Eun alarc'h [1], eun alarc'h tramor,
War lein tour moal kastell Armor
Neventi vat d'ar Vretoned!
Ha mallozh ruz d'ar C'hallaoued!
Erru ul lestr e pleg ar mor,
E ouelioù gwenn gantañ digor
Degoue'et an Aotroù Yann en-dro,
Digoue'et eo da ziwall e vro
Enor, enor d'ar gwenn-ha-du!
Ha d'an dretourien mallozh ruz!
War lein tour moal kastell Armor
Dinn, dinn, daon!
dann emgann! dann emgann!
Oh! Dinn, dinn, daon!
d'ann emgann ez an!
dann emgann! dann emgann!
Oh! Dinn, dinn, daon!
d'ann emgann ez an!
Neventi vat d'ar Vretoned!
Ha mallozh ruz d'ar C'hallaoued!
Erru ul lestr e pleg ar mor,
E ouelioù gwenn gantañ digor
Degoue'et an Aotroù Yann en-dro,
Digoue'et eo da ziwall e vro
Enor, enor d'ar gwenn-ha-du!
Ha d'an dretourien mallozh ruz!
[1] il termine è stato con tutta probabilità ripristinato da Villemarqué con riferimento al gallese "alarch", purale "elyrch" o "eleirch" per sostituirlo al termine bretone "sin" che per lui era troppo simile al francese "cygne"; ma secondo un'altra ipotesi potrebbe trattarsi di un fraintendimento: supponendo che Villemarqué abbia riportato una vera ballata storica nel primo verso viene localizzato il luogo dello sbarco "Aleth" o "Alet" (vecchio termine bretone con cui era chiamata Saint-Malo) , sul promontorio di Saint-Servan, il verso diventa quindi " A Aleth oltre il mare, davanti alla torre ruinosa (tour moal) del castello Armor ( letteralmente, fortezza del mare)
inviata da Cattia Salto - 25/3/2018 - 21:17
Lingua: Italiano
Traduzione italiana di Cattia Salto (marzo 2018)
Rimando all’approfondita ricerca di Christian Souchon per la lettura in francese, inglese e bretone e pur avendo solo una infarinata in merito alla lingua mi sono arrischiata nella traduzione
Rimando all’approfondita ricerca di Christian Souchon per la lettura in francese, inglese e bretone e pur avendo solo una infarinata in merito alla lingua mi sono arrischiata nella traduzione
UN CIGNO
Un cigno, un cigno d’oltremare,
in sommo alle mura del castello d’Armorica [1]
Din don dan,
alla guerra
Din don dan,
vado a combattere
Lieta novella per i Bretoni! [2]
Un bagno di sangue per i Francesi!
Una nave entra nel golfo
con le vele bianche ammainate
il Duca Jean è ritornato
è venuto per difendere il suo paese
Onore, onore al vessillo bianco-nero! [3]
E la peste ai traditori! [4]
Un cigno, un cigno d’oltremare,
in sommo alle mura del castello d’Armorica [1]
Din don dan,
alla guerra
Din don dan,
vado a combattere
Lieta novella per i Bretoni! [2]
Un bagno di sangue per i Francesi!
