Oh non ! tu n’es pas à la noce,
Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos.
Si le Rhône est empoisonné,
C’est toi qu’on veut incriminer.
Les poissons morts, on te les doit,
Bête damnée, à cause de toi,
Tous les abreuvoirs sont croupis
Et les poules ont la pépie.
C’est moi qui suis l’enfant de salaud,
Celui qui fait des ronds dans l’eau,
Mais comme j’ai pas mal de culot,
Je garde la tête bien haute.
Car si l’eau qui coule sous les ponts
D’Avignon, Beaucaire et Tarascon,
N’a pas toujours que du bon
Mon Dieu ! c’est pas ma faute.
Plus de naïades chevelues,
Et plus de lavandières poilues,
Tu fais sombrer sans t’émouvoir
L’armada des bateaux lavoirs.
Et le curé de Cucugnan
Baptise le monde en se plaignant
Que les eaux de son bénitier
Ne protègent plus qu’à moitié.
À la fontaine de Vaucluse,
Plus moyen de taquiner les muses
Vers d’autres bords, elles ont fui
Et les Pétrarques ont suivi.
Si la fontaine de Jouvence
Ne fait plus de miracle en Provence,
Ne lave plus l’injure du temps,
C’est ton œuvre, gros dégoûtant !
Oh non ! Tu n’es pas à la noce,
Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos,
On veut te mettre le fardeau
Des plaies de l’Égypte sur le dos.
On te dénie le sens civique
Mais calme, fier, serein, magnifique,
Tu traites tout ça par-dessous
La jambe. Et puis, baste ! Et puis, zou !
Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos.
Si le Rhône est empoisonné,
C’est toi qu’on veut incriminer.
Les poissons morts, on te les doit,
Bête damnée, à cause de toi,
Tous les abreuvoirs sont croupis
Et les poules ont la pépie.
C’est moi qui suis l’enfant de salaud,
Celui qui fait des ronds dans l’eau,
Mais comme j’ai pas mal de culot,
Je garde la tête bien haute.
Car si l’eau qui coule sous les ponts
D’Avignon, Beaucaire et Tarascon,
N’a pas toujours que du bon
Mon Dieu ! c’est pas ma faute.
Plus de naïades chevelues,
Et plus de lavandières poilues,
Tu fais sombrer sans t’émouvoir
L’armada des bateaux lavoirs.
Et le curé de Cucugnan
Baptise le monde en se plaignant
Que les eaux de son bénitier
Ne protègent plus qu’à moitié.
À la fontaine de Vaucluse,
Plus moyen de taquiner les muses
Vers d’autres bords, elles ont fui
Et les Pétrarques ont suivi.
Si la fontaine de Jouvence
Ne fait plus de miracle en Provence,
Ne lave plus l’injure du temps,
C’est ton œuvre, gros dégoûtant !
Oh non ! Tu n’es pas à la noce,
Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos,
On veut te mettre le fardeau
Des plaies de l’Égypte sur le dos.
On te dénie le sens civique
Mais calme, fier, serein, magnifique,
Tu traites tout ça par-dessous
La jambe. Et puis, baste ! Et puis, zou !
inviata da Marco Valdo M.I. - 30/11/2018 - 14:02
Lingua: Italiano
Traduzione italiana / Traduction italienne / Italian translation / Italiankielinen käännös
Riccardo Venturi, 1-12-2018
Diverse parole del traduttore. Innanzitutto, devo ammettere una colpa. Si tratta di quella di non aver quasi mai tradotto integralmente i Dialogues Maïeutiques di Marco Valdo M.I. e Lucien Lâne, in modo che i frequentatori e gli utenti di questo sito potessero goderne appieno, poiché si tratta di piccoli capolavori introduttori redatti in un francese dal gusto del tutto particolare. Un gusto che mi sono sovente definito, tra me e me, come “brassensiano”; indi per cui, proprio in questa pagina altamente bucolica dedicata ad un'inedita canzone del Petit Sétois che sarebbe diventato grande, era giocoforza pigliarsi un po' di tempo per rendere in un italiano parecchio ventoso (còrso ventu, vento) il relativo Dialogo Maieutico, con alcune “note del traduttore” che, nelle loro intenzioni, hanno anch'esse un gusto marcovaldiano e lucianlasiniano. Per il resto, come è sòlito e lògico, trovarsi di fronte a Georges Brassens trasporta automaticamente nella letteratura francese e universale, anche parlando di un povero pecorone Merino che si accusa di ogni nefandezza in un'ambientazione (ora si direbbe lochèscion) provenzale che sembra far tornare all'infanzia e alla giovinezza dell'autore: il Rodano, Tarascona, Valchiusa... Si dà il caso che tali luoghi riconducano anche il sottoscritto un po' alle sue vertes années, con certi ben precisi ricordi che lo videro peraltro passeggiare a lungo sulla Spiaggia della Corniche. Com'è e come non è, nella traduzione della canzone (che non ha alcuna pretesa d'arte) ho dovuto infilare qualche nota esplicativa. Accetto il rischio d'essere tenuto per didascàlico, come a volte alcuni hanno avuto a rimproverarmi; so bene che tali note dànno al testo, sia pur tradotto a mo' di servizio, un andamento da antologia liceale. Che almeno servano, però, ad una migliore comprensione del francese maestoso e classico dell'Anarchista del vicolo Florimont. [RV]
