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Quaranta ghei d'inverno

anonimo
Lingua: Italiano (Lombardo)


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Testo reperito in questa pagina
Quaranta ghei d'inverno, cinquanta d'està;
se ghe ie dassen, sti pover paisan,
nanca farìen una pell de pan.
O donn, o donn, andémm, andémm,

andémm in piazza a fà burdell!
An piantà in pé sta rivulusiun
tutt in grasia di nòster padrun.
La rivulusiun l'àn piantà
per fà calà i fitt de cà

e pu pendissi de pagà;
ma el padrun el diz inscì,
che i paisan i-a de fà murì;
l'a de fà murì, l'a de fà crepà
ma la rivulusiun la se dev fà:

tuta la mubilia che gh'è in Milan
l'è tuta roba di pòer paisan;
i pòer paisan intanta in là a spettà
la letera dell'America che la dev rivà.

inviata da adriana - 30/8/2017 - 08:27



Lingua: Italiano

Versione italiana reperita in questa pagina
Quaranta lire d'inverno, cinquanta d'estate;
se anche li dessero loro, a questi poveri contadini,
non mangerebbero pane a sazietà.
O donna, o donna, andiamo, andiamo,

andiamo in piazza a far confusione!
Abbiamo iniziato questa rivoluzione
tutta in grazia del nostro padrone.
La rivoluzione l'hanno messa su
per far diminuire gli affitti delle case

e basta debiti da pagare;
ma il padrone dice così,
che i contadini deve farli morire;
deve farli morire, deve farli crepare
ma la rivoluzione si deve fare;

tutte le ricchezze che ci sono a Milano
sono tutte cose di poveri contadini;
quei poveri contadini che intanto sono là ad aspettare
la lettera dell'America che deve arrivare.

30/8/2017 - 08:29


E anche questa una canzone di protesta dei contadini dell'Alto Milanese risalente agli anni 1885-1889. Le agitazioni dei braccianti agricoli, iniziatesi nel Mantovano al grido de "la boje", si erano estese presto a tutta la Lombardia, poiché la situazione economica dei lavoratori della terra era in quegli anni ovunque insostenibile. E’ di quel periodo infatti il grande esodo verso le Americhe dei contadini del Nord, come testimoniano anche gli ultimi due versi di questa canzone. Il termine "pendizzi" è stato tradotto da vari raccoglitori con "debiti" che in effetti è una delle accezioni del vocabolo lombardo. Nel contesto della canzone però ci sembra piú giusto attribuirgli il significato di "appendici", cioè appendice dei contratti agrari. Citiamo ancora dal classico Cherubini (v.): "Quei regali, consistenti per lo piú in lino, pollami, uova, selvaggiumi o simili, che il conduttore di beni rurali è obbligato a mandare, in certi dati tempi dell'anno, al locatore, e ciò indipendentemente dal prezzo convenuto per la locazione. Questi doni vengono detti dai nostri notai e giuristi Appendici; e non senza ragione, poiché son essi vere appendici al contratto". Questa interpretazione ci sembra confermata da altre canzoni in cui i contadini dicono di non voler piú dare "capòn" al padrone. Quaranta ghej d'inverno, pubblicata dal Canzoniere del lavoro nel 1965, è riportata sia da G. Vettori (Canzoni italiane di protesta, v.), sia da Savona-Straniero (v.).

(Introduzione tratta dal volume di Nanni Svampa "La mia morosa cara. Canti popolari milanesi e lombardi”, 1977, ultima edizione 2007.)

B.B. - 5/6/2018 - 10:28




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