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Sofðu unga ástin mín

Jóhann Sigurjónsson
Lingua: Islandese


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[1911]
Testo: Jóhann Sigurjónsson [1880-1919]
Musica: [?]
Dalla tragedia Fjalla-Eyvindur og Halla [1911]

Lyrics: Jóhann Sigurjónsson [1880-1919]
Music: [?]
From the tragedy Fjalla-Eyvindur og halla [1911]

Islanda. Lo Óðáðahraun.
Islanda. Lo Óðáðahraun.


Nello spettrale e lunare nordest dell'Islanda, a nord dell'enorme ghiacciaio Vatnajökull, si trova uno dei tanti hraun dell'isola: lo Óðáðahraun. Uno hraun è, in Islanda, una distesa più o meno vasta formata da lava raffreddata: un “campo di lava”, o “distesa lavica”. Quello di cui si parla qui, però, è vastissimo ed ha un nome singolare: significa infatti, alla lettera, “Hraun del Fuorilegge”, o “del Bandito”. Lo Óðáðahraun prende infatti il suo nome da uno dei più celebri fuorilegge islandesi e dalle sue tragiche vicende: si chiamava Eyvindur Jónsson, ma è più noto come Fjalla-Eyvindur (“Eyvindur delle Montagne”).

"Nel 1880 furono ritrovate queste rovine. Si pensa che Fjalla-Eyvindur e Halla abbiano vissuto qui verso il 1767."
"Nel 1880 furono ritrovate queste rovine. Si pensa che Fjalla-Eyvindur e Halla abbiano vissuto qui verso il 1767."


Eyvindur Jónsson era nato nel 1714 a Hrunamannahreppur, nell'Islanda meridionale. Il XVIII secolo è stato, per l'Islanda, forse il periodo più duro e buio della sua storia: soppressa oramai ogni sua antica libertà, l'isola viveva sotto il dominio danese che, per giunta, aveva decretato il regime di monopolio commerciale. In pratica, l'Islanda poteva commerciare e avere scambi esclusivamente con la Danimarca, e ogni altro scambio le era precluso. I già scarsi prodotti pregiati e richiesti dell'Islanda (il pesce, la lana di pecora e l'olio di balena) potevano essere quindi essere esportati solo in Danimarca, e ai prezzi da fame praticati in un regime non concorrenziale: va da sé che l'economia islandese del tempo, già precaria, fu totalmente strangolata. Può forse fare impressione pensare che, in piena Europa del XVIII secolo, l'Islanda fosse soltanto una colonia da sfruttare; ma questo era sotto il regime assolutista del Regno di Danimarca. Un paio di materie prime, e per il resto gli ottantacinquemila islandesi di quel tempo potevano tranquillamente morire di fame, cosa che del resto facevano.

L'Islanda dell'Einokunartíð, l' “Epoca del Monopolio” il cui nome fa ancora tremare gli islandesi, pullulava di banditi e fuorilegge. Ma non bisogna pensare ai banditi romantici della foresta, anche perché di foreste, in Islanda, non ce ne sono o quasi. Bisogna pensare a contadini o allevatori ridotti alla fame in un luogo dove le condizioni di vita sono già di per sé estreme. Si diventava “fuorilegge” per un nonnulla: Eyvindur Jónsson lo divenne per miseri furti di pecore. Bastava quello per essere perseguitato dalla legge coloniale: nel 1760, all'età di quarantasei anni, fu condannato per il furto e decise di darsi fuggiasco assieme alla moglie Halla Jónsdóttir. Di solito si dice “darsi alla macchia”, ma in Islanda bisognava darsi allo hraun. All'impenetrabile interno, una sequela di ghiacciai, di vulcani, di distese laviche, di grotte, di montagne, di torrenti glaciali impetuosi, di solfatare. La Luna, è non è un caso che proprio nell'interno dell'Islanda si siano esercitati gli astronauti delle spedizioni Apollo. L'interno dell'Islanda è considerato quanto di più simile esista sulla Terra al paesaggio lunare.

A quell'epoca, le persone che venivano riconosciute colpevoli di atti criminali venivano totalmente messe al bando dalla società; in più, alle parti lese era riconosciuto il diritto di farsi giustizia da sé. Alcuni sceglievano l'esilio, altri si addentravano nelle impossibili regioni interne, dove pochi o nessuno avrebbero osato inseguirli. Gli útilegumenn, questa la versione islandese degli outlaws, dovevano essere in possesso di doti straordinarie e furono ben presto accomunati, nelle credenze popolari, a troll, giganti e altri esseri soprannaturali. Fjalla-Eyvindur, assieme a Jón Hreggviðsson (il protagonista della Campana d'Islanda del premio Nobel Halldór Kiljan Laxness) è il più famoso útilegumaður islandese. Per sopravvivere continuò a rubare pecore sopravvivendo nelle condizioni più avverse, mantenendosi sempre un passo avanti ai suoi inseguitori.

