Lassù sulle montagne
Vive il partigiano
Con il fucile in mano
Il fucile in mano
Pronto i tedeschi
Ad affrontar.
Mentre la Stura scorre
Il partigiano veglia
Sente rombar lontano
Lontan lontano
Sente il rombare
Di cento motor
E' la colonna che arriva
Con i carri armati e cannoni
Tedeschi per i valloni
Per i valloni
I nostri posti
Vanno attaccar
E quando scende la sera
Ritorna la colonna
Han tutti la faccia nera
Per le batoste
Dei partigian
E la Seconda Banda
Lassù sulle alte cime
Sente il suo capitan:
"Ancura 'n pochi
I n'uma vuidà"
Ma la banda risponde:
Ancor non è finita
Finchè avremo vita
Avremo vita
Ancora tanti
Ne ammazzerem
Vive il partigiano
Con il fucile in mano
Il fucile in mano
Pronto i tedeschi
Ad affrontar.
Mentre la Stura scorre
Il partigiano veglia
Sente rombar lontano
Lontan lontano
Sente il rombare
Di cento motor
E' la colonna che arriva
Con i carri armati e cannoni
Tedeschi per i valloni
Per i valloni
I nostri posti
Vanno attaccar
E quando scende la sera
Ritorna la colonna
Han tutti la faccia nera
Per le batoste
Dei partigian
E la Seconda Banda
Lassù sulle alte cime
Sente il suo capitan:
"Ancura 'n pochi
I n'uma vuidà"
Ma la banda risponde:
Ancor non è finita
Finchè avremo vita
Avremo vita
Ancora tanti
Ne ammazzerem
inviata da gianfranco - 31/7/2019 - 15:44
L'articolo "Le Canzoni Partigiane" è pubblicato sul n.65, Agosto 2019, della riviata MARITTIME, che trovate all'indirizzo rivista.marittime@libero.it e che ha sede in Borgo San Dalmazzo (CN), cittadina posta all'imbocco della Valle Stura di Demonte.
Sono presentati i testi delle seguenti canzoni :
LA VEGLIA DEL PARTIGIANO (questa pagina)
Viva la Valle Gesso
Addio valle Roja
Il lamento del Partigiano
oltre al seguente ringraziamento:
Un particolare ringraziamento va a Gigi Garelli, Direttore dell'Istituto Storico della Resistenza di Cuneo per la collaborazione offerta.
Sono presentati i testi delle seguenti canzoni :
LA VEGLIA DEL PARTIGIANO (questa pagina)
Viva la Valle Gesso
Addio valle Roja
Il lamento del Partigiano
oltre al seguente ringraziamento:
Un particolare ringraziamento va a Gigi Garelli, Direttore dell'Istituto Storico della Resistenza di Cuneo per la collaborazione offerta.
gianfranco - 1/8/2019 - 18:23
Appunti partigiani
Dalla lettura del testo di Mauro Fantino penso si possano dedurre diversi elementi, il primo che provo ad analizzare è quello relativo a come e dove questi canti venivano "intonati"…
Ora, per ovvie ragioni, non tutti i partigiani cantavano: non quelli di area cittadina (gap e sap) non quelli in zone limitrofe al nemico, a rischio di identificazione, ma certamente le formazioni di montagna in fase di trasferimento, fuori della portata di tedeschi e repubblichini, o durante le soste serali, davanti al fuoco del bivacco o nei "casoni", almeno così si legge nella scarsa documentazione, relativa ad un argomento (quello dei canti) considerato sempre marginale, come del resto il canto popolare, e poco "virile" rispetto alla lotta armata.
Vorrei anche provare a distinguere fra i "canti partigiani" ossia cantati dai partigiani durante il periodo bellico e quelli successivi al 25 aprile, che logicamente sono "quasi" gli stessi. I primi sono canti di lotta e di speranza (il sol dell'avvenir) i secondi non possono che risentire dell'aria del dopoguerra, della disillusione delle speranze tradite, già allora di un clima di cui ancor oggi respiriamo l'aria avvelenata. La speranza diventa rimpianto della gioventù passata sui monti, se pur tra tante difficoltà e paure. Il canto si trasforma? Ora tutti le possono cantare, le canzoni nate sulle montagne, senza pericolo, per farsene bottino elettorale.
Le rare esecuzioni con strumenti, poco inclini alla montagna, ora diventano la prassi, si vede dalla copertina della ristampa del libretto di "Panfilo", con fisarmonica e altri… strumenti. Ma inizia la censura e le rappresaglie, questa volta non a colpi di mitra ma di carte bollate. Anche le canzoni si evolvono, pur continuando, almeno ai primi tempi a restare "in bianco e nero". Molte scompaiono, merito anche delle bande che le eseguono durante le cerimonie e manifestazioni: non sono adatte quelle derivate da celebri canzonette, che, eseguite per soli strumenti, male si addicono alla serietà del momento.
Anche l'inno nazionale, tanto vituperato sia dai fasci anteguerra che da Salò, fa la sua riapparsa, non certo cantato sui monti da giovani che conoscevano solo inni fascisti e canzonette.
Comincia la sua ascesa, per motivi che ben conosciamo, tale "Bella Ciao", figlia di Incertopadre.
Vorrei anche ricordare le incisioni, prima su 78 poi su 33 giri, destinate a diffondere le canzoni fuori della ristretta cerchia e a sostituire le voci dal vivo.
