” e immediatamente condannato dai leader in esilio), una parte dei tuareg aveva anche collaborato con l’operazione Barkhane.

Quindi ricapitolando.

Un Paese (o più di uno, come in Medio oriente) invaso e saccheggiato da bande jihadiste (anche se qui non si tratta della versione locale di Daesh - o almeno non solo - ma soprattutto di emanazioni di Al Qaeda); un governo autoritario, ma non in grado di stroncare tale minaccia (non
da solo almeno); la Russia che fornisce assistenza militare; le vecchie potenze colonialiste-imperialiste che in qualche modo cercano di mantenere le loro posizioni (o di rientrare nella partita); un gruppo indipendentista, espressione di una popolazione indigena da sempre calpestata e strumentalizzata che - in cambio di qualche garanzia o promesse di autodeterminazione - si oppone alle milizie islamiste (fornendo i combattenti sul terreno e pagando un alto prezzo in vite umane) esercitando nel contempo una certa pressione sul governo centrale e garantendo indirettamente il mantenimento di una presenza europea.

Nel Sahel sostanzialmente della Francia, magari sotto la copertura italiana.
Nel caso del Mali (e forse anche del Niger) un esperimento da manuale direi.

Troppo semplice? Forse (anche perché resta da stabilire a chi attribuire il ruolo di potenza regionale - sub imperialista - assunto dalla Turchia), ma è comunque la prima cosa a cui ho pensato leggendo dell’arrivo a Roma (ufficialmente per “riavvicinare i ribelli a Bamako”, la capitale) di alcuni leader dei movimenti tuareg.

Tra cui ci sarebbero (condizionale d’obbligo) membri di spicco del Movimento per la liberazione dell’Azawad, della milizia Ganda Izo (“Suono della Terra”, ex Ganda Koy) e del Gruppo di autodifesa dei Tuareg.

Ovviamente c’è anche qualche bella differenza. Con tutto il rispetto per i tuareg, credo che il movimento di liberazione curdo sia ben più attrezzato per non farsi strumentalizzare. Sia per il livello di organizzazione e partecipazione raggiunto (anche sul piano militare), sia per il progetto politico e sociale che si sta applicando in Rojava: il Confederalismo democratico.

Chissà. Potrebbe fornire ai tuareg un esempio da seguire, da applicare un domani anche nel Sahel…

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 1/2/2022 - 17:50




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