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Grito de guerra

Michelle Solano
Lingua: Spagnolo


Michelle Solano

Lista delle versioni e commenti


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Questa canzone, ritmo di cumbia e testo abbastanza semplice, è stata scritta dalla compositrice messicana Michelle Solano ed è stata realizzata nel 2014 con la collaborazione di più di 30 musicisti come progetto per raccogliere i fondi per i genitori dei 43 normalisti scomparsi di Ayotzinapa, per aiutarli nella loro lotta, che si preannunciava lunga e durissima.
Il nucleo della canzone era stato composto nel 2006, appena prima dei fatti di Atenco, perché il figlio, che allora era un bambino, le faceva domande sulla situazione del Messico: “cercavo di dargli una spiegazione, ma mi resi conto che non potevo, che neppure avevo le parole per farlo”. Da quelle domande senza risposta nacquero pochi versi che per anni l'autrice ha sentito come incompiuti, finché non si è resa conto che quelle poche parole erano in realtà così potenti e pregnanti che non cera altro da aggiungere.
Il Messico è un paese che ha sofferto una sistematica repressione nella forma del terrorismo di stato: fin dagli anni '60 esistono la prigionia clandestina, la tortura, ci sono moltissimi desaparecidos, molti prigionieri politici, anche se lo stato lo nega, e i responsabili godono della totale impunità.
Questi temi, gli scomparsi, la violazione dei diritti umani, sono sempre stati presenti nella vita personale e artistica della compositrice.
La canzone è stata registrata in un giorno ed è stato realizzato un video che fonde le fasi di registrazione a spezzoni di riprese delle marce per Ayotzinapa.
(Gabriel Infante “México: Una canción en apoyo a los 43” https://eltoque.com/texto/mexico-una-c...)
¿Qué le vamos a decir
a la gente de esta tierra
ay ay ay cuando pregunte?
¿Qué les vamos a decir
a los hijos de esta patria
ay ay ay cuando pregunten
¿Qué pasó aquí?
¿Qué pasó aquí?
¿Qué pasó aquí?

¿Cómo vamos a explicar
tanta sangre derramada
cuando pregunten?
¿Cómo vamos a explicar
a los desaparecidos
la libertad de los asesinos,
la absolución de los genocidas?

¡Mexicanos!
¡Mexicanos al grito
al grito de guerra!
Ay ay ay ay!
Pero no hay guerra.

¡Mexicanas al grito
al grito de guerra!
Ay ay ay ay!
Pero no hay guerra.
La muerte aquí es legal.

Suenan tambores,
suenan latidos,
somos las madres
de los desaparecidos,
somos la tierra,
el agua, el viento,
la voz que reclamanos
sobre el aliento.
Somos el clima
y las palabras duras,
la mano apuñada,
la frente que suda.
No me muevo, no me muevo
porque no me quiero ir
cuando crezcan los hijos
¿qué les vamos a decir?

¿Qué le vamos a decir
a la gente de esta tierra
ay ay ay cuando pregunte?
¿Qué les vamos a decir
a los hijos de esta patria
ay ay ay cuando pregunten
¿Qué pasó aquí?
¿Qué pasó aquí?
¿Qué pasó aquí?

¿Cómo vamos a explicar
tanta sangre derramada
cuando pregunten?
¿Cómo vamos a explicar
a los desaparecidos
la libertad de los asesinos,
la absolución de los genocidas?

¡Mexicanas!
¡Mexicanas al grito
al grito de guerra!
Ay ay ay ay!
Pero no hay guerra.

¡Mexicanos al grito
al grito de guerra!
Ay ay ay ay!
Pero no hay guerra.
La muerte aquí es legal.

¡Mexicanos!
¡Mexicanos al grito
al grito de guerra!
Ay ay ay ay!
Pero no hay guerra.

¡Mexicanas al grito
al grito de guerra!
Ay ay ay ay!
Pero no hay guerra.
La muerte aquí es legal
la muerte aquí es legal
matar aquí es normal.

