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La nostalgia e la memoria

Assalti Frontali
Lingua: Italiano


Assalti Frontali

Lista delle versioni e commenti


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Omaggio a Sante
(Assalti Frontali)


[1992]
Dall'album "Terra di nessuno"
Testo: Poesia di Sante Notarnicola scritta a Cuneo il 28 agosto 1985.
Composta e interpretata assieme ai Brutopop
Il "testo che gira già su internet" è stato ritrovato sul blog di Blitzed

Assalti Frontali.
Assalti Frontali.
Brutopop.
Brutopop.


Fa sempre più freddo che altrove, a Perugia. Per fortuna, stavolta, il "più" è abbastanza sopportabile, anche perché l'intervento di Oreste, dapprima previsto per le quattro e mezzo del pomeriggio di venerdì, continua a slittare. E tocca aspettare. Anche solo per poterlo abbracciare, sulle scale, quando arriva. Il tempo di scambiare un paio di parole, e comincia l'intervento, all'aula 4 di scienze politiche. "La rivolta delle banlieu parigine", il tema. Ma è Oreste che parla. E lo fa, come dice lui, "in modo rapsodico". Si passa da Parigi alla Genova dei tempi di Tambroni e della città che insorge contro il previsto congresso del movimento sociale, alla rivolta di Piazza Statuto a Torino. E su internet gira una bella canzone su Piazza Statuto, il testo ispirato ad una poesia di Sante Notarnicola, dice, fra le altre cose. Poi esemplifica la violenza, riferendosi al bel film di Florestano Vancini, "Bronte". Le teste spaccate dei possidenti, contro gli architravi. Gli incartamenti dei municipi dati alle fiamme. E poi Bixio, che viene a spiegare con le esecuzioni che .... non avevano capito, i liberati! Ché non si intendeva quello! Poi parla un comunista russo, passato all'anarchismo, senza esser diventato bolscevico, ed un suo libro sugli intellettuali, contro la politica e il sindacalismo professionale, contro il "funzionarismo". E avanti, passando agli aneddoti. Strappando più di una risata. Oreste Scalzone. Che bisogna portarlo fuori quasi di peso, prima che il custode dell'università, incazzato, ci chiuda tutti dentro! - Francesco Senia


Rivolta nella città della Fiat
Torino, Piazza Statuto, luglio 1962

da Umanità Nova - Archivio Online

Quarant'anni fa la protesta operaia torinese per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici culminava, nel luglio del 1962, negli scontri di Piazza Statuto. Il 4 luglio, vista l'interruzione delle trattative tra Confindustria e sindacati, furono proclamate una serie di agitazione per i giorni seguenti. Contemporaneamente la Fiat si diceva disposta ad aprire un confronto, per chiudere a livello aziendale la vicenda contrattuale, coi "liberi sindacati", ovvero UIL, SIDA e CISL, con esclusione della CGIL. La CISL rifiutava, UIL e SIDA vi partecipavano e concludevano un accordo separato. Subito divampava la polemica tra i sindacati e i lavoratori.
Lo sciopero del 6 luglio riusciva nei vari stabilimenti Fiat. Spontaneamente alla SPA Stura un corteo di circa seicento operai lasciava la fabbrica e si dirigeva verso Piazza Statuto, collocata al centro della città, dove risiedeva la sede della UIL per protestare contro l'accordo appena firmato. Fra i partecipanti alla manifestazione molti erano gli iscritti a quel sindacato, sdegnati da un comportamento che non condividevano affatto. Giunti in piazza si radunavano sotto la sede della UIL, fischiavano e urlavano contro il "contratto bidone" e contro alcuni sindacalisti, tentavano di penetrare all'interno della sede sindacale, altri lanciavano pietre contro le finestre. Intanto una folla di curiosi, composta soprattutto di giovani meridionali che abitavano nelle vie limitrofe, si radunava per assistere allo spettacolo.

