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Csak egy éjszakára

Géza Gyóni
Lingua: Ungherese


Lista delle versioni e commenti



[Przemyśl, November 1914/Novembre 1914]
Gyóni Géza költeménye / Poesia di Géza Gyóni
A Poem by Géza Gyóni
Musica di autori vari /Music by various authors
Tra i quali / Among which: HétköznaPICSAlódások
(in RIARIAANARCHIA, 2009)

gezagyooni


Géza Áchim, nato a Gyón il 25 giugno 1884 (e dalla sua cittadina natale scelse il nom de plume: Gyóni significa “di Gyón”), proveniva da una famiglia di stretta osservanza luterana, e fu egli stesso teologo protestante. Non verrà mai annoverato tra i grandi della letteratura e della poesia magiara; lo si direbbe un “minore” o qualcosa del genere, di fronte a nomi come Sándor Petőfi, Endre Ady, Attila József, Mihály Vörösmarty e altri. Non fosse che per questa poesia, che è non solo una delle più famose del XX secolo in lingua ungherese, ma anche una delle più citate, musicate, riproposte e quant'altro. Una poesia, tra le altre cose, dal destino assai singolare, strettamente legato a colui che la scrisse: è, con tutta verosimiglianza, diventata la più celebre canzone ungherese contro la guerra, vera icona del pacifismo e dell'antimilitarismo, ed il suo inserimento in questo sito colma veramente una grossa lacuna.

Destino singolare? Occorre conoscere, sia pure per grandi linee, la (breve) vita di Géza Gyóni, che non era affatto -almeno in origine- né un pacifista, né un antimilitarista. Tutt'altro. La vicenda umana del poeta, allo scoppio della I guerra mondiale, era intrecciata con l'accesissimo nazionalismo magiaro dell'epoca. La demagogia nazionalistica aveva fatto breccia in Géza Gyóni come in moltissimi altri ungheresi, che vedevano nella guerra la possibilità di affermare definitivamente la patria magiara; tant'è che era partito volontario. Uno di coloro, come fa giustamente notare Fulvio Senardi nel saggio sul quale si basa quasi totalmente questa introduzione, “che Thomas Mann (La montagna incantata) e Italo Svevo (La coscienza di Zeno) ci descrivono in pagine indimenticabili mentre si avviano euforici verso il macello”. Géza Gyóni aveva aderito in modo totale alla follia collettiva; tradizionalista di cuore e di spirito, aveva in odio la famosa rivista Nyugat (“Occidente”), che propugnava ideali letterari e politici rivolti, come si evince dal suo stesso e evocativo nome, all'Occidente in contrapposizione al tradizionalismo popolare e rurale che impregnava ancora gran parte della cultura ungherese dell'epoca. I Nyugatisti erano per Géza Gyóni, “beffeggiatori di ideali e di patria” e nemici delle virtù nazionali in quanto “avvelenati dallo spirito decadente della cultura parigina, intrisa di cosmopolitismo e pacifismo, negatrice della tradizione in nome del miraggio di un radioso 'santo Domani'” (Senardi). Alla rivista oggetto dei suoi strali, Géza Gyóni indirizzò peraltro durissime parole in una lettera aperta (Lével Nyugatra).

Questo per inquadrare non soltanto la figura del poeta, ma anche le sue motivazioni più profonde. Partito volontario per la guerra, si ritrovò assieme a migliaia e migliaia di suoi connazionali a combattere in Galizia: è l'assedio alla fortezza di Przemyśl. Przemyśl è uno dei sacrari degli ungheresi, forse il principale: vi trovarono la morte migliaia di soldati. Un autentico macello che cominciò a far mutare idea anche a Géza Gyóni, che scrisse proprio nell'infuriare dei combattimenti a Przemyśl, nel novembre del 1914, la sua famosissima poesia. Senza peraltro che le sue motivazioni cambiassero fondamentalmente oggetto: Csak egy éjszakára resta una poesia rivolta contro i Nyugatisti e gli “intellettuali decadenti”, scritta nell'ardita tessitura metrica (sette strofe di sette versi, doppi senari in rima baciata o assonanzata) tipica dello hősi hatos, il “canto eroico” della poesia tradizionale magiara. Ma nella poesia cominciano ad avvertirsi anche echi diversi, particolarmente contro “i retori patriottardi, i faziosi, gli speculatori” e contro un Paese che ha mandato coscientemente al massacro la sua gioventù migliore.