29/9/2015 - 00:38



Lingua: Italiano

Traduzione di Matteo Rasteo Piantassi
(Trascritta dai sottotitoli del video)
GRIDO DI GUERRA

Cosa possiamo dire
alla gente di questa terra
quando domandano?
Cosa dovremmo dire
ai figli della patria
quando chiedono
cosa è successo qui?
Cosa è successo qui?
Cosa è successo qui?

Come possiamo spiegare
lo spargimento di tanto sangue
quando domandano?
Come possiamo spiegare
gli scomparsi,
la libertà degli assassini,
l'assoluzione del genocidio?

Messicani
Messicani al grido
grido di guerra!
Ma non c'è guerra.

Messicani
Messicani al grido
grido di guerra!
Ma non c'è guerra.
La morte qui è legale.

Suonano i tamburi
suonano i battiti
noi siamo le madri
degli scomparsi,
siamo la terra,
l'acqua, il vento,
la voce che ci chiama
sopra il respiro.
Noi siamo il clima
e le parole crude,
la mano a pugno,
la fronte sudata.
Non mi muovo, non mi muovo
perché io non voglio andare.
Quando crescono i bambini
che cosa gli diremo?

Cosa possiamo dire
alla gente di questa terra
quando domandano?
Cosa dovremmo dire
ai figli della patria
quando chiedono
cosa è successo qui?
Cosa è successo qui?
Cosa è successo qui?

Come possiamo spiegare
lo spargimento di tanto sangue
quando domandano?
Come possiamo spiegare
gli scomparsi,
la libertà degli assassini,
l'assoluzione del genocidio?

Messicani!
Messicani al grido
grido di guerra!
Ma non c'è guerra.

Messicani!
Messicani al grido
grido di guerra!
Ma non c'è guerra.
La morte qui è legale.

Messicani!
Messicani al grido
grido di guerra!
Ma non c'è guerra.

Messicani!
Messicani al grido
grido di guerra!
Ma non c'è guerra.
La morte qui è legale.
La morte qui è legale.
Uccidere, qui è normale.

inviata da Maria Cristina Costantini - 29/9/2015 - 00:40


Il titolo è un chiaro riferimento alla prima strofa dell'inno nazionale messicano:

"Mexicanos, al grito de guerra
El acero aprestad y el bridón;
Y retiemble en sus centros la tierra
Al sonoro rugir del cañón."

Ovviamente non è la stessa guerra: qui c'è la chiamata a una durissima ma necessaria battaglia civile per la memoria e la giustizia.

Maria Cristina Costantini - 29/9/2015 - 00:45


Come nel secolo scorso, l'America latina si conferma terra violata e saccheggiata dalla voracità neoliberista. Con ripetute, sistematiche violazioni dei diritti umani ai danni di indigeni ed esponenti della società civile

DIRITTI UMANI VIOLATI IN AMERICA LATINA: non ci resta che piangere
Gianni Sartori



Quando si parla di diritti umani, democrazia o - magari alquanto genericamente - di libertà in America Latina prevale sui media la messa in discussione di regimi, veri o presunti, come Venezuela, Cuba e magari Nicaragua.

In realtà, lo hanno imparato a proprie spese attivisti per i diritti umani, sindacalisti, giornalisti non asserviti, donne, indigeni, migranti, ambientalisti…sono altri i Paesi maggiormente pericolosi. E guarda caso alcuni gravitano nell’orbita del Grande Fratello a stelle e strisce.

Fermo restando che - a parere di un gran numero di Ong - sarebbe proprio l’America Latina (condizionale d’obbligo, sempre) nel suo insieme il continente dove che denuncia la violazione dei diritti umani o difende l’ambiente corre più rischi.

Risale ai primi di giugno la pubblicazione dei dati sul 2021 raccolti dalla Commissione Interamericanadei Diritti Umani (CIDH, inserita nell’ Organización de Estados Americanos).

