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Alturas

Inti-Illimani
Lingua: Strumentale


Inti-Illimani

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[1973]
Música / Musica / Music / Musique / Sävel: Horacio Salinas
Album / Albumi:
a) Canto de pueblos Andinos vol. 1, Chile Odeon 1973
b) [In Italy] Viva Chile!, I Dischi Dello Zodiaco, VPA 8175, 1973

Inti-Illimani, 1973.
Inti-Illimani, 1973.
Io credo che, a 50 anni di distanza, se a qualcuno -perlomeno di un'età non propriamente adolescenziale- viene canticchiata / fischiettata / picchiettata con le dita anche solo qualche nota di questo brano musicale, scatti perlomeno qualcosa dentro; qualche ricordo, qualche emozione, qualche rivedersi pischello nei cortei che squassavano tutta l'Italia e mezzo mondo in quei giorni del '73. Io ai cortei non ci andai, ero troppo piccolo (avevo 10 anni allora); ma la mattina dell'11 settembre 1973 me la ricordo come fosse ora, all'Isola d'Elba in casa mia. Era una mattinata grigia, e tutti davanti a una vecchia televisione, zitti, di quelle in bianco e nero con lo stabilizzatore per avviarla. Il commentatore che diceva: “Le forze armate hanno ingiunto al presidente Allende di dimettersi. Al suo rifiuto, hanno fatto intervenire l'aviazione”. In piazza per il Cile ci sono andato per la prima volta non molto tempo dopo, però; il 15 settembre 1974, l'anno dopo, ero al concerto degli Inti-Illimani in piazza della Signoria, a Firenze, in mezzo a una marea umana (c'è chi dice centocinquantamila persone, anche se mi è sempre parso esagerato).

Alturas la si sentiva già da un po'; non solo in Italia, dov'era diventata la sigla di un noto programma radiofonico, L'altro suono, dov'era passata in televisione (a tarda sera, in un altro programma che mi ricordo con gli Inti-Illimani in formazione allineata e coi ponchos di ordinanza), dove la si sentiva praticamente ovunque perché gli “Inti”, quell'undici settembre, erano rimasti bloccati in Italia durante una tournée e stavano visitando -sembra- i Musei Vaticani a Roma. Ci sono rimasti per anni e anni in Italia; d'accordo, El pueblo unido, che pure la cantavano gli “Inti” anche se era dei Quilapayún; d'accordo, la “canzone-simbolo” è quella e nessuno le leva il posto. Solo che “El pueblo” ci aveva delle parole, in spagnolo, e bisognava impararle. E così si sentivano (e si sentono ancora) dei Pueblos unidos cantati con accento fiorentino (“I' pueblo uniho hamàs serà vensido”), romanesco (“Er puebblo unido giamà seravvenzìdo!”), sardo, molisano, genovese eccetera. Alturas è un brano strumentale e faceva perfettamente la sua funzione di “sigla”. Sigla non solo di programmi radiofonici e televisivi in quel periodo di mobilitazione generalizzata (quella era, con buonapace del PCI berlingueriano, terrorizzato dal Cile e pronto anche per questo a vari “compromessi storici”), ma sigla stessa degli Inti-Illimani (non solo in Italia) e, mi sia consentito dirlo, della Resistenza cilena in musica tout-court.

