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AldroVive

Matteo Pedrini
Lingua: Italiano


Matteo Pedrini

Lista delle versioni e commenti


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AldroVive su Reti Invisibili.


Federico Aldrovandi, Aldro, 18 anni, muore a Ferrara all’alba del 25 settembre 2005 tra le mani della polizia, dopo essere stato fermato mentre tornava a casa dopo un sabato sera con gli amici. Lasciano per ore il suo corpo riverso sull’asfalto, nascondendo la verità alla mamma, che lo cerca. La versione della questura parla della chiamata di un residente, allarmato dal comportamento del ragazzo, che una volta fermato avrebbe dato in escandescenze. Se sia vero non si sa: la polizia nega la responsabilità della morte, sostenendo che Federico si sia fatto male da solo e sia morto in seguito all’assunzione di droga. Gli esami tossicologici hanno smontato la favola dell’overdose: i referti medici parlano di numerosi segni di percosse su tutto il corpo, le strisce viola delle manette ai polsi... La mamma racconta di aver riavuto i vestiti di Federico completamente imbevuti di sangue, mentre la notizia rimane insabbiata per mesi.


Noto con particolare piacere questo testo sulla vicenda di Federico Aldrovandi. A lui mi lega, oltre alla partecipazione ed alla rabbia per la sua morte, un'impressionante serie di coincidenze personali. Mia nonna paterna si chiamava Aldrovandi di cognome. Il fatto che ha portato alla morte di Federico è avvenuto il 25 settembre, ed io sono nato il 25 settembre. L'avvocato ferrarese che difende gli interessi della famiglia Aldrovandi è un mio totale omonimo: si chiama Riccardo Venturi. [RV]
Verità grido il tuo nome / Per quello che non doveva succedere / Per quello che non è ancora successo / Perché non accada mai più

Io la morte l’ho sempre immaginata
Vestita in nero e incappucciata
Forse non ci crederai nemmeno tu
Ma quella notte la morte aveva una divisa blu

Eran le cinque di mattina
Era l’alba di un giorno e di una vita
Come andò per l’esattezza non ricordo
Ma in quella via ognuno per magia diventò sordo

Verità grido il tuo nome
E migliaia di persone
Riempiranno la città
Per scoprire se abiti anche qua

Ventitré di settembre ed il sole picchia forte
E le loro bastonate non ti uccideran due volte
Ottomila e più persone non si posson far tacere
Non si possono ignorare
Anche se non vuoi vedere

E sprangate pur le porte
E oscurate le vetrine
Grideremo ancor più forte
Da qualche parte ne siam certi ALDROVIVE

Verità grido il tuo nome
E migliaia di persone
Riempiranno la città
Per scoprire se abiti anche qua

E voi divise insanguinate
Chine dietro ad un mantello
La coscienza non trovate
Forse è accanto al manganello

E riempiteci di botte
E con il sangue alle gengive
Noi grideremo ancor più forte
Da qualche parte ne siam certi ALDROVIVE
Nel coraggio di esser forti ALDROVIVE
In chi tiene gli occhi aperti ALDROVIVE

16/12/2006 - 19:11



Lingua: Francese

Version française – ALDROVIT – Marco Valdo M.I. – 2009
Chanson italienne – AldroVive – Matteo Perdrini - 2006

Federico Aldrovandi, Aldro, 18ans, mourut à Ferrare à l'aube du 25 septembre 2005 entre les mains de la police, après avoir été arrêté alors qu'il rentrait chez lui un samedi soir avec ses amis. On laissa pendant des heures son corps sur l'asphalte, en cachant la vérité à sa mère, qui le cherchait. La version officielle parle de l'appel d'un résident, alarmé par le comportement du garçon, qui une fois arrêté se serait énervé. On ne sait si c'est vrai. La police nie la responsabilité de sa mort, soutenant que Federico s'est fait mal tout seul et serait mort suite à l'absorption de drogue. Les examens toxicologiques ont démonté la fable de l'overdose; les rapports des médecins parlent de nombreuses marques de coups sur tout le corps, des cercles violets des menottes à ses poignets... Sa maman raconte qu'elle a reçu en retour les vêtements de Federico complètement imbibés de sang, tandis que l'information est restée enterrée pendant des mois....


