Wir sind die Kinder der “Eisernen Zeit”,
Gefüttert mit Kohlrübensuppen.
Wir haben genug von Krieg und Streit
Und den feldgrauen Aufsteh-Puppen.
Kindsein das haben wir niemals gekannt. -
Uns sang nur der Hunger in Schlaf,
Weil Vater im Schützengraben stand,
Zu fallen für Kaiser und Vaterland,
- Wenn’s grade ihn mal traf.
Unser Kinderschreck war der “Heldentod”,
Unser Märchenbuch: “Extrablätter”,
Unser Leckerbissen: das Karten-Brot,
Und Wilhelm unser “Retter”.
Die Schulbücher prangten so stolz schwarz-weiß-rot,
Draus lernten wir: “Tod den Franzosen!”
Wir übten: “Man sagt nicht Adieu nur Grüß Gott” –
Und schwärmten für Stahlbadehosen…
Und kam eines Tages ein Telegramm,
- Wenn der Vater schon lang nicht geschrieben -
Dann zog sich die Mutter das “Schwarze” an,
Und wir waren kriegshinterblieben.
Wir lernten Geschichte und Revolution
Am eigenen Leibe erfahren.
Wir schwitzten für Gelder der Inflation,
Die später keine mehr waren.
Wir spüren noch heute auf Schritt und Tritt
Jener herrlichen Zeiten Vermächtnis,
Und spielt ihr Soldaten - wir machen nicht mit,
Denn wir haben ein gutes Gedächtnis…
Gefüttert mit Kohlrübensuppen.
Wir haben genug von Krieg und Streit
Und den feldgrauen Aufsteh-Puppen.
Kindsein das haben wir niemals gekannt. -
Uns sang nur der Hunger in Schlaf,
Weil Vater im Schützengraben stand,
Zu fallen für Kaiser und Vaterland,
- Wenn’s grade ihn mal traf.
Unser Kinderschreck war der “Heldentod”,
Unser Märchenbuch: “Extrablätter”,
Unser Leckerbissen: das Karten-Brot,
Und Wilhelm unser “Retter”.
Die Schulbücher prangten so stolz schwarz-weiß-rot,
Draus lernten wir: “Tod den Franzosen!”
Wir übten: “Man sagt nicht Adieu nur Grüß Gott” –
Und schwärmten für Stahlbadehosen…
Und kam eines Tages ein Telegramm,
- Wenn der Vater schon lang nicht geschrieben -
Dann zog sich die Mutter das “Schwarze” an,
Und wir waren kriegshinterblieben.
Wir lernten Geschichte und Revolution
Am eigenen Leibe erfahren.
Wir schwitzten für Gelder der Inflation,
Die später keine mehr waren.
Wir spüren noch heute auf Schritt und Tritt
Jener herrlichen Zeiten Vermächtnis,
Und spielt ihr Soldaten - wir machen nicht mit,
Denn wir haben ein gutes Gedächtnis…
inviata da Bernart Bartleby - 10/11/2015 - 11:38
Lingua: Italiano
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
10 novembre 2015
10 novembre 2015
CORO DEGLI ORFANI DI GUERRA
Noi siamo i figli del "Tempo di Ferro",
nutriti a minestre di cavolorapa.
Ne abbiamo abbastanza di guerra e stenti
e delle marionette in grigioverde sull'attenti. [1]
Mai abbiamo conosciuto l'essere bambini.
La ninnananna ce la cantava la fame,
perché il babbo stava giù in trincea
a morire per il Kaiser e la patria,
- si beccò un colpo solo e via.
Il nostro terrore di bambini era la "morte da eroe",
il nostro libro di fiabe, le edizioni straordinarie,
la nostra chicca era il pane a tessera
e Guglielmo era il nostro "salvatore".
I libri di scuola sfoggiavano fieri il tricolore, [2]
e da essi imparavamo: "Morte ai francesi!"
