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Roman de Rou, vv. 845-932 [N'aveit encor gueres regne]

Wace


Lista delle versioni e commenti


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[ca. 1174]
Dal Roman de Rou, vv. 845-932
D'après le Roman de Rou, verses 845-932
From the Roman de Rou, lines 845-932
Musica/Musique/Music: Ignota / Inconnue / Unknown
(Vedi introduzione/ Voir introduction / See Introduction)

romanderou


La Comune dei contadini normanni

Il brano che state per leggere proviene dal Roman de Rou, una cronaca in versi scritta in normanno da Wace (chiamato anche Robert Wace o Maistre Wace attorno al 1174 (Wace visse tra circa il 1110 e morì sicuramente dopo il 1174; ma le uniche scarne notizie biografiche sulla sua figura provengono dalla sua cronaca, dalla quale sappiamo anche che era nato nell'isola di Jersey). Il Roman de Rou copre la storia e gli avvenimenti del Ducato di Normandia dai tempi del capostipite Rollone, conte di Rouen, (845-932; Rollone era nato a Ålesund, in Norvegia, parlava ancora l'antico norvegese e il suo nome è la latinizzazione di Hrólfr) fino alla battaglia di Tinchebray del 28 settembre 1106, che vide la vittoria degli inglesi di re Enrico I. Il Roman de Rou, essendo da sempre considerato come l'epica nazionale normanna, veniva costantemente accompagnato dalla musica, che per alcuni brani è stata conservata.

maistrewace


I versi che vanno dal n° 815 al n° 958 si riferiscono ad un avvenimento occorso probabilmente nei primi anni del Duca Riccardo di Normandia, che regnò dal 996 al 1027; siamo quindi a cavallo tra il X e l'XI secolo. Wace ebbe una sola fonte storica: la Gesta Normannorum ducum scritta in latino dal monaco Guillaume de Jumièges verso il 1070. L'avvenimento preso in esame è una rivolta contadina che aveva assunto forme assai insolite e che venne repressa con ferocia dalle truppe del duca Riccardo; si tratta inoltre, probabilmente, del primo racconto preciso di una rivolta contadina mai apparso in una fonte scritta. Jacques Le Goff, il grande storico del Medioevo, la situa nell'anno 997.

Capolettera di un manoscritto della Gesta Normannorum ducum di Guillaume de Jumièges. Si tratta di un manoscritto della 1a metà del XII secolo conservato presso l'Abbazia di Saint-Evroult, copiato dall'amanuense Orderic.
Capolettera di un manoscritto della Gesta Normannorum ducum di Guillaume de Jumièges. Si tratta di un manoscritto della 1a metà del XII secolo conservato presso l'Abbazia di Saint-Evroult, copiato dall'amanuense Orderic.


Si diceva delle forme insolite che aveva assunto tale rivolta, che tutto fu fuorché un'esplosione incontrollata di rabbia, una jacquerie come ce ne furono molte nei secoli successivi, in Francia e altrove. I contadini normanni della fine del X secolo si erano, infatti, organizzati in una forma assolutamente sbalorditiva e matura, fondando una vera e propria Comune rurale dotata di assemblee locali, di organi rappresentativi e elettivi e di un'assemblea generale, alla quale avevano dato il nome di Cumune. 870 anni prima della Comune di Parigi, per intenderci. Vale a questo punto la pena di leggere la fonte di Wace, vale a dire la Gesta Normannorum ducum di Guillaume di Jumièges, al passo che ci interessa:

