Clap your hands
Because you're gonna die
Every victim is searching for his hangman
Every hunter is stalking his prey
Victim find a victim and hang the hangman
Better to die as a free man than to live as a slave
Clap your hands
Because you're gonna die
The white beast is in the villages
Dealing only in death
With his soul left behind him
He is
The raper of women
Mutilator of children
Murderer of men
Unite and fight
Because you're gonna die
Every victim is searching for his hangman
Every hunter is stalking his prey
Victim find a victim and hang the hangman
Better to die as a free man than to live as a slave
Clap your hands
Because you're gonna die
The white beast is in the villages
Dealing only in death
With his soul left behind him
He is
The raper of women
Mutilator of children
Murderer of men
Unite and fight
inviata da Bernart Bartleby - 17/1/2016 - 14:46
Lingua: Italiano
Traduzione di Roberto Malfatti
MOZAMBICO (1)
Batti le mani
Perchè morirai
Ogni vittima è a caccia del suo boia
Ogni cacciatore incalza la sua preda
La vittima trova una vittima e giustizia il giustiziere
Meglio morire da uomo libero che vivere da schiavo
Batti le mani
Perchè morirai
La belva bianca è nel villaggio
Le interessa soltanto la morte
Si è sbarazzata della sua anima da tempo
E'
Uno stupratore di donne
Un mutilatore di bambini
Un assassino di uomini
Unisciti e combatti
Batti le mani
Perchè morirai
Ogni vittima è a caccia del suo boia
Ogni cacciatore incalza la sua preda
La vittima trova una vittima e giustizia il giustiziere
Meglio morire da uomo libero che vivere da schiavo
Batti le mani
Perchè morirai
La belva bianca è nel villaggio
Le interessa soltanto la morte
Si è sbarazzata della sua anima da tempo
E'
Uno stupratore di donne
Un mutilatore di bambini
Un assassino di uomini
Unisciti e combatti
(1) In mancanza di riscontri oggettivi che mi permettano di collegare il titolo di questo brano alle lotte di indipendenza che negli anni '70 erano in corso in Mozambico, mi permetto di fornire un'altra possibile interpretazione del titolo, a mio avviso più in chiave con la vicenda a cui la canzone si riferisce. Mozambico (Mozambique (Drill)) è termine che si riferisce a una modalità semi-rituale di esecuzione. Il killer spara tre colpi in rapida successione da distanza ravvicinata: i primi due nel petto e il terzo nella fronte della vittima. Il termine deriverebbe dalla tecnica usata dal mercenario rodesiano Mike Rousseau durante la Guerra di Indipendenza del Mozambico.
inviata da Roberto Malfatti - 23/8/2016 - 10:49
Ho cercato di andare alla fonte: mi sono rivolto direttamente agli Amon Düül II chiedendo loro chiarimenti sul titolo. Spero che mi rispondano.
Roberto Malfatti - 23/8/2016 - 11:24
Bravo Roberto, suggestiva la tua ipotesi sul titolo.
E hai fatto bene a contattare gli Amon Düül: a me non era nemmeno venuto in mente.
Grazie per tutto il tuo lavoro.
Saluti
E hai fatto bene a contattare gli Amon Düül: a me non era nemmeno venuto in mente.
Grazie per tutto il tuo lavoro.
Saluti
Bernart Bartleby - 23/8/2016 - 13:24
Tecnica del Mozambique Drill. Tom Cruise in "Collateral" di Michael Mann, 2004.
Bernart Bartleby - 23/8/2016 - 13:40
... Anche se "La belva bianca è nel villaggio" deputerebbe proprio per un'ambientazione africana... Forse la canzone è sulla guerra in Mozambico, putrida di mercenari, e la dedica alla Ertl è solo, appunto, una dedica, visto che fu uccisa proprio quell'anno...
Che dici, Roberto?
Che dici, Roberto?
B.B. - 23/8/2016 - 13:44
Si B.B., ci stavo ripensando proprio poco fa, prima di leggerti. La mia ipotesi è un pò contorta: chi scrive in un tipìtolo "Mozambico", normalmente si riferisce al paese africano, non ad altre cose che hanno lo stesso nome. La musica all'inizio poi ha sonorità africane. Quindi, adesso dopo qualche ripensamento, mi concentrerei meno sulla storia (straordinaria) di Monica Ertl. E la mia nota la cancellerei senz'altro, se potessi. Grazie Bernart :)
Roberto Malfatti - 23/8/2016 - 14:04
Segnalo, per chi fosse interessato, che il libro di Jürgen Schreiber su Monika Ertl è tradotto fin dal 2011 in italiano: La ragazza che vendicò Che Guevara, trad. di V. Gallico e F. Lucaferri, editore Nutrimenti. A Monika Ertl è dedicato anche un capitolo intero dell'opera di Paola Staccioli, Non per odio ma per amore, storie di donne e femministe internazionaliste, ed. Derive/Approdi 2012, con prefazione di Silvia Baraldini e Haidi Gaggio Giuliani (una delle donne di cui si raccontano le storie è Maria Elena Angeloni: "Nel 1970 partecipa a un’azione in sostegno alla resistenza greca. Lo scopo è duplice: denunciare la dittatura dei colonnelli e denunciare la responsabilità degli Usa. Il meccanismo a orologeria della bomba artigianale confezionata si inceppa e l’auto salta in aria… Lascia un bambino di nove anni, Federico, che ha avuto con Veniero, fratello di Haidi, la mamma di Carlo Giuliani").
