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The Ruin [Wrætlic is þæs wealstan]

anonimo


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[ca. VII secolo]]
Dal Libro di Exeter
[ab. VII century]
From the Exeter Book

The Ruin nel Libro di Exeter, con le gravi bruciature.
The Ruin nel Libro di Exeter, con le gravi bruciature.


Ed eccoci, finalmente, alla Rovina. C'è un perché nel “finalmente” che ho detto: con questa pagina doveva cominciare il mio “excursus” anglosassone in questo sito, praticamente certo che mai le CCG fossero state sfiorate dall'antica lingua di Cædmon, di Cynewulf e di Alfredo il Grande. Mi sbagliavo. Quando ho inserito il testo della “Rovina”, mi sono accorto che il computo delle lingue non era aumentato di una; e mi sono accorto che, qualche mese fa, ci aveva già pensato Bartleby. Sacré Bernart; ha una singolare caratteristica, quella di andare a pescare cose che mi ricollegano a un passato lontano, sia oggettivo che personale. Perdipiù in un periodo come quello attuale, dove un presente sempre più desolante mi ha di nuovo spinto verso le mie origini medievalistiche, che sono sempre là a farmi da rifugio, da buen retiro quando l'osservazione dell'attualità mi dà crisi di rigetto. Allora, senza sterili idealizzazioni perché non ho l'animo di un fantasticatore, faccio le valigie per un po'; ma non sono valigie cariche di castelli in aria da fiction televisiva o da romanzetto, sono valigie piene di libri di storia e di testi antichi presi così come sono.

Se, nella sua scorribanda anglosassone, Bernart ha preso due testi parecchio controversi e problematici (sono, lo ricordiamo, Wulf e Eadwacer e il Wife's Lament), interpretati secondo una data ottica e per i quali mi sono sentito obbligato a fornire qualche ulteriore informazione che desse conto delle altre interpretazioni possibili (oltre che a rimettere un po' in sesto la presentazione dei testi), il testo che presento qui è un po' antitetico, per motivi opposti. Wulf e Eadwacer e il Wife's Lament sono testi integri che presentano, però, problemi interpretativi notevolissimi; la Rovina è invece un testo piuttosto chiaro dal punto di vista dell'interpretazione, ma che presenta invece gravi problemi testuali dovuti alle vicissitudini del codice. La parte del Libro di Exeter che contiene tale componimento, infatti, è assai danneggiata per l'incendio che, nel 1731, rischiò di distruggere tale fondamentale testimonianza dell'antica poesia inglese. In particolare, i fogli del codice 123b-124b, che contengono La Rovina (un titolo che appare amaramente ironico...) sono rovinati da due profonde bruciature diagonali che ne rendono impossibile la lettura completa. Nel codice, la Rovina è preceduta da 34 enigmi e immediatamente seguita dal Messaggio del marito, che qui non può trovare posto.

Trovare posto, appunto. La Rovina, tra i tre “fragmenta” di poesia anglosassone (tutta rigorosamente musicata in epoca moderna, se già non lo era in epoca antica...), è quello che -forse- ha le maggiori “chances” di essere in argomento diretto con questo sito. Se l'interpretazione in chiave di oppressione della donna dei due Frauenlieder summenzionati è, oggettivamente, una delle tante (anche se largamente diffusa), la Rovina ci parla, dal punto di vista di un osservatore del VII secolo, della desolata visione di una città romana che si sta disfacendo rapidamente dopo l'abbandono totale della Britannia da parte della Romanità.

La città in questione pare essere l'odierna Bath, vale a dire l'antica Aquae Sulis romana. Fondata nel 43 d.C. per sfruttare le sue sorgenti termali, conosciute comunque già dai primitivi Celti della zona e, in definitiva, da circa 2500 anni, Aquae Sulis fu fiorentissima fino all'abbandono romano della Britannia, avvenuto nel IV secolo. L'osservatore della sua rovina, nel VII secolo, sembra essere un principe Sassone, dalla sua residenza. William Johnson vede in questa poesia non la descrizione dell'aspetto fisico del sito, ma piuttosto uno sforzo d'immaginazione per "mettere in relazione le rovine di pietra e gli esseri umani, come riflesso simbolico l'uno dell'altro". Johnson vede la poesia come una metafora dell'esistenza umana, una dimostrazione del fatto che ogni forma di bellezza deve giungere a una fine. Considerando questo aspetto, l'anonimo autore potrebbe star descrivendo la decadenza dell'Impero Romano, mostrandone gli edifici, un tempo splendidi e grandiosi, ridotti in rovina esattamente come l'Impero stesso.