”I contadini, riunendo di comune accordo, per tutte le contee della Normandia, moltissime conventicole, decisero di vivere come volevano loro e di regolare a loro modo l'uso delle foreste e dei corsi d'acqua, senza tener conto alcuno delle limitazioni imposte dal diritto stabilito. Per dar peso a tale risoluzione, furono eletti due delegati per ciascuna di tali piccole assemblee del popolo il rivolta, incaricati di portare le decisioni, affinché fossero ratificate, all'assemblea generale. Come il Duca lo apprese, inviò il conte Raoul con una grande truppa affinché proibisse tale assemblea e domasse la rivolta contadina. Non appena ebbe ricevuto tale ordine, il conte fece arrestare tutti i delegati e alcuni altri contadini, fece mozzare loro le mani e i piedi e poi rimandò a casa quei poveri esseri mutilati perché i vicini perdessero ogni voglia di imitarli e si mostrassero più prudenti, terrorizzati di punizioni ancor più dure. I contadini, ammoniti da tali eventi, abbandonarono in fretta i loro conciliaboli e tornarono ai loro aratri.”

La rivolta, come si può vedere, era nata da un paio di cose fondamentali per il mondo contadino: l'uso libero delle risorse forestali e idriche, senza nessun assoggettamento alle limitazioni e alle gabelle feudali (che prevedevano sanzioni durissime). Si devono considerare due cose: la prima è che le risorse forestali, in primis il legno, erano assolutamente decisive per la vita contadina, e sotto ogni aspetto. La seconda è che, in principio, la foresta era patrimonio ducale e feudale esclusivo, ed il suo uso era proibito ai contadini. Solo col tempo, erano riusciti a strappare alcune piccole concessioni, comunque carissime e strettamente controllate. La lotta per il legno è, nell'Europa medievale, paragonabile a quella attuale per le materie prime e il potere feudale agiva, in grandi linee, come oggi agiscono le Multinazionali. Depredando e imponendo il loro volere.

Ancor più che Guillaume de Jumièges, Maistre Wace attribuisce ai contadini normanni una mentalità e un tipo di organizzazione che non è esagerato definire rivoluzionarie. Non è una semplice rivolta quella che organizzano, ma una rivoluzione strutturale al potere ducale e feudale. Non si hanno notizie di un'evento del genere in tutti i secoli successivi, e sarebbe ragionevole chiedersi come fossero arrivati, quei contadini di secoli veramente remoti, a sviluppare la coscienza sociale e politica necessaria per una simile azione assolutamente non improvvisata. Alcuni storici sono riusciti a tracciare dei precedenti, come delle forme di organizzazione contadina nel IX secolo per resistere alle razzie vichighe; lo storico Henri Prentout è ricorso invece a una spiegazione suggestiva, vale a dire alla sopravvivenza di antiche forme di organizzazione sociale proprie della Scandinavia (non bisogna scordare che, all'epoca dei fatti, i normanni ancora non erano francizzati). L'assemblea generale dei contadini normanni (tuttora, in lingua norvegese, “norvegesi” si dice nordmenn...), in effetti, ricorda molto il libero parlamento islandese, l'Alþingi (“cosa di tutti”) che si riunì per la prima volta a Þingvellir nel 930. Prentout è probabilmente nel giusto; in ogni caso, dopo la rivolta del 997 non si ebbero più forme di organizzazione del genere e l'episodio rimase isolato nei secoli fino ai tempi moderni.

