Disteso ignudo solo nella notte
Con tanti tubicini colorati,
Accanto, tosse, rantoli, è normale,
E un puzzo scriteriato d'animale;
Mi sono guadagnato un altro stent,
E m'hanno un po' stasato quelli vecchi;
La vita la si sceglie e va così,
Ti trovi come l'Anitra WC.
Riempito d'insulina, un po' uno scolo
Di liquidi corporei e troiai,
In mano ancora al metoprololo,
Rimesso a dieta e poi riabilitato
E tutto quanto a spese dello stato.
Se fossi stato, appunto, in altro stato,
Tipo quegli altri Uniti, così belli,
Così moderni e grandi, cosi fieri,
Avrei pagato pure gli infermieri;
Avrei pagato pure i tubicini,
Le flebo, le pasticche e i fagiolini,
Soggiorno vitto alloggio e terapia,
Senza contare quanto ha da costare
Un'ora di coronarografia.
Disteso ignudo solo nella notte,
Facendo rebus e incroci obbligati,
Ripasso un po' l'ebraico e non dormo,
“Prelievo!”, urla una tizia, “La pressione!”,
Ho una fame che allupo, da leone.
Ho una fame che allupo, da animale,
Ho una fame da costo sociale;
Gli costo un po', però dire mi piace
Che costo molto meno di una Panda,
E ancora meno d'un aeroplanino
E meno d'una Missione-di-Pace.
Con la mia vita sì da debosciato,
Col fumo, i mezzi litri ed i vodkini,
Le notti in bianco e le incazzature
Mi son riguadagnato i tubicini,
I cocktail di pasticche e d'insulina,
Le carotine lesse ed il fagiolo,
Lo yogurtino magro e tristanzuolo,
Il Plavix e pure il metoprololo.
Però chi se ne frega; non è male,
E poi che sarà mai farsi una pera,
E, come disse un certo genovese,
Vagli a spiegare tu che è primavera.
Vi scrivo questo e quando leggerete
Sarò già a casa a far sempre casini,
Lì con la bicicletta, e yogurtini,
Gli anàrchi, i libri, il gatto ed il piccì,
E l'insulina con le cicciggì.
Mi han detto: “Tanto moto! Lei si muova!
E non ci rompa poi tanto le uova;
Insomma, sor Venturi, lei ci costa
Più di un resort in piena Val d'Aosta.”
E io dico, le statistiche alla mano
Che costo meno un po' del Rigopiano;
che razza di malefica cacata
è questa sanità privatizzata.
E quando leggerete sarò a tàola
Con il mio bel piattino di bresàola,
Coll'olio, il limoncino e il pane nero
Che mando a tutti voi questo pensiero;
Che mi preparo alla vita normale,
Ma è una normalità del tutto mia,
La vita beh ha da essere anormale,
E vi saluta un bel costo sociale.
[Ghghghghghghg !!!]
Con tanti tubicini colorati,
Accanto, tosse, rantoli, è normale,
E un puzzo scriteriato d'animale;
Mi sono guadagnato un altro stent,
E m'hanno un po' stasato quelli vecchi;
La vita la si sceglie e va così,
Ti trovi come l'Anitra WC.
Riempito d'insulina, un po' uno scolo
Di liquidi corporei e troiai,
In mano ancora al metoprololo,
Rimesso a dieta e poi riabilitato
E tutto quanto a spese dello stato.
Se fossi stato, appunto, in altro stato,
Tipo quegli altri Uniti, così belli,
Così moderni e grandi, cosi fieri,
Avrei pagato pure gli infermieri;
Avrei pagato pure i tubicini,
Le flebo, le pasticche e i fagiolini,
Soggiorno vitto alloggio e terapia,
Senza contare quanto ha da costare
Un'ora di coronarografia.
Disteso ignudo solo nella notte,
Facendo rebus e incroci obbligati,
Ripasso un po' l'ebraico e non dormo,
“Prelievo!”, urla una tizia, “La pressione!”,
Ho una fame che allupo, da leone.
Ho una fame che allupo, da animale,
Ho una fame da costo sociale;
Gli costo un po', però dire mi piace
Che costo molto meno di una Panda,
E ancora meno d'un aeroplanino
E meno d'una Missione-di-Pace.
Con la mia vita sì da debosciato,
Col fumo, i mezzi litri ed i vodkini,
Le notti in bianco e le incazzature
Mi son riguadagnato i tubicini,
I cocktail di pasticche e d'insulina,
Le carotine lesse ed il fagiolo,
Lo yogurtino magro e tristanzuolo,
Il Plavix e pure il metoprololo.
Però chi se ne frega; non è male,
E poi che sarà mai farsi una pera,
E, come disse un certo genovese,
Vagli a spiegare tu che è primavera.
Vi scrivo questo e quando leggerete
Sarò già a casa a far sempre casini,
Lì con la bicicletta, e yogurtini,
Gli anàrchi, i libri, il gatto ed il piccì,
E l'insulina con le cicciggì.
Mi han detto: “Tanto moto! Lei si muova!
E non ci rompa poi tanto le uova;
Insomma, sor Venturi, lei ci costa
Più di un resort in piena Val d'Aosta.”
E io dico, le statistiche alla mano
Che costo meno un po' del Rigopiano;
che razza di malefica cacata
è questa sanità privatizzata.
E quando leggerete sarò a tàola
Con il mio bel piattino di bresàola,
Coll'olio, il limoncino e il pane nero
Che mando a tutti voi questo pensiero;
Che mi preparo alla vita normale,
Ma è una normalità del tutto mia,
La vita beh ha da essere anormale,
E vi saluta un bel costo sociale.
[Ghghghghghghg !!!]
inviata da L'Anonimo Toscano del XXI secolo - 18/4/2018 - 12:30
Caro Riccardo,
io di notti in terapia intensiva ne ho passate parecchie, ma sempre dall'altro lato della "barricata", e sono sempre stato interessato ai sentimenti, alle sensazioni e alle emozioni dei pazienti. A tal proposito segnalo 2 bei libri: Mani calde di Giovanna Zucca e Cosa sognano i pesci rossi di Marco Venturino (di professione medico, scrittore a tempo perso, ahimé fascista di indole).