Una nave entra nel golfo
con le vele bianche ammainate
il Duca Jean è ritornato
è venuto per difendere il suo paese
Onore, onore al vessillo bianco-nero! [3]
E la peste ai traditori! [4]
[1] da Ar-Mor cioè "Il Mare" in celtico (e i Romani chiamarono la penisola Armorica), si riferisce forse alle rovine del castello di Oreigle. L’attuale castello di Saint-Malo fu eretto dal figlio di Giovanni su un piccolo mastio edificato nel 1393
[2] il Duca sbarcò nel golfo di Saint-Malo il 3 agosto 1379 e sconfisse l’esercito francese guidato dal traditore Bertrand Du Guesclin, il Duca Nero
[3] la strofa è un’aggiunta più recente in quanto la bandiera della Bretagna fu inventata da Morvan Marchal nel 1923
[4] letteralmente “mallozh ruz” si traduce “maledizione rossa”, già nella II strofa ho preferito visualizzare la maledizione con un realistico “bagno di sangue”, nel finale invece traduco come il proverbiale “e peste ti colga”
[2] il Duca sbarcò nel golfo di Saint-Malo il 3 agosto 1379 e sconfisse l’esercito francese guidato dal traditore Bertrand Du Guesclin, il Duca Nero
[3] la strofa è un’aggiunta più recente in quanto la bandiera della Bretagna fu inventata da Morvan Marchal nel 1923
[4] letteralmente “mallozh ruz” si traduce “maledizione rossa”, già nella II strofa ho preferito visualizzare la maledizione con un realistico “bagno di sangue”, nel finale invece traduco come il proverbiale “e peste ti colga”
inviata da Cattia Salto - 25/3/2018 - 21:23
Piccola integrazione linguistica sul termine "alarch". Concordo anche io sull'introduzione in bretone a partire dal gallese, da parte del Villemarché o di qualche altro della sua epoca. Fu ripreso anche il "plurale interno" (i plurali bretoni sono in assai evanescenti, ma in generale dovrebbe fare elerch). Il termine sin era fra l'altro identico a quello per "sigillo, segno, segnale" (questo, certamente, di derivazione francese). Interessante comunque notare che si tratta di un termine risalente al più profondo e antico patrimonio indoeuropeo: lo si confronta direttamente con il latino olor "cigno" (il cigno è detto scientificamente Cygnus olor) e addirittura con l'ittito alilaš.
Riccardo Venturi - 26/3/2018 - 07:39
Ok per l'antica ballata, ma mi pare che non si tratti d'altro che di una canzone di guerra, in ricordo di una delle miriadi di guerre e guerricciole di cui è costellata la Storia...
Non è che queste strofe possono avere una lettura diversa.
Io suggerirei di espungerla dalle CCG/AWS.
Saluti
Non è che queste strofe possono avere una lettura diversa.
Io suggerirei di espungerla dalle CCG/AWS.
Saluti
B.B. - 26/3/2018 - 08:19
e in effetti ero perplessa in merito alla sua collocazione, diciamo che un bretone quando la sente gli si ribolle il sangue preso da un impeto di breton pride
Cattia Salto - 26/3/2018 - 09:55
Caro Riccardo, il nome di Stivell accanto al titolo mi lascia perplesso. D'accordo che la sua all'Olympia è, di gran lunga, la versione più conosciuta (internazionalmente parlando) ma il primo disco di Servat (che la contiene)ebbe una primissima edizione Kelenn datata già 1971. E, anche tralasciando questo particolare, i due dischi che noi tutti conosciamo uscirono sul mercato francese entrambi nel 1972.
Il concerto venne registrato la sera del 28 febbraio. Della registrazione di Servat non conosco la data precisa, so solo che venne effettuata in uno studio a Dublino.
Per completezza d'informazione sulla canzone, riporto quello che ho precedentemente scritto su TERRE CELTICHE:
Il duca Jean de Montfort ha senz’altro un posto a parte nel cuore dei bretoni. Comunque le interpretazioni di questo antico testo omettono sempre la descrizione della battaglia, degli originali trentadue distici contenuti nel “Barzaz Breiz” (“Poesia Bardica di Bretagna”) se ne cantano i primi quattro o cinque. Non vengono mai utilizzate le ulteriori poetiche strofe che raccontano di come le grida di gioia facciano tremare il fiume e si mescolino a quelle dei lupi della Bassa Bretagna, di come il latte della mamma bretone che ha nutrito il nostro eroe sia più dolce del vino invecchiato e di come i Francesi cadranno e resteranno a terra fino al giorno del giudizio mentre gli alberi di fogna saranno l’acqua santa che innaffierà le loro tombe.
La strofa finale invece è di origine recente.
