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Rimado de Palacio 337-341: Aqui fabla de la guerra

Pero López de Ayala y Salvatierra
Lingua: Spagnolo (Spagnolo Antico / Old Spanish 1100-1500)


Lista delle versioni e commenti



[Fine del XIV secolo ; 1385/1403]
Dal Rimado de Palacio
di Don Pedro (Pero) López de Ayala y Salvatierra
Strofe 337-341

[Fín del XIV siglo ; 1385/1403]
Desde el Rimado de Palacio
de Don Pedro López de Ayala y Salvatierra
Estrofas 337-341

[End of 14th century : 1385/1403]
From the Rimado de Palacio
by Don Pedro López de Ayala y Salvatierra
Verses 337-341

Pedro López de Ayala y Salvatierra: Rimado de Palacio, Ms. E (Biblioteca del Escorial, Madrid)
Pedro López de Ayala y Salvatierra: Rimado de Palacio, Ms. E (Biblioteca del Escorial, Madrid)


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Per qualsiasi testo poetico medievale, è quantomeno da supporre (e, in parecchi casi, la supposizione si fa certezza per le indicazioni stesse contenute nel testo) il canto o l'accompagnamento musicale: il Rimado de Palacio di don Pe(d)ro López de Ayala y Salvatierra, composto tra il 1385 e il 1403, non fa eccezione. E' scritto parzialmente nella più classica cuaderna vía della metrica spagnola, iniziata da Gonzalo de Berceo nel XIII secolo; detta anche tetrastico in monorima, la cuaderna vía è una quartina di versi alessandrini (ciascuno di quattordici sillabe) con rima costante AAAA. Una struttura metrica, insomma, fatta apposta per il canto; ma la cuaderna vía è utilizzata solo fino alla strofa 705. Le strofe dalla 706 alla 887 sono in forme metriche più leggere e dichiaratamente cantabili (metri lirici galego-portoghesi e provenzali, sestine, redondillas e alessandrini). La cuaderna vía ritorna verso la fine dell'opera.

Don Pedro de Ayala si inginocchia al cospetto di San Gregorio. Miniatura dai Morales di S. Gregorio (Commento al Libro di Giobbe)
Don Pedro de Ayala si inginocchia al cospetto di San Gregorio. Miniatura dai Morales di S. Gregorio (Commento al Libro di Giobbe)
Don Pedro López de Ayala era un uomo importante nella Spagna del suo tempo; appartenente ad una delle più aristocratiche casate del Regno, visse in un periodo assai burrascoso durante i primi regnanti Trastámara (che dominarono la Castiglia tra il 1369 e il 1516) e si impegnò a fondo nelle vicende politiche. Vicende assai alterne, che lo portarono ad essere più volte imprigionato in fortezze e castelli. Durante una di queste prigionie, nel carcere di Oviedo, Don Pedro de Ayala iniziò la composizione del Rimado de Palacio, oltre a dedicarsi a traduzioni in castigliano da Severino Boezio, Tito Livio, Guido delle Colonne e Giovanni Boccaccio (di cui era contemporaneo).

Il Rimado de Palacio, che fu completato da Don Pedro de Ayala solo quattro anni prima della sua morte (avvenuta all'età di 75 anni nel 1407, a Calahorra) è un'opera satirica e didattica assai singolare. Conosciuto anche come Libro Rimado de Palacio o semplicemente Los Rimos, si compone di 8200 versi iniziati in quartine alessandrine monorime, dove l'autore, dopo aver riconosciuto e passato in rassegna i suoi numerosi peccati, prende di mira la società del suo tempo descrivendo con grande ironia i suoi contemporanei, sia della gerarchia civile che religiosa (“Se questi sono ministri, lo sono di Satanasso / ché mai tu li vedrai far opere di bene”, scrisse a proposito dei prelati spagnoli dell'epoca con una descrizione che bene si adatterebbe anche ad epoche assai più recenti). Il Rimado de Palacio, che non mi risulta essere mai stato tradotto in lingua italiana (probabilmente anche per le difficoltà intrinseche della sua struttura metrica), è un'opera sorprendentemente moderna: i valori sociali, politici e morali sono attaccati integralmente nella loro ipocrisia, mescolando quadri realistici e disquisizioni moralizzanti da parte di una persona che, peraltro, vi era inserita fino in fondo e che, quindi, ben sapeva di che cosa stava parlando.

