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À la musique

Evgen Kirjuhel
Lingua: Francese


Evgen Kirjuhel

Lista delle versioni e commenti


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[1986]
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Poème d'Arthur Rimbaud (1870)
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Musica / Musique / Music / Sävel: Evgen Kirjuhel
Album / Albumi 12 poèmes en langue française



1. Poiché non si è mai tanto seri quando si ha diciassette anni, m'immagino un diciassettenne. Un ragazzo nato nel 2002, che poi fanno diciassette anni fa; ecco, io, in qualche giorno di quell'anno quando quel ragazzo nasceva, mi sono ritrovato nella Place de la Gare di Charleville-Mézières. Un paio di volte, di sicuro; la prima per acquistare un biglietto ferroviario, e la seconda per prendere un treno. Del resto, che cosa ci si va a fare, a una stazione ferroviaria e nella relativa piazza? Insomma, mica per controllare se per caso esista ancora un kiosque à musique ottocentesco, in mezzo al giardino pubblico, dove si sistemava l'orchestra o la banda militare e suonava per allietare le passeggiate pomeridiane dei borghesi e delle loro famigliuole. Esisteva, esisteva eccome; proprio quel chiosco là, elegante ammasso di ferraglia ben tenuta e coccolata, quasi fosse una specie di monumento. Lo è, del resto. E' lo stesso chiosco dove, nella primavera del 1870, era passato un ragazzino che, di anni, non ne aveva ancora sedici. Un ragazzino del posto, nato il 20 ottobre 1854 da tale Frédéric Rimbaud, un borgognone che faceva il capitano di fanteria, e da Vitalie Cuif, una ragazza di undici anni più giovane. Si chiamava Jean Nicolas Arthur, ma lo si conosce soltanto come Arthur. Arthur Rimbaud, per sempre il Ragazzo di Charleville.

Diciassette anni fa io, invece, di anni ne avevo trentanove. Non ero in gita turistica a Charleville; diciamo che c'ero per un motivo ben preciso e del tutto personale, in quel 2002 di confusioni estreme, di disfacimenti e di rifacimenti. Era un giorno di quella cosa che, da quelle parti, chiamano estate, e stavo per tornare brevemente in Italia. Col treno. Davanti al chiosco, mi venne un po' da ripensare -e come non farlo?- a quando diciassette anni li avevo io; a diciassette anni è possibile leggere ancora poesie (e scriverle, ohimé), e leggere poesie a diciassette anni vuol dire Arthur Rimbaud. Non si scampa. Non ci sono cristi. Quel che aveva scritto quel coetaneo di un secolo prima (allora, era poco più di un secolo prima...) nella sua breve stagione, era parte necessaria del bagaglio adolescenziale, o perlomeno del bagaglio di certi adolescenti che stavano vivendo, in un modo o nell'altro, la loro breve stagione fatta di buffe, goffe, splendenti unicherie. Avevo non uno, ma due libri con le poesie di Rimbaud; su uno di essi, un tascabile Garzanti, mi ero fatto fare le firme di tutti gli amici e amiche possibili e immaginabili, firme, disegnini, Filippo che firmava all'incontrario come Leonardo Da Vinci (è diventato un notissimo fisico nucleare), l'Ornella che disegnava romantici tramonti con la barchetta a vela...e vabbè, lasciamo stare. Ed eccomi là, quasi quarantenne nel 2002, davanti al chiosco di À la musique. Tra tutte le cittadine francesi possibili e immaginabili, a un certo punto la sorte mi aveva spinto proprio là; non solo. Si può anche essere a Charleville senza dover andare in piazza della Stazione, e invece io ci dovevo andare.