Ora inizia una nuova fase, "a colori", laddove il canto viene rimpiazzato dalla riproposta da parte delle nuove leve di musicisti.
Vengono rievocati fatti, episodi, protagonisti, i nuovi dischi (CD) ripropongono in veste rock le nuove e vecchie canzoni in modo più consono per i battaglieri "nuovi partigiani", ma tutto questo esula dai miei interessi, mi resta il dubbio che le vecchie originali canzoni restino seppellite sotto la nuova valanga di suoni.
Dalla lettura del testo di Mauro Fantino penso si possano dedurre diversi elementi, il primo che provo ad analizzare è quello relativo a come e dove questi canti venivano "intonati"…
Ora, per ovvie ragioni, non tutti i partigiani cantavano: non quelli di area cittadina (gap e sap) non quelli in zone limitrofe al nemico, a rischio di identificazione, ma certamente le formazioni di montagna in fase di trasferimento, fuori della portata di tedeschi e repubblichini, o durante le soste serali, davanti al fuoco del bivacco o nei "casoni", almeno così si legge nella scarsa documentazione, relativa ad un argomento (quello dei canti) considerato sempre marginale, come del resto il canto popolare, e poco "virile" rispetto alla lotta armata.
Vorrei anche provare a distinguere fra i "canti partigiani" ossia cantati dai partigiani durante il periodo bellico e quelli successivi al 25 aprile, che logicamente sono "quasi" gli stessi. I primi sono canti di lotta e di speranza (il sol dell'avvenir) i secondi non possono che risentire dell'aria del dopoguerra, della disillusione delle speranze tradite, già allora di un clima di cui ancor oggi respiriamo l'aria avvelenata. La speranza diventa rimpianto della gioventù passata sui monti, se pur tra tante difficoltà e paure. Il canto si trasforma? Ora tutti le possono cantare, le canzoni nate sulle montagne, senza pericolo, per farsene bottino elettorale.
Le rare esecuzioni con strumenti, poco inclini alla montagna, ora diventano la prassi, si vede dalla copertina della ristampa del libretto di "Panfilo", con fisarmonica e altri… strumenti. Ma inizia la censura e le rappresaglie, questa volta non a colpi di mitra ma di carte bollate. Anche le canzoni si evolvono, pur continuando, almeno ai primi tempi a restare "in bianco e nero". Molte scompaiono, merito anche delle bande che le eseguono durante le cerimonie e manifestazioni: non sono adatte quelle derivate da celebri canzonette, che, eseguite per soli strumenti, male si addicono alla serietà del momento.
Anche l'inno nazionale, tanto vituperato sia dai fasci anteguerra che da Salò, fa la sua riapparsa, non certo cantato sui monti da giovani che conoscevano solo inni fascisti e canzonette.
Comincia la sua ascesa, per motivi che ben conosciamo, tale "Bella Ciao", figlia di Incertopadre.
Vorrei anche ricordare le incisioni, prima su 78 poi su 33 giri, destinate a diffondere le canzoni fuori della ristretta cerchia e a sostituire le voci dal vivo.
Ora inizia una nuova fase, "a colori", laddove il canto viene rimpiazzato dalla riproposta da parte delle nuove leve di musicisti.
Vengono rievocati fatti, episodi, protagonisti, i nuovi dischi (CD) ripropongono in veste rock le nuove e vecchie canzoni in modo più consono per i battaglieri "nuovi partigiani", ma tutto questo esula dai miei interessi, mi resta il dubbio che le vecchie originali canzoni restino seppellite sotto la nuova valanga di suoni.
gianfranco - 8/8/2019 - 15:55
Le formazioni partigiane
Un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi brevemente è quello della relazione fra il canto partigiano e la composizione delle formazioni partigiane, per le quali, (pur non avendo mai avuto occasione di approfondire) immagino che oltre ad una discreto numero di persone di varia provenienza (1) in ogni gruppo fosse presente un nucleo omogeneo di una certa consistenza, che in qualche modo lo caratterizzava, come appunto per le valli del Cuneese, in cui i nuclei principali derivavano, lo vediamo oltre, dalla IV Armata in rotta dalla Provenza del Sud.
Quindi, nelle limitate cognizioni dei giovani del periodo (2) per i quali, la cultura musicale si limitava a quei brani conosciuti nelle rare occasioni di socializzazione, quali appunto il periodo militare o "naja" per i nostri Partigiani, su questi motivi venivano scritti i nuovi testi, essendo impossibile in quelle condizioni, riuscire a scrivere sia nuovi testi che nuove musiche, per le quali, sarebbe poi mancata la diffusione, mancando la possibilità di leggerne lo spartito musicale oltre che l'abilità nella composizione…
Di conseguenza i canti sono per queste zone, tutti di origine alpina.
NOTE:
(1) passanti, residenti, contadini di giorno e partigiani di notte, militari o civili, ex prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento, tedeschi e russi disertori della Wermacht, giovani di leva sfuggiti ai bandi Graziani, mamme e ragazze al seguito dei fidanzati partigiani, suore, frati e sacerdoti con compito di cappellani e infermieri ed altre diecimila categorie…
Non ultimo un minimo di interscambio, per altrettanto infiniti motivi, fra le formazioni partigiane e quelle della repubblica: scriveva Aldo Quaranta, capo partigiano della Val Gesso, che, nelle lunghe veglie serali, i canti dei contadini, la nostalgia di casa e i dolci sguardi delle ragazze avevano falcidiato le file delle formazioni fasciste. (molto più che le armi dei Partigiani)
(2) il livello di istruzione medio era della quarta elementare per giovani provenienti dai monti o dalle officine della città, non giovava certo la presenza di un regime autoritario, la conoscenza della musica si limitava a sapere quante erano le sette note; pochi sapevano suonare (ad orecchio) mancavano quasi del tutto apparecchi radio per la diffusione, nell'anteguerra, delle notizie, giradischi e registratori non si sapeva neppure cosa fossero; internet, era al di fuori delle più spiccate immaginazioni o incubi notturni.