Manifestanti in Piazza Statuto

Fischi, urla e pernacchie si levavano quando arrivava la polizia, applausi invece per gli operai raccolti sotto la sede della UIL. Nel primo pomeriggio avveniva la prima carica per disperdere i dimostranti e la folla che si era radunata per guardare. Era l'inizio di una serie ripetuta di scontri che si protrassero per tre giorni avendo come epicentro la piazza. I dimostranti si ritiravano nelle vie laterali, scappavano a piccoli gruppi in direzioni diverse; poi, quando la polizia ritornava al centro della piazza, ricomparivano. A nulla valsero i tentativi fatti dai dirigenti della Camera del lavoro e del PCI per convincere i manifestanti a sciogliersi e a ritirarsi dalle vie adiacenti la piazza. Gli scontri, che erano iniziati il sabato pomeriggio, si protrassero per altri due giorni e cessarono del tutto solo alle due di mattina di martedì 10 luglio. In tre giorni di scontri 1.251 persone furono fermate, 90 furono arrestate e processate per direttissima, un centinaio denunciate a piede libero, 169 gli agenti feriti.
I giornali e i rotocalchi non mancarono di marcare la presenza dei giovani operai, molti dei quali meridionali, quali protagonisti degli scontri definendoli "teppisti", "teppaglia", "facinorosi", "giovinastri" che si erano introdotti nella manifestazione operaia e che, verso la fine della giornata di sabato 7 luglio, erano riusciti a togliere "di mano il controllo della situazione" ai dirigenti sindacali. Tra i fermati per disordini, nella giornata di sabato 7 luglio, ben 291 erano giovani e i tre quarti di loro erano meridionali: "molti - si leggeva su «La Stampa» del 10 luglio 1962 - hanno l'aspetto di bulli di periferia, alcuni si direbbero studenti. Tutti vestono nello stesso modo: una camicia di colore o una maglietta sgargiante, molte volte rossa, fuori dai pantaloni, maniche rimboccate".