La repressione del Duca Riccardo e del Conte Raoul fu spietata, almeno nelle forme enumerate da Wace. Guillaume de Jumièges, nella sua opera, è molto meno diffuso; ma è difficile immaginare una diversa reazione se si tiene conto che la Cumune dei contadini normanni metteva in discussione gli stessi fondamenti del potere feudale, e lo faceva in una forma meditata e avanzatissima. Non si improvvisa una organizzazione politica, e quei lontanissimi e dimenticati contadini normanni, dei quali non si conosce un solo nome, stavano facendo la Rivoluzione. [RV]
N'aveit encor gueres regne
Ne guaires n'aveit duc este
Quant el pais surst une guerre
Ki dut grant mal faire en la terre.
Li paisant et li vilain,
Cil del boschage e cil del plain,
Ne sai par cui entichement
Ne ki les mut premierement,
Par vinz, par trentaines, par cenz
Unt tenu plusurs parlemenz.
Tel parole vunt conseilant,
S'il la poent metre en avant
Que il la puissent a chief traire,
Ki as pluz hauz fera cuntraire.
Priveement ont purparle
E plusurs l'unt entr'eals jure
Que ja mais par lur volunte
N'aurunt seinur ne avoe.
Seignurs ni lur funt si mal nun,
Ne puet aveir a els fuisun
Ne lur guainz ne lur laburs;
Chascun jur vunt a granz dulurs.
En peine sunt e en hahan.
Antan fu mal e pis awan.
Tote jur sunt lur bestes prises
Pur aies e pur servisces.
Tant i a plaintes e quereles
E custummez viez e nuveles
Ne poent une hure aveir pais.
Tute jur sunt sumuns as plais:
Plaiz de forez, plaiz de moneies,
Plaiz de purprises, plaiz de veies,
Plaiz de bies faire, plaiz de moutes,
Plaiz de defaites, plaiz de toutes;
Plaiz d'aguaiz, plaiz de graveries,
Plaiz de medlees, plaiz d'aies.
Tant i a prevoz e bedeaus
E tanz bailiz, vielz e nuvels,
Ne poent aveir pas une hure:
Tantes choses lur mettent sure
Dunt ne se poent derainier!
Chascun vult aveir sun luier.
A force funt lur aveir prendre:
Tenir ne s'osent ne defendre.
Ne poent mie issi guarir:
Terre lur estuvra guerpir.
Ne puent aveir nul guarant
Ne vers seignur ne vers serjant;
Ne lur tienent nul cuvenant.
Fiz a putain, dient auquant,
Pur quei nus laissum damagier?
Metum nus fors de lur dangier!
Nus sumes humes cum il sunt,
Tels menbres avum cum il unt
E autresi granz cors avum
Et autretan suffrir poüm.
Ne nus faut fors cuers sulement.
Alium nus par serement;
Nus aveirs e nus defendum
E tuit ensemble nus tenum.
E s'il nus velent guerrier
Bien avum cuntre un chevalier
Trente u quarante paisanz
Maniables e cumbatanz.
Malveiz serunt e vil li trente.
Bacheler de bele juvente,
Ki d'un ne se porrunt defendre,
S'il se vuelent ensemble prendre.
As maçues e as granz peus,
As sajetes e as tineus,
As haches, as arcs, as gisarmes,
E as pieres ki n'aura armes.
Od la grant gent ke nus avum,
Des chevalers nus defendum!
Ensi porum aler el bois,
Arbres trenchier e prendre a chois.
Es vivers prendre les peissuns
E es forez les veneisuns;
De tut ferum nos voluntez,
Del bois, des eves e des prez.
Par tels diz e par tels paroles
E par autres encor plus foles,
Unt tuit cel cunseil graante
E sunt entreseremente
Ke tuit ensemble se tendrunt
Et ensemble se defendrunt.
Eslit unt ne sai quels ne quanz
Des plus quintes, dels mielz parlanz,
Ki par tut le pais irunt
E les seremenz recevrunt.
Ne pot estre lunges celee
Parole a tante gent portee.
Fust par hume, fust par serjant,
Fust par femme, fust par enfant,
Fust par ivresce, fust par ire,
Assez tost oi Richard dire
Ke vilein cumune fasaient
E ses dreitures li toldreient
A lui e a autres seinurs
Ki vilains unt e vavasurs.
Pur Raül sun uncle enveia.
Ceste busuine li mustra.
Quens iert d'Evreues mult vaillanz,
De plusurs choses bien aidanz.
Sire, dit il, en peis seez:
Vos paisanz a mei lessez;
Ja mar en moverez vos piez.
Mais vos mainees m'enveiez;
Enveiez moi vos chevaliers.
E Richiard li dist: Volontiers.
Dunc enveia en plusurs lieus
Ses espies e ses curlieus;
Tant ala Raol espiant
E par espies enquerant,
Que par malades, ke par seinz,
K'il ateinst e prist les vileins
Qui justoent les parlemenz
E perneient les seremenz.
Raül fu mult de mal talent,
Nes vout mener a jugement:
Tuz les fit tristes e dolenz.
A plusurs fist traire les denz,
Les autres fist especier,
Traire les oils, les puins couper,
E tels i out les garez cuire;
Ne li chaut gueires qu'en muire.
Les autres fist tut vifs rostir,
Et les autres en plum buillir.
Tuz les a fait si cunreer
Hisdus furent a esgarder;
Ne furent puis en lieu veü
K'il ne fussent bien cuneü.
La cumune remest a tant;
N'en firent puis vilain semblant.
Retrait se sunt tuit e demis
De ceo k'il aveient enpris
Pur la poür de lur amis
K'il virent defaiz e malmis.
E li riche li cumpererent
Mais par lur burse s'aquiterent:
Ne lur laissa l'un rien a prendre
De tant cum l'um les pout raendre:
Tels plaiz firent vers lur seinurs
Cum il porent faire meilurs.