Il sedicenne Arthur Rimbaud, che come tutti i sedicenni scriveva poesie, dalla piazza della Stazione di Charleville è possibile che ci passasse tutti i giorni o quasi; ci passava sicuramente per un paio di cose molto sedicènniche, tremendamente sedicennesche. Prendere per il culo borghesi di provincia, militari e conformisti a passeggio, e andare a spogliare con gli occhi le ragazzine, le servette e, magari, anche qualche sposa un po' più grande. Ci andava ad opporre il mondo degli adolescenti a quello degli adulti, in quella primavera del Secondo Impero; a ridicolizzare un mondo di borghesi grandi, medi e piccoli di una soffocante cittadina che disprezzava e che lo disprezzava, e che ora tributa onori al “figlio prediletto” dato che, ogni cento persone al mondo che conoscono sia pure il nome di Charleville, novantanove lo conoscono per lui. La caricatura del borghese è, senz'altro, un topos letterario molto diffuso, e lo era ancor più in quella Francia autentico tripudio della borghesia dell'epoca di Napoleone III. Però, sotto gli occhi del ragazzino di Charleville, tutto questo non è un topos: è una cronaca. Un reportage precississimo, una descrizione minuziosa che produce davvero l'impressione della cosa vista in diretta. E' il ritratto di una società intera con le sue figure, con le sue musiche militari e patriottiche, con il suo decoro (perniciosa parola non a caso tornata prepotentemente di moda adesso); di una società che sta per andare borghesemente e tronfiamente allo sfacelo della guerra, di lì a pochi mesi. 1870. Sta per arrivare quella che è stata definita una delle guerre più imbecilli della storia, e certo non ne mancano. E mentre la Francia del “presidente” Luigi Napoleone Bonaparte, che si era fatto “imperatore” grazie a un colpo di stato sanguinoso il 2 dicembre 1851, si accinge a crollare rovinosamente, un sedicenne passa davanti a un chiosco da musica davanti alla stazione di Charleville, e fissa tutto quel mondo, mettendolo in ridicolo mentre espleta al tempo stesso il suo naturale compito di sensualità giovanile, stracolmo di cose indiscrete (altresì detto: fa il maiale con le ragazze).

Ci sarebbe stata la guerra. Ci sarebbe stato il disfacimento. Ci sarebbero state le peregrinazioni a piedi di quel ragazzo, la sua fuga costante dall'oppressione, le sue visioni, le stagioni all'inferno, i battelli ebbri, i dormienti nella valle. Ci sarebbe stata la Parigi in rovina e in assedio dove vagava morente un'altro giovane poeta sconosciuto, Isidore Ducasse. Ci sarebbero state la Comune e la Settimana di Sangue. Ma, nella primavera del 1870, il sedicenne di Charleville non lo sapeva ancora. Lo intuiva, forse, davanti al chiosco dove suonava l'orchestrina del Reggimento per intrattenere i passeggi e forgiar lo spirito della Patria con le marcette e i motivi. Nel frattempo, descriveva e toccava culi, per non dir di peggio. Di questa sua descrizione esistono due redazioni, o meglio: due versioni col verso finale differente. Almeno in Italia, è perlopiù diffusa quella comunicata a Georges Izambard, col verso finale un po' edulcorato: Et je sens les baisers qui me viennent aux lèvres... (“E sento i baci salirmi alle labbra...”). La versione comunicata a Paul Demeny parla di désirs brutaux, altro che baci.