Essere giovani e meridionali a Torino

Per questi giovani torinesi di recente immigrazione, protagonisti di una rivolta spontanea e rabbiosa, che solo indirettamente aveva a che fare con la vertenza contrattuale alla Fiat, ed esprimeva piuttosto il malcontento e la rabbia accumulate nella città dell'auto da chi era costretto a vivere situazioni sociali, economiche e di vita pesantissime, non c'era spazio di comprensione, neanche da parte delle forze di sinistra. Anzi, queste ultime, accusate di essere le organizzatrici della manifestazione e, in particolare i comunisti, di aver retto la regia degli scontri, reagirono prendendo le distanza dalla "teppa", accusando i provocatori neofascisti che si erano infiltrati nella manifestazione allo scopo di provocare disordini, arrivando a definire quei giovani i "teddy boys di Valletta", scaricati in piazza da "lucide Giuliette T, spider e sprint" guidate da individui che li "assoldavano" nei bar e nella periferia al prezzo di "1200 lire" («Vie Nuove», 12 luglio 1962).
Se i "ragazzi delle magliette a strisce", protagonisti della rivolta giovanile del luglio 1960 contro il governo Tambroni, potevano ancora essere riassunti nella categoria di combattenti democratici e antifascisti, e in tal modo poteva essere data loro una patente di moralità ideale al loro comportamento che tranquillizzava la sinistra tradizionale, per i giovani di Piazza Statuto possibilità di mediazione non ve n'erano. Essi uscivano da schemi interpretativi resistenziali precostituiti, rappresentavano, nel loro comportamento violento, rissoso, nella loro ricerca del "casino per il casino", il prototipo italiano delle moderne rivolte giovanili che già avevano interessato la società inglese, quella francese e tedesca occidentale. Una rivolta che era l'espressione violenta di strati marginali, non integrati e non inseriti nel tessuto cittadino, esclusi dalla partecipazione a quei beni materiali che la pubblicità e le vetrine ostentavano e inducevano a consumare.
Nel caso specifico di Torino per spiegare la rivolta di Piazza Statuto si doveva fare riferimenti all'ondata massiccia di migrazione meridionale che aveva investito la città portando il numero degli abitanti dai 700 mila circa del 1950 a più di un milione nel 1962. Non era un caso che i due terzi delle persone fermate durante gli scontri di piazza fossero meridionali, e molti di loro giovanissimi. Meridionali giovanissimi, giunti sovente soli a Torino, sradicati e in rottura con la famiglia, sicuri di trovare lavoro come manovali nei cantieri edili, nelle piccole aziende meccaniche, liberi dai vincoli, dalle relazioni parentali e familiari, dalle tradizioni che li imbrigliavano nella vita sociale al Sud, ma con enormi difficoltà di inserimento e di integrazione nelle istituzioni sociali, politiche e sindacali presenti nella nuova collettività. Questo sradicamento, questa mancanza d'identità, unite alle difficoltà che si incontravano nella vita quotidiana, generavano il fenomeno dei giovani operai "bulli" che stazionavano a Porta Palazzo, covando rancore, rabbia e sfida vera e propria verso una città che li escludeva, sentimenti che potevano trovare sfoghi rabbiosi e ribellistici, com'era accaduto in Piazza Statuto. Lo ammetteva, d'altronde, lo stesso Paolo Spriano in un articolo su «Rinascita» del 14 luglio 1962 descrivendo il processo di immigrazione tumultuosa e incontrollata che rendevano la Torino di quegli anni simile ad una "città del West", nella quale si annidava "il gusto giovanile di andare 'là dove fa caldo' ".
Due anni dopo i fatti del luglio 1960 e alla luce di quanto era accaduto in Piazza Statuto a Torino, due redattori dell'appena nata rivista «Quaderni Piacentini», nel dicembre del 1962 traevano un bilancio delle recenti manifestazioni di piazza per segnalare che, accanto agli operai e ai contadini, emergeva un settore sociale nuovo: i giovani studenti e i giovani operai i quali coi fatti del luglio '60 e del luglio torinese di Piazza Statuto, avevano iniziato a far sentire la loro voce, diventando i protagonisti delle agitazioni. Per i due redattori si trattava di estremisti, termine col quale non si voleva darne una connotazione negativa, anzi, "riconoscerne la portata rivoluzionaria", perché al di là della ragione specifica per cui manifestavano, vi era nel loro modo di porsi e di esporsi uno sdegno e una insofferenza nuovi nei confronti delle istituzioni statali, partitiche e sindacali dalle quali si sentivano intrappolati e limitati.

Diego Giachetti: E ci chiamano teppisti/ e ci dicon provocatori/ ma noi siamo lavoratori/ che Togliatti non amiam./ Non vogliam il centro-sinistra/ preferiamo l'idea socialista/ alle tresche con i preti col governo e il capital./ Su compagni in fitta schiera/ innalziamo le baraccate/ e leviamo la bandiera/ quella rossa del lavor."

Testo riportato da Cesare Bermani secondo quanto riferitogli da Raniero Panieri; canzone canticchiata a Torino dopo gli scontro di Piazza Statuto.

Piazza Statuto su «Umanità Nova»