Una prospettiva del genere, naturalmente, può innestare alcune considerazioni anche in un'ottica moderna; insisto su questo punto perché le antiche composizioni anglosassoni sono comunque, e per forza di cose, soggette all'interpretazione dell'uomo di oggi. Quale fosse l'esatta coscienza di un osservatore del VII secolo, inserito in una data società, può essere solo materia di congettura. Quale sarà stata, ad esempio, l'esatta conoscenza storica di un principe Sassone del VII secolo? Nelle sue personali e desolate considerazioni alla visione dell'antica città in disfacimento, avrà avuto presente -seppur sommariamente- le vicende di ciò che gli stava davanti? Non è possibile dirlo. Un osservatore moderno, però, può e deve ripercorrere le vicende della Britannia romana, dalla parziale conquista di Cesare fino all'abbandono, passando per le sanguinose scorribande sul limes del Vallo di Adriano da parte delle popolazioni celtiche del nord, mai assoggettate, e per l'altrettanto sanguinosa spedizione dell'imperatore Settimio Severo (e di suo figlio Caracalla), che fallì -Settimio Severo trovò la morte a York. Sentendo parlare di “caduta degli imperi” nel componimento anglosassone, si avvertono comunque gli echi di tali accadimenti. Certamente, parlare sia di una precisa coscienza storica, sia di una percezione della violenza che sottostava alla creazione di quella città un tempo fiorente, è assolutamente fuori luogo; ma, nella nostra ottica, il “riflesso simbolico” della rovina delle pietre e della rovina umana sembra voler dire che ciò che è stato edificato con la violenza e con la guerra perisce nella polvere e nel disfacimento. Si tratta, chiaramente, di un'interpretazione del tutto “emotiva” che, va detto, mi è sempre venuta in mente da quando conosco La Rovina -e non è da poco. Si aggiunga a questo, che il componimento, pur nella sua grave lacunarità, è tra i più belli dell'intero corpus poetico anglosassone; ma, del resto, ogni interpretazione “emotiva” è alla base delle ipotesi che ogni storico e filologo si occupa poi di dimostrare documentalmente, se ve n'è chiaramente la possibilità. Se non esiste, l'interpretazione resta così com'è, allo stadio di congettura personale che comunque ha una sua ragion d'essere.

Da una prospettiva più realistica, come scrive Arnold Talentino, si può vedere in questa poesia una rabbiosa condanna del popolo che aveva condotto a una tale rovina. Storicamente è assai plausibile poiché rifletterebbe una concezione molto cristiana di “distruzione”, un tema assai comune nella poesia anglosassone. Talentino afferma che “"la sua [dell'autore] visione di ciò che un tempo era stato e i suoi pensieri al riguardo indicano che sono stati i precedenti abitanti della città a causare la sua caduta, e che le sue mura crollate sono, almeno in parte, l'effetto del crollo di una certa struttura sociale".

Analoghe suggestioni deve avere avuto Peter Hammill, il fondatore dei Van Der Graaf Generator, quando nel suo album pH7, del 1979, inserì una canzone, Imperial Walls, il cui testo consta in pratica della traduzione in inglese moderno dei primi versi di The Ruin. Dal VII secolo al progressive rock: se lo sarebbe mai immaginato il principe Sassone, mentre guardava le rovine dell'antica città? Ma le suggestioni moderne non si sono fermate qui, come quella dell'autore del video seguente, che ha utilizzato la poesia, declamata nell'originale anglosassone, come metafora della rovina dell'attuale civiltà industriale. Una rilettura anch'essa emotiva, e attualissima. [RV]