Géza Gyóni era stato anch'egli vittima della peculiare Kultur ungherese, che “odia allo stesso modo i miti occidentali (progresso, democrazia, umanitarismo) e l'oriente slavo, che vomita orde selvagge nella dolce terra ungherese”; una Kultur, come è facile osservare, che non ha cessato certo di esistere in Ungheria. Ebbe a scrivere, inascoltato, Endre Ady: “Il magiaro è un popolo sinistro e triste. / Visse nella rivolta e, per curarlo / gli recarono la guerra e l'orrore / i farabutti, maledetti nella tomba”. Cosa poi accadesse sul fronte di Galizia, dove Gyóni era stato acquartierato dopo l’arruolamento nell’autunno del ’14, è cosa ben nota: a Przemyśl, cittadina fortificata del fronte nord-orientale, dopo il fallimento dell’offensiva austriaca che inaugura la guerra sui Carpazi, cadono in mano ai russi il 22 marzo 1915 quasi 120.000 uomini; austriaci, ungheresi, italiani dell’Istria, del Trentino e di Trieste, ecc.: soldati tutti dell’impero multinazionale e plurilinguistico. Nel macello, il nazionalismo di Géza Gyóni cede il passo ad un sofferto sentimento di fratellanza universale.

Autunno 1914: truppe ungheresi all'assalto durante l'assedio e la battaglia di Przemyśl
Autunno 1914: truppe ungheresi all'assalto durante l'assedio e la battaglia di Przemyśl


Come quella di tanti altri, l'esistenza di Géza Gyóni si concluse nel modo più tragico: il 22 marzo 1915 quasi 120.000 uomini cadono prigionieri dei russi. Sono ungheresi, austriaci e anche numerosi italiani dell'Istria, del Trentino e di Trieste. “Comincia il calvario della prigionia siberiana, da cui Gyóni avrebbe potuto essere salvato se il suo nome fosse stato compreso nelle liste di scambio dei feriti e dei malati; ma ciò non avvenne.” (Senardi). Géza Gyóni, per una delle più classiche beffe del destino, muore a Krasnojarsk durante la sua prigionia nel giorno del suo 38° compleanno, il 25 giugno 1917. “I germi di una svolta pacifista e umanitaria della sua visione del mondo non erano sfuggiti all’Ungheria ufficiale, quella che leggeva con sospetto i suoi versi riportati in patria da avventurose missive. Risale ad allora una lirica, difficile a dirsi se più intrisa di dolore o indignazione: Gõgös Hunniában (Nella superba terra degli Unni, 1916), in cui Gyóni lamenta, non senza una punta di autocommiserazione, la sua sorte di cigno ferito e insanguinato condannato a morire a causa dell’odio e delle calunnie dei compatrioti. Accenti schietti e dolenti, come spesso nelle liriche di questa fase, le poesie degli anni di guerra e di prigionia che rappresentano in effetti, per la vibrazione di toccante autenticità, l’acuto della sua fragile vena: e si tratta delle raccolte Sui campi polacchi, presso il fuoco di bivacco (Lengyel mező kön, tábortűz mellett, 1914), Lettere dal Calvario (Levelek a Kálváriáról, 1916), e dei versi pubblicati postumi.” (Senardi)

Inizia poi il percorso di Csak égy éjszakára; un percorso, come già accennato, che la porterà in territori molto lontani da quelli originari. Un percorso strettamente legato, però, al mutamento di prospettiva che lo stesso Géza Gyóni stava sempre più rendendo palese nei componimenti scritti durante l'assedio di Przemyśl e la susseguente, tragica prigionia siberiana; qualcosa che lo rende molto vicino a poeti, ad esempio, come Giuseppe Ungaretti. Csak egy éjszakára ha subito molto presto un processo di popolarizzazione passato necessariamente per il canto (la sua stessa struttura metrica è praticamente identica a quella di molti canti popolari ungheresi); ed il passaggio al canto ha accentuato a dismisura la sua intrinseca componente percettiva contro la guerra in sé. A prescindere dalle sue reali origini, Csak egy éjszakára è divenuta una canzone antimilitarista, in particolare rivolta contro ogni tipo di “trombone” e di grancassa bellicista mentre le masse sono mandate al macello; e così ha attraversato tutto il ventesimo secolo ungherese per approdare al secolo attuale, in un'Ungheria malamente tornata a certe sue storiche pulsioni oscurantiste, xenofobe e fasciste, come una vera e propria icona di qualsiasi movimento pacifista, solidaristico e persino anarchico. Prova ne sia che la versione musicale che qui si dà è assai recente e particolare, a cura della band punk anarchica HétköznaPICSAlódások (il cui nome significa sì “illusioni quotidiane”, con l'accorgimento grafico però che mette in lettere maiuscole in risalto il termine picsa “fica”, formato dall'ultima sillaba della prima parola e della prima della seconda). Abbiamo volutamente scelto di far rappresentare musicalmente questo testo da una band che si rifà espressamente ai Sex Pistols (il brano è pubblicato nell'album RIARIAANARCHIA del 2009) per rappresentare a dovere quanto una canzone possa andare lontano nella percezione e nella fruizione. [RV]