Alturas aveva quel suono “andino” che, in quel periodo, incontrava la presa psicologica e emozionale e la associava automaticamente al golpe, al bombardamento della Moneda, a Víctor Jara massacrato nello stadio, agli studenti in piazza. Era andino e bisognava che fosse, ovviamente, “popolare”, per forza, venuto dal fondo di una cultura millenaria (la cultura è sempre “millenaria”) e dai recessi di forre a quattromila metri di altezza, di lama e di silenziose ombre umane con la bombetta e con la quena. Effettivamente, e lo si vede dal titolo stesso, il brano evoca le alte montagne delle Ande (“alturas” significa proprio quello); ciononostante, c'erano degli intellettuali e profondissimi conoscitori della lingua spagnola che intendevano convincere, iddìo solo sa perché, che il titolo volesse dire “Circostanze” (a estas alturas vuol dire, grosso modo, “a questo punto”), facendone addirittura una metafora storica. Invece il brano non era affatto “popolare” e evocava montagne e nient'altro che montagne: lo aveva composto interamente Horacio Salinas, certamente su motivi popolari e con la strumentazione tipica, ma in quello stesso 1973. Fa parte originariamente dell'album Cantos de pueblos andinos vol. 1 pubblicato in quel disgraziato anno dalla Odeon Chile; in Italia, però, sempre nel 1973 e dopo il golpe fu approntato in fretta e furia dai “Dischi dello Zodiaco” il primo album nostrano, il famoso “Viva Chile!” che, in realtà, è un'antologia. Si apriva con la Fiesta de San Benito (titolo che in Italia suscitò un po' di humour nero); seguiva poi un brano autenticamente tradizionale, Longuita, veniva poi la Canción del poder popular (“Si nuestra tierra nos pide...”; la canzone della campagna elettorale di Allende nel 1970) e, infine, quarta traccia, Alturas, con la sua zampoña. Il disco fu pubblicato in: Italia, Germania Ovest, Germania Est, Brasile, Colombia, Messico, Perù, Spagna, Portogallo (dopo il 25 aprile 1974), Francia, Olanda, Ungheria, Ecuador, Venezuela (il paese di Pinochet secondo Di Maio), Australia, Giappone e persino negli USA. Nell'interno recava l'ultimo discorso di Allende alla radio prima di morire, e la famosa poesia di Rafael Alberti, Al Presidente del Cile Salvador Allende (“No los creáis”...); c'erano i testi delle canzoni con la traduzione italiana di Ignazio Delogu e, se ben ricordo, anche quella in inglese. Vendette un visibilio di copie, credo che per qualche settimana si ritrovò addirittura in cima alla Hit Parade. Vado a memoria perché il disco in vinile l'ho sempre e soltanto visto, mai posseduto; in casa mia si faceva con le stereocassette, dove i testi ovviamente non c'erano. Non ci capivo niente, le imparavo e cantavo “a suono” e fu così che, a dieci o undici anni, decisi di imparare lo spagnolo. Da mio fratello mi feci regalare una grammatichetta (di tale Erasmo Jocundo Bughÿ, con la dieresi sulla “y”) e un dizionario, che ancora ho. Lo spagnolo, però, non lo ho mai imparato bene, almeno secondo il mio particolare e non esportabile concetto di cosa significhi imparare una lingua. Come dico sempre, quando devo parlare spagnolo, me lo invento.

E così, Alturas è diventato, pure lui, una specie di inno, di simbolo, di icona. Sopravvissuto a tutto, anche agli Inti-Illimani stessi. Nel 1977 se ne fece un singolo, quando già gli Inti-Illimani stavano declinando di successo e s'era già innestata verso di loro una sorta di rifiuto, in alcuni casi parecchio "blasé"; eppure ebbe successo pure quello, lui, quel singolo. Vennero Moro, la lotta armata, il riflusso, gli anni '80, le esternazioni al vetriolo di Lucio Dalla (e pure di Vecchioni), gli “Inti” poterono tornare in Cile col loro equipaje del destierro, finì la dittatura militare, l'edonismo reaganiano, i paninari, i mondiali di Spagna e quant'altro. Da qualche parte, però, Alturas non ne voleva sapere di svanire con la sua zampogna e i sikus; e quel che convogliava non erano montagne, ma carri armati e gente rifugiata nelle ambasciate di Santiago, che scalava quei muri di cinta come fossero, appunto, montagne, per sfuggire all'arresto, alla morte, alla deportazione. Sono passati 50 anni oggi. Certo, e lo ripeto, a qualcuno risuonerà facilmente in testa; potrebbe esserci, però, qualcuno che non sa neppure che cosa sia, non necessariamente un ragazzino. Così, nel dubbio, eccolo qua. Proprio oggi. Giorgio Gaber diceva di essere andato, certo, qualche volta anche lui ai concerti degli Inti-Illimani. "Però non ho pianto", aggiungeva. Di sicuro, uno che aveva sposato Ombretta Colli era rotto a tutto. Naturalmente, non intendo far piangere nessuno, per quel che mi riguarda; ci mancherebbe. Ma, ci scommetto quel che volete, sono sicuro che, quando la sentite, o risentite, vi alzate almeno in piedi (se siete a sedere, va da sé). [RV]

inviata da Riccardo Venturi - 11/9/2019 - 13:20


Caro R, sottoscrivo tutto. Con l'aggravante che io ai cortei ci andavo eccome, allora nessuno lo sapeva che non servivano praticamente a niente e che il gioco era truccato dall'inizio alla fine. Avere quell'età negli anni 70 fu bellissimo. Però, anche se con le parole non me la cavo male, non saprei descriverlo a chi non c'era. Quando ho provato è uscita solo poesia come se qualcuno descrivesse a me la preistoria. Conservo ancora qualche amico di allora che brancola nel buio dell'oggi come me. E allora: Alturas!