Comme une habitude.... Note incidente

« On laissa pendant des heures son corps sur l'asphalte, en cachant la vérité à sa mère, qui le cherchait. » : c'est exactement la même attitude que les carabiniers avaient eue lors de l'assassinat de Salvatore Carnevale en Sicile dans les années 50 du siècle dernier. (Voir Salvamort).

Ce doit être une habitude chez eux, conclut Lucien l'âne sentencieux.

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane.

ALDROVIT

Vérité, je crie ton nom / pour ce qui ne devait pas arriver / pour ce qui n'est pas encore arrivé / pour que cela n'arrive plus jamais.

Moi la mort, je l'ai toujours imaginée
Vêtue de noir et encapuchonnée
Peut-être ne le croiras-tu même pas toi
La mort avait un uniforme bleu, cette nuit-là.

Ils étaient cinq ce matin-là
C'était l'aube d'une jour et d'une vie
Comment cela se passa, je ne me le rappelle pas
Mais dans cette rue chacun devint sourd, par magie

Je crie ton nom : Vérité
Et des personnes par milliers
Parcourent la ville en émoi
Pour voir si tu habites encore là.

Vingt-trois septembre et le soleil tape fort
Et leurs bastonnades ne tueront pas deux fois
On ne fait pas taire plus de huit mille personnes
On ne les ignore pas
Même si on ne veut pas les voir.

Et verrouillez vos portes
Et occultez vos vitrines
Nous crierons encore plus fort
Que quelque part nous en sommes certains
ALDROVIT

Je crie ton nom : Vérité
Et des personnes par milliers
Parcourent la ville en émoi
Pour voir si tu habites encore là.

Et vous uniformes ensanglantés
Cachés derrière un manteau
Vous ne retrouvez pas votre conscience
Peut-être est-elle dans votre matraque.

Et vous nous écrasez de coups
Et avec le sang aux gencives
Nous crierons encore plus fort
Nous sommes sûrs quelque part qu' ALDROVIT
Dans ce courage qui nous porte ALDROVIT
En celui qui tient les yeux ouverts ALDROVIT

inviata da Marco Valdo M.I. - 8/11/2009 - 11:28



Per 4 agenti l'accusa è di aver provocato il decesso del giovane.

Federico, svolta nell'inchiesta

Ferrara, trovate altre prove nella cassaforte della polizia: sette tamponi con il sangue della vittima e documenti clamorosi

FERRARA - Le sorprese erano chiuse in cassaforte. Ci sono novità sulla storia di Federico Aldrovandi, lo studente diciottenne che il 25 settembre 2005 morì a Ferrara dopo essere stato fermato dalla polizia.
Tutto era pronto per l’udienza preliminare che il prossimo 20 giugno deciderà se mandare a processo quattro agenti accusati di omicidio colposo. Ed invece, dalla questura arrivano nuovi reperti, sconosciuti agli atti dell’inchiesta. Dagli «originali » delle telefonate ai tamponi imbevuti del sangue del ragazzo. E con essi affiorano dubbi e sospetti, ai quali dà corpo Alessandro Gamberini, legale della famiglia del giovane: «È la prova di come in questa inchiesta il materiale di indagine sia stato accuratamente selezionato, dato o non dato a seconda della convenienza. Per fortuna qualcosa è cambiato».
Aldrovandi muore a Ferrara, in via Ippodromo, dopo aver trascorso la notte in un centro sociale di Bologna. Così ricostruiva i fatti una nota della questura: «Alle 6.25 personale di Polizia interveniva su segnalazione di alcuni cittadini che avevano riferito del comportamento strano di un giovane. Poco dopo, il giovane è stato colto da malore».