Riccardo Venturi, 1-12-2018
Diverse parole del traduttore. Innanzitutto, devo ammettere una colpa. Si tratta di quella di non aver quasi mai tradotto integralmente i Dialogues Maïeutiques di Marco Valdo M.I. e Lucien Lâne, in modo che i frequentatori e gli utenti di questo sito potessero goderne appieno, poiché si tratta di piccoli capolavori introduttori redatti in un francese dal gusto del tutto particolare. Un gusto che mi sono sovente definito, tra me e me, come “brassensiano”; indi per cui, proprio in questa pagina altamente bucolica dedicata ad un'inedita canzone del Petit Sétois che sarebbe diventato grande, era giocoforza pigliarsi un po' di tempo per rendere in un italiano parecchio ventoso (còrso ventu, vento) il relativo Dialogo Maieutico, con alcune “note del traduttore” che, nelle loro intenzioni, hanno anch'esse un gusto marcovaldiano e lucianlasiniano. Per il resto, come è sòlito e lògico, trovarsi di fronte a Georges Brassens trasporta automaticamente nella letteratura francese e universale, anche parlando di un povero pecorone Merino che si accusa di ogni nefandezza in un'ambientazione (ora si direbbe lochèscion) provenzale che sembra far tornare all'infanzia e alla giovinezza dell'autore: il Rodano, Tarascona, Valchiusa... Si dà il caso che tali luoghi riconducano anche il sottoscritto un po' alle sue vertes années, con certi ben precisi ricordi che lo videro peraltro passeggiare a lungo sulla Spiaggia della Corniche. Com'è e come non è, nella traduzione della canzone (che non ha alcuna pretesa d'arte) ho dovuto infilare qualche nota esplicativa. Accetto il rischio d'essere tenuto per didascàlico, come a volte alcuni hanno avuto a rimproverarmi; so bene che tali note dànno al testo, sia pur tradotto a mo' di servizio, un andamento da antologia liceale. Che almeno servano, però, ad una migliore comprensione del francese maestoso e classico dell'Anarchista del vicolo Florimont. [RV]
Dialogo maïeutico
di Marco Valdo M.I. e Lucien Lâne
Innanzitutto, amico mio Lucian Làsino, occorre precisare che si tratta di una canzone inedita di Georges Brassens [“Giorgio Bracciuto”, o meglio, “Giorgio Fortebraccio” nella parlata occitana di Castelnaudary donde proveniva la famiglia paterna dell'Anarchista, NDT]; inedita e amelòpita [greco ἀμελοποιητής, NDT], la quale sarebbe potuta restare tra le scartoffie impubblicate. Ma Jean Bertola s'era già messo all'opera (Le vieux Normand) per salvarne una certa quantità, e certune canzoni (quattordici, si dice) appartenevano ad un albo di là dal venire che lo zio Georges non poté mai menare a compimento, essendosi interrotto il suo terren cammino. Qualche artista ha voluto e saputo salvarne alcune, se non tutte, proponendone versioni piuttosto differenti, ma interessanti tutte; te ne propongo due a mo' d'esempio, quella di Eric Zimmermann e quella del Trio Florimont [il quale deve aver qualcosa a che fare con l'Impasse Florimont, sospetto, NDT]. Nella fattispecie, questa canzone s'intitola: “La Merino” [“Merinos” sarebbe, a rigore, un plurale: ma la lingua francese ha un curioso rapporto coi plurali delle lingue altrui, che riduce spesso a singolari come nel caso di “un confetti” o “un panini”, NDT].
Oh! -dice Lucian Làsino tutto ringalluzzito-, una canzone dello zi' Giorgio e, oltracciò, una canzone su una pecora Merino! Ne ho conosciute, io, di Merinos durante le mie peregrinazioni, e già a' tempi di Sancio Panza. Fàttimi dire che la pecora Merino è un animale accattivante e pacifico, sebbene decisamente cornuto. Ma che mai potrà raccontare, questa canzone?