Documentando l’assassinio nel 2021 di circa 170 attivisti (quelli in qualche modo “certificati” beninteso, ma il numero di desaparecidos o non identificati rimane ben più consistente). Di questi 145 solo in Colombia che si aggiudica il primo posto, poco invidiabile.

Una situazione che il governo colombiano non cerca più di mascherare o minimizzare. Tanto da aver voluto rassicurare (per quanto possibile) la CIDH di mantenere attualmente sotto protezione  3.749 esponenti della società civile considerati a rischio.

Al secondo posto si collocava il Messico (dieci assassinati, in maggioranza leader indigeni e ambientalisti).

Particolarmente drammatico il caso recentemente denunciato di una madre, Ceci Flores, a cui era già stato fatto scomparire un figlio. Non aveva ancora superato il trauma, quando ad altri due suoi figli capitava la medesima sorte.

Aggiungendosi alla cifra incommensurabile di oltre centomila persone di cui non si conosce la sorte, scomparse nel nulla, presumibilmente in qualche fossa comune. Per questo si è integrata nel collettivo Madres Buscadoras de Sonora y de México, madri e sorelle dei desaparecidos che armate di pala e piccone scavano in cerca dei resti dei loro cari.

Sempre in base ai dati della CIDH,al terzo posto troviamo il Perù con cinque assassinati, seguito dall’Honduras con quattro e dal Guatemala con due.

Un Paese, il Guatemala, dove in passato si assisteva a un vero e proprio genocidio nei confronti delle etnie indigene (un totale di 25 etnie, di cui 22 di origine maya).

Come era prevedibile, la maggioranza delle vittime agiva in difesa della Terra, dell’ambiente o faceva parte di comunità indigene. Confermando che non rischia la pelle soltanto chi si espone denunciando gli abusi delle forze di polizia e dell’esercito (o delle squadre della morte, talvolta parastatali), ma anche chi semplicemente vorrebbe continuare a vivere pacificamente nella terre ancestrali in base alle proprie tradizioni e stile di vita. In questo appare evidente l’analogia con altre popolazioni indigene come gli adivasi in India o i nativi (gli “indiani”) negli USA e in Canada.

Ancor più grave il fatto che le minacce e le aggressioni non si limitano al soggetto dissidente ma coinvolgono spesso anche i suoi familiari (in perfetto stile mafioso).

E il 2022 non si annunciava migliore se già nei primi quattro mesi erano ben 89 gli attivisti ammazzati.

In attesa del documento della CIDH con i dati complessivi per il 2022 non possiamo che rattristarci per questa deriva apparentemente senza fine.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 10/12/2022 - 13:32


Mentre le agenzie turistiche continuano imperterrite a proporre viaggi organizzati ed escursioni (magari sotto scorta armata) nel “pittoresco mosaico etnico” dell’India profonda, giunge la notizia di altri bombardamenti governativi sui villaggi delle popolazioni originarie.
ANCORA BOMBARDAMENTI SULL’INDIA TRIBALE
Gianni Sartori

Sarà perché recentemente sono stato informato sul viaggio con scorta armata nelle aree tribali dell’India (alla ricerca del “pittoresco” presumo) di un personaggio vicentino con cui ho avuto modo di litigare assai. Sia per questioni politiche nel secolo scorso (militando in “opposte fazioni”, ma proprio opposte, incompatibili),sia più recentemente su questioni ambientali. Sarà perché ormai considero il turismo una forma di neocolonialismo e sfruttamento. Sarà anche per altre ragioni, ma leggere le offerte di agenzie e altro (compresa qualche rivista specializzata che in passato mostrava maggior rispetto per i popoli indigeni) dove si svende “l’incredibile mosaico tribale” che popola le colline dell’Orissa e del Bastar (Bonda, Gadabha, Desia Kondh, Kuttiya Kondh, Dongariya Kondh, Paroja, Maria, Muria, Dhuruwa…nda) mi ha proprio infastidito. Della resistenza delle popolazioni dell’Orissa, sottoposte a repressione e deportazione per consentire alle multinazionali di devastare le colline ricche di minerali, mi ero già occupato in varie occasioni (https://www.rivistaetnie.com/india-inf...).