Ma soprattutto questo articolo scritto da Adriano Sofri dopo la sua esperienza in terapia intensiva:
Quelle vite sospese nel reparto di rianimazione
La prima volta che tornate, da pellegrini, coi vostri piedi, nel reparto di rianimazione, siete un po' delusi dalla piccolezza e dalla calma, come a rivedere da adulti certi luoghi favolosi e tumultuosi dell' infanzia. Poco meno di una metà di ricoveri dura meno di 24 ore, la media degli altri è di otto giorni. Ci siete stati invece dieci giorni in coma, e poi venti giorni in uno stato vigile, benché non subito lucido. O piuttosto, troppo lucido, com' è il delirio paranoico, effetto di sedazioni potenti - il curaro, chi immaginerebbe di essere curato dal curaro? Nella transizione dall' anestesia alla veglia, siete vittime di una mostruosa cospirazione, medici e infermieri vi torturano e si preparano ad ammazzarvi, i vostri stessi famigliari non vogliono credere al vostro allarme, e forse stanno prestandosi alla congiura. Quando state meglio, ve ne vergognate un po' - non tanto, però - e capite che forse morirete, e che medici e infermieri stanno cercando di impedirlo. Allora avete paura di non morire, e di restare compromessi nel corpo, o nella mente, e che vogliano salvarvi per una vita che non vorreste accettare. Prima avete temuto che vi volessero torturare e assassinare. Adesso temete che vi vogliano torturare e salvare la vita. Non è solo la paranoia indotta dagli anestetici: la rianimazione assomiglia a una sala di tortura. E' , per così dire, una tortura alla rovescia, non per spogliare meticolosamente di dignità e di vita un corpo sano, ma per risanare un corpo già esanime e spossessato. Simile è la sensazione di essere privati di sé, e di guardare penosamente il proprio corpo, reso estraneo e umiliante, in balia di sconosciuti. Negli altri reparti d' ospedale i malati, anche i più gravi, sono di norma svegli, e dunque si suppone - magari assurdamente - che possano dormire, mentre in rianimazione i pazienti sono di norma addormentati, e non sono in grado di risvegliarsi, o addirittura sono trattenuti in un sonno profondo, e dunque in rianimazione non c' è differenza fra giorno e notte, né per i pazienti, né per i medici e gli infermieri, mentre negli altri reparti si rispetta fin troppo strettamente, non so se per la forza dell' abitudine o per ragioni sindacali, la differenza fra giorno e notte, e di notte le cure ordinarie sono sospese, e vige solo un' azzardata custodia cautelare, anche se chi sta male non vuol saperne di star meglio solo perché è scesa la notte, e le notti insonni dei malati non finiscono mai. Quando per un' eccezione l' ospite della rianimazione è vigile, l' indistinzione fra giorno e notte lo disorienta, in un modo che può essere penoso o allegro, come un soggiorno invernale al Polo sud. La luce del giorno non entra nel reparto, dove sono sempre accese le luci artificiali e colorate della catasta di macchinari che alimentano i respiri e il battito dei cuori e l' introduzione di liquidi nei corpi, e la batteria di suoni meccanici che li scandiscono, base fissa, inframmezzata da suoni di allarme ed emergenza, fino a quelli, come un singhiozzo artificiale, che segnalano la vita che si spegne. Chi è vigile, dunque, guarda similmente al proprio e agli altrui corpi vicini con un senso di estraneità e di compassione, e osserva l' affaccendarsi esperto, e spesso frenetico e convulso, di medici e infermieri attorno ai corpi altrui, vedendoli trattati come una provvisoria materia inerte ancora riscattabile alla vita, e figurandosi il proprio corpo maneggiato con la stessa esperienza e frenesia in bilico fra un' inerzia sul punto di spegnersi definitivamente e una scommessa di risveglio. A volte i curatori maneggiano il corpo senza accorgersi che è a suo modo vigile, e li guarda e li ascolta, e li introduce dentro una propria trama, spaventata o rassicurante, come succede a volte dei sogni che incamerano e piegano a sè suoni ed eventi reali esterni prima di cedere al risveglio. Chi è vigile conosce e inventa insieme la storia dei suoi vicini - una bambina in coma da settimane, i cui genitori non si staccano dal capezzale, un giovane albanese che ha sbattuto con la moto, una ultraottuagenaria operata all' aorta che urla improperi e ricade in una catalessi, un anziano operaio che tiene gli occhi aperti ma non c' è, e le visite intimorite di sua moglie, che sembra scusarsene. Ci arrivano anche i bambini, in rianimazione, perfino i neonati, e tuttavia è raro che ci siano posti pensati per loro: i rianimatori si ingegnano, escogitano una nicchia in cui tenerli immobili, un casco da motociclista, per esempio. Chi è vigile e giace, attaccato a un ventilatore, ammutolito dalla tracheotomia - contento, in principio, di essere esonerato dalla parola - traforato di cavi di entrata e tubi di uscita, guarda, e gli sembra che la propria sorte dipenda fatalmente da quella dei vicini, il suo imprevisto prossimo, e oggi - forse stamattina, forse stanotte, chissà - al giovane albanese della moto è stata amputata una gamba, e l' operaio anziano continua a tenere gli occhi aperti a vuoto, e gli fanno una ginnastica inerte, come a un manichino, poi lo rimettono giù, inclinato sull' altro fianco, e la vecchia grida oscenità e ripiomba in letargo, e i genitori tengono la mano della bambina e si tengono per mano. Che cosa sarà di loro, che cosa sarà di lui, è la stessa cosa. E' un' impresa comune. Chi è vigile si sente chiamato a battersi anche per loro, che giacciono addormentati e ignari. La rianimazione è in verità una nave mascherata da edificio cittadino, ma al tramonto - un tramonto immaginato, a occhio, sul cambio turno degli infermieri - cade l' impalcatura cittadina e si scopre lo scafo l' alberatura e le vele del vascello corsaro, che salpa alla volta della quotidiana battaglia navale sotto una luna piena, nella distesa d' acqua della Piazza dei Miracoli. Il capitano è un anestesista con la barba da pirata, o da populista russo, e prende nota di tutto su un suo quaderno segreto, il nostromo è un chirurgo dai capelli rossi, il miglior uomo del mondo, per voi un rinnegato, che sbandiera ogni giorno di nuovo su una nuova costa la resurrezione di un paziente, sempre lo stesso, in combutta con lui per fingere e riscuotere certe medaglie internazionali. Chi è vigile ma inchiodato al suo letto deve contemporaneamente partecipare all' arrembaggio di un' ammiraglia nemica e ordire un ammutinamento contro la fellonia del rosso e dei suoi accoliti, infermieri e agenti segreti travestiti da lavoranti delle pulizie. Finchè tramonta la luna, cambia di nuovo il turno, la nave corsara torna ad ancorarsi e a drizzare la sua facciata di palazzina, e si ricomincia con la recita delle visite, delle misurazioni, dei prelievi, delle terapie, degli sguardi d' intesa fra i medici e delle battute delle infermiere che parlano ai corpi vigili o sedati come si parlerebbe a un neonato, e in effetti quelli sono vicini alla parete dell' aldilà come un neonato, e hanno loro stessi l' impressione, se possono avere impressioni, che fra lo stare