Te lo vado immantinente a rivelare, amico mio Lucian Làsino. Per capire come mai Georges Brassens si sia messo a cantare la pecora Merino, occorre ricordarsi dell'espressione popolare ”laisser pisser le mérinos, comprese le sue varianti: ”laisse pisser le mérinos, laissons pisser le mérinos, laissez pisser le mérinos” ecc. [credo sia abbastanza inutile tradurre alla lettera queste espressioni dove il pecorone deve ad ogni modo esser lasciato mingere in pace, NDT]. Tutto questo verrebbe a significare: “Lasciare in pace la Merino”, ove tale Merino è, nello specifico caso, l'immagine stessa dell'interessat*, di colei o colui ch'è l'oggetto del làscito in pace. A dir vale che si tratta d'una maniera metaforica per dire che occorre lasciar perdere, passar di lato, “non ti curar di lor ma guarda e passa...”
Dice invero Lucian Làsino, sganasciàndosi dalle risate, che giudizioso gli è di lasciare il pecorone pisciar in pace poiché, quando si squieta con quel popo' di corna che ci ha, fa cacar sotto assai. Non mi garberebbe affatto far da bersaglio per la testa di siffatto ariete [nome quanto mai appropriato, dato che la denominazione scientifica è Ovis aries, NDT]. Sia detto inter nos, a nessuno piacerebbe d'esser disturbato in tale momento d'intima liberazione; né a te, né a me e né tantomeno alla pecora Merino.
Insomma, appar chiaro che occorre non romperle le scatole e lasciarla in pace . Quindi, amico mio Lucian Làsino, questa canzone è di per sé una canzone pacifista, e già questa sarebbe una buona ragione per metterla in questa raccolta digitale di Canzoni contro la Guerra; ma essa non si limita a questo messaggio evangèlico o apostòlico, che pressoché è l'istessa cosa. Pigliando le parti della Merino, la quale è accusata d'inquinare il Ròdano e tutte le acque del globo terrestre, la si trasforma in un pècoro espiatorio [trasformare un pecorone in un capro sarebbe qui un inqualificabile attentato alla sua identità, NDT], una strega da mettere al rogo, e la canzone intende quindi risparmiarle d'essere messa alla gogna.
Ah, è davvero cosí! -dice Lucian Làsino con seria compunzione; poiché prender partito per la Merino dinanzi a' suoi detrattori, è prender partito per l'umiliato, per colui che è accusato d'essere “lo spellato, il rognoso da cui viene ogni male” (gli animali ammalati di peste), venire in soccorso a questa brava bestia e, di conseguenza, a tutti gli animali -e qui mi spiace dover insistere: rigorosamente tutti- che pìsciano, scorèggiano e inquìnano ancor di più, in modo naturale. Figúrati, amico mio Marco Valdo M.I., che ugualmente s'accusan le vacche di bucare lo stato d'ozono scaricando nell'atmosfera, e oltr'essa, la loro pancia agitata.
Ma certo che sí, amico mio Lucian Làsino!; ma la canzone termina con la seguente, rassicurante considerazione:
Il che dimostra che di tutte queste accuse, al parti dell' “asin bigio” di Carducci:
la Merino, proprio come il cammello suo fratello, se ne impippa altamente.
E cosí, Lucian Làsino proclama ad alta voce una posizione di pacifica saggezza filosofica, degna del grande Epicuro; e affé d'esso, tessiamo il lenzuolo di questo vecchio mondo sdegnato, presciato, stressato, passato, superato e malandato.
Emmenomale!
Cosí parlarono Marco Valdo M.I. e Lucian Làsino.
di Marco Valdo M.I. e Lucien Lâne
Innanzitutto, amico mio Lucian Làsino, occorre precisare che si tratta di una canzone inedita di Georges Brassens [“Giorgio Bracciuto”, o meglio, “Giorgio Fortebraccio” nella parlata occitana di Castelnaudary donde proveniva la famiglia paterna dell'Anarchista, NDT]; inedita e amelòpita [greco ἀμελοποιητής, NDT], la quale sarebbe potuta restare tra le scartoffie impubblicate. Ma Jean Bertola s'era già messo all'opera (Le vieux Normand) per salvarne una certa quantità, e certune canzoni (quattordici, si dice) appartenevano ad un albo di là dal venire che lo zio Georges non poté mai menare a compimento, essendosi interrotto il suo terren cammino. Qualche artista ha voluto e saputo salvarne alcune, se non tutte, proponendone versioni piuttosto differenti, ma interessanti tutte; te ne propongo due a mo' d'esempio, quella di Eric Zimmermann e quella del Trio Florimont [il quale deve aver qualcosa a che fare con l'Impasse Florimont, sospetto, NDT]. Nella fattispecie, questa canzone s'intitola: “La Merino” [“Merinos” sarebbe, a rigore, un plurale: ma la lingua francese ha un curioso rapporto coi plurali delle lingue altrui, che riduce spesso a singolari come nel caso di “un confetti” o “un panini”, NDT].
Oh! -dice Lucian Làsino tutto ringalluzzito-, una canzone dello zi' Giorgio e, oltracciò, una canzone su una pecora Merino! Ne ho conosciute, io, di Merinos durante le mie peregrinazioni, e già a' tempi di Sancio Panza. Fàttimi dire che la pecora Merino è un animale accattivante e pacifico, sebbene decisamente cornuto. Ma che mai potrà raccontare, questa canzone?