«Umanità Nova» dedicò ai "fatti" di Piazza Statuto tre articoli in prima pagina: I "fatti" di Piazza Statuto, 22 luglio 1962, I "teppisti" di Piazza Statuto, 5 agosto 1962 e I processi di Torino, 29 luglio 1962, da cui riprendiamo alcuni passaggi: "Sabato 21 aprile è stata letta la sentenza per i fatti di Piazza Statuto [...] Tutti gli imputati avevano affermato di trovarsi per caso a passare in Piazza Statuto durante le cariche della polizia [...] il solo ad affrontare il processo con fermezza e dignità è stato il giovane compagno Gerardo Lattarulo. Appena diciannovenne, ha dichiarato con voce calma, in Tribunale, di appartenere al movimento anarchico, di essersi appositamente recato a protestare contro la UIL e di aver anche rilanciato i candelotti lacrimogeni contro gli agenti di polizia [...] "Il Presidente gli chiede - È vero che avete rilanciato contro la polizia lacrimogeni? - Senza dubbio, risponde il Lattarulo, volevo che provassero anche loro che bell'effetto che facevano". Il giovane compagno è stato condannato a 11 mesi di prigione e 14 mila lire di multa. Gli è stata applicata la condizionale e messo subito in libertà. Il giorno dopo tutti i compagni di Torino - riuniti nella sede del gruppo Bakunin - hanno vivamente festeggiato il giovane Lattarulo per il suo ammirevole contegno".
Talvolta
vorrei ripercorrere
le strade del mio quartiere.
E ritrovare vorrei
quella generazione
che si formò
sul testamento
di Julius Fucik,
colui che sotto la forca
scrisse a noi, per noi.

La generazione
che compatta correva
da Papà Cervi, a consolarlo,
a consolarsi.

Quella generazione
che, disarmata,
raccolse la bandiera
della Resistenza
prima che la borghesia
l’agitasse, oscena...

Vorrei ritrovarmi
con gli operai perseguitati
da Scelba e da Valletta,
quelli dell’officina Stella Rossa,
i licenziati che seppero tenere,
e ricordare qui vorrei,
gli anni ’50.
Tutti. Uno per uno.
Giorno dopo giorno.

Ricordare gli affanni
Ricordare la fame
Ricordare il freddo,
il carbone
comprato a 5 chili per volta,
e il baracchino
con la pasta scotta
e null’altro.

Poi gli scontri:
luglio ’60
e gli struggenti ragazzotti
di Piazza Statuto,
col selciato tra le mani.
Ripercorrere vorrei
tutta via Cuneo,
attraversare la Stura, la Dora
e tutto il quartiere mio.

Guardare vorrei
per una volta ancora
la vecchia casa
col cesso sul ballatoio,
ritrovare per un momento solo
i vent’anni miei,
colui che per primo
mi chiamò terrone
e m’insegnò poi
che fare il crumiro
era il crimine più grande.

In ultimo vorrei chinarmi
assorto
sull’elenco angoscioso
di chi non c’è più
e nascondermi vorrei
in via Chiusella
la più brutta delle strade
del quartiere mio.

Ricordare anche l’addio,
violento, feroce. L’ira...

Ma pure
ritrovare le radici
in questo quartiere,
piatto come l’anima,
vasto come l’orgoglio,
amato e vissuto
da quella generazione,

la più infelice
la più dura
la più cara.

inviata da Riccardo Venturi - 12/2/2007 - 11:19


Scioperi a Torino, 1962. La rivolta senza immagini.

to62Avremmo voluto, come di consueto, inserire una galleria fotografica a supporto di una pagina dedicata ad una canzone del percorso "Repressione". Ma piazza Statuto è una rivolta senza immagini. Il perché viene spiegato da questa pagina dell' ANCR - Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza. E' bene leggere come, anche in certi ambienti vicini al PCI, tale cosa veniva letteralmente liquidata. [RV]

Scioperi a Torino
di Paolo e Carla Gobetti, 1962


Nazione: Italia; Anno: 1962; Regia, riprese e montaggio: Carla e Paolo Gobetti; Collaborazione: Goffredo Fofi, Gianni Jona, Caludio Capello; Testo: Franco Fortini; Letto da: Lino Biancolini, Iginio Bonazzi, Angiolina Quinterno; Musica: Sergio Liberovici; Produzione: “Il Nuovo Spettatore Cinematografico”; Formato: 16 mm; Durata: 35´

Sinossi
Nell´inverno del 1962 scendono in sciopero i metalmeccanici della Lancia di Torino: picchetti all´alba, il quartiere di Borgo San Paolo che si stringe attorno agli scioperanti, i pochi operai immigrati che cominciano a partecipare, le riunioni di lega, i cortei in centro. Un film militante, la cronaca quotidiana di una lotta che aprì un lungo periodo di proteste, culminato nei grandi scioperi della Fiat.