per andarsene all' altro mondo e l' essere appena venuti a questo mondo non ci sia pressochè differenza. E questo dura - un' eternità. Finchè si accetta di nuovo di parlare, si chiede un foglio e una matita, e con una mano semilibera si scrive - un pensiero, un desiderio, un ordine, un insulto - ma l' infermiera, la moglie, la dottoressa, la figlia, prende il foglio, lo guarda, scuote la testa e non sa leggervi che uno scarabocchio insensato, uno zigzag infantile che parte in alto a sinistra e finisce in basso a destra. Non sapete scrivere, non sapete parlare - nè camminare, nè padroneggiare il vostro respiro, nè i vostri sfinteri, e non sapete se mai sarete capaci di reimparare, e tanto meno se ne avete voglia, e vi prende una febbre così alta da darvi il delirium tremens, e di nuovo si corre attorno a voi a fare movimenti frenetici che vi sfuggono e non fanno più appello a voi, si compiono alle vostre spalle, per così dire, forse per finirvi, forse per salvarvi, forse, è quello che fa paura, per rifiutarsi di finirvi senza potervi salvare. Succedono cose. Il giovane motociclista, poco più che ventenne, robusto com' era, aveva perso una gamba, e ora perde la vita. La bambina dalla testa fasciata ha aperto gli occhi, ha guardato i suoi genitori come se li avesse lasciati la sera prima, e loro sono pazzi, la coprono di baci, e stringono le mani del medico e delle infermiere. Tutti contenti e intimiditi, anche la moglie dell' operaio anziano, il quale ha gli occhi aperti chissà su cosa, e ha un viso bruciato che starebbe bene a un Papa. Il paziente vigile, così com' è, senza respiro, senza parola, coi cavi d' entrata e i tubi d' uscita, viene messo su un' ambulanza e trasferito in un reparto normale, con un' allegra sirena, nel mondo in cui si fa differenza fra il giorno e la notte. Non è in salvo, ma può farcela. Via da quel limbo di corpi in aspettativa, santi taumaturghi, arcangeli e cherubine infermiere, diavoli inforcatori. Restare in rianimazione, d' ora in avanti, potrebbe fargli più male che bene, e poi bisogna liberare il posto. Dicono che chi abbia trascorso anche una sola ora in rianimazione da sveglio, non vede l' ora di dimenticarlo. Però a certi pazienti resta una nostalgia, come di altri posti di sofferenza estrema, città assediate, città bombardate, celle di isolamento, luoghi che non dovrebbero esistere, ma dai quali ci si stacca a malincuore, perchè si ha la sensazione di essersi avvicinati al senso della morte, o della vita, che è lo stesso. Si libera il posto guarendo, o morendo. Non di rado i rianimatori, alle prese con il posto, devono scegliere fra l' uno e l' altro: fra il ragazzo del motorino e l' anziano cronico. Per liberare un posto, si può trasferire l' occupante a un' altra rianimazione provvisoriamente disponibile - è un rischio. Si può staccare, in favore del nuovo arrivato che può farcela, un malato che non ha possibilità di sopravvivere (ma allora perchè era attaccato? I parenti, il rischio legale, l' accanimento...). Ma se si stacca per liberare il letto si perdono gli organi per il trapianto: un candidato alla morte cerebrale si può far aspettare. Si può arrangiare un letto in più, in qualche angolo: ma vuol dire ridurre l' assistenza per tutti. Allora? Si decide, si sceglie. Tutti i giorni è così, là dentro, tutte le notti.
18 ottobre 2006
Repubblica.it
E intanto riguardati e rimettiti in sesto...
io di notti in terapia intensiva ne ho passate parecchie, ma sempre dall'altro lato della "barricata", e sono sempre stato interessato ai sentimenti, alle sensazioni e alle emozioni dei pazienti. A tal proposito segnalo 2 bei libri: Mani calde di Giovanna Zucca e Cosa sognano i pesci rossi di Marco Venturino (di professione medico, scrittore a tempo perso, ahimé fascista di indole).
Ma soprattutto questo articolo scritto da Adriano Sofri dopo la sua esperienza in terapia intensiva:
Quelle vite sospese nel reparto di rianimazione
La prima volta che tornate, da pellegrini, coi vostri piedi, nel reparto di rianimazione, siete un po' delusi dalla piccolezza e dalla calma, come a rivedere da adulti certi luoghi favolosi e tumultuosi dell' infanzia. Poco meno di una metà di ricoveri dura meno di 24 ore, la media degli altri è di otto giorni. Ci siete stati invece dieci giorni in coma, e poi venti giorni in uno stato vigile, benché non subito lucido. O piuttosto, troppo lucido, com' è il delirio paranoico, effetto di sedazioni potenti - il curaro, chi immaginerebbe di essere curato dal curaro? Nella transizione dall' anestesia alla veglia, siete vittime di una mostruosa cospirazione, medici e infermieri vi torturano e si preparano ad ammazzarvi, i vostri stessi famigliari non vogliono credere al vostro allarme, e forse stanno prestandosi alla congiura. Quando state meglio, ve ne vergognate un po' - non tanto, però - e capite che forse morirete, e che medici e infermieri stanno cercando di impedirlo. Allora avete paura di non morire, e di restare compromessi nel corpo, o nella mente, e che vogliano salvarvi per una vita che non vorreste accettare. Prima avete temuto che vi volessero torturare e assassinare. Adesso temete che vi vogliano torturare e salvare la vita. Non è solo la paranoia indotta dagli anestetici: la rianimazione assomiglia a una sala di tortura. E' , per così dire, una tortura alla rovescia, non per spogliare meticolosamente di dignità e di vita un corpo sano, ma per risanare un corpo già esanime e spossessato. Simile è la sensazione di essere privati di sé, e di guardare penosamente il proprio corpo, reso estraneo e umiliante, in balia di sconosciuti. Negli altri reparti d' ospedale i malati, anche i più gravi, sono di norma svegli, e dunque si suppone - magari assurdamente - che possano dormire, mentre in rianimazione i pazienti sono di norma addormentati, e non sono in grado di risvegliarsi, o addirittura sono trattenuti in un sonno profondo, e dunque in rianimazione non c' è differenza fra giorno e notte, né per i pazienti, né per i medici e gli infermieri, mentre negli altri reparti si rispetta fin troppo strettamente, non so se per la forza dell' abitudine o per ragioni sindacali, la differenza fra giorno e notte, e di notte le cure ordinarie sono sospese, e vige solo un' azzardata custodia cautelare, anche se chi sta male non vuol saperne di star meglio solo perché è scesa la notte, e le notti insonni dei malati non finiscono mai. Quando per un' eccezione l' ospite della rianimazione è vigile, l' indistinzione fra giorno e notte lo disorienta, in un modo che può essere penoso o allegro, come un soggiorno invernale al Polo sud. La luce del giorno non entra nel reparto, dove sono sempre accese le luci artificiali e colorate della catasta di macchinari che alimentano i respiri e il battito dei cuori e l' introduzione di liquidi nei corpi, e la batteria di suoni meccanici che li scandiscono, base fissa, inframmezzata da suoni di allarme ed emergenza, fino a quelli, come un singhiozzo artificiale, che segnalano la vita che si spegne. Chi è vigile, dunque, guarda similmente al proprio e agli altrui corpi vicini con un senso di