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Epilogo

Federico Cimini
Lingua: Italiano


Federico Cimini

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L'importanza di chiamarsi Michele (2013)
L'importanza di chiamarsi Michele

Federico mi racconti quali sono le tue ambizioni legate a “L’importanza di chiamarsi Michele”?
Premesso che sono uno sconosciuto alla mia prima esperienza discografica, ritengo che una persona dovrebbe ascoltare il mio disco per semplice curiosità e, dalla curiosità, passare al giudizio di “gusto”, quindi riascoltarselo, capirne la storia, farlo proprio, immedesimarsi e poi seguire la morale di Michele. Cerco di parlare di lotta alla sopravvivenza in un periodo storico – quello nostro – davvero tragico: è qui che Michele combatte la sua guerra, decidendo inzialmente di scappare all’estero, poi di ritornare e quindi di sfogarsi, offrendo il suo piccolo e inutile contributo alla sua terra, al suo mondo. È l’epilogo che, però, nasconde la svolta della narrazione: un monologo affidato direttamente alla voce di Michele e che rimanda a uno dei brani iniziali della storia, “Un militare”. È nell’epilogo che si scopre ciò che Michele ha fatto per davvero o che, forse, avrebbe voluto e dovuto fare. Lo sviluppo della storia allora si annulla e si affida alla speranza che qualcuno possa recepire il suo messaggio, per credere in un futuro diverso dalle prospettive di oggi, in un futuro “normale”.

È un disco che affronta tematiche molto”calde”: la guerra, la rivoluzione in divano, i contrasti fra i nord e i sud del mondo, l’omosessualità, le droghe e i vizi dell’uomo, la insana voglia di apparire…
Le guerre di cui parlo sono due: quella fatta da carri armati e fucili in nome di una falsa libertà che nasconde gli interessi di chi comanda il mondo, e quella nostra, di tutti i giorni, per arrivare a fine mese e lottando perché questa insanità sociale, un giorno, finisca. Ecco, secondo me bisogna saper distinguere in maniera ragionata: non importa “la distinzione che c’è tra un emo e un omosessuale”, credo che sia più importante “la distinzione tra un uomo e una specie di animale” che rinnega i drammi del nostro passato. Credo che chi ascolta il mio disco debba recepire il fatto che dobbiamo interessarci di cose un po’ più serie.

intervista al Fatto Quotidiano
Alla fine, come tutto, è una storia quasi vera.
L'unica cosa che so per certa è che quella sera,
pure quella sera, stavo lì, tra le stelle che puzzavano di polvere da sparo.

E pensavo ai sacrifici che sono stato costretto a fare per dare un futuro alla mia famiglia,
alla mia donna, e a me stesso.

Fischiava il vento e urlava la bufera ed io,
lì, non ci volevo stare.

Avrei dovuto capire che non andava tutto bene,
avrei dovuto urlare la mia rabbia,
sarei dovuto scappare per scoprire che tutto il mondo è come il mio paese,
pieno di spacciatori di illusioni e di gente pronta a crederci
alla ricerca di un successo gratuito.
E poi sarei dovuto tornare per continuare la mia lotta, pure da solo,
in questa società che dall'alto continua a prenderci per il culo.

Invece sono rimasto qui,
a fare l'eroe con un fucile in mano per chissà quale pretesto,
per evitare di farlo a casa mia, a mani libere, dove di pretesti ce n'erano più di uno.

La mia fine è il mio distintivo di questa nostra guerra.
La guerra non va bene a nessuno, e se no la chiamavano pace!

inviata da Dq82 - 8/8/2016 - 17:43




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