inviata da Riccardo Venturi - 20/10/2014 - 20:26



Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
20/21 ottobre 2014

rivcon


Due parole del traduttore. La traduzione è stata volutamente condotta in modo piano e in stile moderno; ciononostante si tratta di un testo scritto oltre otto secoli fa e che narra avvenimenti di oltre mille anni fa. Questo fa sì che, nel testo, esistano forzatamente termini riferentisi a costumi e istituzioni dell'epoca, per i quali si è dovuto ricorrere a delle note esplicative. Qua e là la traduzione si allontana dalla letteralità; in certi punti, un'eccessiva aderenza al testo avrebbe pregiudicato la comprensione. L'antico francese, in ogni sua variante regionale, è lingua assai fluida e espressiva, e tutt'altro che vincolata a schemi rigidi come poi diverrà il francese classico e moderno; tutto ciò lo rende una lingua vivissima.
ROMAN DE ROU, vv. 845-932
[NON REGNAVA CHE DA POCO]

Non regnava che da poco
né era Duca da molto tempo
quando nel paese scoppiò una guerra
che dovette gran male fare alla terra.
I paesani e i bifolchi,
quelli dei boschi e della piana
(non so né chi li fomentò
e né chi li spinse per primo)
a ventine, a trentine, a centinaia
tennero parecchie assemblee.
Discutono di un progetto
che, se lo possono mettere in pratica
e portare a buon fine,
contrarierà assai i maggiorenti.
Hanno deliberato in segreto
e parecchi di essi hanno giurato
che mai di loro buon grado
avranno signore o procuratore. 1
“I Signori non fanno loro che del male, 2
e hanno voglia a lavorare,
a faticare e a sgobbare;
ogni giorno, sono grandi pene.
Sono in pena e in affanno,
una volta era male, oggi è peggio.
Ogni giorno gli prendono gli animali
per degli aiuti 3 e dei servizi.
Ci son talmente tante lamentele
e tasse d'uso 4 vecchie e nuove,
che non possono riposarsi un'ora.
Ogni giorno sono mandati a processo:
processi per foreste e denaro,
processi per recinti e camminamenti,
processi per gore e diritti di macina,
processi per sbagli e sequestri,
processi per servizi di guardia e corvées, 5
processi per liti e aiuti.
Ci son talmente tanti prevosti e messi,
e tanti balivi 6 vecchi e nuovi,
che non possono avere un'ora di respiro:
li accusano di talmente tante cose
delle quali non si possono discolpare!
Ognuno vuole avere il suo beneficio,
fanno sequestrare i loro beni:
non possono aiutarsi né difendersi.
In questo modo non hanno salvezza:
gli toccherà andar via dal paese.
Non c'è nessuno che li protegga
dai signori e dai loro scherani;
quelli non scendono a patti.”
“Figli di puttana”, dicono alcuni,
“Perché ci lasciamo danneggiare?
Liberiamoci dal loro dominio! 7
Noi siamo uomini come loro,
abbiamo braccia e mani come loro
e siamo belli grossi come loro
e possiamo resistere come loro.
Ci manca solo il coraggio.
Giuriamo dunque di allearci;
difendiamo noi e i nostri beni,
e sosteniamoci tutti assieme.
E se ci vogliono far guerra
abbiamo, contro un solo cavaliere,
trenta o quaranta contadini
validi e pronti a combattere.
Quei trenta là, nel fiore degli anni, 8
saranno malvagi e vigliacchi
se non sapranno difendersi da uno solo,
a patto che restino tutti assieme.”
“Con le mazze e grossi pali,
con le frecce e coi randelli,
