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Sul selciato di Piazza Garibaldi (I Sette Martiri)

Rocco Rosignoli
Lingua: Italiano


Rocco Rosignoli

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[2018]

Al brano, registrato e mixato dall’autore presso “Lo Studio in Rosso”, hanno contribuito Emanuele Nidi alla fisarmonica, Nicolas De Francesco al basso, Vince Robivecchi alla batteria. Il videoclip è stato affidato a Michele Di Nicola, che ne ha curato regia, postproduzione e montaggio. Ne sono protagonisti i luoghi dei fatti narrati, loro ultimi testimoni, e una donna alla ricerca di una storia in cui ritrovare la propria coscienza, smarrita davanti a un mondo che non riconosce più.

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Il 31 di agosto del 1944 a Parma tre giovanissimi partigiani tesero un agguato a Brenno Monardi, detto Bragone, gerarca locale del partito fascista. Bragone, intento a fare scorta di carne al macello comunale, venne colpito a morte, e con lui un gregario di nome Luigi Gonzaga. Questo evento fece infuriare la Brigata Nera locale, che diede il via alla rappresaglia più crudele di cui la città abbia memoria. Già nel pomeriggio partirono violente perquisizioni a tappeto nei quartieri popolari. Cleonice Cavalca, rea solamente di essersi affacciata alla finestra, venne colpita a morte dallo sparo di un fascista. La notte tra il trentuno agosto e il primo settembre la parabola di violenza culminò nell’uccisione di sette antifascisti, prigionieri da giorni nella sede della Brigata Nera di via Valter Branchi (oggi via Giordano Cavestro). Giuseppe Barbieri, Afro Fanfoni, Vincenzo Ferrari, Gedeone Ferrarini, Eleuterio Massari, Ottavio Pattacini e Bruno Vescovi erano già stati sottoposti a torture indicibili. Il primo settembre, ormai quasi incoscienti, vennero portati in Piazza Garibaldi, dove Pino Romualdi, in capo alla brigata nera, diede l’ordine di fucilarli, proprio davanti al Palazzo del Governatore.

Nicola Maestri, nipote del martire Eleuterio Massari e di Livia Rossett, la donna che compì lo straordinario gesto di raccogliere il corpo del marito per portarlo a casa sfidando il divieto dei militi, ha pubblicato nel 2014 il romanzo “Ti riporto a casa”, dove ha raccontato la storia d’amore dei suoi nonni, dal loro incontro fino al tragico epilogo. Rocco Rosignoli, che lo ha accompagnato in decine di presentazioni del libro, ha avuto modo di accorgersi di quanto i parmigiani stessi avessero perso memoria dell’eccidio. Il cantautore ha quindi scelto di cantare di questa vicenda perché possa tornare a essere oggetto del ricordo, e della rielaborazione critica di un pensiero antifascista e antirazzista. In una vicenda in cui le mani che torturano, che uccidono, che scempiano i cadaveri sono tutte italiane, così come le voci che danno gli ordini, viene a cadere la favola degli “italiani brava gente”, spesso un alibi di comodo per evitare di fare i conti con un passato oscuro. Oggi più che mai è necessario guardarsi in faccia, e riappropriarsi di un atteggiamento duro nei confronti di chi cerca di indicare al popolo un nemico fittizio. Gli orrori di ieri possono ripetersi in qualsiasi momento, e il clima sociale sembra maturo perché questo avvenga. Dobbiamo prendere parte e dire tutti il nostro no, con forza e con tutti i mezzi possibili.
Da roccorosignoli.com
(Anche su Repubblica Online - Edizione Parma 03.09.2018)
Brenno Monardi era un gerarca del partito,
Un pezzo grosso a Parma ai tempi di Benito.
La braga larga gli era valsa un soprannome,
Non gli piaceva, ma per tutti era Bragone.
Cadde da porco sul sagrato del macello.
Il colpo che lo uccise lo sferrò il Monello,
Un ragazzino che per strada era cresciuto
E non alzò mai il braccio teso per saluto,
Un ragazzino che levava la sua mano
Contro i fascisti, un combattente partigiano.

Questo Bragone andava sempre a far razzia
Di carni fresche, mentre fuori, sulla via,
Stava la gente, che avvilita dalla guerra
Che aveva pure reso sterile la terra,
Languiva pallida e smagrita dalla fame.
E grasso e tronfio li sfotteva, quell’infame.
E senza padre, senza madre e senza un nome
A far vendetta degli scherni di Bragone
Giunse il monello, coi compagni di ventura,
forse fu l’incoscienza a vincer la paura.

Diedero subito di matto i miliziani,
Briganti neri, non tedeschi, ma italiani.
Come formiche il cui terrario è profanato
van quei bravacci a perquisire il vicinato.
E se ne van di casa in casa, porta a porta,
son botte e grida per chi incontra quella scorta.
Stava Cleonice a rassettare il suo soggiorno,
sentì d’un tratto quel trambusto tutto attorno,
si affacciò svelta per capire alla finestra,
e quei briganti le spararono alla testa.

Scese la notte, e il coprifuoco sui sentieri.
Nelle spelonche di brigata, prigionieri,
stavano in sette già ben noti alla marmaglia.
Qualcuno aveva combattuto una battaglia,
qualcuno aveva solo un libero pensiero
che non si accompagnava molto bene al nero.
Eran Massari, con Barbieri e Ferrarini,
Afro Fanfoni, con Ferrari e Pattacini,
e un ragazzino diciottenne, che di nome
faceva Bruno, ed era Vescovi il cognome.

Da giorni i militi li stavan torturando
nei sotterranei del palazzo di comando
della brigata nera, in una via centrale
a pochi metri dalla piazza principale.
E gliene avevan fatte d’ogni sorta,
pietà nei cuor di quei malvagi era già morta.
E quella notte, che quasi era mattina,
vollero chiudere quella carneficina
con un’esecuzione come rappresaglia
perché sapesse che si rischia, la plebaglia.

Ognun dei sette, caricato su un furgone,
per pochi metri lo portarono al plotone.
Dal comando li portarono alla piazza,
chi non si regge in piedi al suolo si stramazza.
Sorgeva il sole sulla statua a Garibaldi,
a dare il via ai fucili fu Pino Romualdi,
capo della Brigata Nera parmigiana
che dirigeva la gazzetta cittadina.
Dopo la guerra Pino non fu mai punito,
fece carriera in parlamento, il suo partito.

E questa serva Italia, culla di dolore,
che ha visto sparso sul selciato rosso il fiore
dei sette martiri di Piazza Garibaldi
prima che al sole di settembre si riscaldi
la piazza vuota, e che si riempia di persone,
questa città e questo paese di ogni nome
si son scordati. C’è una lapide ignorata
in piazza Garibaldi, sopra la facciata
dell’edificio del Governatore
vicino all’orologio che segna le ore.

E sia di monito il passare dei minuti
a noi che, letti i sette nomi sconosciuti,
tiriamo avanti e non pensiamo a quelle vite
che per avere sperato il bene son finite,
a quegli amori che han lasciato dietro a loro,
a chi ha portato il proprio lutto con decoro,
e ci scordiamo che la moglie di Massari
sfidando il coprifuoco e i fasci sanguinari
prese le carni del marito dalla strada
su un carro di fortuna lo riportò a casa.

inviata da adriana - 2/9/2018 - 07:48


Ulteriori informazioni sulla strage: straginazifasciste.it

Dq82 - 2/9/2018 - 11:54




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