Flavio Poltronieri - 11/9/2019 - 17:57


Anch'io la ricordo molto bene, è bellissima!

Fabio - 15/9/2019 - 17:40


Io avevo otto anni e ad un grande corteo contro il golpe in Cile ci andai con mio padre. Mi ricordo che lui mi portava in spalla perchè io potessi vedere qualcosa in mezzo a quella moltitudine... Io, per parte mia, come tutti, scandivo a squarciagola e a pugno chiuso lo slogan "CICILE LIBERO!"... Mio padre mi comprò anche un ritratto di Allende ad un banchetto del PSI...

Mi spiegarono solo dopo che il paese si chiamava Cile e che "Ci-Cile libero!" era per facilitare lo slogan...

Quando tornai a casa feci subito un pugno chiuso con il DAS, la pasta per modellare che allora usavamo tutti noi bambini... Però feci il pollice all'interno delle dita, perchè farlo sovrapposto era troppo difficile per me...

Alturas del Cicile...

B.B. - 15/9/2019 - 21:56


Caro BB, erano anni intensi e strazianti, come già avevo lasciato intuire qui.

Il gruppo era arrivato a Roma il 3 o il 4 di settembre proveniente dal Vietnam (nel sud del quale, al momento del loro soggiorno, la guerra non era ancora terminata), poi si spostò a Milano per esibirsi alla Festa dell'Unità e incidere tra l'8 e il 9 questo LP "Viva Chile!" per la casa discografica Vedette (più precisamente per "I Dischi della Zodiaco" cioè la sua sezione dedicata alla "musica del mondo"). Quindi il polso e lo spirito della registrazione sono antecedenti alla tragedia. Il giorno 10 fecero ritorno a Roma e l'11, visto che non avevano impegni, andarono a visitare la Basilica di San Pietro in Vaticano e mentre erano lì, verso le 14 o le 15, uno dei loro accompagnatori italiani li informò che era successa una cosa terribile:la Moneda bombardata e Allende morto durante il colpo di stato. Il giorno seguente migliaia di persone si radunarono in Piazza dei Santisssimi Apostoli. Giancarlo Pajetta (che all'epoca era il responsabile agli esteri del PCI) disse loro: "Ragazzi, questo è un golpe fascista. Passerà molto tempo prima che possiate tornare in Cile e finchè non succederà, l'Italia sarà casa vostra. Restate a Roma dove avrete una casa dove vivere con le vostre famiglie."

Flavio Poltronieri - 16/9/2019 - 18:34


Oggi li avrebbero ributtati a mare... Battute a parte, la mia resistenza a comprendere le posizioni di chi avversa gli immigrati con odio, scherno o ragionamenti apparentemente logici (ma che poi, scava e scava, tutto odio è), viene proprio dall'aver vissuto quegli anni (anche se un po' dopo). L'esule era sacro, l'esule fuggiva dalla repressione, dalla violenza, da una vita insicura; l'esule portava un mondo con sé, e racconti, e profumi di terre lontane, parlava un' altra lingua e vestiva la mia di musicalità sconosciute. Aveva negli occhi un'eco di tristezza, anche quando rideva.
Non c'era internet e l'universo non era a portata di clic: ci arrivava in casa con i racconti dei viaggiatori, e con le lacrime degli esuli.
E poi anche mio nonno era stato un migrante, ma questa è ancora un'altra storia.

Maria cristina Costantini - 19/11/2019 - 19:47


Cara, stai parlando della preistoria. Scusa, a novembre fa un po' freddo, torno nella Cuevas de la Araña...