Esercizio: "Non si dice Adieu, ma Grüß Gott" [3]
e impazzivamo per i calzoncini da bagno d'acciaio... [4]
E un giorno arrivò un telegramma,
quando il babbo già più non scriveva da tempo.
E allora la mamma si vestì in nero,
e diventammo lei vedova, e noi orfani di guerra.
Imparammo la Storia e la Rivoluzione
sulla nostra propria pelle.
Ci sudavamo i quattrini superinflazionati [5]
che poi non ci furono più.
Cerchiamo ancora, in ogni momento,
le tracce lasciateci da quei tempi fulgidi,
e se giocate ai soldati, noi, no, con voi non ci giochiamo
perché abbiamo buona memoria.
Noi siamo i figli del "Tempo di Ferro",
nutriti a minestre di cavolorapa.
Ne abbiamo abbastanza di guerra e stenti
e delle marionette in grigioverde sull'attenti. [1]
Mai abbiamo conosciuto l'essere bambini.
La ninnananna ce la cantava la fame,
perché il babbo stava giù in trincea
a morire per il Kaiser e la patria,
- si beccò un colpo solo e via.
Il nostro terrore di bambini era la "morte da eroe",
il nostro libro di fiabe, le edizioni straordinarie,
la nostra chicca era il pane a tessera
e Guglielmo era il nostro "salvatore".
I libri di scuola sfoggiavano fieri il tricolore, [2]
e da essi imparavamo: "Morte ai francesi!"
Esercizio: "Non si dice Adieu, ma Grüß Gott" [3]
e impazzivamo per i calzoncini da bagno d'acciaio... [4]
E un giorno arrivò un telegramma,
quando il babbo già più non scriveva da tempo.
E allora la mamma si vestì in nero,
e diventammo lei vedova, e noi orfani di guerra.
Imparammo la Storia e la Rivoluzione
sulla nostra propria pelle.
Ci sudavamo i quattrini superinflazionati [5]
che poi non ci furono più.
Cerchiamo ancora, in ogni momento,
le tracce lasciateci da quei tempi fulgidi,
e se giocate ai soldati, noi, no, con voi non ci giochiamo
perché abbiamo buona memoria.
NOTE
[1] Anche i soldati tedeschi durante la prima guerra mondiale vestivano in grigioverde. Il grigioverde italiano, storicamente, fu ripreso proprio dall'esercito tedesco per le sue caratteristiche mimetiche.
[2] Nel testo originale, il tricolore è il nero, bianco e rosso tedesco (schwarz-weiß-rot).
[3] Nel purismo linguistico tedesco dell'epoca, i termini francesi dovevano essere nazionalisticamente banditi per quanto possibile. Quindi, si insegnava ad esempio che il saluto Adieu, comunissimo allora, doveva essere sostituito dal tedesco Grüß Gott, che poi ne è il calco preciso ("Saluto a Dio"). Curioso pensare che il nazismo, sorprendentemente, fu talmente contrario al purismo linguistico da perseguire ferocemente i suoi fautori.
[4] Gioco di parole, quasi intraducibile, su "Badehosen" = calzoncini da bagno, e "Stahlbad", che indica propriamente un bagno termale da sorgenti ricche di ferro. Con l'espressione "Stahlbad" (alla lettera: "bagno d'acciaio"), già dalle elezioni legislative del 1912 i circoli militaristi conservatori tedeschi iniziarono a definire la guerra, che secondo loro sarebbe stata una sorta di "bagno termale rigenerativo" della nazione e dello stato prussiano. Così quindi la guerra era presentata: un "bagno termale rigenerativo", ove il ferro o l'acciaio era naturalmente quello sgorgato dalle armi e dai cannoni.
[5] Si ricordi la spaventosa inflazione che colpì la Germania dopo la prima guerra mondiale, quando un giornale o un litro di latte costavano carrettate di inutili marchi.
[1] Anche i soldati tedeschi durante la prima guerra mondiale vestivano in grigioverde. Il grigioverde italiano, storicamente, fu ripreso proprio dall'esercito tedesco per le sue caratteristiche mimetiche.