Lo sfacelo della 4.a Armata
Vediamo ora da dove proveniva il nerbo delle formazioni cuneesi.
All'otto settembre le truppe italiane della IV Armata erano in fase di spostamento dalla zona francese, che per precedenti accordi, passava proprio in quei giorni sotto controllo tedesco. Oltre centomila soldati stavano quindi rientrando in patria, logicamente a piedi attraverso i difficoltosi valichi alpini di alta quota.
Ai soldati che stavano transitando dal passo del colle della Finestra e del colle Ciriegia si erano aggregati oltre un migliaio di civili, uomini, donne bambini e vecchi, profughi che fuggivano dalle persecuzioni razziali dei tedeschi. La maggior parte di loro proveniva dai paesi dell'Est, si erano rifugiati nella Provenza meridionale, sotto controllo italiano, fidando nella benevolenza dello stato maggiore che (fosse solo per ripicca nei confronti dello scomodo alleato), li aveva protetti fino a che la zona era stata di loro competenza. Ora, passando la Provenza sotto controllo tedesco, continuava la fuga iniziata tre o quattro anni prima.
Dopo la faticosa traversata, con abiti estivi e scarpette inadatte alla montagna, a quota 2500 metri, aiutati dai volenterosi soldati alpini, i fuggiaschi trovavano ad aspettarli le camionette dei tedeschi che li rinchiudevano nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo. Metà circa riuscivano a scappare (1), aiutati prima da Don Viale poi dalle poverissime popolazioni locali. Per gli altri il treno per Auschwitz con lungo viaggio attraverso la Francia, con tappa a Parigi.
Don Raimondo Viale è il "prete giusto" cui Nuto Revelli dedica il libro omonimo. Pestato a sangue dai fascisti a inizio guerra per aver citato dal pulpito la frase di Benedetto XV : "L'inutile strage", tornato dal confino, si dedica al salvataggio dei "Giudei", destinandoli in parte alle cascine delle valli dove vengono accolti fraternamente dai poverissimi contadini che rischiano, se non la vita, almeno l'incendio della cascina. In parte li invia a Genova dove li attende Don Francesco Repetto, il segretario del cardinale Boetto, che li manda in Palestina.
Anche i soldati, che appresa la notizia dell'armistizio avevano gettato le armi, a fondo valle trovano i tedeschi ad aspettarli: sbandati, senza ordini e disarmati vengono caricati sui soliti carri bestiame e spediti verso il Brennero. Quelli più fortunati torneranno, a guerra finita, (2) la storia degli IMI la conosciamo o almeno dovrebbero insegnarla a scuola.
Non tutti i soldati si arrendono, quelli restanti, con qualche ufficiale al comando, cercano di ricostruire il disciolto regio esercito, permanendo la tattica della guerra di posizione (3), con effetti disastrosi. Risultato: i comandanti vengono sostituiti con altri più preparati alla nuova strategia della guerriglia, imparata sui campi di Russia, di Grecia, se non nella guerra di Spagna.
Anche le iniziali unità combattenti si sciolgono per formare le Brigate Garibaldine o quelle di Giustizia e Libertà, quelli che restano vengono chiamati "badogliani" termine poco onorevole. La guerra partigiana si sviluppa in prevalenza sui monti, in forma quasi sempre difensiva, rare le puntate in pianura. Frequenti i rastrellamenti e le incursioni della Wehrmacht, specie all'approssimarsi del fronte di guerra (4).
La resistenza avrà il suo apice con le formazione delle repubbliche partigiane, estate '44, poi torna alla difensiva fino alla primavera del '45.
NOTE
(1) vedi il bel libro "nella notte straniera" di Alberto Cavaglion
(2) vedi : "Diario Clandestino" di Giovannino Guareschi
(3) un episodio che mi ha colpito, la battaglia di Boves, quando i carri armati tedeschi sulla strada per Castellar vengono bloccati da un unico "fortunato" colpo di cannone sparato da Ignazio Vian.
(4) la vicinanza del fronte è determinante per la sorte delle popolazioni civili vittime delle stragi naziste aventi lo scopo di fare "terra bruciata" per una eventuale ritirata delle loro truppe. A questo si somma la presenza di truppe e comandanti nazisti particolarmente feroci,come il comandante Peiper, già noto per i fatti dell'hotel Meina, la strage di Boves, poi lo ritroviamo per i crimini di guerra nelle Ardenne. Inoltre la recrudescenza della rappresaglia tedesca coincide con lo sbarco alleato nella vicina Provenza.
08-08-2019 gianfranco
Un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi brevemente è quello della relazione fra il canto partigiano e la composizione delle formazioni partigiane, per le quali, (pur non avendo mai avuto occasione di approfondire) immagino che oltre ad una discreto numero di persone di varia provenienza (1) in ogni gruppo fosse presente un nucleo omogeneo di una certa consistenza, che in qualche modo lo caratterizzava, come appunto per le valli del Cuneese, in cui i nuclei principali derivavano, lo vediamo oltre, dalla IV Armata in rotta dalla Provenza del Sud.