Oltre alle due proposte in ascolto da Cattia (Alan Stivell e Tri Yann, entrambe del 1972), all’epoca ci furono altre importanti ed eccellenti versioni della canzone:
Gilles Servat – omonimo 1971
An Triskell – Musiques Celtiques 1973
Ar Breizerien – Bale Roue Arzur 1975
Su tutte quella di Gilles Servat. Prima di tutto perché è antecedente di un anno al live 1972 dell’Olympia da cui tutti noi l’abbiamo conosciuta. Terza traccia del suo disco d’esordio, situata proprio appena dopo quello che sarà il suo inno personale “La Blanche Hermine”, un inno di “collera di un popolo periferico ma di una periferia dove regna il mare” come scriveva il grande poeta bretone scomparso troppo presto, Xavier Grall. E poi anche perché contiene al suo interno un feroce testo originale composto ad Ar Stivell nel luglio di quello stesso 1971 e recitato con la teatralità bellicosa espressa dalla sua inconfondibile voce:
Ecco la leucemia bretone
il padre che muore da solo nel Far-West
il figlio emarginato periferia nord-est
proletario ricalcato a carta carbone…
e i bambini del vino gallico
che mordono nei loro pugni d’idioti
dei genitori nutriti di enciclica
che in più fanno i cretini!
Ecco la leucemia bretone
“Dono-di-Dio” Botrel, il bello
che canta il suo ideale ruffiano
con la sua mitragliatrice per tedeschi
e l’armata bretone in tasca
il fiore di ginestrone alla caviglia
aggrappato al folklore-palla
per farci un surrogato-pensiero
e una cultura di paccotiglia
Ecco la leucemia bretone
e la menzogna che ci assonna
beatifica i nostri assassini
il padre Maunoir diventato santo
e Duguesclin il nostro grand’uomo
e la nostra lingua nella pattumiera
la mia lingua, mamma, pietà per lei
ogni parola bretone pronunciata
singhiozza di miserere
Ecco la leucemia bretone
la disperazione e la tristezza
quando la notte spegne la giovinezza
di questo paese che si spolmona
il cimitero degli Innocenti
si estende da Ancenis a Ouessant
Ed ecco la collera bretone!
la collera e la speranza mescolate
i ciarlatani che si silurano
ecco il mattino che si alza
ecco la libertà che si sogna
ecco il giorno dei pugni alzati!
“Leucémie Bretonne” trad. italiana dal volume “Koroll Ar C’Hleze” (1985) di Flavio Poltronieri
Una menzione particolare merita Andrée Le Gouil (nata Andrea Ar Gouilh, nel 1935), una pioniera della rinascita del canto popolare bretone. Nel 1959 l’etichetta Mouez-Breiz (Voce della Bretagna), attiva dal 1952 nella città di Quimper, produsse due suoi 45 giri (contenenti 4 canzoni ciascuno) e l’ultima traccia sul lato B del secondo è proprio An Alarc’h. Particolare non secondario è che ad accompagnarla all’arpa sia un ragazzino di 15 anni di nome Alan Cochevelou, ovvero il futuro Alan Stivell. Un’ulteriore versione a cappella sarà in seguito da lei incisa in “Barzaz Breiz” nel 1989 (nel disco l’accompagnamento è dei gemelli Pol e Hervé Quefféléant, ovvero i sopracitati An Triskell). Del brano sono state incise varie interpretazioni nel corso del tempo e la sua irresistibile melodia ha sedotto anche eccelsi musicisti bretoni e non. Il più famoso e celebrato pianista armoricano Didier Squiban l’ha inserita quasi all’inizio della sua suite n° 1 di “Molène”. Molène misura solo una settantina di ettari, sorge in mezzo al Mare d’Iroise, sulla rotta per Ouessant: uno sperduto sperone di rocce incessantemente prese a sberle dalla furia dell’oceano e delle sue onde. Ci vivono più o meno duecento persone. Poche case, un faro e la chiesa di Saint-Ronan. Proprio all’interno di questa è stata incisa la suite nel maggio 1997. Due anni prima anche il caro, modesto Bernard Benoit artigiano eccelso della chitarra, colui che a neanche 20 anni accompagnava addirittura Glenmor, l’aveva incisa in “Barzaz Breiz”. Infine, vorrei ricordare la versione del gruppo danese Ar-Folk nel loro LP “Armorika – Landet Ved Havet” prodotto nel 1979 da Dan Ar Bras.
Flavio Poltronieri
Il concerto venne registrato la sera del 28 febbraio. Della registrazione di Servat non conosco la data precisa, so solo che venne effettuata in uno studio a Dublino.
