Tu m’hai promesse quatte muccadora,
je muccadora
ie so benuta ie so benuta se me li vu dare.
E sinnò quatte ‘mbè dammene duja
Quille ch’è ‘n cuolle a te quille ch’è ‘n cuolle a te n’è roba tuja.
je muccadora
ie so benuta ie so benuta se me li vu dare.
E sinnò quatte ‘mbè dammene duja
Quille ch’è ‘n cuolle a te quille ch’è ‘n cuolle a te n’è roba tuja.
inviata da DoNQuijote82 - 27/8/2014 - 00:13
Lingua: Italiano
traduzione italiana dal libretto dello spettacolo
Tu m’hai promesso quattro fazzoletti (di terra).
Sono venuta se me li vuoi dare.
Se non quattro dammene due
Quello che hai al collo non è roba tua.
Sono venuta se me li vuoi dare.
Se non quattro dammene due
Quello che hai al collo non è roba tua.
inviata da dq82 - 27/8/2014 - 00:14
Lingua: Napoletano
Il canto delle lavandaie del Vomero
In realtà, si tratta di un canto molto più antico: il Canto delle lavandaie del Vomero è uno dei primi documenti della lingua napoletana, e le sue origini si perdono nella Napoli medievale e sveva. Con il suo rigore filologico, sfociato nella Nuova Compagnia di Canto Popolare, Roberto De Simone stabilì che le origini del canto devono essere fatte risalire al XII o XIII secolo; e si trattava di un “contrasto” che le lavandaie napoletane intonavano per darsi il ritmo nel duro lavoro quotidiano al Vomero, allora una collina rurale non considerata nemmeno nella cerchia cittadina napoletana vera e propria. Dalla NCCP può ascoltarsi qui il canto originale in tutta la sua bellezza. Quale che sia il periodo della sua origine, esiste comunque una testimonianza di eccezione: il canto fu udito infatti da Giovanni Boccaccio, che passò a Napoli tutta l'adolescenza (tra il 1327 e il 1340), e che ne parla in una sua lettera impressionato dalla sua bellezza. Effettivamente, nel secolo XV al tempo della dominazione aragonese il canto aveva assunto una valenza di protesta contro la dominazione straniera; in particolare, i “muccadora” stanno per la “terra usurpata”. Ma il tutto riadattando a una data situazione, in chiave simbolica, un canto di tradizione assai più antica: un procedimento comunissimo nella tradizione popolare. Ma, secondo alcune ipotesi, si trattava di una connotazione di protesta che il canto avrebbe avuto sin dall'origine, e il riferimento cinquecentesco alla dominazione aragonese andrebbe spostato addirittura a Federico II di Svevia. Quel che resta certo, è che il Canto delle Lavandaie del Vomero è una delle prime due canzoni napoletane che si conoscano (l'altra è la coeva Jesce sole, che in grandi linee è un canto di invocazione pagana ancora in pieno medioevo; anche questo canto apparteneva alle lavandaie del Vomero). [RV]
In realtà, si tratta di un canto molto più antico: il Canto delle lavandaie del Vomero è uno dei primi documenti della lingua napoletana, e le sue origini si perdono nella Napoli medievale e sveva. Con il suo rigore filologico, sfociato nella Nuova Compagnia di Canto Popolare, Roberto De Simone stabilì che le origini del canto devono essere fatte risalire al XII o XIII secolo; e si trattava di un “contrasto” che le lavandaie napoletane intonavano per darsi il ritmo nel duro lavoro quotidiano al Vomero, allora una collina rurale non considerata nemmeno nella cerchia cittadina napoletana vera e propria. Dalla NCCP può ascoltarsi qui il canto originale in tutta la sua bellezza. Quale che sia il periodo della sua origine, esiste comunque una testimonianza di eccezione: il canto fu udito infatti da Giovanni Boccaccio, che passò a Napoli tutta l'adolescenza (tra il 1327 e il 1340), e che ne parla in una sua lettera impressionato dalla sua bellezza. Effettivamente, nel secolo XV al tempo della dominazione aragonese il canto aveva assunto una valenza di protesta contro la dominazione straniera; in particolare, i “muccadora” stanno per la “terra usurpata”. Ma il tutto riadattando a una data situazione, in chiave simbolica, un canto di tradizione assai più antica: un procedimento comunissimo nella tradizione popolare. Ma, secondo alcune ipotesi, si trattava di una connotazione di protesta che il canto avrebbe avuto sin dall'origine, e il riferimento cinquecentesco alla dominazione aragonese andrebbe spostato addirittura a Federico II di Svevia. Quel che resta certo, è che il Canto delle Lavandaie del Vomero è una delle prime due canzoni napoletane che si conoscano (l'altra è la coeva Jesce sole, che in grandi linee è un canto di invocazione pagana ancora in pieno medioevo; anche questo canto apparteneva alle lavandaie del Vomero). [RV]
Tu m’aje prummise quatte muccatora
oje muccatora, oje muccatora!