2. Ora, però, potrebbe sorgere una legittima domanda in chi si ritrovi a leggere questa cosa. Come mai tutta questa pagina dedicata, senza fraintendimenti, a À la musique di Arthur Rimbaud, poesia tra le più celebri dell'intera letteratura francese, è attribuita a tale “Evgen Kirjuhel”? Presto detto. Evgen Kirjuhel è un tizio che l'ha messa in musica. Ha fatto, in pratica, come un altro tizio che ha messo in musica delle poesie di Rimbaud (come Les assis): un certo Léo Ferré. In questo sito, è vero, non sappiamo mai deciderci bene a chi attribuire le pagine; così, tra gli autori figura anche Arthur Rimbaud in proprio, noto paroliere francese del XIX secolo autore di diverse canzonette di successo per cantanti vari. Tra cui, appunto, per il sig. Jean-Frédéric Brossard, nato parigino il 28 luglio 1939 e diventàtosi bretone, troubadour, musicista in francese e brezhoneg, arpista, jazzista, cultore di Brassens e Django Reinhardt, cantautore engagé passato poi alla musica greca (ha messo in musica e cantato in greco antico brani dell'Odissea omerica). Tra queste mille e duecento cose che ha fatto e continua a fare conosciuto da pochi intimi e da Flavio Poltronieri (su questo non nutro il benché minimo dubbio), ecco appunto il passaggio del ragazzo di Charleville in piazza della Stazione. Si trova in un album del 1986 dedicato alla poesia francese, 12 poèmes en langue française, cantato nella versione dei “desideri brutali” comunicata da Rimbaud a Paul Demeny e alla quale noialtri adolescenti italiani non siamo abituati. Probabilmente, il pretesto per l'attribuzione della pagina a Kirjuhel risiede anche in questo, oltre al fatto che “manipola” un po' la poesia rendendola canzone con la ripetizione arbitraria di qualche verso del testo (qui riportato fedelmente in corsivo). Un altro evidente pretesto è, naturalmente, infilare finalmente Evgen Kirjuhel tra gli autori del sito e cercare di reperirne altre canzoni (non è semplice); il perché lo si capirà meglio, prima o poi. Intanto, si goda questa canzone che ritengo degnissima di nota e di rispetto, l'avessi conosciuta in quel giorno d'estate quando andavo a comprare il biglietto del treno e sostavo davanti al chiosco della piazza. Non si è mai tanto seri quando si ha diciassette anni, figurarsi a trentanove. E a quasi cinquantasei, tra un paio di giorni. [RV]


Place de la Gare, à Charleville.

Sur la place taillée en mesquines pelouses,
Square où tout est correct, les arbres et les fleurs,
Tous les bourgeois poussifs qu’étranglent les chaleurs
Portent, les jeudis soirs, leurs bêtises jalouses.

– L’orchestre militaire, au milieu du jardin,
Balance ses schakos dans la Valse des fifres:
Autour, aux premiers rangs, parade le gandin;
Le notaire pend à ses breloques à chiffres.

Des rentiers à lorgnons soulignent tous les couacs:
Les gros bureaux bouffis traînant leurs grosses dames
Auprès desquelles vont, officieux cornacs,
Celles dont les volants ont des airs de réclames;
Celles dont les volants ont des airs de réclames.

Sur les bancs verts, des clubs d’épiciers retraités
Qui tisonnent le sable avec leur canne à pomme,
Fort sérieusement discutent les traités,
Puis prisent en argent, et reprennent: » En somme!… «

Épatant sur son banc les rondeurs de ses reins,
Un bourgeois à boutons clairs, bedaine flamande,
Savoure son onnaing d’où le tabac par brins
Déborde – vous savez, c’est de la contrebande; –

Le long des gazons verts ricanent les voyous;
Et, rendus amoureux par le chant des trombones,
Très naïfs, et fumant des roses, les pioupious
Caressent les bébés pour enjôler les bonnes,
Caressent les bébés pour enjôler les bonnes...

– Moi, je suis, débraillé comme un étudiant,
Sous les marronniers verts les alertes fillettes:
Elles le savent bien; et tournent en riant,
Vers moi, leurs yeux tout pleins de choses indiscrètes.

Je ne dis pas un mot: je regarde toujours
La chair de leurs cous blancs brodés de mèches folles,
Je suis, sous le corsage et les frêles atours,
Le dos divin après la courbe des épaules.

J’ai bientôt déniché la bottine, le bas…
– Je reconstruis les corps, brûlé de belles fièvres.
Elles me trouvent drôle et se parlent tout bas…
- Et mes désirs brutaux s'accrochent à leurs lèvres,
Et mes désirs brutaux s'accrochent à leurs lèvres.

inviata da Riccardo Venturi - 23/9/2019 - 01:43



Lingua: Italiano

Versione italiana / Version italienne / Italian version / Italiankielinen versio

Le versioni italiane della poesia di Arthur Rimbaud sono ovviamente molte. In Rete è assai presente quella che segue, della quale però l'autore non è indicato (continueremo ovviamente a ricercarlo). La versione segue il testo della poesia comunicato a Georges Izambard (v. introduzione).
ALLA MUSICA

Piazza della Stazione, a Charleville


Sulla piazza suddivisa in striminzite aiuole,
Dove tutto è corretto, gli alberi e i fiori,
Gli asmatici borghesi soffocati dall'afa,
Portano, il giovedì sera, le loro stupide invidie.

