Shosholoza
Kulezo ntaba
Stimela siphum' eSouth Africa
Kulezo ntaba
Stimela siphum' eSouth Africa
Wen' uyabaleka
Wen' uyabaleka
Kulezo ntaba
Stimela siphum' eRhodesia
Kulezo ntaba
Stimela siphum' eSouth Africa
Kulezo ntaba
Stimela siphum' eSouth Africa
Wen' uyabaleka
Wen' uyabaleka
Kulezo ntaba
Stimela siphum' eRhodesia
inviata da Riccardo Venturi - 2/1/2014 - 11:44
Lingua: Italiano
Che cosa significa il testo di Shosholoza?
(Un tentativo di traduzione italiana un po' analitica)
Ogni tentativo di traduzione da una lingua africana ha la tendenza a dover essere preso “così com'è”, senza capire davvero perché è così. Basandomi quindi sullo xhosa, lingua praticamente uguale sia allo ndebele che allo zulu e della quale ho una conoscenza sia pure del tutto elementare, ho fatto questa traduzione che vado qui di seguito a spiegare in modo più che semplice.
Shosholoza è un esempio meraviglioso di come le lingue bantu in genere (lo ndebele, lo zulu e lo xhosa sono lingue bantu) formano parole di origine onomatopeica aggiungendo soltanto i dovuti prefissi e suffissi di classe. Una motocicletta fa thu thu thu? Ebbene, in xhosa “motocicletta” si dice isithuthuthu (ove isi- è il prefisso della propria classe di sostantivi). Così, un treno a vapore fa sho sho (corrispondente al nostro “ciuf ciuf”)? Il verbo all'imperativo shosholoza vuol dire “vai avanti facendo ciuf ciuf”. E così dovrebbe essere tradotto, non soltanto “vai avanti”. Kulezo ntaba (e non ku lezontaba come si legge in parecchi testi in rete) vuol dire “su quelle montagne”; ntaba corrisponde allo xhosa iintaba (plurale di intaba). Di stimela abbiamo già parlato; è una specie di “vocativo”. Nelle lingue bantu sudafricane il vocativo si ottiene togliendo il prefisso di classe: ad esempio, in xhosa è isitimela (plurale: izitimela “treni”, “navi a vapore”), ma per dire “treno!”, si ha timela. Non sto qui naturalmente a andare troppo oltre, ma in queste lingue molti verbi possono essere sostantivizzati con l'aggiunta di prefissi e fungere quindi sia da aggettivi che da participi; indi per cui il verbo -phuma (anche in xhosa) munito del prefisso di classe (i)si significa: “che sei uscito, uscito”. Questo il significato proprio del verbo: “uscire”, “venire fuori”. South Africa (e Rhodesia/Zimbabwe nell'ultimo verso) sono muniti del prefisso e- che indica provenienza, moto da luogo. Infine il verbo -baleka “correre, scorrere” (anche in xhosa) si trova qui al presente indicativo intransitivo: è munito nell'ordine del prefisso u-, che indica la II persona singolare, e dell'infisso -ya- che indica l'intransitività o l'assenza del complemento oggetto. Funziona così: se, ad esempio, un verbo come -funda “studiare” è munito di un oggetto, si dice ufunda isiXhosa “tu studi lo xhosa”; ma se invece “studi” o “stai studiando” e basta, senza specificare che cosa, bisogna dire uyafunda. Semplice, no? [RV]
(Un tentativo di traduzione italiana un po' analitica)
Ogni tentativo di traduzione da una lingua africana ha la tendenza a dover essere preso “così com'è”, senza capire davvero perché è così. Basandomi quindi sullo xhosa, lingua praticamente uguale sia allo ndebele che allo zulu e della quale ho una conoscenza sia pure del tutto elementare, ho fatto questa traduzione che vado qui di seguito a spiegare in modo più che semplice.
Shosholoza è un esempio meraviglioso di come le lingue bantu in genere (lo ndebele, lo zulu e lo xhosa sono lingue bantu) formano parole di origine onomatopeica aggiungendo soltanto i dovuti prefissi e suffissi di classe. Una motocicletta fa thu thu thu? Ebbene, in xhosa “motocicletta” si dice isithuthuthu (ove isi- è il prefisso della propria classe di sostantivi). Così, un treno a vapore fa sho sho (corrispondente al nostro “ciuf ciuf”)? Il verbo all'imperativo shosholoza vuol dire “vai avanti facendo ciuf ciuf”. E così dovrebbe essere tradotto, non soltanto “vai avanti”. Kulezo ntaba (e non ku lezontaba come si legge in parecchi testi in rete) vuol dire “su quelle montagne”; ntaba corrisponde allo xhosa iintaba (plurale di intaba). Di stimela abbiamo già parlato; è una specie di “vocativo”. Nelle lingue bantu sudafricane il vocativo si ottiene togliendo il prefisso di classe: ad esempio, in xhosa è isitimela (plurale: izitimela “treni”, “navi a vapore”), ma per dire “treno!”, si ha timela. Non sto qui naturalmente a andare troppo oltre, ma in queste lingue molti verbi possono essere sostantivizzati con l'aggiunta di prefissi e fungere quindi sia da aggettivi che da participi; indi per cui il verbo -phuma (anche in xhosa) munito del prefisso di classe (i)si significa: “che sei uscito, uscito”. Questo il significato proprio del verbo: “uscire”, “venire fuori”. South Africa (e Rhodesia/Zimbabwe nell'ultimo verso) sono muniti del prefisso e- che indica provenienza, moto da luogo. Infine il verbo -baleka “correre, scorrere” (anche in xhosa) si trova qui al presente indicativo intransitivo: è munito nell'ordine del prefisso u-, che indica la II persona singolare, e dell'infisso -ya- che indica l'intransitività o l'assenza del complemento oggetto. Funziona così: se, ad esempio, un verbo come -funda “studiare” è munito di un oggetto, si dice ufunda isiXhosa “tu studi lo xhosa”; ma se invece “studi” o “stai studiando” e basta, senza specificare che cosa, bisogna dire uyafunda. Semplice, no? [RV]
AVANTI!