estraneità e di compassione, e osserva l' affaccendarsi esperto, e spesso frenetico e convulso, di medici e infermieri attorno ai corpi altrui, vedendoli trattati come una provvisoria materia inerte ancora riscattabile alla vita, e figurandosi il proprio corpo maneggiato con la stessa esperienza e frenesia in bilico fra un' inerzia sul punto di spegnersi definitivamente e una scommessa di risveglio. A volte i curatori maneggiano il corpo senza accorgersi che è a suo modo vigile, e li guarda e li ascolta, e li introduce dentro una propria trama, spaventata o rassicurante, come succede a volte dei sogni che incamerano e piegano a sè suoni ed eventi reali esterni prima di cedere al risveglio. Chi è vigile conosce e inventa insieme la storia dei suoi vicini - una bambina in coma da settimane, i cui genitori non si staccano dal capezzale, un giovane albanese che ha sbattuto con la moto, una ultraottuagenaria operata all' aorta che urla improperi e ricade in una catalessi, un anziano operaio che tiene gli occhi aperti ma non c' è, e le visite intimorite di sua moglie, che sembra scusarsene. Ci arrivano anche i bambini, in rianimazione, perfino i neonati, e tuttavia è raro che ci siano posti pensati per loro: i rianimatori si ingegnano, escogitano una nicchia in cui tenerli immobili, un casco da motociclista, per esempio. Chi è vigile e giace, attaccato a un ventilatore, ammutolito dalla tracheotomia - contento, in principio, di essere esonerato dalla parola - traforato di cavi di entrata e tubi di uscita, guarda, e gli sembra che la propria sorte dipenda fatalmente da quella dei vicini, il suo imprevisto prossimo, e oggi - forse stamattina, forse stanotte, chissà - al giovane albanese della moto è stata amputata una gamba, e l' operaio anziano continua a tenere gli occhi aperti a vuoto, e gli fanno una ginnastica inerte, come a un manichino, poi lo rimettono giù, inclinato sull' altro fianco, e la vecchia grida oscenità e ripiomba in letargo, e i genitori tengono la mano della bambina e si tengono per mano. Che cosa sarà di loro, che cosa sarà di lui, è la stessa cosa. E' un' impresa comune. Chi è vigile si sente chiamato a battersi anche per loro, che giacciono addormentati e ignari. La rianimazione è in verità una nave mascherata da edificio cittadino, ma al tramonto - un tramonto immaginato, a occhio, sul cambio turno degli infermieri - cade l' impalcatura cittadina e si scopre lo scafo l' alberatura e le vele del vascello corsaro, che salpa alla volta della quotidiana battaglia navale sotto una luna piena, nella distesa d' acqua della Piazza dei Miracoli. Il capitano è un anestesista con la barba da pirata, o da populista russo, e prende nota di tutto su un suo quaderno segreto, il nostromo è un chirurgo dai capelli rossi, il miglior uomo del mondo, per voi un rinnegato, che sbandiera ogni giorno di nuovo su una nuova costa la resurrezione di un paziente, sempre lo stesso, in combutta con lui per fingere e riscuotere certe medaglie internazionali. Chi è vigile ma inchiodato al suo letto deve contemporaneamente partecipare all' arrembaggio di un' ammiraglia nemica e ordire un ammutinamento contro la fellonia del rosso e dei suoi accoliti, infermieri e agenti segreti travestiti da lavoranti delle pulizie. Finchè tramonta la luna, cambia di nuovo il turno, la nave corsara torna ad ancorarsi e a drizzare la sua facciata di palazzina, e si ricomincia con la recita delle visite, delle misurazioni, dei prelievi, delle terapie, degli sguardi d' intesa fra i medici e delle battute delle infermiere che parlano ai corpi vigili o sedati come si parlerebbe a un neonato, e in effetti quelli sono vicini alla parete dell' aldilà come un neonato, e hanno loro stessi l' impressione, se possono avere impressioni, che fra lo stare per andarsene all' altro mondo e l' essere appena venuti a questo mondo non ci sia pressochè differenza. E questo dura - un' eternità. Finchè si accetta di nuovo di parlare, si chiede un foglio e una matita, e con una mano semilibera si scrive - un pensiero, un desiderio, un ordine, un insulto - ma l' infermiera, la moglie, la dottoressa, la figlia, prende il foglio, lo guarda, scuote la testa e non sa leggervi che uno scarabocchio insensato, uno zigzag infantile che parte in alto a sinistra e finisce in basso a destra. Non sapete scrivere, non sapete parlare - nè camminare, nè padroneggiare il vostro respiro, nè i vostri sfinteri, e non sapete se mai sarete capaci di reimparare, e tanto meno se ne avete voglia, e vi prende una febbre così alta da darvi il delirium tremens, e di nuovo si corre attorno a voi a fare movimenti frenetici che vi sfuggono e non fanno più appello a voi, si compiono alle vostre spalle, per così dire, forse per finirvi, forse per salvarvi, forse, è quello che fa paura, per rifiutarsi di finirvi senza potervi salvare. Succedono cose. Il giovane motociclista, poco più che ventenne, robusto com' era, aveva perso una gamba, e ora perde la vita. La bambina dalla testa fasciata ha aperto gli occhi, ha guardato i suoi genitori come se li avesse lasciati la sera prima, e loro sono pazzi, la coprono di baci, e stringono le mani del medico e delle infermiere. Tutti contenti e intimiditi, anche la moglie dell' operaio anziano, il quale ha gli occhi aperti chissà su cosa, e ha un viso bruciato che starebbe bene a un Papa. Il paziente vigile, così com' è, senza respiro, senza parola, coi cavi d' entrata e i tubi d' uscita, viene messo su un' ambulanza e trasferito in un reparto normale, con un' allegra sirena, nel mondo in cui si fa differenza fra il giorno e la notte. Non è in salvo, ma può farcela. Via da quel limbo di corpi in aspettativa, santi taumaturghi, arcangeli e cherubine infermiere, diavoli inforcatori. Restare in rianimazione, d' ora in avanti, potrebbe fargli più male che bene, e poi bisogna liberare il posto. Dicono che chi abbia trascorso anche una sola ora in rianimazione da sveglio, non vede l' ora di dimenticarlo. Però a certi pazienti resta una nostalgia, come di altri posti di sofferenza estrema, città assediate, città bombardate, celle di isolamento, luoghi che non dovrebbero esistere, ma dai quali ci si stacca a malincuore, perchè si ha la sensazione di essersi avvicinati al senso della morte, o della vita, che è lo stesso. Si libera il posto guarendo, o morendo. Non di rado i rianimatori, alle prese con il posto, devono scegliere fra l' uno e l' altro: fra il ragazzo del motorino e l' anziano cronico. Per liberare un posto, si può trasferire l' occupante a un' altra rianimazione provvisoriamente disponibile - è un rischio. Si può staccare, in favore del nuovo arrivato che può farcela, un malato che non ha possibilità di sopravvivere (ma allora perchè era attaccato? I parenti, il rischio legale, l' accanimento...). Ma se si stacca per liberare il letto si perdono gli organi per il trapianto: un candidato alla morte cerebrale si può far aspettare. Si può arrangiare un letto in più, in qualche angolo: ma vuol dire ridurre l' assistenza per tutti. Allora? Si decide, si sceglie. Tutti i giorni è così, là dentro, tutte le notti.