(Articolo tratto dal
Corriere della Sera
, noto giornale anarco-comunista e bollettino dei centri sociali)

Riccardo Venturi - 2/6/2007 - 16:33


Ferrara, 22 giugno 2007- Quattro poliziotti rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo per la morte del 18enne Federico Aldrovandi, deceduto il 25 settembre del 2005 durante un controllo di polizia in città. Ma non sarebbero finite qui le conseguenze sulla polizia a seguito di quella notte maledetta. In dirittura d’arrivo infatti ci sarebbe l’inchiesta sulla tardiva apparizione e alterazione del registro degli interventi compilato nella sala operativa del 113 nella notte in cui morì Aldrovandi.

Nel fascicolo aperto sul tavolo del pm Nicola Proto figura anche la detenzione in un congelatore della polizia scientifica per quasi un anno e mezzo di alcuni reperti biologici appretenenti al giovane deceduto.
Ebbene, per queste presunte "omissioni" e "cancellature" starebbero per essere recapitati tre avvisi di garanzia ad altrettanti poliziotti. Ieri mattina Proto non ha confermato nè smentito tale circostanza. Insomma, la vicenda Aldrovandi scandita per anni da accuse e rivendicazioni di "verità" da parte della famiglia, con effetti anche incontrollabili dopo
la dilatazione su un blog di tutti i passaggi giudiziari del caso forse unico in Italia, sconfina adesso in uno delicato scenario da inchiesta sull’inchiesta.

Questa indagine-bis, mentre quattro poliziotti vanno a processo con prima udienza fissata il 19 ottbre prossimo, potrebbe rivelarsi un drammatico focus per chiarire il ruolo che il personale ed i dirigenti della Questura ferrarese, con vari gradi di responsabilità, ebbero in alcuni passaggi importanti dell’inchiesta. Intanto ieri sul processo ai quattro agenti è intervenuto il senatore verde MauroBulgarelli. "Mi auguro — afferma il senatore — che il processo porti ad individuare delle responsabilità precise, perché episodi così gravi non possono rimanere impuniti".

Riccardo Venturi - 22/6/2007 - 14:47



La divisa non si processa - Ascanio Celestini

CCG/AWS Staff - 8/12/2007 - 18:52



Per la morte del giovane Aldrovandi
poliziotti condannati a tre anni e 6 mesi


I genitori: "Volevamo che fossero restituiti rispetto e dignità a nostro figlio"

FERRARA - Il tribunale di Ferrara ha condannato a tre anni e sei mesi i quattro poliziotti accusati di eccesso colposo nell'omicidio colposo di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni morto il 25 settembre 2005 durante un intervento di polizia. Alla lettura della sentenza i genitori del ragazzo si sono abbracciati piangendo e in aula sono partiti applausi.

"Volevo che a mio figlio fossero restituiti giustizia, rispetto e dignità", ha detto il padre di Federico. "Mio figlio non era un drogato, era un ragazzo di 18 anni che amava la vita e che quella mattina non voleva morire". Sua moglie è sembra stata convinta della colpevolezza degli agenti: "Ci sono stati momenti in cui ho avuto paura che se la potessero cavare, ma in fondo ci ho sempre creduto. Ora quei quattro non devono più indossare la divisa".

Inchiesta e processo hanno visto come parte fondamentale la famiglia Aldrovandi, la mamma Patrizia Moretti e il papà Lino, in prima linea per chiedere la verità, prima con il blog su Kataweb aperto nel gennaio 2006 e diventato uno dei più cliccati in Italia, poi lungo l'inchiesta e il processo, scanditi dalle perizie, dalla raccolta delle testimonianze, dalla ricostruzione faticosa delle cause della morte di Federico.