Csak egy éjszakára küldjétek el őket;
A pártoskodókat, a vitézkedőket.
Csak egy éjszakára:
Akik fent hirdetik, hogy - mi nem felejtünk,
Mikor a halálgép muzsikál felettünk;
Mikor láthatatlan magja kél a ködnek,
S gyilkos ólom-fecskék szanaszét röpködnek,

Csak egy éjszakára küldjétek el őket;
Gerendatöréskor szálka-keresőket.
Csak egy éjszakára:
Mikor siketitőn bőgni kezd a gránát
S úgy nyög a véres föld, mintha gyomrát vágnák,
Robbanó golyónak mikor fénye támad
S véres vize kicsap a vén Visztulának.

Csak egy éjszakára küldjétek el őket.
Az uzsoragarast fogukhoz verőket.
Csak egy éjszakára:
Mikor gránát-vulkán izzó közepén
Ugy forog a férfi, mint a falevél;
S mire földre omlik, ó iszonyu omlás, -
Szép piros vitézből csak fekete csontváz.

Csak egy éjszakára küldjétek el őket:
A hitetleneket s az üzérkedőket.
Csak egy éjszakára:
Mikor a pokolnak égő torka tárul,
S vér csurog a földön, vér csurog a fáról
Mikor a rongy sátor nyöszörög a szélben
S haló honvéd sóhajt: fiam... feleségem...

Csak egy éjszakára küldjétek el őket:
Hosszú csahos nyelvvel hazaszeretőket.
Csak egy éjszakára:
Vakitó csillagnak mikor támad fénye,
Lássák meg arcuk a San-folyó tükrébe,
Amikor magyar vért gőzölve hömpölyget,
Hogy sirva sikoltsák: Istenem, ne többet.

Küldjétek el őket csak egy éjszakára,
Hogy emlékezzenek az anyjuk kinjára.
Csak egy éjszakára:
Hogy bujnának össze megrémülve, fázva;
Hogy fetrengne mind-mind, hogy meakulpázna;
Hogy tépné az ingét, hogy verné a mellét,
Hogy kiáltná bőgve: Krisztusom, mi kell még!

Krisztusom, mi kell még! Véreim, mit adjak
Árjáért a vérnek, csak én megmaradjak!
Hogy esküdne mind-mind,
S hitetlen gőgjében, akit sosem ismert,
Hogy hivná a Krisztust, hogy hivná az Istent:
Magyar vérem ellen soha-soha többet!
Csak egy éjszakára küldjétek el őket.

inviata da Riccardo Venturi - 7/10/2015 - 00:05




Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Fulvio Senardi
Da Géza Gyóni: Un poeta ungherese nella Grande Guerra
(In Semicerchio, Rivista di Poesia Comparata, XXX-XXXI, 2004)

gyoniej
SOLO PER UNA NOTTE

Solo per una notte mandateceli qui:
I faziosi, gli eroi dello zelo.
Solo per una notte:
Quelli che ad alta voce dichiarano: Noi non dimentichiamo
Quando la macchina di morte fa la musica sopra di noi:
Quando invisibile sta per scendere la nebbia,
E mortali rondini di piombo di sparpagliano in volo.

Solo per una notte mandateceli qui:
Quelli cui importano le schegge mentre si spezzano le travi.
Solo per una notte:
Quando assordante comincia a ruggire la granata,
E la terra geme insanguinata come se le aprissero il ventre:
Quando si accende il lampo dei proiettili esplosivi,
E trabocca l'onda di sangue della vecchia Vistola.

Solo per una notte mandateceli qui:
Gli egoisti, che stiracchiano il quattrino.
Solo per una notte:
Quando in mezzo ad un'eruzione di granate
L'uomo turbina come una foglia:
E crolla a terra, oh, cosa atroce,
Ridotto, da eroe splendente, a una carcassa annerita.

