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Il canto della marcia (Amore e libertà)

AK47
Lingua: Italiano


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(AK47)
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(AK47)


2018

Il canto nella marcia è l'omaggio che gli AK47 hanno voluto dedicare al Kurdistan attraverso le parole del poeta Sherko Bekas e quelle del cantautore armeno Aram Tigram. Dal Rojava alla Turchia, la libertà del popolo kurdo è la nostra libertà.

Abbiamo scritto, suonato e cantato il “Canto nella marcia (Amore e Libertà)”, una canzone sul Kurdistan, che catalizza i nostri cuori su una lotta giusta, senza se e senza ma. Il Kurdistan, è una regione vastissima abitata da circa 50 milioni di curdi, cui non viene riconosciuta la propria identità linguistica, culturale e di stato indipendente. L’Iraq, l’Iran, la Siria e la Turchia, occupano e si dividono la regione dei Curdi, esercitando un potere discriminatorio, che la Turchia in particolare – attualmente – sta imponendo con la forza della violenza cieca, bombardando le città che maggiormente alimentano la resistenza. E la Turchia, la dittatura che le diplomazie occidentali non vogliono vedere, “opera” praticamente indisturbata da anni. Non vogliono vedere neanche le principali fonti e agenzie di stampa europee, né i vari partiti “democratici” compresi quelli di "centro sinistra", e tutti insieme garantiscono la catena di asservimento al potere della dittatura “alleata”. Gli Ak 47 non sono un gruppo musicale come si è soliti intendere normalmente. Siamo un indeterminato che compone musica e scrive versi quando ne sente l'urgenza, quando c'è bisogno di dedicare un messaggio all'umanità distratta che dimentica di mettere al centro le idee e gli ideali, anche solo di giustizia. Ci siamo attivati perché non potevamo più tacere, come fu per Silvia Baraldini, come è stato per "la nostra Genova" quando tornammo a parlare con “Sole di notte”. E, d’altro canto, non siamo noi ciò di cui si deve parlare, ciò che si deve osservare, ma le cause che sosteniamo…. Ora parliamo della libertà del Kurdistan. E vorremmo se ne parli molto. Vorremmo che ciascuno di noi contribuisca per ciò che può a questa battaglia, che è anche una battaglia contro il fascismo religioso che da quelle parti impera, soprattutto coi nomi di Israele e Isis. Per questo è il Canto nella marcia. Per il Kurdistan, per la voce della Donna, semplicemente per la libertà. Questo è il canto nella marcia.
L'amore chiama l'amore
L'amore che nascunde 'e parole
L'amore chiama l'amore
La libertà da i sospiri
Passano i iurni, a sera o suonno
Se l'è perduta a uerra
L'amore chiama l'amore
amore è a voce che se perde

Ho posato la mano sull'acqua
e la sorgente cantava l'amore
Ho ascoltato la voce della terra
bagnata di pioggia parlava d'amore
L'ho posata ancora sul cuore
batteva le sue parole
Ma ascoltando l'amore stesso
era di libertà che parlava L'amore

Sono l'acqua la terra la danza il vento
il sole dell'estate il freddo dell'inverno
...
Sono Nord sono Sud sono Ovest Est
Sono loro il rame e la terra, sono azoto
Sono l'aria di bonaccia che diventa vento
Sono il verde dei fiori
Sono tanti colori
Sono la bandiera dei Medi e dei Sumeri

... (canto kurdo)

Poso le tue parole dell'onda
Gli ha regalato la tua linfa più bella
Sono la danza la per la montagna
Sono il mare che bagna la nostra terra
il fuoco acceso ed il fabbro ...
La voce della madre che sostiene il Rojava
... E Free Kobane
chiamano rivolta per il Kurdistan
Sono Arafat...
Tigri e Eufrate
sono i fiumi e le montagne del Kurdistan
Parola mai doma un'ora proibita
Radice estirpata con l'odio
La caccia la rabbia rivolta
La voce della donna
Il canto della marcia

... (canto kurdo)

L'amore chiama l'amore
L'amore che nascunde 'e parole
L'amore chiama l'amore
La libertà da i sospiri
Passano i iurni, a sera o suonno
Se l'è perduta a uerra
L'amore chiama l'amore
amore è a voce che se perde

Sono l'acqua la terra la danza il vento
il sole dell'estate il freddo dell'inverno
...
Sono Nord sono Sud sono Ovest Est
Sono loro il rame e la terra, sono azoto
Sono l'aria di bonaccia che diventa vento
Sono il verde dei fiori
Sono tanti colori
Sono la bandiera dei Medi e dei Sumeri

Sono Arafat...
Tigri e Eufrate
sono i fiumi e le montagne del Kurdistan
Parola mai doma un'ora proibita
Radice estirpata con l'odio
La caccia la rabbia rivolta
La voce della donna
Il canto della marcia

inviata da Dq82 - 20/3/2018 - 21:11


Il recente attentato contro la sede di TUSAŞ potrebbe compromettere irreparabilmente le prospettive di una soluzione politica?
Gianni Sartori
Anche se gran parte dei media sembrano essersene accorti solo ora (interpretandoli come una risposta all'attentato del 23 ottobre), gli attacchi militari dello Stato turco contro i curdi, sia in Rojava che in Bashur (Kurdistan del Sud, entro i confini iracheni) non sono iniziati da ieri. In questi giorni si sono solo intensificati. Causando comunque altre perdite di vite umane e gravi danni alle infrastrutture essenziali.