Quindi, nelle limitate cognizioni dei giovani del periodo (2) per i quali, la cultura musicale si limitava a quei brani conosciuti nelle rare occasioni di socializzazione, quali appunto il periodo militare o "naja" per i nostri Partigiani, su questi motivi venivano scritti i nuovi testi, essendo impossibile in quelle condizioni, riuscire a scrivere sia nuovi testi che nuove musiche, per le quali, sarebbe poi mancata la diffusione, mancando la possibilità di leggerne lo spartito musicale oltre che l'abilità nella composizione…
Di conseguenza i canti sono per queste zone, tutti di origine alpina.
NOTE:
(1) passanti, residenti, contadini di giorno e partigiani di notte, militari o civili, ex prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento, tedeschi e russi disertori della Wermacht, giovani di leva sfuggiti ai bandi Graziani, mamme e ragazze al seguito dei fidanzati partigiani, suore, frati e sacerdoti con compito di cappellani e infermieri ed altre diecimila categorie…
Non ultimo un minimo di interscambio, per altrettanto infiniti motivi, fra le formazioni partigiane e quelle della repubblica: scriveva Aldo Quaranta, capo partigiano della Val Gesso, che, nelle lunghe veglie serali, i canti dei contadini, la nostalgia di casa e i dolci sguardi delle ragazze avevano falcidiato le file delle formazioni fasciste. (molto più che le armi dei Partigiani)
(2) il livello di istruzione medio era della quarta elementare per giovani provenienti dai monti o dalle officine della città, non giovava certo la presenza di un regime autoritario, la conoscenza della musica si limitava a sapere quante erano le sette note; pochi sapevano suonare (ad orecchio) mancavano quasi del tutto apparecchi radio per la diffusione, nell'anteguerra, delle notizie, giradischi e registratori non si sapeva neppure cosa fossero; internet, era al di fuori delle più spiccate immaginazioni o incubi notturni.
Lo sfacelo della 4.a Armata
Vediamo ora da dove proveniva il nerbo delle formazioni cuneesi.
All'otto settembre le truppe italiane della IV Armata erano in fase di spostamento dalla zona francese, che per precedenti accordi, passava proprio in quei giorni sotto controllo tedesco. Oltre centomila soldati stavano quindi rientrando in patria, logicamente a piedi attraverso i difficoltosi valichi alpini di alta quota.
Ai soldati che stavano transitando dal passo del colle della Finestra e del colle Ciriegia si erano aggregati oltre un migliaio di civili, uomini, donne bambini e vecchi, profughi che fuggivano dalle persecuzioni razziali dei tedeschi. La maggior parte di loro proveniva dai paesi dell'Est, si erano rifugiati nella Provenza meridionale, sotto controllo italiano, fidando nella benevolenza dello stato maggiore che (fosse solo per ripicca nei confronti dello scomodo alleato), li aveva protetti fino a che la zona era stata di loro competenza. Ora, passando la Provenza sotto controllo tedesco, continuava la fuga iniziata tre o quattro anni prima.
Dopo la faticosa traversata, con abiti estivi e scarpette inadatte alla montagna, a quota 2500 metri, aiutati dai volenterosi soldati alpini, i fuggiaschi trovavano ad aspettarli le camionette dei tedeschi che li rinchiudevano nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo. Metà circa riuscivano a scappare (1), aiutati prima da Don Viale poi dalle poverissime popolazioni locali. Per gli altri il treno per Auschwitz con lungo viaggio attraverso la Francia, con tappa a Parigi.
Don Raimondo Viale è il "prete giusto" cui Nuto Revelli dedica il libro omonimo. Pestato a sangue dai fascisti a inizio guerra per aver citato dal pulpito la frase di Benedetto XV : "L'inutile strage", tornato dal confino, si dedica al salvataggio dei "Giudei", destinandoli in parte alle cascine delle valli dove vengono accolti fraternamente dai poverissimi contadini che rischiano, se non la vita, almeno l'incendio della cascina. In parte li invia a Genova dove li attende Don Francesco Repetto, il segretario del cardinale Boetto, che li manda in Palestina.
Anche i soldati, che appresa la notizia dell'armistizio avevano gettato le armi, a fondo valle trovano i tedeschi ad aspettarli: sbandati, senza ordini e disarmati vengono caricati sui soliti carri bestiame e spediti verso il Brennero. Quelli più fortunati torneranno, a guerra finita, (2) la storia degli IMI la conosciamo o almeno dovrebbero insegnarla a scuola.
Non tutti i soldati si arrendono, quelli restanti, con qualche ufficiale al comando, cercano di ricostruire il disciolto regio esercito, permanendo la tattica della guerra di posizione (3), con effetti disastrosi. Risultato: i comandanti vengono sostituiti con altri più preparati alla nuova strategia della guerriglia, imparata sui campi di Russia, di Grecia, se non nella guerra di Spagna.
Anche le iniziali unità combattenti si sciolgono per formare le Brigate Garibaldine o quelle di Giustizia e Libertà, quelli che restano vengono chiamati "badogliani" termine poco onorevole. La guerra partigiana si sviluppa in prevalenza sui monti, in forma quasi sempre difensiva, rare le puntate in pianura. Frequenti i rastrellamenti e le incursioni della Wehrmacht, specie all'approssimarsi del fronte di guerra (4).
