Dieci giorni alla bonifica e dodici all’azienda
ventidue giornate in tutto di lavoro
novecentoquarantotto anno -disoccupazione
per Francesco Labarona, bracciante di Orta Nova.
Primi giorni di febbraio, non arrivano i sussidi
e i padroni non si fanno più trovare,
vanno tutti nella piazza i braccianti di Orta Nova
ma la Celere e già lì con i mitra ad aspettare.
A Roma ha deciso fame
chi amministra miseria
e per noi né lavoro, né pane,
dei braccianti non hanno pietà.
E si scambiano i respiri muti con gli sguardi tesi
sette giorni non si stancan di rivendicare,
chissà quanti in quella piazza altre volte hanno sentito
rinviata la morte soltanto per un dito.
Il rosario dei fucili del governo si e già sciolto,
gli affamati con il sangue sporcan muri e strade.
Muove dai tuoi occhi come un lampo il suo colore
e ricade che è vendetta, Francesco, nel tuo cuore.
A Roma ha deciso catene
chi ci promette l’America,
con i mitra ci manda la Celere,
mai nel Sud ci sarà libertà.
Ricomincia il vecchio gioco, ma si sa che finirà
se un bambino morde pane e ride là nell’ombra.
Noi non porteremo i panni, quegli stessi di una volta,
siamo stanchi di aspettare ancora sulla porta.
Da Roma trent’anni di morte,
piombo e miseria… lo sai.
e la piazza del Sud svende ancora,
qui la fiera non finisce mai.
ventidue giornate in tutto di lavoro
novecentoquarantotto anno -disoccupazione
per Francesco Labarona, bracciante di Orta Nova.
Primi giorni di febbraio, non arrivano i sussidi
e i padroni non si fanno più trovare,
vanno tutti nella piazza i braccianti di Orta Nova
ma la Celere e già lì con i mitra ad aspettare.
A Roma ha deciso fame
chi amministra miseria
e per noi né lavoro, né pane,
dei braccianti non hanno pietà.
E si scambiano i respiri muti con gli sguardi tesi
sette giorni non si stancan di rivendicare,
chissà quanti in quella piazza altre volte hanno sentito
rinviata la morte soltanto per un dito.
Il rosario dei fucili del governo si e già sciolto,
gli affamati con il sangue sporcan muri e strade.
Muove dai tuoi occhi come un lampo il suo colore
e ricade che è vendetta, Francesco, nel tuo cuore.
A Roma ha deciso catene
chi ci promette l’America,
con i mitra ci manda la Celere,
mai nel Sud ci sarà libertà.
Ricomincia il vecchio gioco, ma si sa che finirà
se un bambino morde pane e ride là nell’ombra.
Noi non porteremo i panni, quegli stessi di una volta,
siamo stanchi di aspettare ancora sulla porta.
Da Roma trent’anni di morte,
piombo e miseria… lo sai.
e la piazza del Sud svende ancora,
qui la fiera non finisce mai.
inviata da Riccardo Venturi - 29/5/2014 - 18:51
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[1975]
Testo e musica di Nadia Furlon e Mario Acquaviva
Album: Quarto Stato
Lyrics and music by Nadia Furlon and Mario Acquaviva
Album: Quarto Stato
"E' stato uno dei primi gruppi della Cooperativa L’Orchestra, l'etichetta musicale degli Stormy Six. Il loro disco, che prendeva il nome Quarto Stato, uscito nel 1975, ha avuto un certo ruolo nel campo della nuova musica politica, grazie alle numerose esibizioni, sostenute anche all’estero, soprattutto in Germania. Il disco era firmato dai due componenti del Quarto Stato, Nadia Furlon e Mario Acquaviva, che provenivano dalla Commissione Culturale del Movimento Studentesco, e si avvaleva del contributo di musicisti occasionalmente strappati al terreno jazzistico, Gaetano Liguori, Roberto Del Piano. C’erano alcuni pezzi che si elevavano sopra gli altri, Il brigante, Luca Marano (ripresi dalle tradizioni popolari del sud) e Non è tempo... Per dissapori con L’Orchestra il Quarto Stato non incise poi più nulla, preferendo suonare in giro e preparare nel 1978 uno spettacolo (“Contrasto”) alquanto ambizioso ma che si tramutò in un disastro a tutti i livelli. Questo forse contribuì allo sfaldamento e alla disgregazione del duo".