Te lo vado immantinente a rivelare, amico mio Lucian Làsino. Per capire come mai Georges Brassens si sia messo a cantare la pecora Merino, occorre ricordarsi dell'espressione popolare ”laisser pisser le mérinos, comprese le sue varianti: ”laisse pisser le mérinos, laissons pisser le mérinos, laissez pisser le mérinos” ecc. [credo sia abbastanza inutile tradurre alla lettera queste espressioni dove il pecorone deve ad ogni modo esser lasciato mingere in pace, NDT]. Tutto questo verrebbe a significare: “Lasciare in pace la Merino”, ove tale Merino è, nello specifico caso, l'immagine stessa dell'interessat*, di colei o colui ch'è l'oggetto del làscito in pace. A dir vale che si tratta d'una maniera metaforica per dire che occorre lasciar perdere, passar di lato, “non ti curar di lor ma guarda e passa...”
Dice invero Lucian Làsino, sganasciàndosi dalle risate, che giudizioso gli è di lasciare il pecorone pisciar in pace poiché, quando si squieta con quel popo' di corna che ci ha, fa cacar sotto assai. Non mi garberebbe affatto far da bersaglio per la testa di siffatto ariete [nome quanto mai appropriato, dato che la denominazione scientifica è Ovis aries, NDT]. Sia detto inter nos, a nessuno piacerebbe d'esser disturbato in tale momento d'intima liberazione; né a te, né a me e né tantomeno alla pecora Merino.
Insomma, appar chiaro che occorre non romperle le scatole e lasciarla in pace . Quindi, amico mio Lucian Làsino, questa canzone è di per sé una canzone pacifista, e già questa sarebbe una buona ragione per metterla in questa raccolta digitale di Canzoni contro la Guerra; ma essa non si limita a questo messaggio evangèlico o apostòlico, che pressoché è l'istessa cosa. Pigliando le parti della Merino, la quale è accusata d'inquinare il Ròdano e tutte le acque del globo terrestre, la si trasforma in un pècoro espiatorio [trasformare un pecorone in un capro sarebbe qui un inqualificabile attentato alla sua identità, NDT], una strega da mettere al rogo, e la canzone intende quindi risparmiarle d'essere messa alla gogna.
Ah, è davvero cosí! -dice Lucian Làsino con seria compunzione; poiché prender partito per la Merino dinanzi a' suoi detrattori, è prender partito per l'umiliato, per colui che è accusato d'essere “lo spellato, il rognoso da cui viene ogni male” (gli animali ammalati di peste), venire in soccorso a questa brava bestia e, di conseguenza, a tutti gli animali -e qui mi spiace dover insistere: rigorosamente tutti- che pìsciano, scorèggiano e inquìnano ancor di più, in modo naturale. Figúrati, amico mio Marco Valdo M.I., che ugualmente s'accusan le vacche di bucare lo stato d'ozono scaricando nell'atmosfera, e oltr'essa, la loro pancia agitata.
Ma certo che sí, amico mio Lucian Làsino!; ma la canzone termina con la seguente, rassicurante considerazione:
« Mais calme, fier, serein, magnifique,
Tu traites tout ça par-dessous
La jambe. Et puis, baste ! Et puis, zou ! »
Ma calmo, fiero, sereno, magnifico
Di tutto ciò te ne freghi, lo prendi
Sottogamba. E poi basta. E poi, cuccù!”
Tu traites tout ça par-dessous
La jambe. Et puis, baste ! Et puis, zou ! »
Ma calmo, fiero, sereno, magnifico
Di tutto ciò te ne freghi, lo prendi
Sottogamba. E poi basta. E poi, cuccù!”
Il che dimostra che di tutte queste accuse, al parti dell' “asin bigio” di Carducci:
« Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò. »
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò. »
la Merino, proprio come il cammello suo fratello, se ne impippa altamente.
E cosí, Lucian Làsino proclama ad alta voce una posizione di pacifica saggezza filosofica, degna del grande Epicuro; e affé d'esso, tessiamo il lenzuolo di questo vecchio mondo sdegnato, presciato, stressato, passato, superato e malandato.
Emmenomale!
Cosí parlarono Marco Valdo M.I. e Lucian Làsino.
IL MERINO
Oh no! Sei davvero nei guai
Di questi tempi, povero vecchio Merino.
Se il Rodano è avvelenato
È a te che si vuol dare la colpa.
A te si devon le morìe di pesci,
Bestia malnata! A causa tua
Son putrefatti gli abbeveratoi
E i polli hanno la pipita.
Io sono un gran figliuol di troja,
Un mascalzone, un fannullone,
Ma poiché ho grande facciatosta
La testa la tengo bella alta.