La resistenza avrà il suo apice con le formazione delle repubbliche partigiane, estate '44, poi torna alla difensiva fino alla primavera del '45.
NOTE
(1) vedi il bel libro "nella notte straniera" di Alberto Cavaglion
(2) vedi : "Diario Clandestino" di Giovannino Guareschi
(3) un episodio che mi ha colpito, la battaglia di Boves, quando i carri armati tedeschi sulla strada per Castellar vengono bloccati da un unico "fortunato" colpo di cannone sparato da Ignazio Vian.
(4) la vicinanza del fronte è determinante per la sorte delle popolazioni civili vittime delle stragi naziste aventi lo scopo di fare "terra bruciata" per una eventuale ritirata delle loro truppe. A questo si somma la presenza di truppe e comandanti nazisti particolarmente feroci,come il comandante Peiper, già noto per i fatti dell'hotel Meina, la strage di Boves, poi lo ritroviamo per i crimini di guerra nelle Ardenne. Inoltre la recrudescenza della rappresaglia tedesca coincide con lo sbarco alleato nella vicina Provenza.
08-08-2019 gianfranco
gianfranco - 8/8/2019 - 16:17
Arturo Felici, editore partigiano
Una via di Cuneo porta il nome di Arturo Felici, il cui libretto di canti partigiani mi è stato inviato in questi giorni da Mauro Fantino e che ho provveduto a digitalizzare, per cui il relativo file PDF è a disposizione di chi fosse interessato.
Inoltre sto inviando al sito CCG i testi delle canzoni, raccolte da "Panfilo" sia fra i "compaesani" sia tra le altre formazioni di varia natura (garibaldini, autonomi, badogliani etc.)
il commento iniziale alle canzoni, oltre a quanto sopra riportato, prosegue così:
E se qualche volta la forma resiste e ricalcitra - ebbene, al diavolo la forma! - Tutta l'anima della guerra partigiana sdegnosa d'indugio si solleva dalla materia nell'onda della musica, e questa anima dai morti e dai vivi prorompe con questi canti sulle terre e sulle piazze d'Italia.
A ricordo di "Panfilo" desidero quindi riportare le seguenti informazioni, anche se facilmente reperibili online (dal sito dell'ANPI).
Arturo Felici, Piemonte. Nato a Farigliano (Cuneo) il 12 gennaio 1903, deceduto a Cuneo il 20 giugno 1968, tipografo ed editore.
Il nonno, governatore della magistratura pontificia, era stato destituito da Pio IX perché aveva aderito alla Repubblica romana e Arturo ne aveva coltivato gli ideali di libertà. Aveva vent'anni quando trovò lavoro, a Trento, nella tipografia dove si stampava il giornale dei "popolari". Ci restò poco. Nel 1924 i fascisti distrussero gli impianti e Felici se ne tornò in Piemonte dove, a Cuneo, aprì in proprio una tipografia. Fu così che conobbe Bianco e Galimberti e strinse con loro un'amicizia basata sui comuni ideali antifascisti.
Arturo Felici - che nella clandestinità aveva aderito al movimento "Giustizia e Libertà" e che è stato tra i fondatori del Partito d'Azione - dopo l'8 settembre 1943 fu parte del gruppetto d'antifascisti che, in Valle Gesso, costituirono la prima banda partigiana "Italia Libera" dalla quale - dopo la fusione con analoga formazione costituitasi in Valle Grana con Detto Dalmastro - nacquero le Brigate di "Giustizia e Libertà" del Cuneese.
Tornato a Cuneo con incarichi d'organizzazione, Felici (nome di copertura "Panfilo"), finì per cadere nelle mani dei fascisti. Fu rilasciato, perché la polizia non riuscì a trovare prove contro di lui. Così Panfilo si portò nelle Langhe (con l'incarico d'ispettore regionale del Comando G.L. piemontese), dove fu tra gli organizzatori delle basi che, tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945, accolsero forti reparti giellisti provenienti dalle montagne cuneesi.
Dopo la Liberazione, Felici rappresentò il Partito d'Azione nel CLN di Cuneo e, quando il partito si sciolse, aderì al movimento di "Unità Popolare". Fu poi tra gli esponenti locali del Movimento dei partigiani della pace. Membro del Consiglio nazionale dell'ANPI, ha curato nella sua tipografia la pubblicazione di numerosi saggi sulla Resistenza nel Cuneese. Prima di morire, era diventato cittadino onorario di Cuneo per meriti partigiani. Il Comune gli ha poi intitolato una via.
(25 Luglio 2010)
Ritornando al libretto "Canta Partigiano!" mi sembra che questo abbia almeno due pregi
- il primo è che è la fonte originaria dei testi dei canti, riportati su testimonianza diretta di quanti li avevano "intonati" (o ..."stonati") sia prima che dopo il 25 aprile.