Solo per una notte mandateceli qui:
Gli empi e gli speculatori.
Solo per una notte:
Quando si aprono le fauci infuocate dell'inferno,
E sangue cola sulla terra, cola dagli alberi,
Quando uno straccio di tenda si lamenta nel vento,
E il soldato morendo sospira: figlio...moglie...

Solo per una notte mandateceli qui:
I patrioti dalla lunga lingua latrante.
Solo per una notte:
E quando nasce la luce dalla stella accecante,
Che il loro visi si vedano nello specchio del fiume San,
E quando le acque ondeggiando trascinano nuvoli di sangue ungherese
Che loro gridino piangendo: Mio Dio, basta.

Mandateceli solo per una notte,
In modo che ricordino il tormento delle madri.
Solo per una notte:
Che si stringano l'un l'altro atterriti, rabbrividendo:
Che si contorcano, che recitino il mea culpa:
Che si strappino le vesti, che si battano il petto,
Che implorino piangendo: Gesù mio, che cosa ancora?

Che cosa ancora, Gesù mio!? O carne della mia carne,
Quanto sangue mi costa il solo restare in vita!?
Che ciascuno faccia un voto,
E, nel suo orgoglio incredulo, invochi chi non ha mai conosciuto,
Che invochi Cristo, che invochi Dio:
Mai più, mai più contro il mio sangue ungherese,
Solo per una notte mandateceli qui.

inviata da Riccardo Venturi - 9/10/2015 - 00:35




Lingua: Francese

Version française – POUR UNE NUIT SEULEMENT – Marco Valdo M.I. – 2015
d'après la version italienne de Fulvio Senardi – 2004
d'une chanson hongroise Csak egy éjszakára – Géza Gyóni – 1914

Géza Gyóni, par un des plus classiques mauvais tours du destin, meurt à Krasnoïarsk pendant sa captivité le jour de son 38ième anniversaire, le 25 juin 1917.
Géza Gyóni, par un des plus classiques mauvais tours du destin, meurt à Krasnoïarsk pendant sa captivité le jour de son 38ième anniversaire, le 25 juin 1917.


Géza Áchim, né à Gyón le 25 juin 1884 (et il tire son nom de plume de celui de sa ville natale : Gyóni signifie « de Gyón »), provenait d'une famille d'étroite observance luthérienne, et fut lui aussi théologien protestant. Il ne sera jamais compté parmi les grands de la littérature et de la poésie hongroises ; on dirait un « mineur » ou quelque chose du genre, face à des noms comme Sándor Petőfi, Endre Ady, Attila József, Mihály Vörösmarty et autres. S'il n'y avait cette poésie, qui n'est pas seulement une de plus célèbres du XXième siècle en langue hongroise, mais même une des plus citées, mises en musique, reproposées, etc. Une poésie, entre autres choses, au destin fort singulier, étroitement lié à celui qui l'écrivit ; elle est, selon toute vraisemblance, devenue la plus célèbre chanson hongroise contre la guerre, la vraie icône du pacifisme et de l'antimilitarisme, et son introduction dans ce site comble vraiment une grosse lacune.

Destin singulier ? Il suffit de connaître, dans ses grandes lignes, la (brève) vie de Géza Gyóni, qui n'était pas du tout – au moins à l'origine, ni un pacifiste, ni un antimilitariste. Pas du tout. L'aventure humaine du poète, à l'aube de la guerre mondiale, était entrelacée avec le brûlant nationalisme hongrois de l'époque. La démagogie nationaliste avait fait son trou en Géza Gyóni comme chez beaucoup d'autres Hongrois, qui voyaient dans la guerre la possibilité d'affirmer définitivement la patrie hongroise ; au point qu'il était parti volontaire. Un de ceux, comme fait à juste titre remarquer Fulvio Senardi dans l'essai sur lequel se base presque totalement cette introduction, «que Thomas Mann (La Montagne Magique) et Italo Svevo (La Conscience de Zeno) nous décrivent en des pages inoubliables au moment où s'en vont euphoriques vers l'abattoir». Géza Gyóni avait adhéré de façon totale à la folie collective ; réactionnaire de cœur et d’esprit, il haïssait la célèbre revue Nyugat (« Occident »), qui se battait pour des idéaux littéraires et politiques tournés, comme on le déduit de son nom, vers l'Occident en opposition au traditionalisme populaire et rural qui imprégnait encore une grande partie de la culture hongroise de l'époque. Les «Nyugatistes» étaient pour Géza Gyóni, «blasphémateurs d'idéaux et de patrie» et des ennemis des vertus nationales, «empoisonnés de l’esprit décadent de la culture parisienne, imprégnée de cosmopolitisme et de pacifisme, négatrice de la tradition au nom du mirage d'un radieux 'saint Demain' » (Senardi). À la revue objet de ses traits, Géza Gyóni adressa d'autre part des mots durs dans une lettre ouverte (Lével Nyugatra).