Per completezza d'informazione sulla canzone, riporto quello che ho precedentemente scritto su TERRE CELTICHE:
Il duca Jean de Montfort ha senz’altro un posto a parte nel cuore dei bretoni. Comunque le interpretazioni di questo antico testo omettono sempre la descrizione della battaglia, degli originali trentadue distici contenuti nel “Barzaz Breiz” (“Poesia Bardica di Bretagna”) se ne cantano i primi quattro o cinque. Non vengono mai utilizzate le ulteriori poetiche strofe che raccontano di come le grida di gioia facciano tremare il fiume e si mescolino a quelle dei lupi della Bassa Bretagna, di come il latte della mamma bretone che ha nutrito il nostro eroe sia più dolce del vino invecchiato e di come i Francesi cadranno e resteranno a terra fino al giorno del giudizio mentre gli alberi di fogna saranno l’acqua santa che innaffierà le loro tombe.
La strofa finale invece è di origine recente.
Oltre alle due proposte in ascolto da Cattia (Alan Stivell e Tri Yann, entrambe del 1972), all’epoca ci furono altre importanti ed eccellenti versioni della canzone:
Gilles Servat – omonimo 1971
An Triskell – Musiques Celtiques 1973
Ar Breizerien – Bale Roue Arzur 1975
Su tutte quella di Gilles Servat. Prima di tutto perché è antecedente di un anno al live 1972 dell’Olympia da cui tutti noi l’abbiamo conosciuta. Terza traccia del suo disco d’esordio, situata proprio appena dopo quello che sarà il suo inno personale “La Blanche Hermine”, un inno di “collera di un popolo periferico ma di una periferia dove regna il mare” come scriveva il grande poeta bretone scomparso troppo presto, Xavier Grall. E poi anche perché contiene al suo interno un feroce testo originale composto ad Ar Stivell nel luglio di quello stesso 1971 e recitato con la teatralità bellicosa espressa dalla sua inconfondibile voce:
Ecco la leucemia bretone
il padre che muore da solo nel Far-West
il figlio emarginato periferia nord-est
proletario ricalcato a carta carbone…
e i bambini del vino gallico
che mordono nei loro pugni d’idioti
dei genitori nutriti di enciclica
che in più fanno i cretini!
Ecco la leucemia bretone
“Dono-di-Dio” Botrel, il bello
che canta il suo ideale ruffiano
con la sua mitragliatrice per tedeschi
e l’armata bretone in tasca
il fiore di ginestrone alla caviglia
aggrappato al folklore-palla
per farci un surrogato-pensiero
e una cultura di paccotiglia
Ecco la leucemia bretone
e la menzogna che ci assonna
beatifica i nostri assassini
il padre Maunoir diventato santo
e Duguesclin il nostro grand’uomo
e la nostra lingua nella pattumiera
la mia lingua, mamma, pietà per lei
ogni parola bretone pronunciata
singhiozza di miserere
Ecco la leucemia bretone
la disperazione e la tristezza
quando la notte spegne la giovinezza
di questo paese che si spolmona
il cimitero degli Innocenti
si estende da Ancenis a Ouessant
Ed ecco la collera bretone!
la collera e la speranza mescolate
i ciarlatani che si silurano
ecco il mattino che si alza
ecco la libertà che si sogna
ecco il giorno dei pugni alzati!