Il pm Nicola Proto aveva chiesto condanne per tre anni e otto mesi a ciascuno dei quattro agenti. L'accusa è di aver ecceduto nel loro intervento, di non aver raccolto le richieste di aiuto del ragazzo, di aver infierito su di lui in una colluttazione imprudente usando i manganelli che poi si sono rotti. La parte civile, (Gamberini, Del Mercato, Anselmo e Venturi) ha ricostruito sotto quattro angolazioni diverse le difficoltà per raggiungere non la verità ma il processo stesso, sostenendo che la morte di Federico sia addebitabile alla colluttazione con gli agenti (nel corso della quale si ruppero due manganelli) e all'ammanettamento del giovane a pancia in giù con le mani dietro la schiena. Posizione che, secondo i loro consulenti, avrebbe causato un'asfissia posturale. A questa causa va aggiunta la tesi di un cardiopatologo dell'Università di Padova, il professor Thiene, secondo il quale il cuore avrebbe subito un arresto dopo aver ricevuto un colpo violento.

Per la difesa (Pellegrini, Vecchi, Bordoni, Trombini) l'agitazione del ragazzo quella mattina, prima e durante l'intervento di polizia, era dovuta all'effetto di sostanze assunte la notte prima al Link di Bologna con gli amici. Sostanze che lo avrebbe portato a uno scompenso di ossigeno durante la colluttazione. Tutte le difese hanno chiesto l'assoluzione piena degli imputati, che agirono rispettando le regole e il modus operandi previsto per interventi di contenimenti di persone fuori controllo (uso dei manganelli, metodo di ammanettamento e di contenzione o pressione sul corpo). Ancora oggi, tuttavia, nonostante l'intervento di oltre 15 tra i più affermati e riconosciuti esperti italiani (medico-legali, tossicologi, anestesiologi, cardiopatologi) non si è arrivati a chiarire con certezza le cause della morte.