- il secondo è che per quasi tutti i brani (nel relativo commento) era indicata la melodia originale (in genere un vecchio canto alpino) cui la canzone era associata, informazione in genere mancante nei vari siti internet che riportano canzoni partigiane.
i titoli sono i seguenti:
Pietà l'è morta
La Stella Del Partigiano
Partigian 'd le muntagne
La Veglia del Partigiano
Garibaldini delle Langhe
Partigiani di Val Grana
Veglia il Partigian
Rimpianto Di Mamma
Ignoti eroi
Partigian dei monti
Brigata "Valpesio"
L'Alpino di Valle Roja
Il partigiano
Ricordo Di Boves
Là su quei monti
Inno Partigiano
Sagra Partigiana
Viva la Valle Gesso
Lamento del Partigiano
Addio valle Roja
La banda di Valle Gesso
Figli dell'officina
Viva la libertà
La Canzone Di Paralup
Allegria di Scaletta
Badoglieide
Il Pilone della Moretta
Ohi Partigian
Vorrei concludere con la constatazione che questi canti erano il "pane" di quanti combattevano sulle montagne, e non solo perchè il "vero pane" scarseggiava, ma per i motivi che quanti amano la "musica popolare" conoscono benissimo.(1)
A riprova vorrei citare quanto riporta la nota d'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza, per il libretto (1945), (descrizione originaria del sottofascicolo di Marisa Sacco) :
"Arturo Felici (Panfilo) era un tipografo di Cuneo.(2) Oltre manifestini e altra stampa clandestina stampò in una prima e in una seconda edizione il libretto "Canta il partigiano, canzoni della prima divisione alpina Giustizia e Libertà". Lo distribuiva tra le formazioni partigiane del Cuneese - era ricercatissimo - dove lo portava personalmente."
NOTE
(1) D'altra parte anche in quei tempi bui, pur sotto le bombe e coi panzer sotto casa, la gente cantava, per poi negli anni seguenti prima ammutolirsi davanti ad un teleschermo e poi immusonirsi davanti ad un display.
(2) ... Finita la guerra, l’agenda (di Nuto Revelli) diviene un libro: Mai tardi. Diario di un alpino in Russia, pubblicato nel 1946, dall’editore Panfilo, pseudonimo dell’ex partigiano Arturo Felici.
L’editore-tipografo Felici era egli stesso un personaggio di rilievo della Resistenza, la sua tipografia tra il ’43 e il ’45 era stata un centro di reclutamento e smistamento di giovani che volevano prendere la via delle montagne, da cui il nomignolo Panfilo. Suo il noto proclama del Partito d’Azione piemontese dove si dichiarava che la lotta per “assicurare la giustizia e la libertà” non avrebbe avuto sosta, e che “per questa generazione non v’è congedo”. Finita la guerra, nel 1946, oltre Mai tardi pubblicò "Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese" di Dante Livio Bianco, "Banditi" di Pietro Chiodi ed "Evviva il capomastro" di Isidoro Pagnotta e Carlo Galante Garrone.
gianfranco 26 agosto 2019
Una via di Cuneo porta il nome di Arturo Felici, il cui libretto di canti partigiani mi è stato inviato in questi giorni da Mauro Fantino e che ho provveduto a digitalizzare, per cui il relativo file PDF è a disposizione di chi fosse interessato.
Inoltre sto inviando al sito CCG i testi delle canzoni, raccolte da "Panfilo" sia fra i "compaesani" sia tra le altre formazioni di varia natura (garibaldini, autonomi, badogliani etc.)
il commento iniziale alle canzoni, oltre a quanto sopra riportato, prosegue così:
E se qualche volta la forma resiste e ricalcitra - ebbene, al diavolo la forma! - Tutta l'anima della guerra partigiana sdegnosa d'indugio si solleva dalla materia nell'onda della musica, e questa anima dai morti e dai vivi prorompe con questi canti sulle terre e sulle piazze d'Italia.
A ricordo di "Panfilo" desidero quindi riportare le seguenti informazioni, anche se facilmente reperibili online (dal sito dell'ANPI).
Arturo Felici, Piemonte. Nato a Farigliano (Cuneo) il 12 gennaio 1903, deceduto a Cuneo il 20 giugno 1968, tipografo ed editore.
Il nonno, governatore della magistratura pontificia, era stato destituito da Pio IX perché aveva aderito alla Repubblica romana e Arturo ne aveva coltivato gli ideali di libertà. Aveva vent'anni quando trovò lavoro, a Trento, nella tipografia dove si stampava il giornale dei "popolari". Ci restò poco. Nel 1924 i fascisti distrussero gli impianti e Felici se ne tornò in Piemonte dove, a Cuneo, aprì in proprio una tipografia. Fu così che conobbe Bianco e Galimberti e strinse con loro un'amicizia basata sui comuni ideali antifascisti.
Arturo Felici - che nella clandestinità aveva aderito al movimento "Giustizia e Libertà" e che è stato tra i fondatori del Partito d'Azione - dopo l'8 settembre 1943 fu parte del gruppetto d'antifascisti che, in Valle Gesso, costituirono la prima banda partigiana "Italia Libera" dalla quale - dopo la fusione con analoga formazione costituitasi in Valle Grana con Detto Dalmastro - nacquero le Brigate di "Giustizia e Libertà" del Cuneese.
Tornato a Cuneo con incarichi d'organizzazione, Felici (nome di copertura "Panfilo"), finì per cadere nelle mani dei fascisti. Fu rilasciato, perché la polizia non riuscì a trovare prove contro di lui. Così Panfilo si portò nelle Langhe (con l'incarico d'ispettore regionale del Comando G.L. piemontese), dove fu tra gli organizzatori delle basi che, tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945, accolsero forti reparti giellisti provenienti dalle montagne cuneesi.
Dopo la Liberazione, Felici rappresentò il Partito d'Azione nel CLN di Cuneo e, quando il partito si sciolse, aderì al movimento di "Unità Popolare". Fu poi tra gli esponenti locali del Movimento dei partigiani della pace. Membro del Consiglio nazionale dell'ANPI, ha curato nella sua tipografia la pubblicazione di numerosi saggi sulla Resistenza nel Cuneese. Prima di morire, era diventato cittadino onorario di Cuneo per meriti partigiani. Il Comune gli ha poi intitolato una via.