Il film
“Quando, l´inverno scorso, gli operai della Lancia di Torino entrarono in sciopero, si ebbe la netta sensazione di essere di fronte a qualcosa di importante nel quadro delle lotte operaie. Non soltanto si trattava del primo grosso sciopero nel settore dell´auto dopo parecchi mesi di stasi, ma diversi elementi lo caratterizzavano chiaramente come qualcosa di diverso, di nuovo rispetto a certe lotte sindacali tradizionali: la partecipazione, ad esempio, in prima fila di giovani immigrati, il fatto che lo sciopero scoppiasse in piena fase di realizzazione e di espansione produttiva, l´esigenza avanzata (anche se non sempre in modo cosciente) dagli operai, al di là della stretta rivendicazione salariale o normativa, di affermare la propria presenza e di conquistare un maggiore potere nei confronti del padrone. Muovendo da queste considerazioni, un gruppetto di collaboratori de “Il Nuovo Spettatore Cinematografico” ha ritenuto che lo sciopero Lancia offrisse l´occasione per un esperimento cinematografico cui da tempo andavano pensando: seguire la lotta operaia con la macchina da presa e il magnetofono, cercare di entrare nello sciopero, coglierne l´atmosfera e lo spirito, documentare le varie fasi, interpretarne gli sviluppi. L´intenzione originale era addirittura quella di servirsi del film come di uno strumento di lotta: realizzare cioè un sia pure breve e rudimentale cortometraggio da proiettare alle assemblee degli scioperanti per favorire la discussione, stimolare la combattività, contribuire insomma a una sempre più piena e totale presa di coscienza degli obiettivi e dell´importanza della lotta da parte di tutti gli operai. Le difficoltà tecniche, l´inesperienza, la scarsità dei mezzi ci impedirono però di realizzare questo obiettivo: lo sciopero, che peraltro continuò aspro e difficile per quasi un mese, finì prima che le riprese fossero tutte sviluppate, stampate, montate, commentate. Ma continuarono a Torino le agitazioni sindacali. In particolare la lotta degli operai della Michelin si protrasse per tutto l´inverno, per oltre 70 giorni. E alcuni momenti di questa lotta ci videro ancora presenti con macchina da presa e magnetofono. Quando poi il montaggio di massima del materiale girato era quasi concluso, vennero i grandi scioperi dei metallurgici per il rinnovo del contratto di lavoro. Vennero i grandi scioperi della Fiat del giugno e del luglio. In essi ritrovammo alcuni degli elementi emersi nelle lotte della Lancia e della Michelin. La grandiosa manifestazione degli operai Fiat che dopo quasi dieci anni di paure e di stasi si ritrovavano in prima fila unanimi, con grande entusiasmo e combattività, ci parve confermare una certa analisi delle lotte operaie e dello sviluppo capitalistico che già l´azione degli operai della Lancia e le altre agitazioni degli ultimi tempi ci avevano suggerito. E decidemmo quindi di inserire a corollario del discorso che avevamo creduto di poter fare con le immagini degli scioperi Lancia e Michelin le immagini dei grandi picchetti operai alla Fiat. E´ utile ricordare che il tema principale del film è precisamente lo sciopero degli operai della Lancia. Per questo non si affronta nel documentario tutto il complesso fenomeno della lotta contrattuale dei metallurgici, alla Fiat e nelle altre fabbriche italiane. E´ questo evidentemente un tema che richiede da solo tutto un documentario e per il quale non crediamo di avere il materiale sufficiente. Non abbiamo, per esempio, riprese dei fatti di Piazza Statuto: e questo per una precisa scelta politica. Quella pur clamorosa manifestazione di rivolta di operai e di