Uno degli aspetti più interessanti del Rimado de Palacio, che è un'opera assai composita non solo dal punto di vista metrico, è il costante riferimento alle pene e ai patimenti della gente comune (e in particolare della povera gente) a causa di spoliazioni, imposte e, soprattutto, guerre. Le imposte, scrive Ayala, hanno provocato una terribile crisi demografica, e la Castiglia e la Spagna tutta sono diventate terre spopolate e deserte; le guerre hanno fatto il resto. Tutto diventa quindi una prigione, reale (come lo era per l'autore stesso) e allegorica, alla quale non si può sfuggire che raccomandandosi a Dio. Nel frattempo, però, nei suoi cantares don Pedro de Ayala se la prende veramente con tutti, ivi compresi gli avidi ebrei verso i quali, però, non approva affatto discriminazioni e ghettizzazioni. Un personaggio davvero singolare nella Spagna del medioevo, e del quale vengono inseriti un paio di passaggi dal Rimado de Palacio particolarmente espliciti, come questo nel quale si parla, appunto, della guerra e dei suoi effetti.

Don Pedro López de Ayala (Litografia ottocentesca)
Don Pedro López de Ayala (Litografia ottocentesca)
Che cosa ne viene fuori? Il quadro usuale di ogni guerra, si potrebbe dire. Ogni “guerra moderna” si rispecchia in quella di secoli e secoli fa. Il principio c'est l'argent qui fait la guerre è pienamente rispettato nella cruda descrizione trecentesca: i gran cavalieri bramano la guerra per nessun altro scopo che fare soldi e depredare terre per mano delle loro soldataglie. Altro che “Reconquista”: in realtà, a nessuno importa nulla di far la guerra ai mori, una scusa bella e buona per arricchirsi a spese della povera gente. I mori ne sono felicissimi, e negli altri regni oramai hanno il doppio dei re che avevano prima. La morale di fondo del Rimado è che tutto questo deriva dai peccati contro Dio: il peccato di avidità, in primis, che è alla base di tutta l'ipocrisia del presente. E i re che cosa dicono? Che in tempo di guerra è impossibile fare giustizia, mentre si lascia la “strada battuta” per dedicarsi a razziare le campagne e renderle completamente deserte. Un quadretto nel quale non è difficile riconoscere epoche molto più vicine; intanto, i contadini ridotti alla fame non trovano di meglio che prendere anch'essi le armi e andare a ingrossare le fila dei razziatori, dato che non c'è altro modo per cercare di sopravvivere. La guerra che riproduce se stessa, come sempre.

In rete risulta impossibile trovare il testo del Rimado de Palacio; di questo brano, ad esempio, è reperibile soltanto la prima quartina. Ho dovuto quindi ricopiarlo di sana pianta dalla fonte in mio possesso, che è quantomeno inaspettata. Proviene infatti dall'antologia di antichi testi spagnoli allegata allo Altspanisches Elementarbuch (“Manuale elementare di spagnolo antico”) di Adolf Zauner, pubblicato a Heidelberg nel 1921 e facente parte della Sammlung romanischer Elementar- und Handbücher a cura del grande romanista Wilhelm Meyer-Lübke (Heidelberg 1921: Carl Winter's Universitätsbuchhandlung, I. Reihe: Grammatiken, 5. Band). Un libro di 94 anni fa che mi sono ritrovato ad avere in qualche modo che non ricordo. L'autore avverte che il brano è ripreso dall'edizione di Janer e Ducamin del 1907; ma non saprei dire altro a proposito di tale edizione.