Flavio Poltronieri - 19/11/2019 - 20:13


Maria Cristina, hai detto il vero nel modo più bello.
Come si fa a disarmare tanto odio?
Io non lo so, io vorrei solo che sparissero, l'odio e i suoi profeti, e invece si rafforzano sempre, come gli uragani, le inondazioni, gli incendi... si vede che il riscaldamento globale brucia anche le menti e i cuori...

B.B. - 20/11/2019 - 00:53


E intanto, come dice Flavio, fa sempre più freddo...

Maria Cristina - 20/11/2019 - 10:18


Questo è l'unico sito dove si può trasbordare bellamente e impunemente dalle tragedie sociali a quelle interiori, dagli Inti Illimani a Ciampi...d'altra parte come non concordare con...."le finestre non sono tutte uguali e anche le porte hanno un'anima" e poi lo diceva anche il sommo Atahualpa: "Mis flores son de verano pero adentro llevo inviernos"

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Nada - come faceva freddo (1974) mix esibizioni tv

Flavio Poltronieri - 20/11/2019 - 10:58


Così l'amministrazione Nixon favorì il golpe in Cile: i documenti desecretati 50 anni dopo il governo Allende
di Daniele Mastrogiacomo, Repubblica Online, 13-11-2020

L'Nsa ha diffuso trascrizioni di colloqui e appunti che raccontano la strategia messa in atto dagli Stati Uniti per destabilizzare il leader socialista: "Se c'è un modo per spodestarlo, bisogna farlo"

Adesso è chiaro il ruolo degli Stati Uniti nel golpe di Pinochet in Cile. Non si tratta più di ipotesi, di tesi probabili sorrette da una convinzione dominante durante e dopo i 17 anni della più feroce dittatura militare del secolo scorso. È scritto nero su bianco. Lo confermano migliaia di documenti, trascrizioni, appunti, brogliacci, indicazioni, suggerimenti che fanno parte del file "Politica sul Cile".

Cinquant'anni dopo l'elezione a presidente di Salvador Allende (5 novembre 1970) la Nsa, la madre di tutte le agenzie di intelligence statunitensi, li ha desecretati e messi a disposizione del pubblico. Raccontano come, chi e in quali tempi attivò una fine strategia che non esponesse gli Usa a una condanna internazionale per un'interferenza considerata grave, visto che Allende era stato eletto in una libera e democratica elezione, ma agisse assediando in tanti modi il primo governo marxista in America Latina. Golpe in testa. Quegli scritti sono anche la testimonianza diretta di un intervento, una scelta politica e strategica decisiva per il successo di Augusto Pinochet.

La strategia Usa

Lo scopo era logorare ai fianchi l'uomo che aveva osato rompere il controllo Usa sull'America Latina con un progetto politico nuovo e diverso. Boicottarlo con pressioni sulle principali multinazionali affinché abbandonassero il Paese, facendo crollare il prezzo del rame, tra i principali prodotti esportati dal Cile, esasperando una popolazione che si trovava senza più aiuti e spinta verso l'abisso della povertà. Fare di tutto per affossarlo. Fu soprattutto Henry Kissinger, all'epoca (1969-1974) segretario alla Sicurezza nazionale, a sollecitare il presidente Richard Nixon per una linea d'intervento più diretta, poco condivisa dagli altri consiglieri della Casa Bianca favorevoli invece a quella che fu chiamata la "Strategia del modus vivendi": appoggiare i partiti dell'opposizione cilena, di centro e di destra, in vista delle elezioni che si sarebbero tenute nel 1976.

Le trascrizioni degli appunti sulle convulse riunioni che seguirono l'ascesa di un governo socialista in Cile, tratteggiano la serie di manovre di Kissinger per incontrare da solo Nixon prima che si vedesse l'intero Consiglio della sicurezza nazionale. Convocato alla Casa Bianca per il 5 novembre, il segretario riuscì a posticiparlo di 24 ore. Nel frattempo fece di tutto per vedersi di persona con il presidente per aggiornarlo sulla situazione in Cile e prospettargli in modo chiaro quello che andava fatto. Era Nixon a dover decidere, alla fine. L'importante era che decidesse "bene", senza farsi convincere dalla linea morbida e prudente degli altri. Secondo quanto redatto dal funzionario che annunciava lo spostamento della riunione, Kissinger avrebbe avvertito: "Il Cile finirà per essere il peggior disastro della nostra Amministrazione: sarà la nostra Cuba del 1972".