La Repubblica Online - 6 luglio 2009

CCG/AWS Staff - 7/7/2009 - 00:54


IL CALVARIO DI STEFANO

di Adriano Sofri

da La Repubblica del 31 ottobre 2009

PRIMA di tutto riguardiamo le fotografie di Stefano Cucchi. Quelle di un giovane magro, un geometra, che ha avuto a che fare con la droga e sa che gli potrà succedere ancora, e intanto vive, sorride, lavora, abbraccia sua madre, scherza con sua sorella. I giornali in genere hanno preferito pubblicare queste. E quelle di un morto, scheletrito, tumefatto, infranto, il viso che eclissa quello del grido di Munch e delle mummie che lo ispirarono, il corpo di una settimana di Passione dell' ottobre 2009. La famiglia di Stefano ha deciso di diffondere quelle fotografie. Nessuno è tenuto a guardarle. Ma nessuno è autorizzato a parlare di questa morte, senza guardarle. Per una volta, sembra che tutti (quasi) ne provino orrore e sdegno, e vogliano la verità e la punizione.È consolante che sia così. Ma è difficile rassegnarsi alle frasi generiche, anche le più bellee sentite. C' è un andamento provato delle cose, e le parole devono almeno partire da lì. Certo, le parole possono osare l' inosabile. Possono, l' hanno fatto perfino questa volta, dire e ripetere che Stefano Cucchi «è caduto dalle scale». Non è nemmeno una provocazione, sapete: è una battuta proverbiale. Se incontrate uno gonfio di botte in galera, lo salutate così: «Sei caduto dalle scale». Hanno un gran senso dell' humour, in galera. Lo si può anche mettere per iscritto e firmare. Sembra che anche Stefano l' abbia messo a verbale presso il medico del carcere: «Sono caduto dalle scale». È un modo per evitare di cadere di nuovo dalle scale. Il meritorio dossier Morire in carcere curato da "Ristretti orizzonti" certifica che le morti per "cause da accertare" sono più numerose di quelle per "malattia". Tuttavia bisogna guardarsi dall' assegnare senz' altro il calvario di Stefano al capitolo carcerario. Per due ragioni, già documentate a sufficienza. La prima: che fra la persona integra arrestata col suo piccolo gruzzolo di sostanze proibitee la persona cui vengono certificate nell' ambulatorio del tribunale «lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente», e che lamenta «lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori» (i medici del carcere le preciseranno come «ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione», e quelli dell' ospedale come «frattura del corpo vertebrale L3 dell' emisoma sinistra e frattura della vertebra coccigea») fra quelle due condizioni c' è stata solo una notte trascorsa in una caserma di carabinieri. Il ministro della Difesa - un avvocato penalista - pur declinando ogni competenza nel caso, ha creduto ieri di dichiarare: «Di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione». Non so come abbia fatto. So che qualcuno vorrà ammonirmi: «Ci risiamo». Infatti: ci risiamo. I medici e la polizia penitenziaria che dichiarano che Stefano «è arrivato in carcere così» hanno dalla loro una sequenza temporale interamente vidimata. Questa era la prima ragione. La seconda è che nell' agonia di Stefano - di questo si è trattato, questo sono statii suoi ultimi sette giorni - sono intervenute tante di quelle autorità costituite da far rabbrividire. Carabinieri, dall' arresto fino al trasporto al processo e alla consegna al carcere. Magistrati, uno dell' accusa e uno giudicante, che in un processo per direttissima per un reato irrisorio e con un giovane imputato così palesemente malmesso da suggerire la visita medica nei locali stessi del tribunale, rinviano l' udienza al 13 novembre e lo rimandano in carcere ammanettato. Agenti di polizia penitenziaria, che piantonano così rigorosamente il pericoloso detenuto nell' (orrendo) reparto carcerario dell' ospedale intitolato a quel gran detenuto che fu Sandro Pertini, al punto di impedire ai famigliari del giovane di chiederne una qualche notizia ai medici, facendo intendere che occorra un' autorizzazione del magistrato: espediente indecente, perché per parlare col personale sanitario non occorre l' autorizzazione di nessuno. (Sono stato moribondo e piantonato in un ospedale, e nessuno si sognò di dire ai miei che non potevano interpellare i medici: e vale per chiunque). Espediente, oltretutto, che costringe a chiedersi quale movente lo ispirasse. Una sovrintendente e, a suo dire, un medico di turno, che, anche ammesso che non abbiano saputo delle visite ripetute e trepidanti dei famigliari, hanno dichiarato di non aver notato i segni delle lesioni sul volto di Stefano, «in quanto si teneva costantemente il lenzuolo sulla faccia»! Frase che insegue l' altra sulla caduta dalle scale: un detenuto malconcio al punto di essere tradotto in ospedale non viene visto da chi lo sorveglia e da chi lo cura perché si tiene il lenzuolo sulla faccia. Non hanno visto «il volto devastato, quasi completamente tumefatto, l' occhio destro rientratoa fondo nell' orbita, l' arcata sopraccigliare sinistra gonfia in modo abnorme, la mascella destra con un solco verticale, a segnalare una frattura, la dentatura rovinata»... Non era un lenzuolo: era l' anticipazione di un sudario. Questo non ha impedito a un medico di turno di stilare un certificato in cui si legge che Stefano è morto «di presunta morte naturale». Infine, c' è l' autopsia eseguita sul cadavere straziato, nel corso della quale si proibisce al consulente di parte di eseguire delle foto. (Quelle che guardiamo oggi, chi ne ha la forza, sono state prese per la famiglia dal personale delle pompe funebri). È stata, la settimana di agonia di Stefano, una breve marcia attraverso le istituzioni. Questo sono infatti, al dunque, le istituzioni: persone che per conto di tutti si trovano a turno ad avere in balia dei loro simili: persone delle forze dell' ordine, giudici, medici, e anche politici e giornalisti... Tutti (quasi) chiedono giustizia e verità. Bene. Un pubblico ministero ha già imputato di omicidio preterintenzionale degli ignoti, ieri. I colpevoli non sono certo noti, e non lo saranno fino a prova provata: ma gli imputati sono noti. Quanto al preterintenzionale, è un segno di garantismo notevole, venendo da una magistratura che quando l'aria tira imputa di omicidio volontario lo sciagurato che abbia travolto qualcuno con l' automobile.