Alors pour cerner non seulement la figure du poète, mais aussi ses motivations plus profondes... Parti volontaire pour la guerre, il se retrouva avec des milliers et des milliers de ses compatriotes à se battre en Galicie : il est assiégé dans la forteresse de Przemyśl. Przemyśl est un des monuments des Hongrois, peut-être le principal : des milliers de soldats y trouvèrent la mort. Un authentique massacre qui commença à faire changer d'idée même Géza Gyóni, qui écrivit vraiment dans la rage des combats à Przemyśl, en novembre de 1914, sa très célèbre poésie. D'autre part, ses motivations changeaient fondamentalement d'objet ; si Csak egy éjszakára reste une poésie tournée contre les Nyugatistes et les «intellectuels décadents», écrite dans la métrique (sept strophes de sept vers...) typique des hősi hatos, « chants héroïques » de la poésie traditionnelle hongroise. Mais dans la poésie commencent à s'entendre aussi des échos divergents, particulièrement contre « les patriotes à la longue langue de bois, les factieux, les spéculateurs » et contre un Pays qui a envoyé consciemment au massacre sa jeunesse.

Géza Gyóni avait aussi été victime de la Kultur hongroise, qui «hait de la même manière les mythes occidentaux (progrès, démocratie, humanisme) et l'Orient slave, qui vomit des hordes sauvages dans la douce terre hongroise» ; une Kultur, comme il est facile de l'observer, qui n'a certes pas cessé d'exister en Hongrie. Endre Ady, put écrire, inécouté, : «Le Magyar est un peuple sinistre et triste. /Il vécut dans la révolte et, pour le soigner/ lui firent subir la guerre et l'horreur/des vauriens, maudits dans la tombe». Ce qui ensuite arriva sur le front de Galice, où Gyóni avait été cantonné après son enrôlement à l'automne 1914, est bien connu : à Przemyśl, ville fortifiée du front nord-oriental, après la faillite de l'offensive autrichienne qui commence la guerre dans les Carpates, tombent aux mains des Russes le 22 mars 1915 presque 120.000 hommes ; Autrichiens, Hongrois, Italiens de l'Istrie, du Trentin et de Trieste, etc. : tous soldats de l'empire multinational et plurilingue. Dans le massacre, le nationalisme de Géza Gyóni cède le pas à un sentiment de fraternité universelle.

Comme tant d'autres, l'existence de Géza Gyóni se conclut de la manière la plus tragique. «Commence le calvaire de la captivité sibérienne, dont Gyóni aurait pu être sauvé si son nom avait été repris dans les listes d'échange des blessés et des malades ; mais cela ne se produisit pas.» (Senardi). Géza Gyóni, pour une des plus classiques mauvais tours du destin, meurt à Krasnoïarsk pendant sa captivité le jour de son 38ième anniversaire, le 25 juin 1917. «Les germes d'un tournant pacifiste et humanitaire de sa vision du monde pas n'avaient échappé à la Hongrie officielle, qui lisait avec suspicion ses vers revenus au pays dans d'aventureuses lettres. On monte alors un opéra, difficile de dire s'il est plus imprégné douleur ou indignation : Gõgös Hunniában (Dans la hautaine terre des Huns, 1916), dans lesquels Gyóni déplore, non sans une pointe d'apitoiement sur soi-même, son sort de cygne blessé et ensanglanté condamné à mourir à cause de la haine et des calomnies de ses compatriotes. Les accents francs et douloureux, comme souvent dans les opéras de cette époque, ses poèmes des années de guerre et de captivité qui représentent en effet, par la vibration de leur touchante authenticité, l'aigu de sa veine fragile ; il s'agit des «récoltes sur les champs polonais, prés du feu de bivouac» (Lengyel mezőkön, tábortűz mellett, 1914), Lettres du Calvaire (Levelek a Kálváriáról, 1916), et de ses vers publiés posthumes. » (Senardi)