E' del 25 ottobre la notizia della morte di un altra bambina,‎ Ferha Alberho (11 anni), nel nord della Siria. E' stata uccisa a Manbij (villaggio di Bineye) mentre altri due minori sono rimasti feriti. Si tratta di suo fratello Semir Alberho (8 anni) e del cugino Ebdulrehman Alberho (13 anni).

Contemporaneamente l'aviazione di Ankara bombardava con i droni un magazzino per il grano nel villaggio di Rovî, a Kobanê. Causando il ferimento di diversi lavoratori, alcuni in maniera grave.

Stessa marcia funebre nel nord dell'Iraq (Bashur). Secondo fonti locali, nella notte tra il 24 e il 25 ottobre sono stati colpiti una decina di obiettivi, utilizzando aerei da caccia e droni. Per un totale di oltre una quindicina di attacchi. In mancanza di dati precisi sul numero delle vittime, sono invece già pervenuti i nomi di alcune delle località bersagliate: Çil Mêra e Amûd, Xeta Ereban, Girê Şehîd Şengal, Sîba Şêx Xidir, Quartiere di Hey Nasir, Valle di Şilo.

Anche se gli attacchi turchi non erano mai cessati, le ultime operazioni sono state interpretate come una ritorsione, una rappresaglia, per quanto era accaduto a Kahramankazan. Località turca (distretto di Ankara), dal nome spesso abbreviato semplicemente in Kazan. Coincidenza, forse non casuale: proprio mentre Erdogan si incontrava in un'altra Kazan (la capitale del Tatarstan) con Putin e una trentina di altri capi di Stato per il 16° vertice dei BRICS.


Riepiloghiamo.


Il 23 ottobre un commando composto da due militanti curdi, una donna e un uomo (poi abbattuti dalle forze dell'ordine) avevano attaccato con granate e fucili d'assalto la sede di Turkish Aerospace Industries (TUSAŞ) a Kahramankazan (circa 40chilometri a nord di Ankara). Causando cinque vittime e oltre una ventina di feriti tra il personale dell'azienda, nota per la produzione di droni (compresi, stando alle denunce dei curdi) quelli “utilizzati dall'aviazione turca per bombardare quotidianamente il Kurdistan”.


Episodio assai inquietante. Sia per la perdita di vite umane, sia per la possibile conclusione negativa (ancor prima dell'inizio) dei colloqui per eventuali accordi di pace. Non sono poi mancate ipotesi un tantino azzardate. Come quella di un possibile coinvolgimento del Mossad.


L'attacco veniva poi rivendicato – tramite l'agenzia Firat - dal Comando del Quartier Generale del Centro di Difesa Popolare (HSM).


Sempre stando al comunicato di HSM, l'operazione (di fatto suicida) era opera di un gruppo autonomo del “Battaglione degli Immortali” formato da Asya Alî (Mine Sevjin Alçiçek) e Rojger Hêlîn (Ali Örek). Pianificato da tempo, non avrebbe avuto “alcun legame con l’agenda politica discussa in Turchia nell’ultimo mese”. Ossia, lo scopo non era quello di sabotare le eventuali trattative tra Ocalan e governo turco.


Obiettivo dei due militanti era la Turkish Aerospace Industries in quanto “centro produttore delle armi che hanno massacrato migliaia di civili, compresi donne e bambini, in Kurdistan”.


Qui in febbraio veniva realizzato il prototipo del supercaccia Kaan (variante dei Lockheed F35) in grado di operare sia con pilota che come drone.


Stando a quanto riporta la Repubblica, la Turkish Aerospace Industries collabora con l'Italia (in particolare con Leonardo) nella produzione dell'addestratore Huriet (in versione caccia-bombardiere), dell'elicottero da combattimento T129 Atak (derivato dal Mangusta italico e, pare, fornito anche al Pakistan) e delle fusoliere per gli elicotteri AW139 dell'Augusta.


Nel comunicato di HSM si definiva la TUSAŞ un “obiettivo militare” e di “non voler attaccare i civili” (ma le vittime sarebbero tutte tecnici, dipendenti dell'azienda). Inoltre veniva fatta “autocritica per altre azioni” compiute in precedenza e si esprimeva rammarico per la “vittima civile del 23 ottobre” (in riferimento al tassista). Con la stessa sigla (“Battaglione degli Immortali”) nel 2023 era stato rivendicato un attentato contro il Direttorato della Sicurezza di Ankara.


Immediata, si diceva, la ritorsione turca che già nella notte tra il 23 e il 24 ottobre compiva decine di raid aerei sia nel nord dell'Iraq che in Rojava. Colpendo stazioni di servizio, centrali per la fornitura di elettricità e dell'acqua, forni per il pane, officine, ospedali, scuole, raffinerie, check- point... e uccidendo numerosi civili tra cui alcuni bambini (decine i feriti).