(25 Luglio 2010)
Ritornando al libretto "Canta Partigiano!" mi sembra che questo abbia almeno due pregi
- il primo è che è la fonte originaria dei testi dei canti, riportati su testimonianza diretta di quanti li avevano "intonati" (o ..."stonati") sia prima che dopo il 25 aprile.
- il secondo è che per quasi tutti i brani (nel relativo commento) era indicata la melodia originale (in genere un vecchio canto alpino) cui la canzone era associata, informazione in genere mancante nei vari siti internet che riportano canzoni partigiane.
i titoli sono i seguenti:
Pietà l'è morta
La Stella Del Partigiano
Partigian 'd le muntagne
La Veglia del Partigiano
Garibaldini delle Langhe
Partigiani di Val Grana
Veglia il Partigian
Rimpianto Di Mamma
Ignoti eroi
Partigian dei monti
Brigata "Valpesio"
L'Alpino di Valle Roja
Il partigiano
Ricordo Di Boves
Là su quei monti
Inno Partigiano
Sagra Partigiana
Viva la Valle Gesso
Lamento del Partigiano
Addio valle Roja
La banda di Valle Gesso
Figli dell'officina
Viva la libertà
La Canzone Di Paralup
Allegria di Scaletta
Badoglieide
Il Pilone della Moretta
Ohi Partigian
Vorrei concludere con la constatazione che questi canti erano il "pane" di quanti combattevano sulle montagne, e non solo perchè il "vero pane" scarseggiava, ma per i motivi che quanti amano la "musica popolare" conoscono benissimo.(1)
A riprova vorrei citare quanto riporta la nota d'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza, per il libretto (1945), (descrizione originaria del sottofascicolo di Marisa Sacco) :
"Arturo Felici (Panfilo) era un tipografo di Cuneo.(2) Oltre manifestini e altra stampa clandestina stampò in una prima e in una seconda edizione il libretto "Canta il partigiano, canzoni della prima divisione alpina Giustizia e Libertà". Lo distribuiva tra le formazioni partigiane del Cuneese - era ricercatissimo - dove lo portava personalmente."
NOTE
(1) D'altra parte anche in quei tempi bui, pur sotto le bombe e coi panzer sotto casa, la gente cantava, per poi negli anni seguenti prima ammutolirsi davanti ad un teleschermo e poi immusonirsi davanti ad un display.
(2) ... Finita la guerra, l’agenda (di Nuto Revelli) diviene un libro: Mai tardi. Diario di un alpino in Russia, pubblicato nel 1946, dall’editore Panfilo, pseudonimo dell’ex partigiano Arturo Felici.
L’editore-tipografo Felici era egli stesso un personaggio di rilievo della Resistenza, la sua tipografia tra il ’43 e il ’45 era stata un centro di reclutamento e smistamento di giovani che volevano prendere la via delle montagne, da cui il nomignolo Panfilo. Suo il noto proclama del Partito d’Azione piemontese dove si dichiarava che la lotta per “assicurare la giustizia e la libertà” non avrebbe avuto sosta, e che “per questa generazione non v’è congedo”. Finita la guerra, nel 1946, oltre Mai tardi pubblicò "Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese" di Dante Livio Bianco, "Banditi" di Pietro Chiodi ed "Evviva il capomastro" di Isidoro Pagnotta e Carlo Galante Garrone.
gianfranco 26 agosto 2019
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L'argomento a mio avviso meriterebbe un approfondimento, sia dal punto di vista della "origine" dei canti, sia del loro significato, in quanto si tratta delle radici della nostra cultura, troppo presto dimenticate, coi bei risultati che sono sotto gli occhi di tutti...
Per l'autorizzazione alla pubblicazione ringrazio anche il Direttore Mauro FANTINO della rivista MARITTIME, nella quale sia il direttore, i redattori e i collaboratori prestano la loro opera gratuitamente e senza rimborso spese.
di Mauro Fantino
Ma durante la lotta di Liberazione, un partigiano come trascorreva una normale giornata presso il distaccamento di appartenenza? Come passava il tempo dal momento della sveglia mattutina fino all'ora tarda serale, in cui gli occhi si chiudevano sperando in un sonno profondo non interrotto da brutte sorprese?
Già dire "una normale giornata" è forse deviante rispetto a quella che era la dura e cruda realtà delle cose: non si poteva mai stare distratti, bisognava perennemente essere vigilanti, la possibilità di fulminee azioni di rastrellamento da parte dei nazi-fascisti era un pericolo che poteva avverarsi da un istante all'altro. E difatti il compito maggiormente svolto, ed accuratamente organizzato dai Comandanti, era quello della vigilanza. In montagna, nei punti strategici di osservazione, c'era un partigiano che teneva sotto controllo lontane strade del fondo-valle, e tutte quelle mulattiere e sentieri da cui potevano infiltrarsi in un battibaleno reparti nemici.
Bisognava stare di vedetta per ore e ore, e senza distrarsi: la minima mancanza poteva veder messa a repentaglio la propria vita e quella dei compagni che erano impegnati in altre attività.