sottoproletari non ci è parso che costituisse un elemento caratteristico ed essenziale della lotta nuova e moderna che gli operai delle grandi fabbriche hanno ingaggiato in questi anni con il capitalismo più avanzato. Il documentario quindi è e vuole essere una interpretazione delle lotte operaie svoltesi a Torino nel 1962 fatta sotto un punto di vista ben preciso e decisamente partigiano. Non pretende quindi di raggiungere una verità cinematografica “obiettiva”; vuole viceversa proporre la verità qual´è vista dai suoi autori e dall´autore del testo. E crediamo che proprio in quanto tale possa favorire una discussione, un dibattito vivo e complesso, e speriamo proficuo, sui principali problemi politici e sindacali di questi tempi. Nell´accingerci alla realizzazione di Scioperi a Torino non avevamo ambizioni di carattere cinematografico: è chiaro che avevamo presenti alcune esperienze, alcuni grandi esempi del passato; alcuni nomi che stanno nell´empireo del cinema “militante”. Esempi e nomi troppo grossi per pretendere a un qualsiasi confronto. D´altra parte i mezzi di cui disponevamo erano talmente limitati da bloccare in partenza qualsiasi ambizione sbagliata. Una cinepresa Paillard 16 mm e, praticamente, un solo obiettivo: solo in alcune riprese marginali abbiamo utilizzato teleobiettivi e grandangolari. Un obiettivo quindi all´altezza dell´occhio umano (e con un campo visivo ben più limitato). Un testimone dunque che si trova sempre “in mezzo” agli operai, ai comizi, ai cortei: e vede quindi molte schiene e, solo qualche volta, salito sulle spalle di un compagno, tenta una panoramica faticosa e traballante per cogliere un “insieme”. Un testimone, però, che gli operai avavano imparato, in 27 giorni di lotta comune, a considerare come uno di loro, di fronte a cui, col passare dei giorni erano cadute le primitive curiosità o diffidenze. Accanto alla macchina da presa un magnetofono portatile, a pile, di tipo giapponese: qualcosa di assolutamente inadeguato a un sia pur modesto lavoro di carattere semiprofessionale. Uno strumento però su cui, in condizioni sempre precarie, abbiamo registrato ore di conversazioni con operai, di impressioni colte sul vivo della lotta, durante una manifestazione, un corteo, in un´assemblea, in un´osteria. Qualità delle registrazioni: molto mediocre. Sergio Liberovici, che si è preso poi cura di apprestare la colonna sonora, ha dovuto faticare con filtri e riversamenti per tirar fuori da oltre quindici ore di nastri i pochi minuti che si sentono nel film. Il resto del materiale sonoro originale lascia naturalmente molto a desiderare, ma nonostante tutto è bene intelligibile; ed è stato essenziale per l´impostazione del montaggio, per la stesura del commento. Oltre alle difficoltà dovute ai mezzi limitati di cui disponevamo, ci sono state altre difficoltà, di carattere oggettivo, dovute alle condizioni di lavoro del tutto particolari, costretti a una mobilità e a un´improvvisazione continua, nel tentativo impossibile di essere onnipresenti, nei punti e nei momenti più significativi, negli episodi meno prevedibili e più eccezionali, che non sono poi molti in uno sciopero, che è invece, in linea di massima, qualcosa di molto duro e monotono, spettacolarmente noioso.” “Il Nuovo Spettatore Cinematografico”, numero speciale dedicato al documentario, a cura di Goffredo Fofi, Paolo Gobetti, Carla Nosenzo Gobetti, n.33, dicembre 1962

Riccardo Venturi - 12/2/2007 - 11:44


http://www.alternativacomunista.it/con...
una segnalazione, ciao
Gianni Sartori

Gianni Sartori - 6/10/2015 - 22:48




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