Eyvindarhellir, la "tana di Eyvindur".
Eyvindarhellir, la "tana di Eyvindur".


In quelle condizioni vissero “Fjalla-Eyvindur” e la sua famiglia per vent'anni, senza che mai nessuno riuscisse a prenderli. Dopo la condanna, infatti, Eyvindur scappò e, nella sua fuga, capitò in una remota fattoria di proprietà di una donna chiamata Halla Jónsdóttir, della quale si innamorò e che sposò poco dopo vivendo per qualche tempo alla sua fattoria. Fuggirono assieme, anche per le voci che volevano che Halla avesse annegato un bambino che viveva alla sua fattoria, e che in realtà Eyvindur stesse pagando anche il suo crimine. Altre voci volevano che Halla, che aveva già avuto dei figli, intendesse abbandonarli e bruciare la fattoria; ma Eyvindur si oppose, lasciando i ragazzi sani e salvi. Cominciò così la fuga ventennale di questa sorta di Bonnie e Clyde del diciottesimo secolo islandese, un diciottesimo secolo molto differente dal “secolo dei lumi” europeo. Eyvindur e Halla ebbero parecchi altri figli, e la donna sembrava sempre sul punto di essere catturata mentre era incinta; ma riusciva sempre, in un modo o nell'altro, a sfuggire agli inseguitori persino in quello stato. La leggenda, ma forse qui con un deciso fondo di realtà, vuole che Halla uccidesse sempre i propri figli appena nati, oppure poco dopo. Dei bambini piccoli sarebbero stati un peso per la coppia in fuga costante in quell'ambiente che definire ostile sarebbe poco, e doveva essere presa una crudele decisione se lasciarli da soli, completamente indifesi, o ucciderli e, in un certo modo, salvarli da una morte ancora più orribile. La terribile ninna nanna di questa pagina, si dice, venne cantata da Halla a una sua bambina per addormentarla prima di gettarla in una cascata; non se ne conosceva naturalmente il testo, che fu scritto da Jóhann Sigurjónsson con accenti da autentico capolavoro poetico.

Di leggende su “Fjalla-Eyvindur” e su sua moglie ne nacquero comunque a decine, che recano tutte la loro impronta nella toponomastica della zona. Oltre allo Óðáðahraun ci sono infatti il geyser detto Eyvindarhver, le rovine di una capanna in pietra detta Eyvindarkofi e un ovile detto Eyvindarrétt. La spelonca dove viveva si chiama Eyvindarhellir, e forse non sfuggirà la somiglianza, del tutto etimologica, di quell'hellir col nome inglese dell'inferno, hell (in origine "spelonca").

Tutte le leggende, come è noto, hanno un fondo di verità. Reale, terribilmente reale, era la fame ed era, soprattutto, il maledetto monopolio commerciale danese che aveva ridotto gli islandesi allo stremo, costringendoli spesso a furtarelli per i quali si diventava “fuorilegge” costretti a vivere in luoghi impossibili per sfuggire ai lavori forzati e alla deportazione. Eyvindur Jónsson e Halla morirono nel 1783, e quell'anno, in Islanda, non è casuale. E' l'anno della terribile eruzione del vulcano Laki, che con la sua nube di cenere ardente provocò inondazioni rovinose con lo scioglimento dei ghiacci e delle nevi, e una carestia che uccise circa un terzo di tutta la popolazione islandese. In Danimarca pensarono genialmente che fosse giunto il momento di trasferire altrove tutta la popolazione superstite, finché qualcuno si accorse che quel che principalmente aveva ridotto l'isola in quelle condizioni, a parte le forze della natura, era proprio il regime di sfruttamento coloniale e il monopolio commerciale, che fu finalmente tolto permettendo all'Islanda di risollevarsi un po' dopo la catastrofe del Laki.