Secondo fonti curde, in data 26 ottobre gli attacchi turchi sarebbero già stati ben 685 (99 con aerei da ricognizione, 13 con aerei da caccia e 573 con colpi di artiglieria). Alla stessa data le vittime accertate (in maggioranza civili) sarebbero 17 (di cui 14 civili e 3 delle forze di sicurezza). Una cinquantina i feriti (39 civili e 9 delle forze di sicurezza).


Per Hesen Koçer, co-presidente aggiunto del Consiglio Esecutivo dell'Amministrazione Autonoma Democratica del Nord e dell'Est della Siria, questi attacchi andrebbero classificati come “genocidio”.


L'autentico obiettivo sarebbe quello di “costringere gli abitanti a emigrare realizzando una vera e propria sostituzione etnica nella regione.


Non ci sarebbero “altre ragioni per tali aggressioni che tuttavia esprime esattamente quale sia la mentalità dello Stato turco nei confronti dei curdi”.


Tutti indistintamente classificati come “terroristi da eliminare”.


Ritenendo evidentemente che “ogni curdo in qualsiasi parte del Kurdistan costituisce un pericolo oggettivo per la Turchia”.


In sintesi “lo Stato turco insiste nel voler distruggere il popolo curdo. Prima avevano parlato di pace e di soluzione politica, poi hanno ripreso ad attaccare”.


E' ormai ben percepibile e diffusa la sensazione che in Medio Oriente si stanno producendo cambiamenti significativi. E questo potrebbe indurre Ankara sia a più miti consigli (mostrandosi fautrice di pace e accettando di dialogare con il movimento curdo), sia a inasprire l'opera di repressione- liquidazione (al limite dell'etnocidio). Proprio per impedire che i Curdi ne possano beneficiare.


Il recente incremento degli attacchi nel nord e nell'est della Siria e nel nord dell'Iraq sembra una conferma più della seconda che della prima ipotesi. Massacrare donne, anziani e bambini, annichilire abitazioni e villaggi, potrebbe configurarsi come crimine di guerra. In più occasioni il movimento curdo ha chiesto all'Unione Europea, agli Stati Uniti e alla Russia di “rompere il silenzio” su quanto avviene nel Kurdistan. Così come si è domandato “perché le potenze internazionali non chiudono gli spazi aerei all'aviazione turca e invece ne tollerano la politica genocida consentendo gli attacchi contro i curdi”.






OCALAN COME MANDELA


Oltre un anno fa, il 10 ottobre 2023, veniva lanciata una campagna internazionale e globale denominata “Libertà per Abdullah Öcalan e una soluzione politica alla questione curda”. Inevitabile paragonarla a quella degli anni settanta e ottanta per la liberazione di Nelson Mandela. Sappiamo che Mandela aveva consumato ben 27 anni della sua vita in carcere, in gran parte a Robben Island.


Così Öcalan, ancora imprigionato (dalla sua cattura in Kenia del 1999) nell'isola-prigione di İmralı. Dove per circa 35 mesi non ha avuto contatti con il mondo esterno


Intellettuali, scrittori, esponenti della società civile e militanti di 75 paesi (in circa 120 città) hanno organizzato conferenze stampa e seminari per chiederne la liberazione insieme a una “soluzione politica” per la questione curda. Inoltre sono stati organizzati eventi per leggere i libri di Öcalan a cui sono state spedite centinaia di migliaia di cartoline (anche se non sappiamo se siano pervenute).


Sul recente incontro tra il leader curdo prigioniero e un membro della sua famiglia, il deputato del partito DEM e nipote di Abdullah Öcalan, Ömer Öcalan (da cui sarebbe scaturita una proposta per la soluzione del conflitto) è intervenuta anche Leyla Zana.


Definendolo “un raggio di speranza per tutti coloro che denunciano i conflitti e le guerre”.


“Tutti noi – ha dichiarato - ci troviamo di fronte alla responsabilità storica di por fine a questa guerra che dura ormai almeno da un secolo”.Aggiungendo: “Noi che abbiamo sete di pace, saremo al fianco di coloro che tentano di trasformare questa evoluzione positiva della situazione (la visita a Ocalan nda) in una soluzione democratica sul piano giuridico e politico. Quelli che gettano i semi della pace in Medio Oriente devono sapere che noi continueremo a innaffiarli”. Ben sapendo comunque quanto “il problema è profondo, pesante.


Ma intanto (trattative in corso o meno), per Ankara rimangono una priorità la corsa al riarmo e gli investimenti nell’industria della difesa.


Infatti la Turchia ha già previsto per il 2025 un aumento del 165% (rispetto al 2024) delle spese militari. A tal scopo l'Akp (il partito di Recep Tayyip Erdogan) ha lanciato la proposta di tassare le carte di credito. Già in avanzato stadio di elaborazione un disegno di legge che prevede una tassa di 750 sterline turche (circa 20 euro) da applicare alle carte con una linea di credito massima fino a 100mila Try (circa 2.700 euro).


Gianni Sartori

Gianni Sartori - 26/10/2024 - 18:15




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