[2] Nel testo originale, il tricolore è il nero, bianco e rosso tedesco (schwarz-weiß-rot).
[3] Nel purismo linguistico tedesco dell'epoca, i termini francesi dovevano essere nazionalisticamente banditi per quanto possibile. Quindi, si insegnava ad esempio che il saluto Adieu, comunissimo allora, doveva essere sostituito dal tedesco Grüß Gott, che poi ne è il calco preciso ("Saluto a Dio"). Curioso pensare che il nazismo, sorprendentemente, fu talmente contrario al purismo linguistico da perseguire ferocemente i suoi fautori.
[4] Gioco di parole, quasi intraducibile, su "Badehosen" = calzoncini da bagno, e "Stahlbad", che indica propriamente un bagno termale da sorgenti ricche di ferro. Con l'espressione "Stahlbad" (alla lettera: "bagno d'acciaio"), già dalle elezioni legislative del 1912 i circoli militaristi conservatori tedeschi iniziarono a definire la guerra, che secondo loro sarebbe stata una sorta di "bagno termale rigenerativo" della nazione e dello stato prussiano. Così quindi la guerra era presentata: un "bagno termale rigenerativo", ove il ferro o l'acciaio era naturalmente quello sgorgato dalle armi e dai cannoni.
[5] Si ricordi la spaventosa inflazione che colpì la Germania dopo la prima guerra mondiale, quando un giornale o un litro di latte costavano carrettate di inutili marchi.
Lingua: Francese
Version française – CHOEUR DES ORPHELINS DE GUERRE – Marco Valdo M.I. – 2015
Chanson allemande – Chor der Kriegerwaisen – Mascha Kaléko – 1931
Poème de Mascha Kaléko (née Golda Malka Aufen, 1907-1975).
Mis en musique par des artistes comme Konstantin Wecker (“Wecker”, 1982) et Linard Bardill (“Strampedemi, Lieder gegen den Krieg”, 1991)
La famille de Golda Malka Aufen, comme des centaines de milliers de Galiciens, abandonna le pays dans les années suivant la Grande Guerre, à l’époque de la grande crise économique qui frappa la région. Ils s’établirent à Berlin, où en 1928, la jeune Mascha épousa l’enseignant Saul Aaron Kaléko.
Mascha Kaléko commença à publier des poésies en 1929 et fut vite appréciée de poètes et d’intellectuels comme Erich Kästner et Kurt Tucholsky.
Ses deux premiers recueils, « Lyrisches Stenogrammheft » de 1933 et « Das kleine Lesebuch für Gros » de 1935, se heurtèrent immédiatement à la censure nazie.
En 1938, Mascha Kaléko fuit aux USA avec son mari, le compositeur Chemjo Vinaver, et leur fils Steven, d’à peine d’un an.
Kaléko revint à Berlin en 1956 où, trois ans après, elle reçut un prix littéraire prestigieux, le Fontane-Preis (Prix Fontane), qu’elle refusa parce qu’elle aurait dû le recevoir des mains d’un ex-officier nazi.
Cette même année – 1959 – elle se transféra à Jérusalem avec la famille.
Chanson allemande – Chor der Kriegerwaisen – Mascha Kaléko – 1931
Poème de Mascha Kaléko (née Golda Malka Aufen, 1907-1975).
Mis en musique par des artistes comme Konstantin Wecker (“Wecker”, 1982) et Linard Bardill (“Strampedemi, Lieder gegen den Krieg”, 1991)
La famille de Golda Malka Aufen, comme des centaines de milliers de Galiciens, abandonna le pays dans les années suivant la Grande Guerre, à l’époque de la grande crise économique qui frappa la région. Ils s’établirent à Berlin, où en 1928, la jeune Mascha épousa l’enseignant Saul Aaron Kaléko.
Mascha Kaléko commença à publier des poésies en 1929 et fut vite appréciée de poètes et d’intellectuels comme Erich Kästner et Kurt Tucholsky.