18 ottobre 2006
Repubblica.it
E intanto riguardati e rimettiti in sesto...
Dq82 - 18/4/2018 - 15:47
Ciao Riccardo, bentornato!
Riguardati, che l'Anonimo sarà anche immortale, ma tu non sei più un giovinetto!
E si sa - come diceva la mi' nonna - "la vecchiaia viene con diciannove mancamenti, più la goccia al naso, che son venti!"
Saluti
Riguardati, che l'Anonimo sarà anche immortale, ma tu non sei più un giovinetto!
E si sa - come diceva la mi' nonna - "la vecchiaia viene con diciannove mancamenti, più la goccia al naso, che son venti!"
Saluti
B.B. - 18/4/2018 - 16:30
In effetti, quanto a riguardarmi, stamani presto mi sono guardato e riguardato allo specchio sperando di ritrovare quello là di 17 anni e mezzo (ovvero quasi 40 anni fa...) la cui foto campeggia accanto al PC; non l'ho ritrovato. Il problema è che, per molti versi, la mia testa è rimasta appunto a quell'età là, con tutto il bene e con tutto il male che ne consegue; da qui le insuline, i metoprololi, le coronarografie e quant'altro. Tenendo peraltro conto che, a 17 anni e mezzo, ero già completamente grullo come ora, e che parlavo già discretamente tre o quattro lingue. Però, tutto sommato, in sesto mi sento abbastanza e cercherò di mettermi anche in settimo tanto che ci sono...e via di yogurtini magri! L'apostolo della bresaola! Fette biscottate "Misura", che fa rima con "segatura", e un bel bicchiere di vino rigorosamente annacquato...caffè senza zucchero, pasta integrale, bisognerebbe mangiassi il pesce ma costa uno sbotto, Torvast a gogò, il Ticagrelor, insalatine miste e zuppe di verdura...!!! :-P
Grazie a tutte e tutti...
Grazie a tutte e tutti...
Riccardo Venturi - 18/4/2018 - 17:43
Li ho dimenticati talmente poco che stanno in immagine accanto al metoprololo....!!!
Fagiolini lessi a gogò....sob...Tigellino, il lacrimatojo...!
Fagiolini lessi a gogò....sob...Tigellino, il lacrimatojo...!
Riccardo Venturi - 18/4/2018 - 19:13
Vabbè Riccardo, ma il vino annacquato...!?!
Puoi anche bere mezzo bicchiere d'acqua e poi mezzo bicchiere di vino, non fa lo stesso?!?
Mettere l'acqua nel vino è peccato mortale! Non vorrei mai che tu mi dipartissi per questo, invece che per l'ennesimo infartino!
Puoi anche bere mezzo bicchiere d'acqua e poi mezzo bicchiere di vino, non fa lo stesso?!?
Mettere l'acqua nel vino è peccato mortale! Non vorrei mai che tu mi dipartissi per questo, invece che per l'ennesimo infartino!
B.B. - 18/4/2018 - 22:22
E poi il pesce veloce del Baltico marca Findus mica costa tanto! Con un bel mezzo bicchiere d'acqua e un bel mezzo bicchiere di Sauvignon...
B.B. - 18/4/2018 - 22:25
Suggerirei all'amico RV di rispolverare urgentemente anche la vecchia Dezuccherare tutto del lontano 2012...!
L'Anonimo Toscano del XXI secolo - 18/4/2018 - 23:21
X BB.
O BB, io sono mezzo dell'Isola d'Elba e ho campato a Livorno per anni. Quindi, irpescevelocederbàrtïo tuttelammangiattè..
Oh.
Piuttosto sgombri in scatola al peperoncino! (marca Rizzoli, buonissimi!!)
O BB, io sono mezzo dell'Isola d'Elba e ho campato a Livorno per anni. Quindi, irpescevelocederbàrtïo tuttelammangiattè..
Oh.
Piuttosto sgombri in scatola al peperoncino! (marca Rizzoli, buonissimi!!)