Perché, se l'acqua sotto i ponti
D'Avignone, Beaucaire e Tarascona [1]
Non scorre sempre limpida e pulita,
Mioddìo!, non è colpa mia.
Non più chiomate naiadi,
Non più pelose lavandaie...
E tu, impassibile, fai affondare
L'armata dei battelli lavatoi. [2]
E il curato di Cucugnan [3]
Battezza la gente lamentandosi
Che l'acqua della sua acquasantiera
Protegge soltanto a metà.
Alla sorgente di Valchiusa [4]
Non c'è più modo di stuzzicare le Muse,
Verso altri lidi son fuggite
Con i Petrarca dietro.
Se la fonte della Giovinezza
Non fa più miracoli in Provenza,
Non lava più le ingiurie del tempo,
È a causa tua, bestione immondo!
Oh no! Sei davvero nei guai
Di questi tempi, povero vecchio Merino,
E ti si vogliono addossare
Le piaghe d'Egitto. [5]
Si nega il tuo senso civico,
Ma, calmo, fiero, sereno, magnifico
Di tutto ciò te ne freghi, lo prendi
Sottogamba. E poi basta. E poi, cuccù!
Oh no! Sei davvero nei guai
Di questi tempi, povero vecchio Merino.
Se il Rodano è avvelenato
È a te che si vuol dare la colpa.
A te si devon le morìe di pesci,
Bestia malnata! A causa tua
Son putrefatti gli abbeveratoi
E i polli hanno la pipita.
Io sono un gran figliuol di troja,
Un mascalzone, un fannullone,
Ma poiché ho grande facciatosta
La testa la tengo bella alta.
Perché, se l'acqua sotto i ponti
D'Avignone, Beaucaire e Tarascona [1]
Non scorre sempre limpida e pulita,
Mioddìo!, non è colpa mia.
Non più chiomate naiadi,
Non più pelose lavandaie...
E tu, impassibile, fai affondare
L'armata dei battelli lavatoi. [2]
E il curato di Cucugnan [3]
Battezza la gente lamentandosi
Che l'acqua della sua acquasantiera
Protegge soltanto a metà.
Alla sorgente di Valchiusa [4]
Non c'è più modo di stuzzicare le Muse,
Verso altri lidi son fuggite
Con i Petrarca dietro.
Se la fonte della Giovinezza
Non fa più miracoli in Provenza,
Non lava più le ingiurie del tempo,
È a causa tua, bestione immondo!
Oh no! Sei davvero nei guai
Di questi tempi, povero vecchio Merino,
E ti si vogliono addossare
Le piaghe d'Egitto. [5]
Si nega il tuo senso civico,
Ma, calmo, fiero, sereno, magnifico
Di tutto ciò te ne freghi, lo prendi
Sottogamba. E poi basta. E poi, cuccù!
[1] Le due antiche “città gemelle” di Beaucaire e Tarascona (quella di Tartarino) sono, in realtà, la medesima città divisa dal Rodano che la attraversa: solo che l'una (Beaucaire) fa parte del dipartimento del Gard, mentre l'altra (Tarascona) appartiene alle Bocche del Rodano. Hanno più o meno lo stesso numero di abitanti, hanno praticamente la medesima storia, ma cosí hanno voluto le intangibili suddivisioni amministrative rivoluzionarie, coi loro dipartimenti fluviali. Sulla vicina ed assai bella Avignone ritengo ci sia ben poco da dire, anche se, percorrendola tanti e tanti anni fa, non potevo fare a meno di pensare che ancor più bella sarebbe stata se si fosse tenuta la corte papale colà forzatamente trasferita per una settantina d'anni, risparmiando cosí all'Italia la presenza vaticana. Poi arrivò quella senese, la Benincasa Caterina, che rovinò ogni cosa. Naturalmente, si deve far notare la consueta citazione brassensiana da una notissima canzone popolare, ben conosciuta anche in Italia da chi abbia incominciato a imparare il francese fin dalle scuole elementari: Sur le pont d'Avignon... Però debbo dire che, quando ebbi modo di passarvi sopra non c'era nessuno che ballava tout en rond perché tirava un vento diàccio da portare via, peraltro dopo una giornata d'aprile in cui aveva fatto un caldo tremendo fuori stagione. All'improvviso arrivò il Maestrale, e mi ritrovai in maglietta a pelare dal freddo.