Ses deux premiers recueils, « Lyrisches Stenogrammheft » de 1933 et « Das kleine Lesebuch für Gros » de 1935, se heurtèrent immédiatement à la censure nazie.
En 1938, Mascha Kaléko fuit aux USA avec son mari, le compositeur Chemjo Vinaver, et leur fils Steven, d’à peine d’un an.
Kaléko revint à Berlin en 1956 où, trois ans après, elle reçut un prix littéraire prestigieux, le Fontane-Preis (Prix Fontane), qu’elle refusa parce qu’elle aurait dû le recevoir des mains d’un ex-officier nazi.
Cette même année – 1959 – elle se transféra à Jérusalem avec la famille.
CHOEUR DES ORPHELINS DE GUERRE
Nous sommes les enfants du « Temps de Fer »,
Nourris de soupes de rutabagas.
Nous avons assez des conflits et de la guerre
Et des poupées vert de gris marchant au pas.
Enfants, nous ne l’avons jamais été ;
Dans notre sommeil, la faim seule nous a bercés
Car Papa était parti dans la tranchée,
Pour l’empereur et la patrie, tomber.
Un seul coup et il s’en est allé.
Enfants, « Mort en héros » était notre désespoir
Notre recueil de contes : « Éditions spéciales »,
Notre délice : le pain noir,
Et notre « sauveur » : Guillaume.
Les livres d’école clamaient noir-blanc-rouge avec fierté
Alors, on apprenait :« Mort aux Français ! »
On s’exerçait : « On ne dit pas Adieu, on dit Grüß Gott » –
Et on s’emballait pour des maillots d’acier…
Et un jour, une lettre est arrivée
- Depuis longtemps n’avait pas écrit notre père.
Alors, de « noir », notre mère s’est habillée
Et nous étions des orphelins de guerre.
On fit l’expérience de l’Histoire et de la Révolution
Dans notre propre individu.
Nous avons sué pour l’argent de l’inflation,
Qui plus tard n’en fut même plus.
Nous sentons encore aujourd’hui à chaque pas
Le legs de ces temps admirables,
Et jouez aux soldats – nous, nous ne jouons pas,
Car nous avons une bonne mémoire…
Nous sommes les enfants du « Temps de Fer »,
Nourris de soupes de rutabagas.
Nous avons assez des conflits et de la guerre
Et des poupées vert de gris marchant au pas.
Enfants, nous ne l’avons jamais été ;
Dans notre sommeil, la faim seule nous a bercés
Car Papa était parti dans la tranchée,
Pour l’empereur et la patrie, tomber.
Un seul coup et il s’en est allé.
Enfants, « Mort en héros » était notre désespoir
Notre recueil de contes : « Éditions spéciales »,
Notre délice : le pain noir,
Et notre « sauveur » : Guillaume.
Les livres d’école clamaient noir-blanc-rouge avec fierté
Alors, on apprenait :« Mort aux Français ! »
On s’exerçait : « On ne dit pas Adieu, on dit Grüß Gott » –
Et on s’emballait pour des maillots d’acier…
Et un jour, une lettre est arrivée
- Depuis longtemps n’avait pas écrit notre père.
Alors, de « noir », notre mère s’est habillée
Et nous étions des orphelins de guerre.
On fit l’expérience de l’Histoire et de la Révolution
Dans notre propre individu.
Nous avons sué pour l’argent de l’inflation,
Qui plus tard n’en fut même plus.
Nous sentons encore aujourd’hui à chaque pas
Le legs de ces temps admirables,
Et jouez aux soldats – nous, nous ne jouons pas,
Car nous avons une bonne mémoire…
inviata da Marco Valdo M.I. - 2/12/2015 - 22:59
Un’altra poesia contro la guerra composta da Mascha Kaléko. La contribuisco a commento perché non mi risulta che sia mai stata messa in musica.