con asce, archi e guisarme 9
e con le pietre chi non avrà armi,
grazie alla tanta gente che abbiamo
ci difenderemo dai cavalieri!
Così potremo andare nel bosco,
tagliare alberi e prenderne quanti ne vogliamo,
prendere i pesci nei vivai
e la cacciagione nelle foreste;
Ogni cosa sarà a nostra disposizione
del bosco, delle acque e dei prati.”
Con tali detti e tali propositi
e con altri ancor più spinti,
tutti hanno adottato quel progetto
e hanno reciprocamente giurato
che si sosterranno tutti assieme
e che insieme si difenderanno.
Hanno scelto, non so quali e quanti,
i più avveduti e i migliori parlatori
affinché percorressero il paese
e ricevessero le adesioni.
Ma non può a lungo esser tenuta nascosta
una parola d'ordine portata a così tanta gente.
Sia stato da un uomo o da un servo,
da una donna o da un bambino,
sia stato per ubriachezza o in un accesso d'ira,
abbastanza presto Riccardo sentì dire
che i contadini avevano fatto una Comune
e che avrebbero tolto ogni prerogativa
a lui e agli altri Signori
che avevano contadini e valvassori. 10
Mandò un messaggio a suo zio Raoul
e gli parlò di tutto questo affare.
Egli era conte di Evreux e assai valente,
e aveva resso parecchi buoni servigi.
Sire, disse, restatevene in santa pace:
i vostri contadini lasciateli a me.
Non muovete un passo per loro,
ma mandatemi le truppe
dei vostri domini, e i vostri cavalieri.
E Riccardo gli disse: Con piacere.
Quindi mandò un po' dappertutto
le sue spie e i suoi corrieri;
E tanto Raoul fece spiare
e indagare così efficacemente dalle spie,
servendosi sia di malati che di sani,
che scoprì e catturò i contadii
che tenevano le assemblee
e ricevevano i giuramenti.
Raoul fu spietato,
non li volle far portare a giudizio:
ma li rese tutti tristi e dolenti.
A parecchi fece cavare i denti,
altri li fece squartare,
ad altri ancora fece cavare gli occhi e mozzare le mani,
ad altri fece bruciare i tendini;
non gl'importava nulla che morissero.
Gli altri furono arrostiti vivi,
e altri ancora bolliti nel piombo.
Li ha fatti tutti conciare talmente male
che furono tremendi da guardare;
non furon più visti da qualche parte
senza che fossero ben riconoscibili.
La Comune non sopravvisse a tutto ciò:
i contadini se ne guardarono bene.
Tutti si ritirarono e desistettero
da ciò che avevano intrapreso,
spaventati dal vedere i loro amici
messi a morte e torturati.
Chi era ricco fu rilasciato
ma pagò un sacco per riscattarsi:
non fu lasciato loro più nulla
di quel che potevano dare come riscatto.
E i Signori ottennero da loro
le condizioni più vantaggiose.

21/10/2014 - 22:53


NOTE esplicative

[1] Con “procuratore” è stato qui reso il termine avoe del testo originale (avoué in francese moderno; il termine deriva dal latino *advocatu- ed è quindi omologo di “avvocato”). Nella Normandia dell'epoca, un avoe era però il signore feudale che una chiesa o un monastero incaricavano di proteggere i suoi interessi materiali, usando se necessario la forza che il diritto canonico proibiva agli ecclesiastici. Va da sé che, spesso, l'avoe incaricato si serviva, usurpandolo, del potere conferitogli, a suo proprio vantaggio, arrivando a vessare e ricattare gli stessi ecclesiastici che gli avevano dato fiducia.