Riccardo Venturi - 18/4/2018 - 23:31
Lingua: Francese
Version française – LE COÛT SOCIAL – Marco Valdo M.I. – 2018
Chanson italienne – Costo sociale – AT(hée) du XXI siècle – aprile 2018
L’ANONYME TOSCAN DU XXIe SIÈCLE ET LE PETIT ORCHESTRE DU COÛT SOCIAL
Texte et musique : Anonimo Toscano del XXI Secolo
Sur une idée de Riccardo Venturi
Coro del Coordinamento Anarchico e Libertario di Firenze (Chœur de la coordination anarchiste et libertaire de Florence)
Dans ce cas, je fais un peu l’intermédiaire ; mon vieil ami Riccardo Venturi, hospitalisé en soins intensifs pour l’énième petit infar il y a quelques jours (vous aurez peut-être remarqué son absence du site), m’a prié de développer l’idée de chanson qu’il avait eue durant les longues heures nocturnes, en tenant compte que dans une UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologica), on ne peut faire grand-chose, étant nus et cloués au lit dans une chose qui ressemble assez au 41 bis (carcer duro, régime carcéral de haute sécurité). J’ai exécuté volontiers le travail, en suivant les suggestions précises de RV, même si le susdit est maintenant déjà bien et que dans son petit chez soi, il fait des traductions du suédois, se fait des injections d’insuline, car sa glycémie est montée à des valeurs monstrueuses suite à l’événement traumatique et il sifflote gaiement ; et qui le tue, cela… dit par le soussigné lequel, comme vous saurez tous, est immortel. Ainsi, en somme, est née cette chose que j’ai confiée à un « orchestrina » nouveau-né, formé – très exactement – par moi-même personnellement en personne et par d’autres étranges figures qui, d’autre part, se sont pressées les jours passés dans le département où Venturi était hospitalisé pour la post-opération (un rayon qui s’appelle « Medicina di Elezione – Médecine d’Élection », à raison de quoi RV a immédiatement crié : « Ne pas déléguer, ne pas voter ! »). J’inviterais même Venturi à en faire partie, s’il n’a pas perdu la voix, et naturellement même le DQ82 qui est médecin. Comme disait mon ancêtre Anonyme Toscan du XIV Siècle, « un barbier-chirurgien fait toujours bon usage. » [At(hée)-XXI]
Chanson italienne – Costo sociale – AT(hée) du XXI siècle – aprile 2018
L’ANONYME TOSCAN DU XXIe SIÈCLE ET LE PETIT ORCHESTRE DU COÛT SOCIAL
Texte et musique : Anonimo Toscano del XXI Secolo
Sur une idée de Riccardo Venturi
Coro del Coordinamento Anarchico e Libertario di Firenze (Chœur de la coordination anarchiste et libertaire de Florence)
Dans ce cas, je fais un peu l’intermédiaire ; mon vieil ami Riccardo Venturi, hospitalisé en soins intensifs pour l’énième petit infar il y a quelques jours (vous aurez peut-être remarqué son absence du site), m’a prié de développer l’idée de chanson qu’il avait eue durant les longues heures nocturnes, en tenant compte que dans une UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologica), on ne peut faire grand-chose, étant nus et cloués au lit dans une chose qui ressemble assez au 41 bis (carcer duro, régime carcéral de haute sécurité). J’ai exécuté volontiers le travail, en suivant les suggestions précises de RV, même si le susdit est maintenant déjà bien et que dans son petit chez soi, il fait des traductions du suédois, se fait des injections d’insuline, car sa glycémie est montée à des valeurs monstrueuses suite à l’événement traumatique et il sifflote gaiement ; et qui le tue, cela… dit par le soussigné lequel, comme vous saurez tous, est immortel. Ainsi, en somme, est née cette chose que j’ai confiée à un « orchestrina » nouveau-né, formé – très exactement – par moi-même personnellement en personne et par d’autres étranges figures qui, d’autre part, se sont pressées les jours passés dans le département où Venturi était hospitalisé pour la post-opération (un rayon qui s’appelle « Medicina di Elezione – Médecine d’Élection », à raison de quoi RV a immédiatement crié : « Ne pas déléguer, ne pas voter ! »). J’inviterais même Venturi à en faire partie, s’il n’a pas perdu la voix, et naturellement même le DQ82 qui est médecin. Comme disait mon ancêtre Anonyme Toscan du XIV Siècle, « un barbier-chirurgien fait toujours bon usage. » [At(hée)-XXI]
Dialogue maïeutique
Lucien l’âne mon ami, notre ami Ventu est revenu, le bon RV, alias mille autres noms, a fait récemment un xième petit infar (infartino), c’est-à-dire un infarctus du myocarde, événement fréquent chez les humains, du moins dans la partie la plus urbanisée et la plus riche de notre monde contemporain. Car, globalement, vois-tu mon ami l’âne, dans les pays les plus riches, même les pauvres ont les maladies des riches.
Oh, Marco Valdo M.I. mon ami, je sais ça. C’est un des effets pervers de la Guerre de Cent Mille Ans, non pas que les riches filent perversement leur chtouille aux pauvres, mais parce que le mode de vie général est pour une grande part claqué sur celui des riches, même si c’est de façon caricaturale, même si en définitive, il s’agit d’un ersatz : technologie, équipement, alimentation – sucre, tabac, alcool à profusion ; le tout lié à une sédentarisation et les faux sports et aux fitnesses (mes fesses !) n’y changent rien. La maladie, les maladies sont des faits de civilisation ; elles sont fortement liées au mode de vie.
Peut-être, Lucien l’âne mon ami, mais ça ne nous console pas des ennuis de santé de notre ami. Je dirais même – en pensant à d’autres – de nos amis. Depuis des années, l’ « infar » est à la mode, en quelque sorte. « Le cœur, vous dis-je, le cœur », dit-on maintenant où Molière voyait le foie et même le poumon.
Oh, dit Lucien l’âne, à cela, je ne résiste pas. Pour Ventu et lui seul, je m’en vais faire la tirade du poumon de Monsieur Molière.
Halte-là, Lucien l’âne mon ami, subodorerais-tu que notre mai Ventu serait un malade imaginaire ?
Certes non, Marco Valdo M.I. mon ami, mais je lui ferai quand même sa tirade :
« Ce sont tous des ignorants, c'est du poumon que vous êtes malade.
– Du poumon?
– Oui. Que sentez-vous?
– Je sens de temps en temps des douleurs de tête.
– Justement, le poumon.
– Il me semble parfois que j'ai un voile devant les yeux. .
– Le poumon.
– J'ai quelquefois des maux de cœur.
– Le poumon.
– Je sens parfois des lassitudes par tous les membres.
– Le poumon.
– Et quelquefois il me prend des douleurs dans le ventre, comme si c'était des coliques.
– Le poumon. Vous avez appétit à ce que vous mangez?
– Oui, Monsieur.
– Le poumon. Vous aimez à boire un peu de vin?
– Oui, Monsieur.
– Le poumon. Il vous prend un petit sommeil après le repas, et vous êtes bien aise de dormir?
– Oui, Monsieur.
– Le poumon, le poumon, vous dis-je. »
(Molière, Le Malade imaginaire, III, 10)
Le poumon, certes, Lucien l’âne mon ami. Le poumon, quoique le foie et le pancréas et l’insuline, dont dépend, semble-t-il, RV, ont partie liée.
Dans sa chanson, l’Athée du XXI met l’accent sur le « coût social » de la santé et des traitements qu’on lui applique et – à raison – il se réjouit de pouvoir être soigné sans devoir (trop) débourser ou sans rien débourser du tout, c’est selon. C’est l’argument de fond de la chanson. Je disais qu’il a raison de se réjouir, car, dans de nombreux pays – et non des moindres – ce genre de traitement est littéralement hors de prix et accessible aux seuls (suffisamment) riches. Là-bas, la situation est claire et simple : les pauvres ne se soignent pas. Je n’ignore pas qu’il y en a aussi ici, mais actuellement encore, c’est un phénomène encore assez limité.
Cela dit, Marco Valdo M.I. mon ami, on n’est pas là pour faire une conférence sur le système de santé dans le monde. Parle-moi un peu de la chanson.