Wrætlic is þæs wealstan;          wyrde gebræcon,
burgstede burston,       brosnað enta geweorc.
Hrofas sind gehrorene,             hreorge torras,
hrungeat berofen,                       hrim on lime,
scearde scurbeorge           scorene, gedorene,
Aeldo undereotone.                   Eorðgrop hafað
waldendwyrhtan,          forweorone, geleorene
heard gripe hrusan,                   oþ hund cnea
werþeoda gewitan.             Oft þæs wag gebad,
ræghar and readfah,                 rice  æfter oþrum,
ofstonden under stormum; steap

IX. geap gedreas wonað giet se............num ge
X. heapen felon.........................................................grimme
XI. gegrunden............................................................a scan heo
XII. …........................................................................orþone ær sceaft
XIII. ….......................................................................lam rindum beag mod mo
XIV. …....ry ne swiftne gebrægd          hwæt red in hringas

                                                hygerof gebond
weallwalan wirum                  wundrum togæedre.
Beorht wæeron burgræced,          burnsele monige,
heah horngestreon,                 heresweg micel,
meodoheall monig                    mondreama full,
oþþæt þæt onwende,                  wyrd seo swiþe
Crungon walo wide,             cwoman woldagas
swylt eall fornom                      secgrofra wera;
wurdon hyra wigsteal               westenstaþolas
brosnade burgsteall.               Betend crungon,
hergas to hrusan.    Forþon þas hofu dreorgiað
and þaes teaforgeapa               tigelum sceadeð
hrostbeages hrof.             Hryre wong gecrong
gebrocen to beorgum           þær iu beorn monig
glædmod and goldbeorht         gleoma gefrætwed,
wlonc and wingal                   wighyrstum scan,
seah on sinc, on sylfor,           on searogimmas,
on ead, on æht,                         on eorcanstan,
on þas beorhtan burg                  bradan rices.
Stanhofu stodan,                stream hate wearp
widan wylme;                        weal eall befeng
beorhtan bosme.                  

XXX. þær þa baþu wæron on hreþre þæt wæs hyðelic leton þonn
XXXI. geotan …...............................................ofer harne stan hate strea
XXXII. mas un ….............................................oþ þæt hring
XXXIII. mere hate ….......................................þær þa ba
XXXIV þu wæron þonne is ….........................
XXXV. re .þ is cynelic þing huse …................
XXVI.                                                               burg
..............................

inviata da Riccardo Venturi - 1/11/2014 - 20:12




Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Roberto Sanesi.

Rovine romane delle terme di Bath, 2003.
Rovine romane delle terme di Bath, 2003.


Da Poemi Anglosassoni, VI-X secolo, traduzione, interpretazione, note e bibliografia a cura di Roberto Sanesi. Ugo Guanda editore, Parma, 1975 (1a ed., Edizioni Lerici, 1964). Pp. 141-142. Si riproduce anche la breve nota alle pagine L-LI dell'introduzione:

"I 49 versi de La Rovina (fogli 123b-124b, seguiti nel Codex Exoniensis solo dagli ultimi 34 Enigmi, sono fra i più gravemente corrotti dal fuoco che guastò il manoscritto. Appartengono probabilmente ai primi anni del VII secolo e si riferiscono quasi con certezza alle rovine della città di Bath, l'antica Aquae Sulis romana famosa per le sue terme. Le rovine della città, che secondo le cronache anglo-sassoni fu distrutta nel 577 (nella Laud Chronicle all'anno 577 si legge: In quest'anno Cuthwine e Ceawlin combatterono contro i Britanni e uccisero tre re, Coinmail, Condidan e Farinmail, in un luogo chiamato Dyrham; e catturarono tre città, Gloucester, Cirencester e Bath.), e forse nuovamente abitata attorno al IX secolo, furono scoperte nel 1755 a cinque metri di profondità."
LA ROVINA