Il titolo ho provato a tradurlo io, ma non so se è giusto (“io non parlo il tedesco, scusami, pardon”, come direbbe Paolo Conte)…
Il titolo ho provato a tradurlo io, ma non so se è giusto (“io non parlo il tedesco, scusami, pardon”, come direbbe Paolo Conte)…
VERSE FÜR KEINEN PSALTER
Ich möcht in dieser Zeit nicht Herrgott sein
Und wohlbehütet hinter Wolken thronen,
Allwissend, dass die Bomben und Kanonen
Den rotenTod auf meine Söhne spein.
Wie peinlich, einem Engelschor zu lauschen,
Da Kinderweinen durch die Lande gellt.
Weissgott, ich möcht um alles in der Welt
Nicht mit dem Lieben Gott im Himmel tauschen.
Mir scheint, ein solcher Riesenapparat
Von Finsternis und Feuerwerk verpflichtet.
Hat Er damit ein Wunder wohl verrichtet,
Wie seinerzeit Er's in Aegypten tat?
Lobet den Herrn, der schweigt! In solcher Zeit -
Vergib, o Hirt, - ist Schweigen ein Verbrechen.
Doch wie es scheint, ist Seine Heiligkeit
Auch für frommste Lämmlein nicht zu sprechen.
Herr Zebaoth spaziert im Wolkenhain
Und schert sich einen Blitz, wie ich das finde.
Ich möcht in dieser Zeit nicht Herrgott sein.
Wie aber sag ich solches meinem Kinde?
Ich möcht in dieser Zeit nicht Herrgott sein
Und wohlbehütet hinter Wolken thronen,
Allwissend, dass die Bomben und Kanonen
Den rotenTod auf meine Söhne spein.
Wie peinlich, einem Engelschor zu lauschen,
Da Kinderweinen durch die Lande gellt.
Weissgott, ich möcht um alles in der Welt
Nicht mit dem Lieben Gott im Himmel tauschen.
Mir scheint, ein solcher Riesenapparat
Von Finsternis und Feuerwerk verpflichtet.
Hat Er damit ein Wunder wohl verrichtet,
Wie seinerzeit Er's in Aegypten tat?
Lobet den Herrn, der schweigt! In solcher Zeit -
Vergib, o Hirt, - ist Schweigen ein Verbrechen.
Doch wie es scheint, ist Seine Heiligkeit
Auch für frommste Lämmlein nicht zu sprechen.
Herr Zebaoth spaziert im Wolkenhain
Und schert sich einen Blitz, wie ich das finde.
Ich möcht in dieser Zeit nicht Herrgott sein.
Wie aber sag ich solches meinem Kinde?
Bernart Bartleby - 10/11/2015 - 14:16
Traduzione italiana di “Verse für Keinen Psalter”, dal blog L’Olivo Saraceno di Rosanna Bazzano.
Il titolo ho provato a tradurlo io, ma non so se è giusto (“io non parlo il tedesco, scusami, pardon”, come direbbe Paolo Conte)…
Il titolo ho provato a tradurlo io, ma non so se è giusto (“io non parlo il tedesco, scusami, pardon”, come direbbe Paolo Conte)…
POESIA PER NESSUN SALTERIO
Non vorrei essere il Signore Iddio di questi tempi
e ben protetto troneggiare dietro le nubi,
ben sapendo, lui che sa tutto, che le bombe e i cannoni
seminano la rossa morte tra i miei figli.
Che pena ascoltare un coro d’angeli,
quando il pianto dei bambini risuona attraverso la campagna.
Lo sa Dio, non vorrei per tutto l’oro del mondo
essere al posto del buon Dio in cielo.
Mi sembra che abbia ingaggiato un tale apparato gigantesco
di oscurità e fuochi artificiali,
ha fatto dunque un miracolo,
come fece una volta in Egitto?
Rendete gloria al Signore che tace!
In tempi come questi
perdona, o pastore – tacere è un delitto.
Sembra tuttavia che a Sua Santità
non ci si possa rivolgere nemmeno per il più docile degli agnellini.