Kissinger convince Nixon

Aveva fissato un principio. Adesso bisognava solo superare le obiezioni degli altri componenti del Consiglio di sicurezza e gli inviti a non esporsi con interferenze che sarebbero state condannate a livello mondiale. Non restava altro che convincere il capo. L'incontro decisivo avviene nello Studio Ovale. Per un'ora Kissinger si trova da solo con Nixon. Gli illustra uno studio dettagliato che suggerisce una linea aggressiva di lunga durata nei confronti del governo Allende.

"Nell'arco di sei mesi-un anno", avverte Kissinger, "gli effetti di questa svolta marxista andranno oltre le relazioni tra Usa e Cile". Il riferimento era all'incubo comunista, all'influenza della via cilena al socialismo. "Uno degli esempi più vistosi", insiste il massimo consigliere della Casa Bianca, "è l'impatto che avrà in altre parti del mondo, specialmente in Italia. La propagazione emulativa di fenomeni simili in altri luoghi a sua volta colpirà in modo significativo l'equilibrio mondiale e la nostra stessa sfera di influenza".

Nixon si fa convincere. Non tutti sapevano che, un anno prima, aveva già chiesto alla Cia di attivarsi per mettere a punto, in gran segreto, un golpe preventivo per evitare l'arrivo di Allende alla guida del Cile. Ma ognuno era ormai cosciente che la riunione si sarebbe svolta sulla base di un assunto preciso: l'elezione democratica del leader cileno e la sua agenda socialista per un cambio sostanziale minacciavano gli interessi degli Stati Uniti.

La riunione del Consiglio di sicurezza

Il Consiglio di sicurezza si riunisce finalmente il 6 novembre. Emergono subito le posizioni diverse. Il segretario di Stato William Rogers si oppone a una aggressione evidente. "Possiamo debilitarlo, in caso, senza essere controproducenti", suggerisce. Il segretario alla Difesa, Melvin Laird, si mostra più deciso: "Dobbiamo fare di tutto per danneggiarlo e poi farlo crollare". Il direttore della Cia, Richard Helms, conviene. Mostra un documento in cui si vede che Allende ha vinto di stretta misura e che il suo gabinetto è formato da "militanti della linea dura", che dimostra "la determinazione dei socialisti di affermare la loro politica più radicale sin dal principio".

Tutti, alla fine, tacciono e guardano Nixon. Si volta anche Kissinger che resta in attesa. "Se c'è un modo di rovesciare Allende, è meglio farlo", ordina il presidente. La frase è riportata nei documenti oggi declassificati. Detto e fatto. Si sa come andò a finire. Il lento logorio economico, il Paese assediato dagli scioperi, le minacce continue, il sollevamento dei militari guidati proprio da chi aveva avuto la fiducia di Allende. Augusto Pinochet non si fece scrupoli. Aveva avuto il via libera. I carri armati per le vie di Santiago, il bombardamento della Moneda, le fiamme, il presidente che resiste elmetto in testa e fucile automatico, la sua morte, le retate, gli stadi riempiti con migliaia di simpatizzanti, le sparizioni, le torture, le fucilazioni di massa. Il terrore fino al 1990.

Riccardo Venturi in isolamento - 13/11/2020 - 11:19


Quello che sapevano anche i sassi, Repubblica lo acclara dopo 47 anni... Tra 47 anni, forse, ci diranno che Guaidó era a libro paga...

L.L. - 13/11/2020 - 20:18


ragazzi, sono più vecchio e quindi c'ero, a piangere con gli Inti Illimani, a piangere per Victor Jara e Allende e per tutto il popolo cileno, che ci aveva regalato anche Violeta Parra.
Ma poi, qualche anno fa (forse il 2018) mi sono trovato a un concerto degli Inti vicino Torino. Eravamo pochi e non tutti sessantenni come me, capii che l'aria, almeno tra noi, era quella di una volta e con la musica di Alturas abbiamo di nuovo goduto e pianto.
Poi ci fu El pueblo e, senza dirci nulla, le prime file di noi partirono verso il palco, con il pugno chiuso e levato verso la libertà (hacia la libertad). Poco dopo eravamo tutti così.
Un monito, specie ora che abbiamo al governo quel che mai ci saremmo aspettati.
Svegliati Italia

germano capurri - 2/12/2022 - 13:05




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