Splendida è la muraglia di pietra, i fati la distrussero;
i forti edifici crollarono, e quest'opera
di giganti si sgretola. I tetti
sono caduti, e le torri in rovina, il portale
di tavole è infranto, e sulla calce
ora è soltanto il gelo, e le tettoie sono
sbrecciate, frantumate, sprofondate,
corrose dal tempo. La morsa della tomba,
il forte abbraccio della terra trattiene gli artefici,
ormai decomposti ora che più di cento
generazioni d'uomini son transitate e scomparse.
Questa muraglia grigia
di licheni e rossastra lungamente vide
regno a regno succedersi, e rimase
salda nelle bufere; ma sebbene fosse
vasta ed eretta ora non è che un cumulo
di rovine, e si sgretola ancora, essa che fu scheggiata dalle armi,
                                                            …...dalle schiere,
la terra crudelmente..............
                                                            …...splendeva
                                         …. l'opera antica con arte ideata,
                                        ….. affondò nella polvere
ed affinò l'ingegno                    …. il suo pensiero rapido;
abile e risoluto meravigliosamente con catene egli
consolidò le fondamenta del muro circolare.
E splendidi palazzi e molte terme v'erano, e una grande
selva d'alti pinnacoli, un gran rumore di popolo,
molte le sale dei banchetti                    ….gente in festa
finché il Fato, il possente, non mutò ogni cosa.
Guerrieri morti attorno; tempi di pestilenza vennero;
la morte tutti distrusse. Gli spalti merlati
altro non furono che luoghi desolati, e la fortezza
si sgretolò. Quelli che avrebbero potuto
edificarla ancora, in moltitudini caddero.
Squallidi quei cortili, e quest'arcata
di pietra rossa. Il tetto, circolare e forte,
con parte delle tegole è crollato, le macerie a mucchi,
là dove un tempo l'uomo
lieto di cuore e luccicante d'oro, stupendamente abbigliato,
orgoglioso e inebbriato dal vino, splendeva nella sua
armatura e guardava i suoi tesori, argento e gemme strane,
le sue ricchezze e i possessi, la pietra preziosa,
quella città lucente entro i suoi vasti domini.
Là si ergevano un tempo edifici di pietra; e dalla fonte
d'acqua bollente un vasto corso rifluiva, e un muro
lo riceveva nel lucente seno, e laggiù proprio al centro
c'erano i bagni caldi, com'era giusto che fosse.
E di là i caldi flussi dell'acqua
si riversavano                                        ….... sopra la pietra grigia
ver......                                                            
fino alla vasca rotonda                          ….... la calda
                                                            ….......dov'erano i bagni
e quindi è ….........                                                                                 
                                                            …...... una cosa regale
un palazzo                                          …....... una città.......

inviata da Riccardo Venturi - 4/11/2014 - 13:25




Lingua: Inglese

La traduzione in inglese moderno di Miller Oberman
Modern English translation by Miller Oberman

THE RUIN

¶ 1 Wondrous is this wall-stone, broken by fate,
¶ 2 the city burst apart, the giant-work crumbled.
¶ 3 Roofs are ruined, towers ruined,
¶ 4 rafters ripped away, hoarfrost on lime,
¶ 5 gaps in the storm-shelter, sheared and cut away
¶ 6 under-eaten by age. The earth grip holds
¶ 7 the mighty makers, decayed and lost to time
¶ 8 held in the hard-gripping ground while a hundred generations
¶ 9 of people watched, then died. Often this wall waited,
¶ 10 lichen gray and red-stained, through one kingdom after another,
¶ 11 stood against storms until steep, deep, it failed.
¶ 12 Yet even now the [ ] heaped over with [ ]
¶ 13 remains [ ]
¶ 14 savagely scraped [ ]
¶ 15 grimly ground up [ ]
¶ 16 [ ] shone [ ]
¶ 17 [ ] skillful work ancient building [ ]
¶ 18 [ ]g [ ] earth-rind bent
¶ 19 the mind [ ] swift motion
¶ 20 the mind-renowned one bound up in firm rings
¶ 21 house walls wonderfully with wire strips.
¶ 22 bright were the fort-buildings, bathhouses,
¶ 23 a wealth of high gables, much martial sound,
¶ 24 many meadhalls full with joy-days
¶ 25 until the force of fate turned that
¶ 26 bodies died all over the place in battle, days of pestilence came
¶ 27 death swept away all of the sword-brave men
¶ 28 This came to be their strife-place, their waste-places,
¶ 29 their battle places became blasted waste,
¶ 30 the fort-place rotted apart. The repairers died,
¶ 31 armies to the earth. For that reason these houses are failing,
¶ 32 the red expanses, the open places and shelters,
¶ 33 and the woodwork of the roof. The place of ruin fell,
¶ 34 broken to mounds where once many men,
¶ 35 mood-glad and gold-bright, clothed in gleaming,
¶ 36 gold-adorned and wine-flushed, war-gear shining,
¶ 37 and looked on treasure, silver, curious gems
¶ 38 on property, on lands, on jewel stones,
¶ 39 on this bright city, this broad realm.
¶ 40 The stone halls stood, the hot stream gushed
¶ 41 in a wide billow, and a wall held all of it
¶ 42 in its bright breast, and that bath was
¶ 43 hot in its heart. That was fitting.
¶ 44 Then they let flow [ ]
¶ 45 hot streams over old stone
¶ 46 [ ]
¶ 47 [ ] until the ringed pool hotly [ ]
¶ 48 [ ] where they were.
¶ 49 When is [ ]
¶ 50 [ ] That is a kingly thing
¶ 51 house [ ]
¶ 52 [ ] city [ ]