Jóhann Sigurjónsson (1880-1919)
Jóhann Sigurjónsson (1880-1919)


Nel XIX secolo si ebbe in Islanda un vero e proprio “rinascimento”, anche culturale. Una delle sue figure centrali fu il poeta e drammaturgo Jóhann Sigurjónsson, nato a Laxamýri il 19 giugno 1880. I legami con la Danimarca non si erano ancora sciolti; Jóhann aveva studiato (veterinaria) in Danimarca, e scriveva principalmente in danese. La sua tragedia più nota è ispirata proprio alle vicende, reali e leggendarie, del fuorilegge Eyvindur Jónsson: fu pubblicata nel 1911 con il titolo di Bjærg-Eyvind og hans hustru, “Eyvind delle Montagne e sua moglie”. Ebbe un successo clamoroso, e gli islandesi vi videro la loro storia che, allora, era ancora recente e i cui effetti non avevano ancora cessato di farsi sentire. Fu da lui stesso riscritta in islandese con il titolo di Fjalla-Eyvindur e fu rappresentata persino negli Stati Uniti. Nel 1918, il grande cineasta svedese Victor Sjöström ne trasse un film, Berg-Ejvind och hans hustru. E' da questa tragedia che è tratto questo testo, poi diventato una vera e propria canzone popolare. Jóhann Sigurjónsson morì a Copenaghen di tubercolosi l'anno dopo, il 31 agosto 1919, all'età di 39 anni.

La cupa e spettrale ninna-nanna che Hálla, la moglie di Eyvindur, avrebbe cantato alla figlioletta che stava morendo di inedia, e che ella si apprestava, secondo la leggenda, a gettare nella cascata è, tuttora, una delle più famose canzoni in lingua islandese. Una ninna-nanna di morte che presentiamo in questa pagina a metà tra storia e leggenda; ma sia la storia che la leggenda, intrecciandosi, raccontano dolore infinito e ingiustizia. [RV]


Interpretata da Damien Rice, Lára e Glenn Hansard.
Sofðu, unga ástin mín,
- úti regnið grætur.
Mamma geymir gullin þín,
gamla leggi og völuskrín.
Við skulum ekki vaka um dimmar nætur.

Það er margt sem myrkrið veit,
- minn er hugur þungur.
Oft ég svarta sandinn leit
svíða grænan engireit.
Í jöklinum hljóða dauðadjúpar sprungur.

Sofðu lengi, sofðu rótt,
seint mun bezt að vakna.
Mæðan kenna mun þér fljótt,
meðan hallar degi skjótt,
að mennirnir elska, missa, gráta og sakna.

inviata da Ríkarður V. Albertsson [Riccardo Venturi's Twin Brother from Iceland] - 28/7/2015 - 12:17




Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
30 luglio 2015
Til Péturs Cetica, 22.09.1958-30.07.2015

eyvfilm


Due parole del traduttore. Nonostante la traduzione sia letterale, è stata fatta con la massima cura. E' dedicata al conte Pietro Cetica, anarchico fiorentino, scomparso oggi 30 luglio 2015 all'età di 57 anni. Nella traduzione mi sono permesso solo di interpretare gullin þín, alla lettera "il tuo oro", con "il tuo tesoro": sono i miseri giocattoli della bambina, alcuni vecchi ossi di zampe animali e una scatola di pietra.
DORMI, PICCOLO AMORE MIO

Dormi, piccolo amore mio,
là fuori piange la pioggia.
La mamma serba il tuo tesoro,
vecchi ossi di zampe e uno scrigno di pietra.
Non dobbiamo stare svegli nelle notti oscure.

Tante cose conosce il buio
e ho gravi pensieri in testa:
spesso ho guardato le nere sabbie
che hanno bruciato i verdi prati.
Nel ghiacciaio si sentono aprirsi profondi crepacci mortali.

Dormi a lungo e profondamente,
sarà meglio svegliarsi tardi.
La mamma ti insegnerà presto,
finché il sole non arriverà all'orizzonte,
che gli uomini amano, perdono, piangono e soffrono.

30/7/2015 - 17:42




Lingua: Inglese

English translation by Riccardo Venturi
July 30, 2015

Iceland. The Óðáðahraun.
Iceland. The Óðáðahraun.


In the spectral, moon-like northeast part of Iceland, north of the huge Vatnajökull glacier, lies one of the many hrauns in the island: the Óðáðahraun. A hraun is, in Iceland, a large stretch of cold lava: a “lava field”, as it is often called. The hraun we are talking about here is really very large, and bears an unusual name: its translated name means “Outlaw's Lava Field”. As a matter of fact, the Óðáðahraun is named after the tragic lifestory of one of Iceland's best known outlaws: his name was Eyvindur Jónsson, but he is perhaps better known as Fjalla-Eyvindur (“Eyvindur of the Mountains”).

"These ruins were found in 1880. Fjalla-Eyvindur and Halla are likely to have lived there about 1767."
"These ruins were found in 1880. Fjalla-Eyvindur and Halla are likely to have lived there about 1767."