Il Signore degli eserciti passeggia tra boschi di nuvole
e non gliene importa un fulmine, mi pare.
Non vorrei essere il buon Dio di questi tempi.
Ma come faccio a dirlo al mio bambino?
Non vorrei essere il Signore Iddio di questi tempi
e ben protetto troneggiare dietro le nubi,
ben sapendo, lui che sa tutto, che le bombe e i cannoni
seminano la rossa morte tra i miei figli.
Che pena ascoltare un coro d’angeli,
quando il pianto dei bambini risuona attraverso la campagna.
Lo sa Dio, non vorrei per tutto l’oro del mondo
essere al posto del buon Dio in cielo.
Mi sembra che abbia ingaggiato un tale apparato gigantesco
di oscurità e fuochi artificiali,
ha fatto dunque un miracolo,
come fece una volta in Egitto?
Rendete gloria al Signore che tace!
In tempi come questi
perdona, o pastore – tacere è un delitto.
Sembra tuttavia che a Sua Santità
non ci si possa rivolgere nemmeno per il più docile degli agnellini.
Il Signore degli eserciti passeggia tra boschi di nuvole
e non gliene importa un fulmine, mi pare.
Non vorrei essere il buon Dio di questi tempi.
Ma come faccio a dirlo al mio bambino?
Bernart Bartleby - 10/11/2015 - 14:16
La traduzione del titolo della poesia è, direi, corretta. Si potrebbe rendere più semplicemente anche con "Poesia non per salterio". Il titolo mi sembra tra l'altro volutamente ambiguo: "non per salterio" inteso sia come lo strumento musicale, sia come raccolta di salmi (il fatto che Mascha Kaléko fosse ebrea è un'allusione ai salmi biblici, probabilmente).
Riccardo Venturi - 10/11/2015 - 18:18
Grazie Riccardo per la tua bella traduzione e per le note.
Ho trovato queste due poesie della Kaléko - autrice a me fino a ieri sconosciuta - davvero straordinarie, degne del miglior Tucholsky (del quale, non a caso, fu amica).
Saluti
Ho trovato queste due poesie della Kaléko - autrice a me fino a ieri sconosciuta - davvero straordinarie, degne del miglior Tucholsky (del quale, non a caso, fu amica).
Saluti
Bernart Bartleby - 11/11/2015 - 09:13
×
Versi di Mascha Kaléko (nata Golda Malka Aufen, 1907-1975), poetessa ebrea polacca, originaria della Galizia austro-ungarica.
Una poesia messa in musica da artisti come Konstantin Wecker (“Wecker”, 1982) e Linard Bardill (“Strampedemi, Lieder gegen den Krieg”, 1991)
Testo trovato su Simplicissimus
Anche la famiglia di Golda Malka Aufen, come centinaia di migliaia di galiziani, abbandonò il paese negli anni a ridosso della Grande Guerra, all’epoca della grande crisi economica che attanagliò la regione. Si stabilirono a Berlino, dove nel 1928 la giovane Mascha sposò l’insegnante Saul Aaron Kaléko.
Mascha Kaléko cominciò a pubblicare poesie fin dal 1929 e venne subito apprezzata da poeti ed intellettuali come Erich Kästner e Kurt Tucholsky.
Le sue prime due raccolte, “Lyrisches Stenogrammheft” del 1933 e “Das kleine Lesebuch für Grosse” del 1935, incontrarono immediatamente la censura nazista.
Nel 1938 Mascha Kaléko fuggì negli USA con il secondo marito, il compositore Chemjo Vinaver, ed il loro figlio Steven, di appena un anno.
La Kaléko fece ritorno a Berlino nel 1956 dove, tre anni dopo, fu insignita di un premio letterario prestigioso, il Fontane-Preis, che lei rifiutò perché avrebbe dovuto riceverlo dalla mani di un ex ufficiale nazista.
Quell’anno stesso - era il 1959 – si trasferì a Gerusalemme con la famiglia.