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Los policías y los guardias

Roque Dalton
Lingua: Spagnolo


Roque Dalton

Lista delle versioni e commenti


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Versi del poeta e rivoluzionario salvadoregno Roque Dalton (1935-1975), assassinato dai suoi stessi compagni di lotta.
Credo cha la poesia si trovi nella raccolta "Poemas clandestinos", pubblicata in Messico nell'anno della morte del poeta.
Testo trovato sul blog Cuestionatelotodo
Trovo su YouTube un paio di versioni in musica, una di Javier Villalonco per chitarra e voce recitante e l'altra del gruppo punk Ezkizofrenia.

Siempre vieron al pueblo
como un montón de espaldas que corrían para allá
como un campo para dejar caer con odio los garrotes.

Siempre vieron al pueblo con el ojo de afinar la puntería
y entre el pueblo y el ojo
la mira de la pistola o la del fusil.
(Un día ellos también fueron pueblo
pero con la excusa del hambre y del desempleo
aceptaron un arma
un garrote y un sueldo mensual
para defender a los hambreadores y a los desempleadores).

Siempre vieron al pueblo aguantando
sudando
vociferando
levantando carteles
levantando los puños
y cuando más diciéndoles:
“Chuchos hijos de puta el día les va a llegar.”
(Y cada día que pasaba
ellos creían que habían hecho el gran negocio
al traicionar al pueblo del que nacieron:
“El pueblo es un montón de débiles y pendejos -pensaban-
qué bien hicimos al pasarnos del lado de los vivos y de los fuertes”).

Y entonces era de apretar el gatillo
y las balas iban de la orilla de los policías y los guardias
contra la orilla del pueblo
así iban siempre
de allá para acá
y el pueblo caía desangrándose
semana tras semana año tras año
quebrantado de huesos
lloraba por los ojos de las mujeres y los niños
huía espantado
dejaba de ser pueblo para ser tropel en guinda
desaparecía en forma de cada quién que se salvó
para su casa y luego nada más
sólo que los Bomberos lavaban la sangre de las calles.
(Los coroneles los acababan de convencer:
“Eso es muchachos -les decían-
duro y a la cabeza con los civiles
fuego con el populacho
ustedes también son pilares uniformados de la Nación
sacerdotes de primera fila
en el culto a la bandera el escudo el himno los próceres
la democracia representativa el partido oficial y el mundo libre
cuyos sacrificios no olvidará la gente decente de este país
aunque por hoy no les podamos subir el sueldo
como desde luego es nuestro deseo”).

Siempre vieron al pueblo
crispado en el cuarto de las torturas
colgado
apaleado
fracturado
tumefacto
asfixiado
violado
pinchado con agujas en los oídos y los ojos
electrificado
ahogado en orines y mierda
escupido
arrastrado
echando espumitas de humo sus últimos restos
en el infierno de la cal viva.
(Cuando resultó muerto el décimo Guardia Nacional.
Muerto por el pueblo
y el quinto cuilio bien despeinado por la guerrilla urbana
los cuilios y los Guardias Nacionales comenzaron a pensar
sobre todo porque los coroneles ya cambiaron de tono
y hoy de cada fracaso le echan la culpa
a “los elementos de tropa tan muelas que tenemos”).

El hecho es que los policías y los Guardias
siempre vieron al pueblo de allá para acá
y las balas sólo caminaban de allá para acá.

Que lo piensen mucho
que ellos mismos decidan si es demasiado tarde
para buscar la orilla del pueblo
y disparar desde allí
codo a codo junto a nosotros.

Que lo piensen mucho
pero entre tanto
que no se muestren sorprendidos
ni mucho menos pongan cara de ofendidos
hoy que ya algunas balas
comienzan a llegarles desde este lado
donde sigue estando el mismo pueblo de siempre
sólo que a estas alturas ya viene de pecho
y trae cada vez mas fusiles.

inviata da Bernart Bartleby - 20/5/2019 - 20:11


I poliziotti e le guardie,

"un tempo anche loro furono popolo
però con la scusa della fame e della disoccupazione
accettarono un'arma
un manganello e una paga mensile
per difendere chi crea la fame e la disoccupazione"...


Mi pare una bella risposta a Pasolini ed al suo "Il PCI ai giovani" (1968), dove si legge:

"... Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano..."


Devo però ammettere che forse Pasolini, più che solidarizzare coi poliziotti, ce l'aveva con i figli di papà di allora, molti dei quali infatti nel tempo non si sono smentiti e ce li siamo ritrovati più tardi a camminarci sulla balle...

B.B. - 21/5/2019 - 18:59


Aveva ragione Pasolini, ad avercela coi figli di papà. A Valle Giulia, c’era anche il giovin Giuliano Ferrara.
Pentiti di lusso. Ovverosia, chi non vive come pensa finirà col pensare come vive.

“E nel periodo del cosiddetto ‘riflusso’ – come si disse con metafora mestruale azzeccata per una generazione già definita come ‘proletariato biologico’ – ho potuto osservare che i più furbi, gettato il colletto alla Mao alle ortiche, occuparono poi i migliori posti nelle Università, nelle televisioni e nelle amministrazioni pubbliche e private, e si comprarono la Bmw e la cocaina tipica dei ‘tossici integrati’ degli anni Ottanta, in attesa di collegarsi via Internet e gettarsi a capofitto nella superstrada dell’informazione, nel sogno di una supposta o suggerita comunicazione globale o liberazione tramite costose protesi elettroniche. Questo mentre i più stupidi fra quelli che volevano dare l’assalto al cielo finivano in cura dai guru per una buona terapia a prezzi popolari; e i più poveri finivano in cessi insanguinati, con l’ago nella pancia, in qualche angolo della metropoli rischiarato d’irrealtà. Non so se quella sessantottina sia la peggiore generazione di egoisti, di pentiti e di opportunisti e psicopompi che l’Italia abbia mai conosciuto. So però che volevano mandare al potere l’immaginazione, la loro immaginazione. E che molti han dovuto vedere le proprie buone intenzioni rovesciarsi in cattivi effetti. Che li consoli un po’ di buona letteratura. Kafka, per esempio: ‘Non ci fa tanto male ricordare le nostre malefatte passate, quanto rivedere i cattivi effetti delle azioni che credevamo buone’. […] E’ qui, a Milano trent’anni dopo, che inciampo ancora nel corpo del mio essere sociale, lo rivolto con la punta del piede e lo trovo splendidamente decomposto. Al punto giusto per ritornare verso le portinerie delle case dalle finestre munite di solide inferriate e lampeggianti segnali pronti a dare ancora l’allarme; e i videocitofoni e gli orologi e le telecamere agli angoli di certe strade del centro con le banche vigilate notte e giorno; e poi le scale e gli uffici delle amministrazioni e delle Ussl disinfettate all’alba, tutti i santi giorni, con impiegate in preda a sogni agitati ‘un attimino’ e burocrati, leghisti di mezza età o ex-compagni di un tempo sopravvissuti a tutti i cambiamenti, anche a Tangentopoli, seduti su poltroncine in pelle, anche umana, girevoli, che ti offrono un sigaro con un sorriso brillante come un getto di napalm…”, GIANNI DE MARTINO, I CAPELLONI, CASTELVECCHI, ROMA 1997.

sergio falcone - 21/5/2019 - 22:59




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