C’est une excellente idée, rétorque Marco Valdo M.I., de mettre ainsi le holà à ma logorrhée et de me ramener à la chanson de Ventu, dont il y aurait un milliard de choses à dire, dont je te ferai grâce. Cependant, elle me plaît beaucoup en ce qu’elle raconte le séjour de Ventu en UTIC, mais vu par lui-même avec pas mal d’autodérision, ce qui est un excellent remède à l’autolamentation. Je m’empresse et je profite de la circonstance pour lui adresser nos plus vives félicitations ; elles sont d’autant plus joyeuses que la chanson est bien rassurante quand elle annonce et conclut :
Restons-en là, Marco Valdo M.I. mon ami et comme RV et l’Athée du XXI (Stanislas André Steeman l’avait bien dit : L’Assassin habite au XXI, roman inspiré de Drôle de Drame (et de ses mimosas) de Jacques Prévert), notre tâche et tissons le linceul de ce vieux monde malade, égrotant, cardiaque, hépatique, essoufflé, sucré, diabétique et cacochyme.
Heureusement !
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
Lucien l’âne mon ami, notre ami Ventu est revenu, le bon RV, alias mille autres noms, a fait récemment un xième petit infar (infartino), c’est-à-dire un infarctus du myocarde, événement fréquent chez les humains, du moins dans la partie la plus urbanisée et la plus riche de notre monde contemporain. Car, globalement, vois-tu mon ami l’âne, dans les pays les plus riches, même les pauvres ont les maladies des riches.
Oh, Marco Valdo M.I. mon ami, je sais ça. C’est un des effets pervers de la Guerre de Cent Mille Ans, non pas que les riches filent perversement leur chtouille aux pauvres, mais parce que le mode de vie général est pour une grande part claqué sur celui des riches, même si c’est de façon caricaturale, même si en définitive, il s’agit d’un ersatz : technologie, équipement, alimentation – sucre, tabac, alcool à profusion ; le tout lié à une sédentarisation et les faux sports et aux fitnesses (mes fesses !) n’y changent rien. La maladie, les maladies sont des faits de civilisation ; elles sont fortement liées au mode de vie.
Peut-être, Lucien l’âne mon ami, mais ça ne nous console pas des ennuis de santé de notre ami. Je dirais même – en pensant à d’autres – de nos amis. Depuis des années, l’ « infar » est à la mode, en quelque sorte. « Le cœur, vous dis-je, le cœur », dit-on maintenant où Molière voyait le foie et même le poumon.
Oh, dit Lucien l’âne, à cela, je ne résiste pas. Pour Ventu et lui seul, je m’en vais faire la tirade du poumon de Monsieur Molière.
Halte-là, Lucien l’âne mon ami, subodorerais-tu que notre mai Ventu serait un malade imaginaire ?
Certes non, Marco Valdo M.I. mon ami, mais je lui ferai quand même sa tirade :
« Ce sont tous des ignorants, c'est du poumon que vous êtes malade.
– Du poumon?
– Oui. Que sentez-vous?
– Je sens de temps en temps des douleurs de tête.
– Justement, le poumon.
– Il me semble parfois que j'ai un voile devant les yeux. .
– Le poumon.
– J'ai quelquefois des maux de cœur.
– Le poumon.
– Je sens parfois des lassitudes par tous les membres.
– Le poumon.
– Et quelquefois il me prend des douleurs dans le ventre, comme si c'était des coliques.
– Le poumon. Vous avez appétit à ce que vous mangez?
– Oui, Monsieur.
– Le poumon. Vous aimez à boire un peu de vin?
– Oui, Monsieur.
– Le poumon. Il vous prend un petit sommeil après le repas, et vous êtes bien aise de dormir?
– Oui, Monsieur.
– Le poumon, le poumon, vous dis-je. »
(Molière, Le Malade imaginaire, III, 10)
Dans sa chanson, l’Athée du XXI met l’accent sur le « coût social » de la santé et des traitements qu’on lui applique et – à raison – il se réjouit de pouvoir être soigné sans devoir (trop) débourser ou sans rien débourser du tout, c’est selon. C’est l’argument de fond de la chanson. Je disais qu’il a raison de se réjouir, car, dans de nombreux pays – et non des moindres – ce genre de traitement est littéralement hors de prix et accessible aux seuls (suffisamment) riches. Là-bas, la situation est claire et simple : les pauvres ne se soignent pas. Je n’ignore pas qu’il y en a aussi ici, mais actuellement encore, c’est un phénomène encore assez limité.
Cela dit, Marco Valdo M.I. mon ami, on n’est pas là pour faire une conférence sur le système de santé dans le monde. Parle-moi un peu de la chanson.
C’est une excellente idée, rétorque Marco Valdo M.I., de mettre ainsi le holà à ma logorrhée et de me ramener à la chanson de Ventu, dont il y aurait un milliard de choses à dire, dont je te ferai grâce. Cependant, elle me plaît beaucoup en ce qu’elle raconte le séjour de Ventu en UTIC, mais vu par lui-même avec pas mal d’autodérision, ce qui est un excellent remède à l’autolamentation. Je m’empresse et je profite de la circonstance pour lui adresser nos plus vives félicitations ; elles sont d’autant plus joyeuses que la chanson est bien rassurante quand elle annonce et conclut :
« Quand vous lirez ça, je serai à table déjà
Avec ma belle assiette de bresàola,
L’huile, le limoncino et le pain complet
Et je vous envoie à tous ce secret
Que je me prépare à la vie normale,
Mais d’une normalité un peu spéciale,
À ma vie pour tout dire hors norme »
Avec ma belle assiette de bresàola,
L’huile, le limoncino et le pain complet
Et je vous envoie à tous ce secret
Que je me prépare à la vie normale,
Mais d’une normalité un peu spéciale,
À ma vie pour tout dire hors norme »
Restons-en là, Marco Valdo M.I. mon ami et comme RV et l’Athée du XXI (Stanislas André Steeman l’avait bien dit : L’Assassin habite au XXI, roman inspiré de Drôle de Drame (et de ses mimosas) de Jacques Prévert), notre tâche et tissons le linceul de ce vieux monde malade, égrotant, cardiaque, hépatique, essoufflé, sucré, diabétique et cacochyme.
Heureusement !
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
LE COÛT SOCIAL
Étendu nu seul dans la nuit
Enserré de tubes roses ou gris,
De toux, de râles, tout est normal,
Je respire une puanteur d’animal ;
Un nouveau stent a été posé
Et on a débouché les anciens ;
Ma vie se dissout et s’en va sans rien,
Comme le Canard WC.
Bourré d’insuline, s’écoule de mon corps
Un peu de liquide naturel et de sanie,
Remis au metoprolole encore,
Remis à la diète et puis rétabli ;
Et tout ça,
Aux frais de l’État.
Si dans autre État, j’avais été soigné
Comme aux Étazunis, si beaux, si grands,
Si modernes, si fiers, si importants,
J’aurais dû payer les infirmiers ;
J’aurais payé les tubes et les haricots verts,
Les perfs, les cachets et jusqu’aux aiguilles,
Le séjour, l’eau, la bouffe et la thérapie,
Sans compter combien coûte cher
Une heure de coronarographie.