2. Orta Nova 1948
3. Il brigante
4. Cantata per Rocco Scotellaro
5. Tonino e Carlo Magno
6. Il pullmann
7. Non è tempo...
Quel che invece mi è riuscito ricostruire, è il febbraio 1948 nell’intero Tavoliere delle Puglie; i fatti di Orta Nova debbono evidentemente esservi situati. Una protesta bracciantile nell’ambito di quel mese di febbraio, che segnò l’apertura della campagna elettorale per le storiche elezioni politiche del 18 aprile 1948, quelle che portarono alla schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana ed alla sconfitta del Fronte Popolare dopo l’esclusione del PCI dal governo come condizione principale per l’attuazione del Piano Marshall. In pratica, la definitiva assegnazione dell’Italia al blocco atlantico in attuazione degli accordi di Yalta, ed anche l’apertura della Guerra Fredda. Il 9 febbraio 1948 il ministro degli interni italiano, Mario Scelba, convocò i comizi fissando la data delle elezioni per il 18 aprile; iniziavano così le “elezioni della paura” , col paese spaccato in due: da un lato da Democrazia Cristiana e i partiti che sostenevano il quarto governo a guida De Gasperi, socialdemocratici e repubblicani; dall´altra i comunisti e i socialisti riuniti nelle liste unitarie del “Fronte Democratico Popolare per la pace, la libertà e il lavoro”, nato ufficialmente a Roma nel dicembre del 1947 in un convegno alla presenza di Togliatti, Di Vittorio, Longo, Lizzardi, Basso.
E’ necessario a questo punto un breve excursus che riguarda i reparti Celere, che erano stati istituiti proprio da Mario Scelba per il pronto intervento in occasione di qualunque manifestazione ove ci fossero stati problemi di ordine pubblico. Fin dal primo dopoguerra, nelle forze di Pubblica Sicurezza era stato presente un numero abbastanza cospicuo di elementi che avevano svolto la lotta partigiana in formazioni di sinistra, particolarmente comuniste; la Polizia italiana prima di Scelba presentava quindi una componente “rossa” che preoccupava non poco le forze reazionarie che si preparavano a prendere in mano il paese nel periodo della ricostruzione assistita con gli aiuti americani. Fu proprio Scelba a togliere di mezzo dalla Polizia questa sgradita componente, servendosi di svariati mezzi: dalle generose buonuscite per dimettersi dalle forze dell’ordine, ai provvedimenti disciplinari e ai trasferimenti in località lontanissime da quelle di origine e di residenze delle famiglie. Non bisogna scordarsi che la Pubblica Sicurezza di allora era un corpo pienamente militare, agli ordini diretti del Ministro degli Interni. Fu così che fu istituita la Celere, formata da elementi fidati e “corretti” dal punto di vista politico (ed ulteriormente indottrinati in seguito); la repressione poteva cominciare in modo brutale ed efficiente. Si noti bene che lo stesso ministro Scelba che “convocava i comizi” per le elezioni che dovevano consegnare l’Italia a cinquant’anni di regime democristiano era lo stesso che aveva istituito e che comandava i celerini mandati a reprimere qualsiasi cosa.
L’8 febbraio 1948, a San Ferdinando di Puglia, centro del Tavoliere non lontano da Orta Nova e facente parte allora anch’esso della provincia di Foggia (dal 2004 è entrato in quella di Barletta-Andria-Trani), come in moltissimi altri centri di tutta Italia, era stata organizzata una manifestazione del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista. Quello stesso giorno, una domenica, era annunciata nel centro ofantino la visita pastorale del vescovo di Trani e gli stessi dirigenti comunisti e socialisti avevano liberamente optato di spostare l´iniziativa di costituzione del Fronte al giorno successivo, lunedì 9, per evitare qualsiasi turbamento dell´ordine pubblico.
Il timore di incidenti non era infondato. A San Ferdinando agivano numerosi gruppi di destra, radunati attorno alla sezione dell´Uomo Qualunque, che trovavano protezione e sostegno non solo negli agrari del posto ma nella stessa coalizione di destra che reggeva l´amministrazione comunale, e nel corpo dei vigili notturni, delle guardie campestri e delle guardie giurate. Tra loro ex fascisti, qualunquisti, monarchici, che avevano già annunciato come avrebbero mal tollerato la manifestazione si comunisti e socialisti se questa avesse assunto caratteristiche di massa e larga partecipazione popolare. Un proposito chiaramente intimidatorio che aveva indotto i promotori a recarsi presso la caserma dei carabinieri, nel primo pomeriggio del 9 febbraio, per chiedere un dispiego di forze che garantisse lo svolgimento pacifico della manifestazione. Già nel corso della riunione con le forze dell´ordine, giunsero in caserma la notizia dei primi disordini. La situazione stava già precipitando.