Riccardo Venturi - 23/8/2016 - 14:29
Ma ti pare, Roberto! Tra l'altro sono stato molto contento di trovare qua dentro Monika Ertl: per quel che riguarda il libro della Staccioli, ho assistito ad una sua presentazione (al CPA Firenze Sud) con la presenza dell'autrice e di Silvia Baraldini (Haidi Giuliani era collegata in videoconferenza), mentre la traduzione del libro di Schreiber l'avevo trovata a suo tempo nella biblioteca del mio quartiere. Entrambe, letture che raccomando davvero.
Riccardo Venturi - 23/8/2016 - 15:36
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Scritta da Peter Leopold
Nell’album del gruppo krautrock intitolato “Vive la Trance”
Ma c’è una ragione ulteriore: nelle note sul retro copertina gli Amon Düül II dedicarono la canzone ad una certa Monika Ertl, una giovane di origine tedesca, guerrigliera guevarista, che proprio nel maggio del 1973 - sei anni dopo il Che - era stata uccisa dall’esercito boliviano nei pressi di El Alto, non lontano da La Paz.
Monika Ertl era figlia di Hans Ertl (1908-2000), nato a Monaco di Baviera, fotografo e cameraman assai noto negli anni del Terzo Reich per essere uno dei collaboratori della regista Leni Riefenstahl ed il ritrattista preferito da molti gerarchi del regime, soprattutto da Erwin Rommel.
Pur non essendo mai stato iscritto al partito nazista, alla fine della guerra Hans Ertl preferì scappare in Sud America, così come fecero molti tedeschi, criminali di guerra o semplici collusi della dittatura. Gli Ertl si stabilirono in Bolivia e la loro cerchia di amici comprendeva parecchi nazisti che lì avevano trovato rifugio, come lo “zio Klaus” - così lo chiamava Monika - un imprenditore che altri non era che Nikolaus Barbie, un ex comandante della Gestapo nella Francia occupata, soprannominato il “Boia di Lione”, quello che all’Hôtel Terminus della città francese torturò così ferocemente il capo della Resistenza Jean Moulin che questi poi morì sul treno che lo portava in un campo di concentramento; quello pure che scoprì alcune decine di bambini ebrei nascosti ad Izieu e li fece deportare ad Auschwitz... Klaus Barbie si riciclò subito come collaboratore dei servizi segreti statunitensi e, grazie a loro e all’aiuto di “eminenze” della Chiesa cattolica e ai buoni uffici della Croce Rossa Internazionale, si rifece una vita in Bolivia, una vita fatta di traffici di droga e di armi e di stretta collaborazione coi più feroci regimi fascisti sudamericani e di accoglienza ai neo-nazifascisti di mezzo mondo, compreso il nostro Stefano Delle Chiaie...
Ma Monika non era figlia di quelle idee. Monika per un po’ seguì il padre nella sua professione, poi sposò infelicemente un ingegnere minerario tedesco, quindi si avvicinò alla causa degli ultimi, dei più poveri lavorando presso una casa per orfani a La Paz. Lì conobbe ed aderì alla visione guevarista e, dopo l’uccisione del Che, entrò in clandestinità e divenne guerrigliera, con il nome di battaglia di “Imilla”, tra gli epigoni dell’Ejército de Liberación Nacional de Bolivia.
Nel 1971 Monika Ertl tornò in Europa, in missione. Passò in Italia, dove incontrò l’editore Giangiacomo Feltrinelli che le consegnò una pistola, una Colt Cobra 38 Special di sua proprietà. Quindi si diresse ad Amburgo dove uccise il console boliviano Roberto Quintanilla Pereira, colui che nel 1967 come capo della sicurezza aveva dato l’ordine di amputare le mani al Che Guevara, l’ultimo oltraggio dopo la sua esecuzione.
Tornata in Sud America, prima a Cuba e di nuovo in Bolivia, Monika Ertl fu individuata ed eliminata dall’esercito boliviano il 12 maggio 1973. L’operazione fu possibile soprattutto grazie al lavoro d’intelligence effettuato da “Zio Klaus”, consigliere di tutti i governi golpisti, compreso quello del sanguinario Hugo Banzer. Si dice che Monika stesse allora lavorando proprio per consegnare lo “zio” alla giustizia internazionale...
Il corpo di Monika Ertl non fu mai restituito al padre. Si ignora ancora oggi il luogo della sua sepoltura. Credo che nemmeno a Cuba le tributarono grandi onori. Il suo nome sprofondò nell’oblìo.
Con la fine dell’ennesima dittatura Klaus Barbie cadde in disgrazia e nel 1983 fu estradato in Francia. Condannato all’ergastolo, morì nel carcere di Lione nel 1991.
Recentemente il giornalista tedesco Jürgen Schreiber ha dedicato alla figura Di Monika Ertl, detta “Imilla”, una biografia - inchiesta intitolata “Sie starb wie Che Guevara : die Geschichte der Monika Ertl” (2009).