“Leucémie Bretonne” trad. italiana dal volume “Koroll Ar C’Hleze” (1985) di Flavio Poltronieri
Una menzione particolare merita Andrée Le Gouil (nata Andrea Ar Gouilh, nel 1935), una pioniera della rinascita del canto popolare bretone. Nel 1959 l’etichetta Mouez-Breiz (Voce della Bretagna), attiva dal 1952 nella città di Quimper, produsse due suoi 45 giri (contenenti 4 canzoni ciascuno) e l’ultima traccia sul lato B del secondo è proprio An Alarc’h. Particolare non secondario è che ad accompagnarla all’arpa sia un ragazzino di 15 anni di nome Alan Cochevelou, ovvero il futuro Alan Stivell. Un’ulteriore versione a cappella sarà in seguito da lei incisa in “Barzaz Breiz” nel 1989 (nel disco l’accompagnamento è dei gemelli Pol e Hervé Quefféléant, ovvero i sopracitati An Triskell). Del brano sono state incise varie interpretazioni nel corso del tempo e la sua irresistibile melodia ha sedotto anche eccelsi musicisti bretoni e non. Il più famoso e celebrato pianista armoricano Didier Squiban l’ha inserita quasi all’inizio della sua suite n° 1 di “Molène”. Molène misura solo una settantina di ettari, sorge in mezzo al Mare d’Iroise, sulla rotta per Ouessant: uno sperduto sperone di rocce incessantemente prese a sberle dalla furia dell’oceano e delle sue onde. Ci vivono più o meno duecento persone. Poche case, un faro e la chiesa di Saint-Ronan. Proprio all’interno di questa è stata incisa la suite nel maggio 1997. Due anni prima anche il caro, modesto Bernard Benoit artigiano eccelso della chitarra, colui che a neanche 20 anni accompagnava addirittura Glenmor, l’aveva incisa in “Barzaz Breiz”. Infine, vorrei ricordare la versione del gruppo danese Ar-Folk nel loro LP “Armorika – Landet Ved Havet” prodotto nel 1979 da Dan Ar Bras.
Flavio Poltronieri
Flavio Poltronieri - 22/1/2020 - 14:15
La “Giovanna” citata Credo si tratti di Giovanna di Fiandra non di Giovanna la pazza.
Luciano - 11/4/2021 - 03:14
Hai ragione la madre è Giovanna di Fiandra che nel suo esilio inglese finì per impazzire. Storicamente parlando con Giovanna la pazza s'intende Giovanna di Castiglia, errore mio che non ho specificato il titolo. Grazie per la segnalazione
Cattia Salto - 12/4/2021 - 11:53
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Il testo e la melodia di "Kan An Alarc'h" sono stati raccolti da Hersart de la Villemarqué e pubblicati nel 1839 nella sua collezione "Barzaz Breiz": "Il cigno" è una canzone tradizionale bretone in cui si racconta del ritorno dall'esilio in Inghilterra del duca Jean de Montfort (1339-1399) per riconquistare il trono di Bretagna.
Figlio di Giovanna la Pazza e di Giovanni IV il Conquistatore, nacque durante la guerra di secessione bretone e visse alla corte del re d'Inghilterra Edoardo III per tutta la sua fanciullezza. Ritornò in Bretagna nel 1364 per riprendersi il trono, ma la sua alleanza con gli Inglesi non era ben vista dai nobili bretoni e invece di combattere contro il re francese Carlo V andò nuovamente in esilio in Inghilterra (1373).
Pochi anni dopo quando la Francia sottomise la Bretagna, furono gli stessi nobili bretoni a chiedere il ritorno del Duca. Tutta la vicenda storica si ingarbuglia alquanto nella classificazione riportata dagli storici che non riconoscono come vero regnante Giovanni conte di Monfort il quale rivendicò il trono del Ducato dando inizio la guerra di successione contro Carlo di Blois. Il titolo di Quarto passa quindi al figlio Giovanni il Conquistatore.Sull'antichità della ballata gli storici hanno sollevato qualche perplessità e da alcuni è ritenuta una rielaborazione sulla scia del Romanticismo nazionalista dello stesso de la Villemarqué.
La lunga ballata (di cui oggi si cantano solo alcune strofe) è intrisa d'odio verso i Francesi. La melodia è nota anche nella balladry britannica essendo stata abbinata alla ballata "Twa Corbies" dal poeta scozzese Morris Blythman (1919-1981), noto con lo pseudonimo di Thurso Berwick, negli anni 1950.
E' interessante tuttavia notare la somiglianza con la ballata elisabettiana "The Three Ravens" pubblicata a Londra (con notazione) nel "Melismata" di Thomas Ravencroft (1611) e di cui il Villemarqué poteva essere venuto a conoscenza nella pubblicazione di Joseph Ritson "Scotish Songs" (1794). Secondo Francis Gourvil Villemarqué avrebbe ricostruito il canto basandosi proprio su questa versione dando origine alla nuova melodia bretone ritornata poi in Gran Bretagna nel folk revival degli anni 60!
Terre celtiche