Eyvindur Jónsson was born 1714 in Hrunamannahreppur, in southern Iceland. The 18th century may have been Iceland's hardest and darkest time in its history: after any remnants of its ancient free institutions had been suppressed, the island lived under the Danish yoke. The Danes had imposed on Iceland a trade monopoly system: in practice, Iceland was allowed to trade only with Denmark, and any other type of trade was strictly forbidden. Iceland's scarce valuable products (fishery, wool, blubber and whale oil) could only be exported to Denmark and at the unfair prices likely to be applied in a non-competitive trade system: Iceland's economy of that time was already poor, but the monopoly killed it totally. Well ahead into 18th century Europe, there was a large country, Iceland, that was treated by the absolutist Kingdom of Denmark as a colony subject to savage exploitation. This may seem incredible, but is history. Two or three raw resources, and, apart from that, the 85,000 Icelanders of that time were left to starvation.

The Einokunartíð, the “Monopoly Period” the Icelanders still name with fear, turned Iceland into a country swarming with outlaws. But you shouldn't think to the romantic, Robin Hood-like outlaws of the folk ballads, and there are no forests in Iceland. You should imagine poor farmers or cattle breeders driven to despair in a place where life conditions already were hardest. One could become an “outlaw” for the slightest reasons: Eyvindur Jónsson was outlawed for miserable cattle stealing. This was enough for persecution by the ruthless colonial law: in 1760, Eyvindur Jónsson, aged 46, was sentenced for cattle stealing and had to take flight together with his wife, Halla Jónsdóttir. This is called “taking to the bush” in the countries where there's bushland, but in Iceland you had to take to the hraun. To the impenetrable inland, an unending series of glaciers, volcanoes, lava fields, holes, mountains, rushing ice streams and solfataras. Something like the Moon, and not haphazard inland Iceland was chosen for training of the Apollo astronauts. Inland Iceland is maybe the nearest thing to the Moon existing on Earth.

Those who, at that time, were found guilty and sentenced for crimes were completely banned from the society; in addition to this, the injured parts were granted the right to take the law into their own hands. Some were exiled, and some took flight to the inhospitable inland, where few or nobody would have dared to hunt for them. The útilegumenn, Iceland's outlaws, had to be uncommonly gifted persons in order to survive there, and were soon associated to trolls, giants and other supernatural beings. Together with Jón Hreggviðsson (the main character in Halldór Kiljan Laxness' Iceland's Bell), Fjalla-Eyvindur is Iceland's best know outlaw. He kept on stealing cattle for his and his wife's survival in those most difficult conditions, always keeping ahead of his persecutors.

Eyvindarhellir, "Eyvind's Hole".
Eyvindarhellir, "Eyvind's Hole".


Eyvindur of the Mountains and his wife had to live twenty years long in those conditions, but they were never captured. During his flight after conviction, Eyvindur came to a remote farm owned by a woman called Halla Jónsdóttir, with whom he fell in love and whom he married shortly after. The couple lived some time in the farm, but they had to take flight together when rumors began saying that Halla had drowned a child who lived with her at the farm. Other rumors said that Halla, who already had children, wanted to leave them alone and burn the farm; but Eyvindur opposed this project and the children were left alive in the farm. Anyway, Eyvindur of the Mountains regularly appears in these stories as someone who had to pay for her wife's crimes and bad intentions. So began the couple's twenty years long flight, sort of Bonnie and Clyde in 18th century Iceland, an epoch extremely different from the European Century of Lights.Eyvindur and Halla had many other children; the woman was constantly in danger of being caught while she was pregnant, but she always managed to escape her persecutors, even in that state. The legend that Halla always killed her newly born babies may be definitely real in this case; a cruel decision had to be taken whether to leave them alone and totally unprotected in that most hostile environment and conditions, or to spare them a still more horrible death. The terrible lullaby of this page is said to have been sung by Halla to one of her young girls before casting her down into a waterfall; of course, the lyrics were not known before they were written by Jón Sigurjónsson in his celebrated poetic masterpiece.

Dozens of legends originated about Eyvindur of the Mountains and his wife, and several places in the area have been named after them and their story. As a matter of fact, in addition to the Óðáðahraun, there are the geyser called Eyvindarhver, the ruins of a stone hut called Eyvindarkofi and a sheepfold called Eyvindarrétt. A hole where the couple used to shelter is called Eyvindarhellir, and you will certainly remark the etymological identity with hell.

(to be continued)
SLEEP, MY YOUNG LOVE

Sleep my young love,
Outside the rain cries.
Mother will keep your treasure,
Old leg bones and a chest of stones.
We should not be awake on dark nights.

The darkness knows so plenty
And my mind is so heavy.
How often did I gaze at the black sands
Burning the green meadows.
I hear deadly deep cracks in the glacier.

Sleep well, sleep tight,
Better to wake up late.
Mother will teach you sooner
’til the sun reaches the horizon
That men love, lose, cry and live in sorrow.

30/7/2015 - 18:43




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