Commence ensuite le parcours de Csak égy éjszakára ; un parcours, comme déjà indiqué, qui le portera en territoires très lointains de ceux d'origine. Un parcours étroitement lié, cependant, au changement de perspective que Géza Gyóni rendait toujours plus manifeste dans les compositions écrites pendant le siège de Przemyśl et ensuite, pendant sa tragique captivité sibérienne ; quelque chose qui rapproche beaucoup de poètes, comme Giuseppe Ungaretti, par exemple. Csak egy éjszakára a connu très vite un processus de popularisation passant nécessairement par le chant (sa structure métrique est pratiquement identique à celle de beaucoup de chants populaires hongrois) ; et le passage à la chanson a accentué démesurément son intrinsèque composante contre la guerre en soi. Dès l'origine, Csak egy éjszakára est devenue une chanson antimilitariste, tournée en particulier contre tout type de «trombone» et de grosse caisse belliciste pendant que les masses sont envoyées à l'abattoir ; et ainsi elle a traversé tout le vingtième siècle hongrois pour devenir au siècle actuel, dans une Hongrie grossièrement retournée à certaines de ses pulsions historiques obscurantistes, xénophobes et fascistes, une véritable icône de n'importe quel mouvement pacifiste, de solidarité et même anarchiste. Preuve en est que la version musicale ici donnée est beaucoup récente et particulièrement, par le band punk anarchique HétköznaPICSAlódások (le nom duquel signifie « illusions quotidiennes »...). Nous avons délibérément choisi de faire connaître ce texte par un band qui se réfère expressément aux Sex Pistols (le morceau est publié dans l'album RIARIAANARCHIA de 2009) pour montrer combien une chanson peut aller loin dans la perception et dans l'usage. [RV]
POUR UNE NUIT SEULEMENT

Pour une nuit seulement,
Envoyez-les ici les factieux, les héros du zèle.
Pour une nuit seulement
Ceux qui à voix haute déclarent :
« Nous n'oublions pas, nous ! ».
Quand la machine de mort joue sa musique au-dessus de nous
Quand invisible descend le brouillard,
Et les mortelles hirondelles de plomb s'éparpillent en vol.

Pour une nuit seulement, envoyez-les ici
Ceux qui importent les obus pendant qu'on casse les poutres.
Pour une nuit seulement :
Quand assourdissante commence à rugir la grenade,
Et la terre gémit sanglante comme si on lui ouvrait le ventre :
Quand s'allume l'éclair d'explosifs projectiles,
Et déborde la vague de sang de la vieille Vistule.

Pour une nuit seulement,
Envoyez-les ici les égoïstes, qui étirent leurs sous.
Pour une nuit seulement :
Quand au milieu d'une éruption de grenades
L'homme tourbillonne comme une feuille :
Et s'écroule à terre, oh, chose atroce,
Réduit de héros resplendissant à carcasse noircie.

Pour une nuit seulement
Envoyez-les ici les fiers à bras et les spéculateurs.
Pour une nuit seulement :
Quand s'ouvre la gueule enflammée de l'enfer,
Et coule sur la terre, coule des arbres, le sang
Quand un chiffon de rideau se plaint dans le vent,
Et le soldat en mourant soupire : fils… femme…

Pour une nuit seulement,
Envoyez-les ici les patriotes à la longue langue de bois.
Pour une nuit seulement :
Et quand naît la lumière de l'étoile aveuglante,
Qu' on voit leurs visages dans le miroir du fleuve San,
Et quand les eaux ondoyant traînent des nuées de sang hongrois
Qu'ils crient en pleurant : Mon Dieu, basta.

Envoyez-les ici une nuit seulement,
Qu'ils se rappellent le tourment des mères.
Une nuit seulement :
Qu'ils se serrent les uns les autres terrifiés, frissonnants :
Qu'ils se tordent, qu'ils récitent un mea culpa :
Qu'ils arrachent leurs vêtements, qu'ils se battent la poitrine,
Qu'ils implorent en pleurant : Jésus, qu'est-ce encore ?

Ô chair de ma chair, qu'est-ce encore, Jésus ?
Combien de sang me coûte de rester en vie ! ?
Que chacun fasse un vœu,
Et, dans son orgueil incrédule, invoque celui qu'on n'a jamais connu,
Si tu invoques Christ, si tu invoques Dieu :
Jamais plus contre mon sang hongrois, jamais plus.
Une nuit seulement, envoyez-les ici.

13/10/2015 - 23:17




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