- L'orchestra militare, in mezzo al giardino,
Dondola i suoi chepì nel Valzer dei pifferi:
- Intorno, in prima fila, si pavoneggia il damerino;
Il notaio pende dai suoi ciondoli cifrati:

I possidenti cogli occhialini sottolineano le stecche:
I grossi burocrati trascinano le loro grasse signore
Accanto a loro vanno, cornac ufficiosi
Quelle con i falpalà dall'aria di réclame;

Sulle panchine verdi, i droghieri in pensione
Smuovono la ghiaia col bastoncino a pomo,
Discutendo i trattati molto seriamente,
Tabaccano dall'argento, e riattaccano: "Insomma!..."

Stravaccando sulla panca le rotondità dei loro fianchi,
Un borghese coi bottoni chiari, il pancione fiammingo,
Gusta la sua pipa, da cui il tabacco in fili
Trabocca - sapete, è roba di contrabbando; -

Lungo le verdi aiuole ridacchiano i bulli;
E, resi sentimentali dal canto dei tromboni,
Molto ingenui, fumando rose, i soldatini
Carezzano i neonati per adescar le serve…

- Ed io, io seguo trasandato come uno studente,
Sotto i castagni verdi le sveglie ragazzine:
Loro lo sanno bene e volgono ridendo
Verso di me, i loro occhi pieni di cose indiscrete.

Non dico una parola: guardo soltanto
La pelle dei loro bianchi colli ricamati da folli ciocche:
Seguo, sotto il corsetto e i fronzoli leggeri
La schiena divina sotto la curva delle spalle.

Ben presto ho scovato lo stivaletto, la calza…
- Ricostruisco i corpi, arso da bella febbre.
Loro mi trovano buffo e parlottano sommesse…
- E io sento i baci che mi salgono alle labbra… [1]

[1] Nella versione comunicata a Paul Demeny: "E i miei desideri brutali si attaccano alle loro labbra..."

inviata da Riccardo Venturi - 23/9/2019 - 21:46


Riccardo mi tira in ballo e stavolta è un ballo di corte regale. Kirjuhel è mio fratello. Abbiamo condiviso poesia e musica, la Bretagna profonda e Yunus Emre, ho curato personalmente le traduzioni in italiano per il libretto del suo disco dedicato ai poeti francesi (tra cui ovviamente anche questa), sono stato molte volte a Parigi ospite a casa sua lui e a Pravins dove la moglie Isabelle produce Beaujolais biologico, ho nel mio archivio interi dischi inediti tra cui uno dedicato alla malattia mentale composto a Berlino, ho tradotto nel mio volume Koroll Ar C'Hleze l'intero suo disperato, psicanalitico canzoniere (in buona parte però consacrato anche alle lotte sociali di operai e contadini bretoni degli anni 70). E anche se, nel mio disincanto attuale, sono perfettamente cosciente che di tutto ciò che ho sintetizzato qui sopra non importa niente a nessuno, mi onoro della sua amicizia. Conservo gelosamente le numerose lettere che mi ha scritto nel corso degli anni passati e sono ancora in contatto con lui. I suoi LP sono una istituzione per me, soprattutto i primi volumi che lui si autoproduceva sotto l'etichetta Droug che significa Collera in bretone.

PS Quella raffigurata qui sopra non è la copertina originale dell'LP ma una edizione CD più recente.

"Ciascuno di noi vuole tacere come Enea i suoi disastri..ciascuno ha la sua Regina dell'interiore, imperiosa e tenera, per la quale compone lo spettacolo disperato e voluttuoso della sua discesa agli inferi...e sicuramente esiste da qualche parte l'orecchio che ascolta il canto che spesso è la sua sola ragione di essere, anche se lanciato nel deserto."