Étendu nu seul dans la nuit,
Entre rébus et mots croisés,
Je révise mon hébreu tout éveillé,
« Prise de sang ! », hurle une fille,
« Tension ! »,
J’ai une faim de loup, un appétit de lion.
J’ai une faim de loup, la dent d’animal,
J’ai une faim de coût social ;
Coûter un peu, mais il me paraît
Que je coûte moins qu’une Panda,
Et beaucoup moins qu’un soldat,
Et moins encore qu’une mission de Paix.
Avec ma vie de débauché,
Mes demi-litres, mes vodkas et mes fumées,
Mes nuits blanches et mes colères,
J’ai retrouvé mes cathéters,
Mes cocktails de pilules et d’insuline,
Le haricot, les carottes molles,
Le yaourt maigre sans vitamine,
Le Plavix et mon metoprolole.
Cependant on s’en fout ; il n’y a pas de mal,
Parfois, à se faire une injection de médicament ;
Et, comme dit un certain Génois, pas banal,
Va-z-y toi lui dire que c’est le printemps.
Je vous écris et quand vous lirez ceci,
Je serai déjà chez moi dans mon charivari,
Là, avec mon vélo et mes tartines,
Mes anars, mes livres, mon chat et mon canari,
Mes chansons contre la guerre et mon insuline.
On m’a dit : « Du mouvement ! Il faut bouger !
Et ne nous cassez pas les pieds ;
En somme, Monsieur Venturi, vous nous coûtez
Plus que des vacances de luxe en été. »
Et je rétorque, les statistiques à la main,
Que je coûte moins,
Qu’une avalanche dans la vallée ;
Quelle putain de maléfique chiée
Que cette santé privatisée.
Quand vous lirez ça, je serai à table déjà
Avec ma belle assiette de bresàola,
L’huile, le limoncino et le pain complet
Et je vous envoie à tous ce secret
Que je me prépare à ma vie normale,
Mais d’une normalité un peu spéciale,
À ma vie pour tout dire hors norme,
Et vous salue d’un beau coût social.
[Ghghghghghghg !!!]
Étendu nu seul dans la nuit
Enserré de tubes roses ou gris,
De toux, de râles, tout est normal,
Je respire une puanteur d’animal ;
Un nouveau stent a été posé
Et on a débouché les anciens ;
Ma vie se dissout et s’en va sans rien,
Comme le Canard WC.
Bourré d’insuline, s’écoule de mon corps
Un peu de liquide naturel et de sanie,
Remis au metoprolole encore,
Remis à la diète et puis rétabli ;
Et tout ça,
Aux frais de l’État.
Si dans autre État, j’avais été soigné
Comme aux Étazunis, si beaux, si grands,
Si modernes, si fiers, si importants,
J’aurais dû payer les infirmiers ;
J’aurais payé les tubes et les haricots verts,
Les perfs, les cachets et jusqu’aux aiguilles,
Le séjour, l’eau, la bouffe et la thérapie,
Sans compter combien coûte cher
Une heure de coronarographie.
Étendu nu seul dans la nuit,
Entre rébus et mots croisés,
Je révise mon hébreu tout éveillé,
« Prise de sang ! », hurle une fille,
« Tension ! »,
J’ai une faim de loup, un appétit de lion.
J’ai une faim de loup, la dent d’animal,
J’ai une faim de coût social ;
Coûter un peu, mais il me paraît
Que je coûte moins qu’une Panda,
Et beaucoup moins qu’un soldat,
Et moins encore qu’une mission de Paix.
Avec ma vie de débauché,
Mes demi-litres, mes vodkas et mes fumées,
Mes nuits blanches et mes colères,
J’ai retrouvé mes cathéters,
Mes cocktails de pilules et d’insuline,
Le haricot, les carottes molles,
Le yaourt maigre sans vitamine,
Le Plavix et mon metoprolole.
Cependant on s’en fout ; il n’y a pas de mal,
Parfois, à se faire une injection de médicament ;
Et, comme dit un certain Génois, pas banal,
Va-z-y toi lui dire que c’est le printemps.
Je vous écris et quand vous lirez ceci,
Je serai déjà chez moi dans mon charivari,
Là, avec mon vélo et mes tartines,
Mes anars, mes livres, mon chat et mon canari,
Mes chansons contre la guerre et mon insuline.
On m’a dit : « Du mouvement ! Il faut bouger !
Et ne nous cassez pas les pieds ;
En somme, Monsieur Venturi, vous nous coûtez
Plus que des vacances de luxe en été. »
Et je rétorque, les statistiques à la main,
Que je coûte moins,
Qu’une avalanche dans la vallée ;
Quelle putain de maléfique chiée
Que cette santé privatisée.
Quand vous lirez ça, je serai à table déjà
Avec ma belle assiette de bresàola,
L’huile, le limoncino et le pain complet
Et je vous envoie à tous ce secret
Que je me prépare à ma vie normale,
Mais d’une normalité un peu spéciale,
À ma vie pour tout dire hors norme,
Et vous salue d’un beau coût social.
[Ghghghghghghg !!!]
inviata da Marco Valdo M.I. - 24/4/2018 - 19:41
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Testo e musica dell'Anonimo Toscano del XXI Secolo
Da un'idea di Riccardo Venturi
Coro del Coordinamento Anarchico e Libertario di Firenze
In questo caso ho fatto un po' da tramite: il mio vecchio amico Riccardo Venturi, pochi giorni fa ricoverato in terapia intensiva per l'ennesimo infartino (avrete notato forse la sua assenza dal sito per qualche giorno), mi ha pregato di sviluppare una sua idea di canzonetta che aveva avuto nelle lunghe ore notturne, tenendo conto che in una UTIC si può fare ben poco, essendo nudi e costretti a letto in una cosa che somiglia abbastanza al 41 bis. Ho eseguito volentieri la bisogna, seguendo i precisi suggerimenti di RV, anche se il suddetto è oramai già bell'e che a casina sua, fa le traduzioni in svedese, si fa le pere d'insulina perché gli è schizzata su la glicemia a valori mostruosi in conseguenza dell'evento traumatico e fischietta allegramente; e chi l'ammazza, quello...detto dal sottoscritto che, come saprete tutti, è immortale. Così, insomma, è venuta fuori questa cosa che ho affidato ad una neonata “orchestrina” formata -appunto- da me stesso personalmente di persona e da altri strani figuri che, peraltro, hanno affollato i giorni scorsi il reparto dove il Venturi era ricoverato per il post-operazione (un reparto che si chiama “Medicina di Elezione”, al che RV ha subito gridato: “Non delegare, non votare!”). Inviterei anche il Venturi a farne parte, se non ha perso la voce, e naturalmente anche il DQ82 che è un medico. Come diceva il mio antenato Anonimo Toscano del XIV Secolo, "Un cerusico fa sempre comodo." [AT-XXI]