[2] Si dice che, sulla Senna a Parigi e su altri grandi fiumi francesi prestassero servizio speciali battelli, i cosiddetti bateaux-lavoirs per l'appunto, che lavoravano esattamente come lavanderie sfruttando le acque del fiume di competenza. In altri casi, si trattava di un chiattone ancorato sulle rive del fiume, e munito di tettoia, pianciti e assi, dove le donne di casa e le lavandaie di professione si recavano a mondare i panni. A Parigi veniva chiamato Bateau-Lavoir, per la sua forma che lo ricordava, anche un edificio sito al n° 13 di piazza Émile Goudeau, nel quartiere del Monte-de'-Martiri, che durante il XX secolo ospitò le abitazioni e gli studi di sommi artisti nonostante fosse una specie di tugurio labirintico e privo di ogni cosa (non c'era corrente elettrica, non c'era il gas, l'acqua corrente arrivava solo al primo piano, era una ghiacciaia d'inverno e un forno d'estate). Nonostante questo, ci vissero e lavorarono: Picasso (che vi dipinse Les demoiselles d'Avignon, tanto per stabilire un legame con questa canzone ovina), Braque, Max Jacob, Guillaume Apollinaire, Picabia, Léger, Delaunay e Gauguin di ritorno dal suo primo soggiorno a Tahiti. Vi passò anche Amedeo Modigliani, boia dé. Il Bateau-Lavoir è andato completamente a fuoco nel 1970; non ne rimane niente.
[3] Cucugnan è un villaggio del dipartimento dell'Aude che, attualmente, conta 129 abitanti. Non molti di più o di meno doveva contarne nel 1858, quando tale Auguste Blanchot de Brenas, che era di passaggio nella regione delle Corbières per motivi suoi, ebbe modo di ascoltare un incredibile sermone pronunciato dal pulpito dal curato di un paese della zona (Blanchot dichiarò di aver preso il nome di Cucugnan a casaccio, specificando che il sermone non vi era stato affatto udito, per non offendere la suscettibilità di nessuno). Il curato doveva avere parecchio da ridire sulla moralità del suo gregge: nel suo famoso sermone, dichiarava, novello Dante, d'aver sognato di essere andato in Paradiso e poi in Purgatorio, e di non avervi trovato alcun abitante di Cucugnan. Questo perché i cucugnanesi stavano, in realtà, tutti bruciando tra le fiamme dell'Inferno. Il curato si riprometteva quindi di confessare tutti i paesani per ridar loro la splendente luce della fede. Il racconto di Blanchot de Brenas fu captato da un grande scrittore: Alphonse Daudet, che si dà il caso sia proprio il narratore delle immortali avventure di Tartarin di Tarascona (v. nota 1), nonché del Capitan Fracassa. Daudet si era in realtà imbattuto in una resa in versi provenzali del famoso félibre Joseph Roumanille, intitolata Lou curat de Cucugnan e pubblicata nel 1866: la aveva quindi tradotta in francese e pubblicata a suo nome, rendendo celeberrimo il sermone e il curato di Cucugnan. La cosa non fu presa bene da Auguste Blanchot de Brenas, che accusò sia Roumanille che Daudet di plagio e reclamò legalmente la paternità del testo. A Roumanille fu intentato un regolare processo, ma il letterato riuscì a far tirare la cosa per le lunghe finché il povero Blanchot non morì nel 1877.
[4] La Sorgente di Valchiusa sta da secoli nella letteratura universale. La sorgente, che si trova presso la piazza centrale dell'antica cittadina di Valchiusa in Provenza (detta attualmente proprio Fontaine-de-Vaucluse, e che ha dato nome all'intero dipartimento), è quella da cui sgorga il torrente Sorga; dovrebbe essere oltremodo noto che a Valchiusa ebbe a soggiornare a lungo tale Francesco Petrarca, un giovane cantautore dell'epoca perdutamente innamorato di una non meglio precisata Laura (ma dai più non è ritenuto l'autore di Dite a Laura che l'amo, opra di un certo Michele tratta da un componimento latino di Elvius Aronius Preslēius). Bagnandosi nella sorgente, e bevendone le acque, il Petrarca ebbe modo di scrivere uno dei suoi più grandi hit, la celeberrima Chiare, fresche et dolci acque, canzonetta in rima in cui l'autore rimembra i suoi incontri con la Laura amata implorando per questo d'essere un dì sepolto presso la sorgente.
[5] Si veda a tale riguardo la Nota di Flavio Poltronieri.
[2] Si dice che, sulla Senna a Parigi e su altri grandi fiumi francesi prestassero servizio speciali battelli, i cosiddetti bateaux-lavoirs per l'appunto, che lavoravano esattamente come lavanderie sfruttando le acque del fiume di competenza. In altri casi, si trattava di un chiattone ancorato sulle rive del fiume, e munito di tettoia, pianciti e assi, dove le donne di casa e le lavandaie di professione si recavano a mondare i panni. A Parigi veniva chiamato Bateau-Lavoir, per la sua forma che lo ricordava, anche un edificio sito al n° 13 di piazza Émile Goudeau, nel quartiere del Monte-de'-Martiri, che durante il XX secolo ospitò le abitazioni e gli studi di sommi artisti nonostante fosse una specie di tugurio labirintico e privo di ogni cosa (non c'era corrente elettrica, non c'era il gas, l'acqua corrente arrivava solo al primo piano, era una ghiacciaia d'inverno e un forno d'estate). Nonostante questo, ci vissero e lavorarono: Picasso (che vi dipinse Les demoiselles d'Avignon, tanto per stabilire un legame con questa canzone ovina), Braque, Max Jacob, Guillaume Apollinaire, Picabia, Léger, Delaunay e Gauguin di ritorno dal suo primo soggiorno a Tahiti. Vi passò anche Amedeo Modigliani, boia dé. Il Bateau-Lavoir è andato completamente a fuoco nel 1970; non ne rimane niente.