Tu m’aje prummise quatte muccatora
oje muccatora, oje muccatora!
Io so’ benuto se, io so’ benuto
se me lo vuo’ dare,
me lo vuo’ dare!
E si no quatte embe’, rammenne ddoje
rammenne ddoje, rammenne ddoje!
E si no quatte embe’, rammenne ddoje
rammenne ddoje, rammenne ddoje!
chillo ch’è ‘ncuollo a tte nn’e’ rroba toja,
nn’e’ rroba toja,
nn’e’ rroba toja!
oje muccatora, oje muccatora!
Tu m’aje prummise quatte muccatora
oje muccatora, oje muccatora!
Io so’ benuto se, io so’ benuto
se me lo vuo’ dare,
me lo vuo’ dare!
E si no quatte embe’, rammenne ddoje
rammenne ddoje, rammenne ddoje!
E si no quatte embe’, rammenne ddoje
rammenne ddoje, rammenne ddoje!
chillo ch’è ‘ncuollo a tte nn’e’ rroba toja,
nn’e’ rroba toja,
nn’e’ rroba toja!
inviata da Riccardo Venturi - 27/8/2014 - 11:38
Bellissima canzone , mi sono innamorata ! Vorrei scaricarla ma non so come ?
Aleksandra Lazich - 17/6/2016 - 12:36
Viene intonata a più riprese ne "Il Decameron" di Pier Paolo Pasolini (1971).
Abel Ferrara, nel suo "Pasolini" (2014), la inserisce sul finale, quando Pasolini (William Dafoe) e Pino Pelosi (Damiano Tamilia) si avviano verso la spiaggia d'Ostia, in automobile, nella versione cantata da Roberto Murolo.
Abel Ferrara, nel suo "Pasolini" (2014), la inserisce sul finale, quando Pasolini (William Dafoe) e Pino Pelosi (Damiano Tamilia) si avviano verso la spiaggia d'Ostia, in automobile, nella versione cantata da Roberto Murolo.
Salvo Lo Galbo - 14/2/2017 - 01:06
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Dallo spettacolo “Ci ragiono e canto, vol. 2”, scritto da Dario Fo nel 1969, come messo in scena nel 1977 dal Collettivo teatrale La Comune (con Concetta Busacca, Pina Busacca, Delio Chittò, Giorgina De Negri, Ciccio Giuffrida, Pino Masi, Amedeo Merli, Gaia Mezzadri, Norma Midani, Ivana Monti, Piero Sciotto e gli Aggius, ossia il Coro del Galletto di Gallura).
Testo trovato sul libretto dello spettacolo.
Canto antico del XV secolo cantato dal popolo napoletano per protestare contro la mancata ridistribuzione della terra promessa da Alfonso D’Aragona. Infatti i fazzoletti di cui si parla sono gli appezzamenti che il potere si è tenuto per sé.