C'erano poi momenti più tranquilli, soprattutto alla sera. I soldati tedeschi e i reparti fascisti non si fidavano di compiere rastrellamenti e rappresaglie nelle ore serali e notturne, pure loro avevano una paura tremenda di muoversi in un terreno ostico e che non conoscevano, e in cui si rischiava di rimanere intrappolati. Tutti aspetti non secondari che la ricca memorialistica dei reduci partigiani ci ha descritto in moltissimi libri. E così i pochi momenti tranquilli erano usati dai partigiani per sbrigare un po' di cose personali e a dedicarsi alle proprie passioni.
C'erano pure quelli che si dedicavano a suonare il clarinetto e la fisarmonica e ad improvvisare nelle corti delle borgate di montagna (allora densamente abitate, non dimentichiamolo) momenti di ballo e di allegria. E c'era chi invece preferiva dedicarsi al canto, memore di quando negli anni precedenti era ancora militare. E' in questo contesto che sono state scritte numerose canzoni "partigiane". Canzoni dedicate ai compagni caduti, alla tanto auspicata e attesa liberazione, al desiderio di pace, all'onore alla propria Brigata e pure al desiderio di riabbracciare presto mamme, sorelle e ... soprattutto fidanzate. Canzoni scritte con parole e ritornelli nuovi, ma quasi sempre sull'aria musicale di vecchie canzoni militari.
Che il canto fosse importante per tenere in alto il morale e a offrire uno spicchio di allegria venne pure considerato dagli stessi Comandi delle Brigate partigiane, che per un certo verso auspicarono e stimolarono questi momenti di "fare festa".
E così, a fine ottobre del 1944, fu proprio il Comando della 1A Divisione Alpina "Giustizia e Libertà" a pubblicare clandestinamente una raccolta di canzoni dei propri partigiani.
"Oggi la nostra Divisione è ai suoi posti di battaglia, di qua e di là delle Alpi, pronta per il grande cimento finale. E intanto i suoi partigiani, nelle ore di riposo, cantano".
Così era scritto nella presentazione del piccolo libricino clandestino. E visto che questo libricino prima o poi sarebbe giunto nelle mani del nemico, che schiaffo veniva dato a tedeschi e fascisti! Non solo le formazioni partigiane non erano state debellate, ma ora se ne stavano lassù in montagna dedicandosi pure al canto! E pure nelle ore di riposo! Non c'è che dire, una battaglia che oggi definiremo "psicologica", giocata con molta astuzia da "Giustizia e Libertà".
Poi venne la primavera del 1945, la Liberazione, i primi mesi di pace e di ricostruzione del Paese. E iniziarono pure i primi incontri fra reduci partigiani, momenti per ricordare i compagni caduti, per discutere di quale sarebbe stato il loro futuro e quello dell'Italia, momenti per rivedersi e anche a fare festa insieme. Ed ecco il ritorno a cantare le proprie canzoni, e di cantarle a squarciagola, questa volta liberi di poterlo fare in ogni angolo dei paesi e delle città.
E ci fu pure un partigiano, che ripreso il vecchio mestiere di tipografo, si mise a pubblicare quelle belle canzoni. Si trattava di Arturo Felici, il partigiano Panfilo, classe 1903, nativo di Farigliano, di mestiere tipografo-editore, uno del gruppo presente a Madonna del Colletto fin dal 12 settembre 1943. Nella sua Tipografìa Piemonte, posta a Cuneo in Corso Stura, diede infatti alle stampe il libretto "Canta partigiano!", una raccolta delle più conosciute canzoni locali scritte e cantate durante i venti mesi. Di fatto una nuova edizione di quella clandestina uscita nell'ottobre del 1944.
Così scriveva il partigiano editore nella presentazione:
"Sono questi alcuni canti dei partigiani piemontesi: sono la loro voce, le prime spontanee parole di una lingua nuova per un mondo nuovo. Vi palpita dentro in un canto, in un dolore, in un amore ingenuo e fiero la giovinezza che vuole lottare, che, al di là della rovina e della morte dei singoli, crede nella santa eternità della vita, l'afferma, la conquista e con il sogno dei suoi morti la costruisce."
Parole profonde, ma interpreti di quanto sentimento era stato messo nei venti mesi a scrivere quelle canzoni. Il libretto ebbe grande successo, tanto da essere ristampato in più edizioni. Nell'edizione del 1947 furono ben 28 le canzoni riportate. E così i bei canti riecheggiarono per altri anni e decenni nei raduni partigiani, nei convegno dei reduci, ma pure nelle feste di paese e nelle sagre che si moltiplicavano di valle in valle.
Passati oltre settant'anni dalla Liberazione, nelle cerimonie e nelle manifestazioni in cui si celebra la Resistenza, poche di queste canzoni sono ancora oggi ricordate. Per la maggiore si intona "Fischia il Vento", oppure "Bella ciao", ma già questa era canzone scritta dopo la Liberazione. E tutte le altre? Finite, dimenticate con la scomparsa degli ultimi ex combattenti, che le ricordavano bene, perché rappresentavano la loro gioventù. Nelle pagine che seguono ne riproponiamo alcune, quelle più significative, scritte e cantate nelle Alpi Marittime. Chissà che a qualche corale o banda musicale non venga il desiderio di riprenderle e rilanciarle nei prossimi appuntamenti per ricordare il 25 aprile.
Mauro Fantino
LA VEGLIA DEL PARTIGIANO
E' la canzone della Brigata Valle Stura "C.Rosselli", già II Banda. Va cantata sull'aria "Il cacciatore del bosco"