Essendo stato vietato il corteo, le cellule del Partito Comunista si erano organizzate in modo da assicurare l´affluenza in piazza Matteotti, luogo prescelto per il comizio, attraverso un primo raduno presso le singole sezioni del partito, con l´esposizione e lo sventolio delle bandiere rosse, e un successivo a simultaneo concentramento nella piazza da parte di tutti i militanti, in modo da mostrare la grande forza organizzativa. Ma prima ancora che il piano si completasse, erano cominciati gli assalti e le azioni delle squadracce fasciste e qualunquiste, che puntavano a impedire la manifestazione che si annunciava imponente. Le cariche colpirono le singole sezioni, i loro vessilli, i militanti lì radunati. Le minacce e le
azioni violente erano accompagnate da spari di mitra e pistole. In vari punti della città si registrano aggressione e lavoratori, uomini e donne, selvaggiamente bastonati.
Scattarono le prime denunce ma i carabinieri si astennero scientificamente da qualsiasi intervento che poteva assicurare il regolare svolgimento del comizio del Fronte Democratico Popolare e l´incolumità dei partecipanti. La situazione sarebbe anzi di lì a poco degenerata. L´aggressione al capocellula Francesco Frascolla da parte di alcuni squadristi, ferito gravemente alla testa, e la sua conseguente difesa –lo sparo di un colpo d´arma da fuoco che colpì ad una natica uno degli assalitori- scatenò la violenta rappresaglia dei fascisti. Dove aver appiccato un rogo in piazza con le bandiere rosse requisite negli assalti alle sezioni del Pci, assaltarono la cellula numero 9, quella di Frascolla, a colpi di mitra e pistola. L´assalto fu esteso alla sede dell´Anpi e della Camera del Lavoro.
A morire in seguito ai violenti scontri furono quattro lavoratori: Giuseppe De Michele, Nicola Frantone, Vincenzo De Niso, Giuseppe Di Troia. Non fu risparmiato nemmeno il piccolo Raffaele Riontino, di 7 anni, trovato senza vita sotto un tavolo nella sede dell´associazione partigiani, dove aveva inutilmente cercato riparo. Altri 10 lavoratori, tutti militanti comunisti, rimasero feriti. Lo squadrista assassino che aveva avuto il coraggio di infierire su un bambino di 7 anni, aveva gridato “Por i rpudd ma luè da nend!” (“Anche i piccoli dobbiamo eliminare!”)
La stampa italiana diede notevole risalto ai fatti di San Ferdinando, in seguito dei quali in provincia di Foggia fu proclamato l´11 febbraio 1948 uno sciopero generale. I fascisti e i qualunquisti, gli agrari, sostenuti nella loro versione dei fatti dalla Gazzetta del Mezzogiorno, rivendicavano la legittima difesa e le provocazioni violente dei socialcomunisti come causa scatenante degli incidenti verificatisi. Tutta la stampa governativa e gli stessi esponenti politici nazionali avvaloravano la tesi dei provocatori e fomentatori comunisti. Forti le denunce che si levarono dai dirigenti del Pci, su tutti Di Vittorio, che ben conosceva la forte influenza esercitata dal fascismo agrario nelle zone del Basso Tavoliere.
L´azione giudiziaria nei confronti dei responsabili dell´eccidio durò 7 anni, fino alla definitiva sentenza della corte d´Appello di Bari del 2 marzo 1955. Alla fine furono 28 gli imputati accusati a vario titolo di lesioni, omicidio e concorso in omicidio. Le pene maggiori per 7 di essi, con condanne da 17 ai 26 anni di reclusione. Non venne però riconosciuto il reato di strage.
Questo dunque il clima nel Tavoliere delle Puglie nel febbraio 1948. Quali che siano stati i fatti di Orta Nova sui quali nulla si riesce a reperire (ma, notoriamente, questo sito ha pazienza e ostinazione), è evidente che non è possibile separarli dal clima della terribile campagna elettorale del 1948, dall’intimidazione degli agrari e delle forze reazionarie al potere, dalle interferenze ecclesiastiche, dalle condizioni del lavoro nella zona considerata il “granaio d’Italia”. Il nome del bracciante Francesco Labarona sembra essere stato consegnato solo a questa canzone di un piccolo gruppo con all’attivo un solo album, dimenticato anch’esso; proprio per questo concludo questa introduzione rinnovando un appello. Chi sa, parli. [RV]