Il Rimado de Palacio è conservato in ben cinque manoscritti: il manoscritto E (raffigurato in questa pagina) è conservato presso la Biblioteca del Escorial. Esistono poi il "Manoscritto N" della Biblioteca Nacional de España, il "P" e il "C" conservati presso la Bibliothèque Nationale de France a Parigi e il "Manoscritto A" della Real Academia de la Lengua di Madrid. [RV]
[337] Cobdiçian cavalleros las guerras cada dia
Por levar muy grandes sueldos e levar la quantia,
E fuelgan quando veen la tierra en roberia
De ladrones e cortones que llievan en compannia.

[338] Olvidado han a los moros las sus guerras fazer,
Ca en otras tierras llanas asás fallan que comer,
Unos son capitanes, otros enbian a correr,
Sobre los pobres syn culpa se acostumbran mantener.

[339] Los christianos han las guerras, los moros están folgados,
En todos los mas regnos ya tienen reyes doblados:
E todo aquesto viene por los nuestros pecados,
Ca somos contra Dios en toda cosa errados.

[340] Los que con sus bueyes solian las sus tierras labrar,
Todos toman ya armas e comiençan a robar;
Roban la pobre gente e la fasen hermar:
Dios solo es aquel que esto podria emendar.

[341] Non pueden usar justicia los reyes en la su tierra
Ca disen que lo non sufre el tal tiempo de guerra:
Asás es engannado e contra Dios mas yerra
Quien el camino llano desanpara por la syerra.

inviata da Riccardo Venturi - 9/8/2015 - 08:59



Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
9 agosto 2015.

Calahorra: La tomba di Don Pedro López de Ayala, della moglie Leonor de Guzmán e dei loro cani di compagnia.
Calahorra: La tomba di Don Pedro López de Ayala, della moglie Leonor de Guzmán e dei loro cani di compagnia.


Due parole del traduttore. Si è naturalmente rinunciato, almeno per il momento, a tradurre in monorima: fa troppo caldo, oggi 9 agosto, per dedicarsi a un simile tour de force ed è quindi stata composta la più classica delle traduzioni "di servizio", letterale e con qualche rima mantenuta solo quando e dove veniva. Per la traduzione è stata comunque fondamentale la consultazione del glossario spagnolo antico-tedesco allegato alla fonte di cui si parla nell'introduzione. I "cavalli scodati" del testo (cortones), come esplicitato in una nota al testo, erano cavalli (oppure cani) ai quali veniva tagliata la coda, uso che si è mantenuto ancora adesso per alcune razze canine molossoidi di grossa taglia.
RIMADO DE PALACIO, 337-341
QUI PARLA DELLA GUERRA

[337] Bramano i cavalieri le guerre ogni giorno
Per fare gran soldoni e guadagnar ricchezze,
Si rallegran quando vedon la terra depredata
Da ladroni e cavalli scodati che si portano appresso.

[338] Non gliene importa nulla di far la guerra ai mori,
Ché in altre terre piane trovan da mangiare a sazietà,
Alcuni son capitani, altri ordinano razzie
E sui poveri innocenti usano mantenersi.

[339] I cristiani han le guerre e i mori son tutti contenti,
In tutti gli altri regni han già il doppio dei re:
E tutto questo deriva dai nostri peccati,
Ché in ogni cosa noialtri pecchiamo contro Dio.

[340] Coloro che solevan lavorare la terra coi loro buoi,
Tutti prendon le armi e cominciano a depredare;
Depredan la povera gente e la annientano:
Solo Dio è colui che questo potrebbe emendare.

[341] I re non posson fare giustizia nella loro terra
Ché dicon che non si può farlo in tal tempo di guerra:
Oltremodo si inganna, e contro Dio ancor più pecca
Chi lascia la strada piana e batte per le campagne.