Alessandro - 1/11/2009 - 22:54



MORTE ALDROVANDI: CONFERMA IN APPELLO CONDANNA PER 4 AGENTI

"La Corte di Appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, ha condannato a una pena di 3 anni e 6 mesi i quattro agenti di Polizia imputati nel processo sulla morte di Federico Aldrovandi [AldroVive! ndr], il ragazzo deceduto a 18 anni il 25 settembre 2005 durante un intervento di Polizia in un parco a Ferrara. Sono stati condannati per l'eccesso colposo nell'omicidio colposo del giovane i quattro agenti di Polizia [assassini, ndr] Enzo Pontani, Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri. La sentenza e' stata accolta con commozione dai genitori di Federico Aldrovandi presenti in aula." (fonte: www.repubblica.it)

Ricordiamoci di Federico Aldrovandi.
Ricordiamo i nomi dei suoi assassini, "tutori dell'ordine" che senza ragione, per puro gusto sadico, massacrarono fino alla morte un ragazzo all'alba della vita: Enzo Pontani, Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri, che possiate patire per tutta la vostra inutile vita anche solo un centesimo dell'inenarrabile sofferenza che avete inflitto a Federico, ai suoi cari e a chi gli voleva bene!

Bartleby - 10/6/2011 - 21:02


Posto qui questa segnalazione perchè la vicenda è in qualche modo simile a quella di Aldro... L'orribile episodio è accaduto in Belgio all'inizio del 2010 ma solo adesso è trapelato grazie alla diffusione di un filmato registrato da una telecamera di sicurezza presente nella cella del commissariato teatro del mortale pestaggio ai danni del giovane Jonathan Jacob.


Belgio, detenuto pestato a morte da agenti
I poliziotti incastrati da un video choc. La vittima, 26 anni, era stata fermata perche' sotto l'effetto di anfetamine


Notizia Ansadel 22 febbraio 2013

BRUXELLES - Un video shock in cui un detenuto viene picchiato a morte dagli agenti di polizia, armati di manganelli e scudi, col casco in testa, nella cella angusta in un commissariato di polizia belga e' stato mostrato ieri sera per la prima volta in un reportage del programma Panorama sulla tv di lingua fiamminga Vrt.










La vittima e' Jonathan Jacob, di 26 anni, originario di Affligem, fermato per strada dalla polizia a Mortsel (provincia di Anversa) il 6 gennaio 2010, perche' sotto l'effetto di anfetamine, mostrava un comportamento aggressivo.

Un parere medico aveva consigliato il ricovero di Jacob in un ospedale psichiatrico, ma il direttore del locale nosocomio aveva rifiutato l'internamento. Cosi' il giovane era stato condotto in cella. Nelle immagini si vede Jacob nudo, piangere, disperarsi, urlare.

La polizia di Mortsel chiede aiuto all'equipe d'assistenza speciale della polizia di Anversa. I fotogrammi rivelano come al loro ingresso i poliziotti lanciano un razzo luminoso, poi stringono il detenuto in un angolo e gli sono addosso. Lo picchiano. Una macchia di sangue resta sulla parete. L'uomo e' immobile mentre gli somministrano un'iniezione.

Al termine del filmato un medico entra nella cella ma Jacob non ha piu' polso, ne' battito cardiaco. E' morto. L'autopsia ha stabilito che la causa del decesso e' stata un'emorragia interna provocata dalle percosse ricevute durante l'intervento dei poliziotti. Un agente e' stato rinviato a giudizio per le botte, mentre il medico dell'ospedale psichiatrico per omissione colposa.

Dead End - 23/2/2013 - 14:11


Gli assassini di Ferico Aldrovandi:








Tutti condannati in via definitiva per omicidio colposo ed eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi.
Non si sono fatti un giorno di galera e, a quanto mi risulta, non è stato ancora emesso nei loro confronti alcun provvedimento disciplinare... L'unico possibile è poi l'espulsione dalla Polizia di Stato.

Dead End - 23/2/2013 - 14:33


L'intera storia raccontata dai media fiamminghi:
http://www.deredactie.be/cm/vrtnieuws/...