Del Bastar (attualmente un distretto dello Stato del Chhattisgarh) più recentemente per per i sistematici bombardamenti operati dall’esercito indiano sui villaggi tribali.

Come aveva denunciato a Strasburgo un’eurodeputata portoghese, Maria Matias. Una ulteriore conferma è venuta dai sopralluoghi effettuati dagli inviati del giornale Scroll.

Per il governo indiano la zona sarebbe “infestata dai naxaliti”. Ossia i guerriglieri maoisti che sostengono le popolazioni tribali (adivasi) nella loro battaglia quotidiana contro le devastanti attività estrattive. E contro cui da diversi anni è stata lanciata l’operazione militare denominata Samadahn-Prahar.

I bombardamenti aerei (e i mitragliamenti con elicotteri) sui villaggi (i più recenti in aprile, senza contare quelli degli anni precedenti) hanno chiaramente lo scopo di intimidire la popolazione e i gruppi ambientalisti ostili all’ulteriore realizzazione di miniere nel distretto.

Sfortunatamente per i nativi, le terre tribali sono ricche di risorse naturali e minerarie e scatenano gli appetiti di varie compagnie (in particolare del gruppo Adani).

La guerra a bassa intensità che si svolge nei territori contesi finora è costata la vita di migliaia di persone. Stando ai dati forniti un paio di anni fa dalla Commissione militare del Pci-m (Partito comunista indiano-maoista), sarebbero morti a causa del conflitto circa tremila poliziotti, oltre duecento esponenti politici, un migliaio di “informatori e collaborazionisti” (veri o presunti naturalmente) e quasi cinquemila guerriglieri del PLGA (People’s Liberation Guerrilla Army).

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 4/6/2023 - 10:30


MESSICO:
L’ASSOLUZIONE DI Miguel Lopez Vega, ANCHE GRAZIE ALL’IMPEGNO DI AMNESTY INTERNATIONAL
Gianni Sartori
Ogni tanto una buona notizia (anche se arriva in ritardo).
Miguel Lopez Vega, rappresentante della comunità nativa Nahuatl ( nel comune di Juan Crisostomo Bonilla, regione di Cholula) veniva arrestato il 24 gennaio 2020.
Il 24 febbraio 2024 è stato finalmente assolto da ogni accusa (tre per la precisione) per aver partecipato, il 30 ottobre 2019, a una protesta pacifica contro la costruzione di un sistema di scaricamento delle acque delle industrie tessili di Huejotzingo. Impianto che avrebbe inquinato il Río Metlapanapa (Stato di Oaxaca, Messico).
Edith Olivares, esponente del direttivo di Amnesty International in Messico, aveva denunciato che nel Paese “si utilizza il sistema penale per disinnescare le proteste”. In altri termini “per criminalizzare il dissenso”. In particolare nei confronti di chi difende la Terra, il territorio, l’ambiente naturale.
Vicenda analoga quella di un altro indigeno nahua, Alejandro Torres Chocolatl della comunità di Santa María Zacatepec. Veniva ugualmente arrestato (ma successivamente, nel 2023) per una presunta interruzione stradale avvenuta durante la stessa manifestazione del 30 ottobre 2019).
Anche Alejandro aveva ripetutamente denunciato che nella regione di Cholula de Los Volcanes, notoriamente ricca di risorse naturali, si stavano avviando numerosi “progetti di morte” (di natura estrattivista). Mentre contemporaneamente “si generavano conflitti (artificiosamente nda), si criminalizzava il dissenso, tentando di dividere il popolo e di comprare le coscienze”. E quando ciò non bastava “si pianificavano autentici delitti”. Ovviamente per attribuirne poi la responsabilità agli ambientalisti. Situazione che si era esasperata in vista delle elezioni.
Gianni Sartori

Gianni Sartori - 15/3/2024 - 20:13




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