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L'ultimo respiro fa da testamento

Fronte Unico
Lingua: Italiano


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2017
Eredi della sconfitta
scofitta

La storia ha protagonisti più o meno famosi.

Alcuni fanno da esempio, illuminano con la loro vita e la loro voglia di cambiamento anche le nostre vite, a distanza di anni o di decenni.

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Altre volte il loro esempio viene dimenticato, così come la loro voglia di lottare per un futuro migliore.

Il loro ultimo respiro non deve andare perso, ma deve essere un testamento, un passaggio di testimone, per noi che continuiamo a combattere e non dobbiamo buttare il sacrificio di vite esemplari.
Come Ocalan zio Apo
rinchiuso ad Imrale
la solitudine che sale
non si arrende e combatte
come una rivolta in filiale
Come Thomas Sankara
abbattuto da un colpo di stato
che il debito non va cancellato
l’Africa l’ha già pagato
con tutto quel sangue versato
Come Ken Saro Wiwa l’ultimo respiro
strozzato da una corda
il mondo non lo ricorda
morto in un silenzio che assorda
la vera prigione
è quella di chi non ascolta
è l’Africa che cambia che si ribella
i suoi eroi rinchiusi in una cella
e prima che il tempo si perda
tocca a noi andare avanti
che non è mai troppo tardi

L’ultimo respiro fa da testamento
soffia nel vento
una tromba che suona il silenzio
eroi senza medaglie d’argento
ci lasciano solo un frammento
di un grande cambiamento
Occorre opporre resistenza
se un governo si vuole imporre
il tempo trascorre
il mondo dimentica e dorme
spezzate le catene e le corde
popolazioni insorte
il sole sorge
sopra un altro giorno di lotte
l’ultimo respiro fa da testamento
attento
ancora sangue sul cemento
se un ribelle spento
passa il testimone
siamo pronti a prenderlo?
perché l’ultimo respiro fa da testamento
l’ultimo respiro fa da testamento


È come Matteotti
che si alza in parlamento
e parla a tutti sapendo
di essere ormai un uomo morto
Come Anteo Zamboni
antifascista a sedicianni
a volte una pallottola
può spodestare i tiranni
Come Rachel Corrie
morta davanti a una ruspa
se impedisci un torto
la resistenza è sempre giusta
Come Walter Rossi
ucciso da pallottole nere
Come Pietro Bruno
Come Giorgiana Masi
perché anche lo Stato
spara pallottole nere
Omicidi di Stato
anche le mani uccidono
e le mani sporche di sangue
al buio sono mani nere
al buio sono mani nere

L’ultimo respiro fa da testamento
soffia nel vento
una tromba che suona il silenzio
eroi senza medaglie d’argento
ci lasciano solo un frammento
di un grande cambiamento
Occorre opporre resistenza
se un governo si vuole imporre
il tempo trascorre
il mondo dimentica e dorme
spezzate le catene e le corde
popolazioni insorte
il sole sorge
sopra un altro giorno di lotte
l’ultimo respiro fa da testamento
attento
ancora sangue sul cemento
se un ribelle spento
passa il testimone
siamo pronti a prenderlo?
perché l’ultimo respiro fa da testamento
l’ultimo respiro fa da testamento


Come Antonio Russo(1)
la verità è un lusso
uccide la verità
Come Giulio Regeni
forse i bugiardi li sveli
ma un altra bugia
copre la verità
la verità che uccide
come Miran Hrovatin
e Ilaria Alpi
la verità sulle armi
vendute ai bambini
Come Chidi Nnamdi(2)
a volte è il colore della pelle
a renderti ribelle
a volte la resistenza
come Pancho Villa
Emiliano Zapata
come Che Guevara
come Salvador Allende
a volte è il razzismo
come Hampton e Clark(3)
a volte solo combattere
per una vita migliore
Come Abdel Salam
Ahmed Eldanf


L’ultimo respiro fa da testamento
soffia nel vento
una tromba che suona il silenzio
eroi senza medaglie d’argento
ci lasciano solo un frammento
di un grande cambiamento
Occorre opporre resistenza
se un governo si vuole imporre
il tempo trascorre
il mondo dimentica e dorme
spezzate le catene e le corde
popolazioni insorte
il sole sorge
sopra un altro giorno di lotte
l’ultimo respiro fa da testamento
attento
ancora sangue sul cemento
se un ribelle spento
passa il testimone
siamo pronti a prenderlo?
perché l’ultimo respiro fa da testamento
l’ultimo respiro fa da testamento
(1) Antonio Russo (Chieti, 3 giugno 1960 – Tbilisi, 16 ottobre 2000) è stato un giornalista italiano, ucciso in circostanze misteriose nei pressi della città georgiana di Tbilisi. Lavorava come inviato per Radio Radicale.

