Vengo da lontano
non vado via
nato sulla terra
dove vive mamma mia
siamo otto fratelli
tutti andati via
uno vive Canada
tre l’Inghilterra
quattro in Italia
tutti andati via
vengo da lontano
non sento nostalgia
faccio lavori duri
faccio lavoro un po’ sporco
lavoro in stalla
abito in cascina
dove urlano vitelli, mucche
cantano galline, civette
quella è casa mia
tutta questa bella gente
è l’anima mia
vengo da lontano
non vado via
non sento nostalgia
anima mia
tutto questo bella vita mia.
non vado via
nato sulla terra
dove vive mamma mia
siamo otto fratelli
tutti andati via
uno vive Canada
tre l’Inghilterra
quattro in Italia
tutti andati via
vengo da lontano
non sento nostalgia
faccio lavori duri
faccio lavoro un po’ sporco
lavoro in stalla
abito in cascina
dove urlano vitelli, mucche
cantano galline, civette
quella è casa mia
tutta questa bella gente
è l’anima mia
vengo da lontano
non vado via
non sento nostalgia
anima mia
tutto questo bella vita mia.
inviata da Dq82 - 25/11/2016 - 18:51
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Artisti Vari - We are not going back (Nota, 2016)
ancora più interessante la terza delle voci a cui è dedicato questo intervento, quella di Jagjit Rai Mehta, bracciante di stalla indiano in un’azienda agricola di Piadena, in provincia di Cremona: la voce di un’esperienza quasi utopica di condivisione e integrazione senz’altro insolita ma anche per questo segno di una possibilità alternativa. Tanto per cominciare, Jagjit, figlio di un cantore sacro Punjabi, canta su una specie di monodia affine a quelle del padre, ma in italiano:
Jagjit ha composto questa canzone (che di volta in volta improvvisa aggiungendo altri versi) in occasione della Festa della Lega di Cultura di Piadena a Pontirolo di Drizzona. Si tratta di un evento annuale al quale partecipano centinaia di persone venute letteralmente da tutta Europa, per cantare, chiacchierare, mangiare insieme sull’aia e nel prato della casa contadina di Gianfranco Azzali detto “Micio” e della sua famiglia.
Jagjit è cittadino italiano ed è da anni membro a pieno titolo di una delle più importanti esperienze di cultura e di lavoro politico-culturale di base, la Lega di Cultura di Piadena. L’idea di cantare gli deriva anche dal fatto che attorno alla Lega di Cultura si sono formate a partire dagli anni 1960 (e continuano tuttora) alcune delle esperienze più importanti del canto popolare in Italia, e che alla festa della Lega partecipano musicisti e cori da tutta l’Italia, e da Francia, Spagna, Portogallo. Negli splendidi libri fotografici di Giuseppe Morandi, i ritratti di Jagjit e della sua famiglia occupano molte pagine, e il film di Giuseppe Morandi, I colori della Bassa (presentato al festival di Venezia nel 2008) comincia proprio con le immagini di Jagjit al lavoro in stalla[8].
Questo lavoro, “un po’ duro… un po’ sporco”, peraltro, connette Jagjit e la sua storia alla storia stessa della collettività in cui vive: una delle cose che rendono straordinaria la Lega di Cultura di Piadena è appunto che è stata fondata proprio da “bergamini”, da braccianti di stalla: “La casa Azzali, dove ha sede la Lega di Cultura di Piadena”, spiega Giuseppe Morandi, “secondo me è l’università popolare più famosa della Lombardia. E i docenti di questa università sono stati: è stato Pierino Azzali, suo padre, bergamino analfabeta; è stata sua madre, la Genia, casalinga, e che ha svegliato per tutta la vita il marito e i figli alle tre e mezza di notte. Quando abbiamo fondato la Lega di Cultura di Piadena, il fondatore è stato Pierino Azzali, analfabeta. Il notaio non l’ha voluto perché non sapeva scrivere il suo nome. Mentre invece Pierino Azzali aveva capito tutto”[9]. Per Pierino Azzali, “cultura” significa un’altra cosa, e in questa cosa c’è spazio anche per Jagjit Rai Mehta e i suoi pari.
Ora, il lavoro che svolgevano Pierino Azzali e i soui figli lo continuano gli immigrati indiani – tanto che a pochi chilometri di distanza, a Pessina Cremonese, sorge il più grande tempio Sikh d’Europa. Questi migranti, però, aggiungono alla tradizione locale un dato della loro cultura: il rapporto profondo con gli animali. Non a caso, Jagjit definisce la sua casa attraverso le voci di vitelli, galline, mucche, civette. Racconta: “Poi lavorare con gli animali, come sto girando con la famiglia. Poi, quando do latte ai vitelli è come quando do latte ai miei figli. Poi le mucche vengono vicino a me, c’è una mucca addirittura che delle volte mi apre il grembiule da dietro. Numero 305. Quella cosa mi piace tanto, che delle volte mette il suo muso sulla spalla…”. Nella cascina moderna, gli animali sono macchine seriali da latte; per Jagjit, sono individui, anche se hanno solo un numero e non un nome.
Certo, il contesto semirurale e di piccola città di Piadena può essere meno alienante della metropoli romana di Geedi. Ma il contesto e la comunità non sono tutto.
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