[3] Cucugnan è un villaggio del dipartimento dell'Aude che, attualmente, conta 129 abitanti. Non molti di più o di meno doveva contarne nel 1858, quando tale Auguste Blanchot de Brenas, che era di passaggio nella regione delle Corbières per motivi suoi, ebbe modo di ascoltare un incredibile sermone pronunciato dal pulpito dal curato di un paese della zona (Blanchot dichiarò di aver preso il nome di Cucugnan a casaccio, specificando che il sermone non vi era stato affatto udito, per non offendere la suscettibilità di nessuno). Il curato doveva avere parecchio da ridire sulla moralità del suo gregge: nel suo famoso sermone, dichiarava, novello Dante, d'aver sognato di essere andato in Paradiso e poi in Purgatorio, e di non avervi trovato alcun abitante di Cucugnan. Questo perché i cucugnanesi stavano, in realtà, tutti bruciando tra le fiamme dell'Inferno. Il curato si riprometteva quindi di confessare tutti i paesani per ridar loro la splendente luce della fede. Il racconto di Blanchot de Brenas fu captato da un grande scrittore: Alphonse Daudet, che si dà il caso sia proprio il narratore delle immortali avventure di Tartarin di Tarascona (v. nota 1), nonché del Capitan Fracassa. Daudet si era in realtà imbattuto in una resa in versi provenzali del famoso félibre Joseph Roumanille, intitolata Lou curat de Cucugnan e pubblicata nel 1866: la aveva quindi tradotta in francese e pubblicata a suo nome, rendendo celeberrimo il sermone e il curato di Cucugnan. La cosa non fu presa bene da Auguste Blanchot de Brenas, che accusò sia Roumanille che Daudet di plagio e reclamò legalmente la paternità del testo. A Roumanille fu intentato un regolare processo, ma il letterato riuscì a far tirare la cosa per le lunghe finché il povero Blanchot non morì nel 1877.
[4] La Sorgente di Valchiusa sta da secoli nella letteratura universale. La sorgente, che si trova presso la piazza centrale dell'antica cittadina di Valchiusa in Provenza (detta attualmente proprio Fontaine-de-Vaucluse, e che ha dato nome all'intero dipartimento), è quella da cui sgorga il torrente Sorga; dovrebbe essere oltremodo noto che a Valchiusa ebbe a soggiornare a lungo tale Francesco Petrarca, un giovane cantautore dell'epoca perdutamente innamorato di una non meglio precisata Laura (ma dai più non è ritenuto l'autore di Dite a Laura che l'amo, opra di un certo Michele tratta da un componimento latino di Elvius Aronius Preslēius). Bagnandosi nella sorgente, e bevendone le acque, il Petrarca ebbe modo di scrivere uno dei suoi più grandi hit, la celeberrima Chiare, fresche et dolci acque, canzonetta in rima in cui l'autore rimembra i suoi incontri con la Laura amata implorando per questo d'essere un dì sepolto presso la sorgente.
[5] Si veda a tale riguardo la Nota di Flavio Poltronieri.
Quando nel finale della canzone, Brassens dice:"...e ti si vogliono addossare le piaghe d'Egitto..." non è che allude al "capro espiatorio" biblico ("Nel Giorno dell'Espiazione, il Sommo Sacerdote pose le mani sulla testa di un caprone per caricarlo simbolicamente dei peccati del popolo d'Israele e poi lo mandò a perdersi nel deserto")?!
Flavio Poltronieri
Flavio Poltronieri
Flavio Poltronieri - 2/12/2018 - 21:33
Notazione quanto mai opportuna, Flavio! E, infatti, mi sono permesso di aggiungere un rimando alle note.
Riccardo Venturi - 3/12/2018 - 15:27
Cher Riccardo, Ventu & cie,
Vous nous faites grand honneur par vos compliments et surtout, par vos traductions – vos versions italiennes, qui pour nous (Lucien et moi) sont une véritable découverte de ce que nous avons écrit en français.
Mais quel travail vous faites, quel effort !
Nous savons ce qu’il en est, nous qui le faisons en sens inverse ; ce qui est preuve de l’intérêt de ce que vous faites et notre manière de vous remercier.
Très cordial
Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
Vous nous faites grand honneur par vos compliments et surtout, par vos traductions – vos versions italiennes, qui pour nous (Lucien et moi) sont une véritable découverte de ce que nous avons écrit en français.