9/8/2015 - 10:19


Grazie Riccardo!!!
Mi ha lusingato oltre ogni dire la dedica di queste due perle che non avrei avuto altro modo di leggere. Hai fatto un lavoro bellissimo, come al solito. E' incredibile l'attualità di questi versi, sembrano scritti per l'oggi.

Colgo l'occasione per salutare te e gli altri CCGisti dalla mia convalescenza. Sono reduce da un frontale con un'altra vettura - colpa mia - e da un intervento all'avambraccio sinistro, un puzzle di quasi 5 ore, due placche, varie viti e un centinaio di punti tra dentro e fuori. Non mi lamento, poteva andare peggio. Per cui sono qui a spippolare con una mano sola, ma, a parte la settimana di ospedale, vi seguo sempre con immutato affetto.
Un abbraccio
Cristina

Maria Cristina Costantini - 10/8/2015 - 20:31


Carissima Maria Cristina, certamente non immaginavo che, dedicandoti le due pagine sul Rimado de Palacio ti avrei ritrovata convalescente dopo un incidente stradale e conciata nel modo che hai descritto. Davvero auguri da parte mia e di tutto il sito perché tu ti rimetta presto, e completamente; e siccome gli auguri, a mio parere, non sono abbastanza, ti becchi pure un enorme abbraccione mio personale e collettivo!

Quanto all'attualità di questi versi, mentre li trascrivevo e traducevo mi veniva naturale fare delle sostituzioni: ché so io, "Reconquista" con "Guerra al terrorismo", e i "mori" non hanno neppure bisogno di essere granché sostituiti, basta metterci il felicissimo "ISIS" ben foraggiato da "occidenti" vari che poi fanno finta di fargli la guerra...e si vede anche fin troppo bene che non è proprio cambiato nulla. Le visioni contemporanee degli eventi sono semplicemente necessarie; e mi chiedo quante ancora ce ne siano sparse in pagine dimenticate di ogni tempo. Ogni tanto se ne ritrova qualcuna, spesso per purissimo caso come in questa occasione. Non mi fosse venuto di riprendere quel vecchio volume, lo Altspanisches Elementarbuch, a casa di mia madre, di don Pedro López de Ayala non se ne sarebbe saputo nulla.

Così come è da sottolineare anche il fatto che l'autore del volume, Adolf Zauner, nel compilare la sua antologia di testi spagnoli antichi, sia stato colpito proprio da quei due brani (di un'opera di 8200 versi!) tanto da proporli come rappresentativi. Evidentemente li aveva visti come contraltare ai poemi cavallereschi, al "Cantar de myo Çid" e roba del genere. Dall'antico "Mester de Clerecía" fino a "Canzoni contro la guerra", fa grattare un po' la testa pensarci.

Nel frattempo, grattandoci la testa e soprattutto grattando le patine del tempo, ti rinnovo e ti rinnoviamo i nostri auguri, magari con la speranza che in questi mesi di convalescenza ti teniamo anche un po' compagnia. Intanto proseguo a "scavare" a casa di mia madre; casa mia è un buco, e tutti i libri che ho non ci potranno mai stare. A volte mi sembra di essere un auto-archeologo, o roba del genere. Un bacione!

Riccardo Venturi - 11/8/2015 - 04:30


Ciao Riccardo,
Grazie per l'abbraccio e per gli auguri. Conto di passare molto tempo in vostra compagnia, anzi, potrei approfittare di questo tempo "liberato" per lavorare un po'. Stavo preparando una versione ridotta della perizia psichiatrica di Giovanni Passannante, ma con l'incidente mi si è rovesciato il sedile di dietro e tutto si è mescolato, carte, libri, giornali, in un marasma in cui non riesco a trovare più niente. Appena ritrovo la copia la completo e la posto.
Besos

Maria Cristina Costantini - 11/8/2015 - 09:36




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