inviata da Riccardo Venturi - 4/11/2014 - 14:35




Lingua: Inglese

Imperial Walls di Peter Hammill
Imperial Walls by Peter Hammill



Album: pH7 [1979]
Lyrics: The Ruin, Old English Poem
Music: Peter Hammill

hammph
IMPERIAL WALLS

Strange to behold
is the stone of this wall
broken by fate.

The strongholds are bursten,
the work of giants decaying;
the roofs are fallen,
the towers are tottering,
mouldering palaces roofless,
weather-marked masonry shattering.
Shelters time-scarred,
tempest-marred,
undermined of old.

Earth's grasp holdeth
its mighty builders
tumbled, crumbled,
in gravel's harsh grip
till a hundred generations
of men pass away.

Till a hundred generations of men pass away,
Till a hundred generations of men pass away.

inviata da Riccardo Venturi - 4/11/2014 - 14:47


Bellissimo contributo, Riccardo, offerto con il consueto grande amore che hai per queste antiche cose.

Leggendo la traduzione di Sanesi mi sono tornate in mente le strofe di un'altra canzone già sicuramente presente sul sito, ma non ne ricordavo il titolo, solo l'immagine delle impronte di topo sulla porta di un palazzo principesco ormai in Rovina... Ho inserito "impronte topi" nel potente MdR delle CCG ed ecco la risposta: Four Preludes on Playthings of the Wind.

Chissà che anche Carl Sandburg, come Peter Hammill, non avesse ben presente "La Rovina" dal Libro di Exeter...

Grazie. Saluti.

Bernart Bartleby - 4/11/2014 - 18:27


Ho letto il brano di Carl Sandburg e sono d'accordo con te, Bart. Non vi trovo nulla di cui stupirsi, del resto: se lo stesso Sanesi, nella sua introduzione, specifica che gli antichi componimenti poetici anglosassoni sono l'inizio, perfettamente coerente, della poesia inglese intera, e che i loro contenuti (si pensi all'autentico "stream of consciousness" di Wulf e Eadwacer, 1000 anni prima di Joyce...) non si sono mai spenti, dice la verità. A partire dal grande romanticismo inglese, la poesia anglosassone non ha cessato di fornire materiale e spunti: si pensi ad esempio al fatto che, nel Libro di Exeter, è contenuto un componimento come il Seafarer, il cui protagonista è un "vecchio marinaio", e poi si pensi al Vecchio Marinaio di Coleridge (che, di per sé, riproduce in tutto e per tutto una ballata popolare). Per non parlare del "gusto della rovina" che ispirò, ad esempio, la Tintern Abbey di Wordsworth. Insomma, queste antiche rovine non cessano di risplendere e di porre interrogativi e questioni modernissime, nonché interpretazioni in gran numero.

Saluti cari, e me ne torno nel Medioevo.

Riccardo Venturi - 4/11/2014 - 19:35




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