Dead End - 23/2/2013 - 14:46


Ferrara 27 marzo 2013



Poliziotti manifestano alle finestre dell'ufficio di mamma Aldrovandi

Il Coisp, sindacato di polizia, da settimane gira con un camper per solidarizzare con i colleghi assassini di Federico Aldrovandi. Solo poche settimane fa il sindacato autonomo SAP aveva atteso fuori dal tribunale di Bologna uno dei quattro assassini per festeggiarlo con bandiere, pacche e applausi.

Ma oggi si è raggiunto un vero e spregevole apice di infamia (dove l'aggettivo rischia di suonare come eufemismo!).

Con l'ipocrisia di chi sa di aver torto marcio ma gode delle spalle coperte, alcuni membri del sindacato indipendente di Polizia giunti per tenere il loro Congresso Regionale dal titolo “Poliziotti in carcere, criminali fuori, la legge è uguale per tutti?” hanno inscenato un presidio davanti alla sede del Comune con tanto di bandiere e manifesti di solidarietà per gli agenti condannati per l'omicidio di Federico Aldrovandi.

Un presidio che è una grave provocazione, dato che la madre di Aldro, Patrizia, lavora proprio in Comune, ed era presente a quell'ora. Tant'è che pure il sindaco di Ferrara, fiutando l'aria provocatoria, si è recato a pregare i poliziotti di spostarsi ma questi con tanta faccia tosta non ne hanno proprio voluto sapere!
Una volta constatata la provocazione strumentale, Patrizia Moretti ha deciso di scendere in piazza con tutta la dignità e la fermezza che la contraddistingue per mostrare agli agenti solidali con i colleghi assassini la foto di Federico ormai morto e riverso in una pozza di sangue.

All'ennesimo atto di sciacallaggio dei “manifestanti” in divisa la madre di Aldro ha risposto alla sua maniera, senza alcun timore, dichiarando “Speravo di non dover mai essere costretta a mostrare ancora in pubblico quella foto”.
Le facce di bronzo del Coisp hanno voltato le spalle davanti all'esposizione della foto, macchiandosi incresciosamente una volta di più della corresponsabilità di difendere degli assassini, graziati solo per indossare una divisa.

adriana - 27/3/2013 - 17:25


29/3/2013 - 09:08


Non ho parole! Che giustizia sia fatta.

Natalia - 28/10/2013 - 01:41



per Federico Aldrovandi

Di diciott’anni m’ebbe la Chera
che ritornavo lasciati i dolci
compagni pieno la testa ancora
di détti belle imagini
notte
era che incontro la guardia nera

21 settembre 2011 e oggi, dieci anni dopo il suo assassinio

L.L. - 25/9/2015 - 09:50


La feccia del mondo
Ti multa l'altra volta
E tu ringrazi l'Iddio
Anche se sei ateista
Che sei sopravvisuto
Che sei ancora in pista
Ma ti chiedi sconfortato
E quasi già credente
Ma vale ancora legge???
Dente
Per dente
Dente
Per
Dente
Vincente
Per niente

krzyś - 26/9/2015 - 01:56


(c) Checchino Antonini e Alessio Spataro, 2009 - minimum fax, 2009. Tutti i diritti riservati.

"Zona del silenzio" (minimum fax) esce nel giugno del 2009, pochi giorni prima della sentenza di primo grado che condannerà i quattro poliziotti imputati a tre anni e sei mesi. "Una storia di ordinaria violenza italiana", recita il sommario, raccontata in un graphic novel del giornalista di Liberazione Checchino Antonini e del disegnatore Alessio Spataro. Protagonista è un giornalista che si appassiona al caso Aldrovandi e accompagna la famiglia nei travagliati mesi dell'insabbiamento della verità e dell'omertà su quanto accaduto in via dell'Ippodromo. Il titolo riprende il cartello presente vicino al luogo dell'uccisione di Federico, e ricorda drammaticamente il silenzio che ha dominato per lungo tempo prima che perizie e testimonianze smontassero la tesi della Questura di Ferrara che attribuiva la morte del ragazzo alle conseguenze della droga. Repubblica

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dq82 - 27/9/2015 - 09:13




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