[2] A partire da questo punto, e fino al verso ”del bois, des eves e des prez”, inizia la riproduzione vera e propria di alcuni discorsi tenuti durante le assemblee contadine. Si tratta di un autentico “resoconto assembleare” e, al tempo stesso, di uno dei rarissimi brani della letteratura medievale dove viene data voce diretta al mondo rurale.

[3] Si è qui tradotto alla lettera aies (francese moderno: aides); ma, propriamente, gli aies erano le imposte percepite dai signori feudali, in alcuni case fissate dall' “uso” (coutume). Si veda la nota successiva.

[4] La “tassa d'uso” (custumme, fr. mod. coutume) era quella imposta dai signori feudali in base ad un “uso antico”; a tale riguardo i balivi (v. nota 6) e i magistrati erano incaricati di verificare l'effettiva antichità di tale uso. Accadeva sovente, però, che venissero applicate nuove tasse che, nel giro di pochi anni, venivano giustificate come “antiche” e quindi rese coutume: si tratta delle celebri consuetudines novae, o malae consuetudines di cui si lagnavano costantemente i commercianti borghesi e gli abitanti delle città dell'epoca.

[5] Qui il termine graverie (derivato da graver “gravare, danneggiare”) indica chiaramente la corvée (dal latino corrogare “richiedere, esigere”), ovvero la prestazione dovuta al signore feudale mediante giornate di lavoro gratuito. In Francia, l'obbligo della corvée fu abolito soltanto il 4 agosto 1789: fu uno dei primi provvedimenti della Rivoluzione.

[6] Tradizionalmente, il “balivo” (termine ancora usato in ordinamenti giuridici moderni, ad es. in Belgio) era un funzionario investito di vari tipi di autorità o giurisdizione: si va dal “messo” (il termine deriva da baiulivu-, forma aggettivale di baiulus “portatore, facchino”) all'ufficiale giudiziario. Qui il balivo è chiaramente un funzionario di polizia.

[7] Il termine originale, dangier, non ha qui ancora il significato moderno di “pericolo” (fr. mod. danger), bensè quello etimologico di “dominio, mercé”. Deriva dal latino dominariu-, che indica “ciò che è sospeso sulla testa di qualcuno”. Essere sotto il dominariu- significava essere alla sua totale mercé, sotto il suo dominio; da qui la sua evoluzione semantica moderna.

[8] Qui si può vedere come bachelier abbia ancora il semplice significato di “giovanotto, ragazzo”: si è scelto di tradurre “nel fiore degli anni” per bacheler de bele juvente “ragazzo di bella gioventù”. Il termine è forse di origine gallica (*baccalare-) e solo in seguito ha assunto il significato di “scapolo” (cfr. l'italiano popolare “è ancora giovanotto” per un uomo non sposato magari di quarant'anni...) e di “studente diplomato”. Qui si è avuta una particolare formazione paraetimologica del tutto fantasiosa: il termine è stato riportato a un fantomatico *bacca-laureatus che poi ha avuto singolare fortuna.

[9] La guisarma è un'asta affine all'alabarda, costituita da un manico di legno e da una lama a doppio taglio terminante a punta.

[10] Da questo si evince come molti valvassori (vassus vassorum “vassallo dei vassalli”), che coprivano il grado più basso dell'ordinamento feudale, avevano fatto causa comune coi contadini dei quali, in gran parte, condividevano le ristrettezze e le umiliazioni. Non è una cosa che sorprende.

Riccardo Venturi - 22/10/2014 - 20:10


Madonna, sono arrivato in fondo a questa pagina...ci devo aver perso un paio di chili solo con la traduzione, scusate lo sfogo...

Riccardo Venturi - 22/10/2014 - 20:13




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