Flavio Poltronieri

Flavio Poltronieri - 23/9/2019 - 18:48


Caro Flav Kadorvrec'her, sapevo di andare a colpo sicuro. Un parigino che si fa il Maggio '68, diventa bretone a stretto contatto con Glenmor (ma, a proposito, hai conosciuto bene pure lui?!?), mette in musica e canta Rimbaud e Verlaine e poi si trasferisce in Grecia per mettere in musica e cantare Omero non poteva, prima o poi, che approdare qua dentro (e immagino che la cosa sarebbe garbata parecchio anche a Gian Piero Testa, a cui per l'occasione avrei decretato un nome bretone – Yann-Ber Penn ovviamente, dopo averlo trasformato a suo tempo in Ιωάννης Πέτρος Κεφαλάκης). E pensare, poi, che Kirjuhel lo avevamo qua dentro da anni senza praticamente saperlo: l'autore, in piena rivolta del Maggio, di Ah, le joli mois de Mai à Paris!‎, scritta interamente per il “Théâtre de l'Épée de Bois” ancorché cantata da Vania Adrien Sens. Questa era sfuggita a tutti e due, sebbene il buon BB (allora ancora “Dead End”) lo avesse indicato chiaramente. “Motu proprio” gliela ho quindi attribuita (a Kirjuhel, non a BB!), mi spiace per il Teatro della Spada di Legno che è ancora attivo (fin dal 1965) ma non si poteva fare altrimenti (e ne è saltata fuori anche una ristrutturazione completa della relativa pagina, persino con grossi addentellati giapponesi). Ho letto le tue precisazioni kirjuheliane con grande piacere e, devo dirti, senza nessuno stupore; ripeto, ero certo della tua frequentazione profonda del suddetto (così come, oramai, sono certo anche del fatto che tu abbia servito nell'armata di Nevenoe nel IX secolo e che tu abbia assistito alla decapitazione di Pontkalleg). Il problema ora è questo: specialmente la prima produzione di Kirjuhel meriterebbe di essere inserita copiosamente nel sito, ma non si trova pressoché niente in Rete. Qui puoi intervenire solamente tu, a tua discrezione e con i tuoi tempi ovviamente. Figuriamoci se qua dentro facciamo questione di tempi, abituati come siamo a riprendere pagine e pagine dopo cinque, dieci, quindici anni. Ti ringrazio comunque in anticipo!

Riccardo Venturi - 24/9/2019 - 12:00


No, non ho conosciuto Glenmor. Ho molte informazioni sul suo percorso e la sua straordinaria importanza ma nulla di più.

A riguardo l'inserimento del materiale concernente Kirjuhel nel sito, come sai, io ho tradotto tutta l'opera cantata ma questo moltissimi anni fa, non dico quando c'era il calamaio, comunque molto prima dell'avvento del computer, se un giorno qualche matto dedicherà la vita a digitalizzare il mio archivio, bene....altrimenti il diluvio universale spazzerà via tutto e amen!

Flavio Poltronieri - 26/9/2019 - 22:06


Cerco lavoro
Astenersi perditempo :-)))))))))))
Krzyś

k - 28/9/2019 - 02:43


Cari Riccardo e Flavio,

vi segnalo questa pagina dedicata "Que la fête commence…", film diretto nel 1975 da Bertrand Tavernier.
Come certo voi già sapete - io è la prima volta che ne leggo e non ho nemmeno mia visto il film - la pellicola è dedicata alla conspiration de Pontcallec del 1718-20.
Nella pagina ci sono i link al brano "Gwerz marv Pontkallek (complainte de la mort de Pontcallec)", interpretato da Gilles Servat, dalla colonna sonora del film, e quello al testo in bretone e in francese.

A voi valutare se possa essere contribuito sulle CCG/AWS.

Saluti

B.B. - 27/2/2020 - 17:40


Certo,
è uno dei brani più conosciuti dalla Piccola Bretagna. Tutti lo hanno interpretato, Stivell, Servat, Tri Yann, il calzolaio e la sua nipotina, il fattorino del panettiere e il figlio dello stalliere, una specie di inno nazionale. Il testo di questo meraviglioso gwerz viene dal Barzaz Breiz e narra della decapitazione nel 1720 a Nantes di questo marchese amatissimo in Bretagna.

"Traditore, ah, maledetto!!"

Flavio Poltronieri - 27/2/2020 - 20:08




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