Mais quel travail vous faites, quel effort !
Nous savons ce qu’il en est, nous qui le faisons en sens inverse ; ce qui est preuve de l’intérêt de ce que vous faites et notre manière de vous remercier.
Très cordial
Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
Marco Valdo M.I. - 3/12/2018 - 17:14
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Chanson française – Le Mérinos – Georges Brassens – s.d.
Canzone francese - Le Mérinos - Georges Brassens - s.d.
French Song - Le Mérinos - Georges Brassens - Undated
Ranskankielinen laulu - Georges Brassens - Ilman vuosimäärää
Avant toute chose, Lucien l’âne mon ami, il faut préciser qu’il s’agit d’une chanson inédite de Georges Brassens ; inédite et sans musique, elle aurait pu rester dans les cartons, mais Jean Bertola avait commencé le travail (Le vieux Normand) d’en sauver un certain nombre ; et certaines (14, dit-on) étaient celles d’un futur album que Tonton Georges, au parcours interrompu, ne put jamais mener au bout. Certains artistes ont voulu et su sauver certaines d’entre elles, sinon toutes, et ils en proposent des versions assez différentes, mais toutes intéressantes. Je t’en propose deux, à titre d’exemples : celle d’Eric Zimmermann et celle du Trio Florimont. Mais au fait, cette chanson s’intitule : « Le Mérinos ».
Oh, dit Lucien l’âne, tout émoustillé, une chanson de Tonton Georges et puis, en plus, une chanson à propos d’un mérinos ! J’en ai rencontré moi des mérinos au long de mes pérégrinations ; déjà au temps de Sancho Pança. Laisse-moi te dire que le mérinos est un animal charmant et pacifique, quoique assez cornu. Mais que peut bien raconter cette chanson ?
Je m’en vais te le révéler à l’instant, Lucien l’âne mon ami. Pour comprendre ce qui a conduit Georges Brassens à chanter le mérinos, il est nécessaire de se remémorer l’expression populaire : « laisser pisser le mérinos » et ses variantes : « laisse pisser le mérinos, laissons pisser le mérinos, laissez pisser le mérinos », etc. Tout ça peut se traduire par « Laisser le mérinos tranquille », le mérinos étant en l’occurrence, l’image même du quidam, de celui ou celle qu’on propose de « laisser en paix » ; autrement dit, c’est une manière de dire métaphoriquement, qu’il convient de « laisser tomber, laisser passer… »
Certes, dit Lucien l’âne en se poilant, il est judicieux de laisser pisser le mérinos, car quand ce cornu se fâche, il est très redoutable. Je n’aimerais pas trop être la cible de la tête de ce bélier. Entre nous soit dit, pas plus toi, que moi, ni personne, ni le mérinos n’aime être dérangé à ce moment d’intime délivrance.
En clair, il faut lui foutre la paix. Ainsi, Lucien l’âne mon ami, cette chanson est en soi une chanson pacifiste et ce serait une bonne raison de l’insérer dans ce recueil digital des Chansons contre la Guerre ; mais elle ne se limite pas à ce message évangélique ou apostolique, c’est tout comme. En prenant fait et cause pour le mérinos qu’on accuse de polluer le Rhône et toutes les eaux de la Terre, dont on fait un bouc émissaire, un sorcier à mettre au bûcher, elle veut lui épargner cette mise au pilori.
Ah, c’est très bien ça, dit Lucien l’âne très sérieusement, car prendre le parti du mérinos face à ses détracteurs, c’est pendre le parti de l’humilié, de celui qu’on accuse d’être « le pelé, le galeux d’où vient tout le mal » (Les Animaux malades de la Peste ) et venir au secours de ce bon animal et par voie de conséquence, de tous les animaux qui, j’ai le regret de devoir insister, rigoureusement tous, pissent, pètent et polluent naturellement plus encore. Figure-toi, mon ami Marco Valdo M.I., qu’on accuse autant les vaches de trouer la couche d’ozone en délestant dans l’atmosphère et au-delà, leur panse douloureuse.
Parfaitement, Lucien l’âne mon ami, mais la chanson se termine sur une note rassurante que voici :
Tu traites tout ça par-dessous
La jambe. Et puis, baste ! Et puis, zou ! »
qui démontre que de toutes ces incriminations, et comme l’« asino bigio » de Carducci :
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò. »
« Mais un âne bis, mâchant un carde
Rouge et bleu, à tout ce tapage,
Ne se retourne, il ne consent même à regarder
Et continue sérieux et lent à brouter. »
le mérinos, tout comme son frère le chameau, le mérinos s’en fout.
Ce qui je le proclame hautement, dit Lucien l’âne, est une position d’une paisible sagesse philosophique, digne du grand Épicure. En foi de quoi, tissons le linceul de ce vieux monde pincé, pressé, stressé, passé, dépassé et cacochyme.
Heureusement !
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane