Moj e bukura More
Si te lash e me ste pash
Si te lash e me ste pash
E lule e lule
E lule e lule e paça paça
E ndalu pak e ndalu pak Ende sa s'plasa
Se zemra ime, se zemra ime
Je ti vete
Se un per ty, se un per ty jape jete
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim at
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim vlla
Si te lash e me ste pash
Si te lash e me ste pash
E lule e lule
E lule e lule e paça paça
E ndalu pak e ndalu pak Ende sa s'plasa
Se zemra ime, se zemra ime
Je ti vete
Se un per ty, se un per ty jape jete
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim at
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim vlla
inviata da Dq82 - 27/7/2018 - 13:03
Lingua: Italiano
Traduzione italiana da #failtuoaccordo
O mia bella Morea,
dal giorno che ti ho persa
io non ti ho più vista!
Che io abbia un ore.
Fermati un po’, e fermati un po’, per esplodere
perché il mio cuore, il mio cuore sei proprio tu
Perché io per te, perché io per te, do la vita
Là ho lasciato mia mamma
lì, ho lasciato mio fratello
dal giorno che ti ho persa
io non ti ho più vista!
Che io abbia un ore.
Fermati un po’, e fermati un po’, per esplodere
perché il mio cuore, il mio cuore sei proprio tu
Perché io per te, perché io per te, do la vita
Là ho lasciato mia mamma
lì, ho lasciato mio fratello
inviata da Dq82 - 27/7/2018 - 13:09
Versione della Takadum Orchestra: medley con Amara terra mia
Da Addje (2015)
Poi in Yayla musiche ospitali (2018)
Da Addje (2015)
Poi in Yayla musiche ospitali (2018)
Artisti Vari – Yayla: Musiche Ospitali (Appaloosa/Ird, 2018)
Il 20 giugno è uscita questa bella raccolta: un disco di incontri, di storie e di collaborazioni strane, inusuali e belle. La data non è casuale: quel giorno ricorre infatti la Giornata Mondiale del rifugiato. “Yayala” è una parola turca che significa transumanza, la migrazione periodica con cui si cercava un clima più mite e una terra più ospitale, per poi tornare alla propria; nel nome di questa Yayla, artisti italiani e stranieri (non solo musicisti, ma anche attori e scrittori) ci raccontano questo tempo ruvido e doloroso. I proventi della vendita del doppio cd andranno al Centro Astalli che da anni fornisce servizi per i rifugiati e promuove campagne di sensibilizzazione sul tema. Ben 130 i musicisti coinvolti, i più famosi di loro sono Antonella Ruggiero, Neri Marcorè, Edoardo Bennato che, insieme a Jono Manson e al cantante pakistano Salif Samejo, canta una “Isola che non c’è” senza tempo e senza luogo, gli americani Bocephus King, James Maddock e Thom Chacon (con una sorprendente Violante Placido), l’irlandese Ben Glover, la bravissima italo-somala Saba Anglana, i Gang e Giua. Vi sono poi quattro inserti recitati con Erri De Luca, Valerio Mastandrea, Donatella Finocchiaro e Evelina Meghnagi, che si esibisce anche in uno dei brani più toccanti del disco, la ninna-nanna “Hashemesh”. Scegliere alcuni brani e segnalarli come i migliori, specie in una compilation di questo tipo, può sembrare fuori luogo, ancor più vista la media decisamente alta delle canzoni, molte delle quali incise per l’occasione. Segnaliamo comunque la bellissima “Diventano Mare” del duo palermitano IO (ovvero Irene Ientile e Ornella Cerniglia), “By Foot, by Boat, by Train”, dell’inedito duo Saba Anglana/Bocephus King, le due belle canzoni scritte da Andrea Parodi per Alfina Sforza e per Neri Marcorè e Giua, l’ottima “Addhrai” dei Domo Emigrantes, che dell’integrazione e della multietnicità fanno una loro bandiera, ospitando il polistrumentista kurdo Ashti Abdo, la sempre brava Antonella Ruggiero, la sardo-umbra Sara Marini con “Una Rundine in sas Aeras” e il curdo Dyar Uren Mehrovi con la bella “Zozan”. Un disco che fa della qualità la sua cifra e che abbina una qualità non comuna alla corretta opera di sensibilizzazione al fenomeno migratorio e alla convivenza.
bloogfolk.com
Il 20 giugno è uscita questa bella raccolta: un disco di incontri, di storie e di collaborazioni strane, inusuali e belle. La data non è casuale: quel giorno ricorre infatti la Giornata Mondiale del rifugiato. “Yayala” è una parola turca che significa transumanza, la migrazione periodica con cui si cercava un clima più mite e una terra più ospitale, per poi tornare alla propria; nel nome di questa Yayla, artisti italiani e stranieri (non solo musicisti, ma anche attori e scrittori) ci raccontano questo tempo ruvido e doloroso. I proventi della vendita del doppio cd andranno al Centro Astalli che da anni fornisce servizi per i rifugiati e promuove campagne di sensibilizzazione sul tema. Ben 130 i musicisti coinvolti, i più famosi di loro sono Antonella Ruggiero, Neri Marcorè, Edoardo Bennato che, insieme a Jono Manson e al cantante pakistano Salif Samejo, canta una “Isola che non c’è” senza tempo e senza luogo, gli americani Bocephus King, James Maddock e Thom Chacon (con una sorprendente Violante Placido), l’irlandese Ben Glover, la bravissima italo-somala Saba Anglana, i Gang e Giua. Vi sono poi quattro inserti recitati con Erri De Luca, Valerio Mastandrea, Donatella Finocchiaro e Evelina Meghnagi, che si esibisce anche in uno dei brani più toccanti del disco, la ninna-nanna “Hashemesh”. Scegliere alcuni brani e segnalarli come i migliori, specie in una compilation di questo tipo, può sembrare fuori luogo, ancor più vista la media decisamente alta delle canzoni, molte delle quali incise per l’occasione. Segnaliamo comunque la bellissima “Diventano Mare” del duo palermitano IO (ovvero Irene Ientile e Ornella Cerniglia), “By Foot, by Boat, by Train”, dell’inedito duo Saba Anglana/Bocephus King, le due belle canzoni scritte da Andrea Parodi per Alfina Sforza e per Neri Marcorè e Giua, l’ottima “Addhrai” dei Domo Emigrantes, che dell’integrazione e della multietnicità fanno una loro bandiera, ospitando il polistrumentista kurdo Ashti Abdo, la sempre brava Antonella Ruggiero, la sardo-umbra Sara Marini con “Una Rundine in sas Aeras” e il curdo Dyar Uren Mehrovi con la bella “Zozan”. Un disco che fa della qualità la sua cifra e che abbina una qualità non comuna alla corretta opera di sensibilizzazione al fenomeno migratorio e alla convivenza.
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Moj e bukura more'eee
Si te lash e me ste pash
Si te lash e me ste pash
E lule e lule
E lule e lule e paça paça
E ndalu pak e ndalu pak Ende sa s'plasa
Se zemra ime, se zemra ime
Je ti vete
Se un per ty, se un per ty jape jete
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim at
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim vlla
Nebbia alla valle e nebbia alla montagna,
per le campagne non c'è più nessuno.
Addio addio amore, io vado via,
amara terra mia, amara e bella.
Si te lash e me ste pash
Si te lash e me ste pash
E lule e lule
E lule e lule e paça paça
E ndalu pak e ndalu pak Ende sa s'plasa
Se zemra ime, se zemra ime
Je ti vete
Se un per ty, se un per ty jape jete
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim at
Atje kam un zonjen mёmё
Atje kam edhe tim vlla
Nebbia alla valle e nebbia alla montagna,
per le campagne non c'è più nessuno.
Addio addio amore, io vado via,
amara terra mia, amara e bella.
inviata da Dq82 - 27/7/2018 - 13:24
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O Bellissima More.
Ma chi e More? Un amore lasciato lontano, una bella donna e un interiezione usato tanto nei versi Omerici per esprimere meglio i sentimenti dei cantatori popolari;? si More si identifica in tutti e tre . Morea è il nome di Poleponneso dei giorni moderni , che fu cambiato dai greci. Per questo “O Bellissima More” racconta la nostalgia , il dolore e il ricordo della patria persa per sempre; More è il luogo da cui venivano la maggior parte degli arbёresh che oggi si trovano in Italia Meridionale.
La prima testimonianza scritta di questa canzone la troviamo nel manoscritto di Chièuti pubblicato nel 1708; dopo di che questo materiale venne pubblicato nel 1866 dal filologo arbёresh Demetrio Camarda (1821-1882). In questa opera il testo della canzone è scritto nel lingua albanese però usando l’alfabeto greco, che è l’unica versione del testo originale.
Non si sa chi è che la cantò per prima questa canzone con versi semplici con una rima a tre, però rimane viva nella memoria collettiva e si canta con dolore anche oggi giorno nei cortili di casa con gli amici, nei matrimoni o come una ninna-nanna per bambini. Sicuramente sarà stato un emigrante che cantando a voce bassa, seduto a guardare il mare come se questo mare rispecchiasse la sua amata More; quasi un sussurrare al mare di riportargli questo amore oramai lontano. Un dialogo di solitudine accompagnato da un mandolino (il silenzio fa da sfondo alla melodia).
La pubblicazione di questo libro è stata fatta in Italia dalla casa editrice F. Albergueti E.C , e si intitola “Appendice al Saggio di Grammatologia Comparata Sulla Lingua Albanese”, preparato con cura dal filologo arbёresh Demetrio Camarda nel 1866 basandosi sul manoscritto di Chieuti del 1708.
In tutte le storie umane di immigrazione dei popoli c’è una canzone che diventa simbolo del dolore e del’ amore per la patria, come: “Porti un bacio a Firenze” in cui il cantatore chiede a una bella ragazza di portare un bacio alla sua amata città. I luoghi si trasformano e si identificano nella madre , padre e fratello, con la speranza che un giorno si rivedranno . Queste storie significano tanto per tutti noi e quindi la canzone “ O Bellissima More “ è rimasta viva ancora oggi; è più antica della musica albanese e si consolida un documento storico delle radice della comunità arbëresh in Italia, testimonianza di un periodo storico.
Come e perché gli arbёresh hanno lasciato Morea (il nome moderno Poleponneso ) e Arbёria? E come si crearono i villaggi arbёresh nel l'Italia Meridionale? I primi arrivati in Puglia risalgano al 1460, con la caduta e l’invasione del Castello di Coroni(1453) , che si trova a More(Peloponneso di oggi). l’imperatore Carlo III ordinò al capitano Andrea Doria di prenderli i greci e arvaniti-arbёresh e portarli da More in Italia Meridionale. Qui fu l’inizio della creazione dei villaggi arbёresh e greci in Italia Meridionale . Forse in questo momento per la prima volta è stata cantata la canzone “O Bellissima More” con tristezza e luttuosa nostalgia. I primi albanesi provenienti dal' Arbёria si stabilirono in Calabria e Sicilia dopo invito del Re Alfonso V D’Aragona . Si tratta di soldati albanesi che si stabilirono definitivamente con le loro famiglie in Calabria e in Sicilia per contribuire a rafforzare le truppe militari del Re Alfonso e favorire i suoi tentativi di soffocare le rivolte contro di lui. Nel 1461 il sovrano di Arbёria , Giorgio Castriota Skaderbeg in persona combatte al fianco di Ferdinando che era Principe di Taranto e il figlio del Re Alfonso V d’Aragona. Come ringraziamento per il suo aiuto militare regalò a Skanderbeg due feudi in Puglia. Però il Re Aragona gli diede solo ospitalità , mettendo due condizioni : dargli una terra povera, senza valore e proibire la costruzione di fortezze o castelli. L' effetto era triplo: dargli un terra senza valore , significava di rimanere poveri e soli; la proibizione di costruire nessun tipo di fortezza significava di rimanere non protetti , mai potevano diventare aggressori, e non lo sono mai diventati; un altro effetto era di rafforzare le arie naturalmente difficili dai nuovi arrivati e rimanere isolati. Un po’ prima della morte di Skanderbeg (1467), e principalmente dopo la sua morte con la caduta e l’invasione della città di Kruja , che era roccaforte di Scaderbeg, da parte dei turchi, gli albanesi si allontanarono in massa in condizioni drammatiche verso l’Italia, dove si stabilirono nei villaggi già esistenti, creandone anche dei nuovi. Alcuni albanesi si stabilirono nei due feudi di Puglia , a Galatina che furono regalati dagli Aragoni nel 1485. Altri albanesi seguirono in Calabria Irini Kastriota , che sposò il principe Bisignano. Il numero di questa popolazione doveva essere considerevole , visto che si creò una comunità con una fisionomia linguistica , culturalmente tradizionalista , che esiste anche oggi. Gli albanesi cattolici provenienti da Nord Albania si adattarono rapidamente alla lingua, alla cultura e alla religione degli italiani, mentre albanesi provenienti da Sud dell'Albania , e gli arvaniti provenienti da Morea , che erano della religione ortodossa , nonostante le obiezioni e le imposizioni dei vescovi italiani, conservarono le peculiarità della loro cultura , dei loro costumi , la religione bizantino –ortodossa , che mantengono ancora oggi giorno.
Oggi in Italia sono 110.000 persone con la discendenza arbёresh che monta più di 52 comunità distinte, molte in Sicilia, nelle Marche in Italia centrale , e due-terzi sono nel nord e centro della Calabria.
Due di tanti altri elementi distinguono questo comunità dagli italiani:Lingua e Religioni. Più di 85% degli adulti della popolazione arbёresh parlano ovviamente la lingua con colori dialettali albanesi, che come base ha il dialetto tosco che si parla nel Sud Albania e che somiglia molto alla lingua che parlano gli arvaniti della Grecia. Si nota la presenza delle parole greche , ma questo succede per via della lunga convivenza con i greci durante l’impero Bizantino. Un elemento forte della loro lingua con le radici in lingua albanese e la scrittura bilingue di molte vie. Più di 52 villaggi sono stati registrati e riconosciuti costituzionalmente dallo Stato Italiano come minoranze albanese bilingue.
Altro elemento distintivo della loro cultura è la religione, basta osservare il rito della loro Pasqua ortodossa , messo in atto in 1919 da Papa Benedetto XV, in qui la processione e celebrazione è uno spettacolo unico .
Altre manifestazioni della loro cultura sono : la musica-fisarmonica e le magiche dance etniche in costume , i loro vestiti di matrimonio che si tramandano da generazione in generazione , e altre particolari feste in costume locale. In molti villaggi principali di Calabria come Acquaformosa, Eiànina, Firmo , Santa Caterina Albanese , Santa Sofia d’ Epiro e specialmente San Demetrio Corona e Civita dove con le dance folcloristiche attraversano le strade nel Martedì dopo Pasqua , loro celebrano ancora oggi dopo 500 anni , la vittoria di Skanderbeg, eroe della libertà albanese contro gli ottomani turchi.
In molte canzoni arbёreshe troviamo molti toponimi come nel caso di More, come Koroni, Napflio, Coronicio ecc. Anche se il tempo è già passato , non ha potuto sradicare la particolarità della minoranza albanese che mantiene ancora la sua lingua, le sue tradizioni, la sua cultura , i suoi canti , le sue leggende e cosi diventano una ricchezza per il turismo in queste zone.
La domanda che ci viene spontaneamente è: se gli arbёresh debbano conservare la loro lingua antica oppure debbano integrarsi alla lingua albanese moderna ? Questa popolazione che fa parte della Comunità Europea, continua a rimanere in una regione più povera d’Italia e gli investimenti per proteggere questo tesoro laografico da parte dello Stato Italiano sono insignificanti. Chi deve difendere questa ricchezza inestimabile delle origini e delle radici albanesi di questa etnia?
Lirio Nushi