(2) Emmanuel Chi di Nando profugo nigeriano ucciso a Fermo il 5 luglio 2016 da Amedeo Mancini

(3) 3 dicembre 1969: Manca all’alba poco più di un’ora quando otto agenti di polizia dell’ufficio del procuratore della contea di Cook strisciano verso la parte anteriore di una palazzina a due piani nel West Side di Chicago. Altri sei ufficiali controllano la porta sul retro. Al suo interno, nove persone dormono in un appartamento al primo piano, dove saranno sequestrate 19 pistole e più di 1.000 cartucce. L’appartamento di 2337 W. Monroe St., è una roccaforte del Illinois Black Panther Party, una filiale del gruppo nazionale noto per la politica rivoluzionaria e per l’uccisione di poliziotti.
Intorno alle 4:45, il sergente. Daniel Groth bussa alla porta d’ingresso. Quando non c’è risposta, bussa con la sua pistola. I successivi sette minuti di sparatoria sono diventati uno degli incidenti più controversi dei turbolenti anni 60. Quando la sparatoria è finita il leader dell’Illinois Black Panther Fred Hampton, 21, e un leader del partito da Peoria, Mark Clark, 22, sono morti.
Mesi dopo, un’indagine federale, ha accertato che un solo colpo è stato sparato dalle Pantere, anche se questo numero è rimasto in discussione. La polizia ha sparato da 82 a 99 colpi.

inviata da Zorba - 20/3/2017 - 18:08


L’assassinio nell’ottobre 1987 del presidente rivoluzionario Thomas Sankara ha rappresentato anche la fine del sogno anticoloniale per alcune centinaia di ragazzi inviati a Cuba per diventare la nuova classe dirigente del Burkina Faso.
IL SOGNO INTERROTTO DI SANKARA BRUCIA ANCORA
Gianni Sartori

Ogni tanto se ne torna a parlare, magari con un tono pietistico del tutto fuori luogo.Per esempio quando nel 2022 l’ex presidente e dittatore Blaise Compaoré era stato riconosciuto colpevole e condannato per l’assassinio di Thomas Sankara.

Parlo dei circa 600 ragazzi burkinabé (di cui 135 ragazze) tra i 12 e i 15 anni, in gran parte orfani e tutti provenienti da famiglie povere, inviati da Sankara a Cuba nel 1986 . Sicuramente la pallottola che nel 1987 (solo qualche mese prima si era recato a Cuba per incontrarli e incoraggiarli) doveva fermare quel cuore generoso, in qualche modo ha stroncato (“di rimbalzo” commentava uno di loro) anche i progetti di quei giovani. Così come le speranze di liberazione dal neocolonialismo per l’ex Alto Volta.

A Cuba, dopo sei mesi dedicati all’apprendimento dello spagnolo, vennero inseriti in un programma di scambio culturale (di formazione scolastica, professionale e ideologica) concordato tra Sankara e Fidel Castro. Avrebbero dovuto - nelle intenzioni di Sankara - rappresentare la nuova classe dirigente del paese, coerentemente con il processo di autodeterminazione antimperialista da lui intrapreso. Ma nell’ottobre 1987 (coincidenza: a 20 anni e cinque giorni dall’uccisione del “CHE”) quello che appunto era stato definito il “Che Guevara d’Africa”, veniva ammazzato dall’ex amico e compagno di lotta, presumibilmente su istigazione di qualche Servizio occidentale.

Di conseguenza, prima vennero sostituiti gli insegnanti burkinabé che li avevano accompagnati a Cuba (troppo in linea con le politiche di Sankara evidentemente) e poi anche i ragazzi furono anticipatamente richiamati in patria. Senza nemmeno la possibilità di completare il ciclo di studi. Inoltre i titoli di studio, le qualifiche conseguiti a Cuba non vennero riconosciuti dal nuovo regime insediatosi a Ouagadougou.

Per molti di loro la vita smise di sorridere. Discriminati, emarginati in quanto memoria vivente dell’era Sankara. Soprannominati con malcelato disprezzo “i cubani”. E forse anche con un certo timore, sia per l’addestramento militare ricevuto a Cuba, sia pensando che avrebbero potuto voler vendicare Sankara.

Qualcuno ricorda che alla notizia del golpe e della morte di Sankara erano rimasti per tre giorni in silenzio, piangendo. Senza dormire e senza mangiare e bere, consapevoli che era accaduto l’irreparabile. Nel corso degli anni un’ottantina di loro sono morti, alcuni suicidi e comunque in gran parte (almeno 400) sono rimasti senza un lavoro. Anche la maggioranza dei pochi, una trentina, che hanno potuto accedere a una formazione universitaria.

Ancora oggi gli “orfani di Sankara” reclamano - finora inutilmente - il riconoscimento dei diplomi e un risarcimento per le famiglie dei loro compagni che hanno perso la vita anche a causa delle difficoltà incontrate rientrando “in un Paese che non riconoscevano più”.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 9/2/2023 - 09:49




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