Vai avanti col tuo ciuf-ciuf
Lungo quelle montagne
Treno uscito dal Sudafrica
Lungo quelle montagne
Treno uscito dal Sudafrica
Stai correndo via
Stai correndo via
Lungo quelle montagne
Treno uscito dalla Rhodesia
Vai avanti col tuo ciuf-ciuf
Lungo quelle montagne
Treno uscito dal Sudafrica
Lungo quelle montagne
Treno uscito dal Sudafrica
Stai correndo via
Stai correndo via
Lungo quelle montagne
Treno uscito dalla Rhodesia
inviata da Riccardo Venturi - 2/1/2014 - 17:57
Lingua: Xhosa
Tshotsholoza - Il testo in lingua xhosa.
È tratto, come accennato nell'introduzione, dal corso di lingua xhosa Learn Xhosa with Anne Munnik, portatomi da una ex fidanzata dal Sudafrica pochissimo prima che mi mandasse al gas; mi fu anzi consegnato solo cinque giorni prima, con un tempismo meraviglioso. Il testo si trova a pagina 171 dell'edizione del 2006; si notino le (scarse) differenze col testo originale ndebele/zulu. Non è escluso che Nelson Mandela (che era di madrelingua xhosa) lo cantasse in questa forma; nel testo, la Rhodesia di infausta memoria è sostituita dallo Zimbabwe. [RV]
È tratto, come accennato nell'introduzione, dal corso di lingua xhosa Learn Xhosa with Anne Munnik, portatomi da una ex fidanzata dal Sudafrica pochissimo prima che mi mandasse al gas; mi fu anzi consegnato solo cinque giorni prima, con un tempismo meraviglioso. Il testo si trova a pagina 171 dell'edizione del 2006; si notino le (scarse) differenze col testo originale ndebele/zulu. Non è escluso che Nelson Mandela (che era di madrelingua xhosa) lo cantasse in questa forma; nel testo, la Rhodesia di infausta memoria è sostituita dallo Zimbabwe. [RV]
TSHOTSHOLOZA
Tshotsholoza
Uya kwezo 'ntaba
Sitimela siphum' eSouth Africa
Uya kwezo 'ntaba
Sitimela siphum' eSouth Africa
Wen' uyabaleka
Wen' uyabaleka
Uya kwezo 'ntaba
Sitimela siphum' eZimbabwe
Tshotsholoza
Uya kwezo 'ntaba
Sitimela siphum' eSouth Africa
Uya kwezo 'ntaba
Sitimela siphum' eSouth Africa
Wen' uyabaleka
Wen' uyabaleka
Uya kwezo 'ntaba
Sitimela siphum' eZimbabwe
inviata da Riccardo Venturi - 2/1/2014 - 18:37
Ciao, grazie mille per questa spiegazione.
Questo testo ha una stratificazione di esperienze umane indicibili.
Il popolo non sbaglia se umanamente lo avverte come inno nazionale.
Anzi dovrebbe essere assunto da tutta l'umanità che subisce il peso del nuovo neocolonialismo.
Fra Gabriele cappuccino.
Questo testo ha una stratificazione di esperienze umane indicibili.
Il popolo non sbaglia se umanamente lo avverte come inno nazionale.
Anzi dovrebbe essere assunto da tutta l'umanità che subisce il peso del nuovo neocolonialismo.
Fra Gabriele cappuccino.
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(ca. II metà XIX secolo)
Ndebele folksong
(about 2nd half of 19th century)
Qualcuno dice che Shosholoza è il “secondo inno nazionale del Sudafrica”. Può essere; in effetti, a prescindere dalla sua valenza di “inno”, è sicuramente un simbolo della nazione sudafricana oltre ad essere conosciuto in tutto il mondo. Quel che più interessa (e deve interessare) a questo sito è però la sua origine, che è quella di un canto di lavoro e, molto spesso, di prigionieri.
In origine, Shosholoza era un canto popolare Ndebele in stile “chiama e rispondi”, nato nello Zimbabwe, ma divenuto popolare in Sudafrica. Le sue origini sono da ricercare nei lavoratori migranti Ndebele che si recavano nelle miniere sudafricane a bordo di treni. L'autore è sconosciuto; in breve divenne la canzone principale dei minatori che emigravano nelle miniere d'oro e di diamanti. Gli Ndebele vivono principalmente nello Zimbabwe (quella che veniva chiama Rhodesia, e che condivise col Sudafrica il sistema razzista dell'apartheid), vicino al confine con il Sudafrica, ma sono stanziati anche al di là della frontiera; indi per cui, il canto mescola parole ndebele e zulu, due lingue che, al pari dei relativi gruppi etnici, sono molto simili. Il canto, in generale, è compreso perfettamente anche dagli Xhosa.
Secondo alcuni, il canto descrive il viaggio in treno verso le miniere sudafricane; altri pensano invece che descriva il ritorno in Zimbabwe. In realtà, il testo autorizza a credere ad entrambe le ipotesi; molto spesso, il canto reca il titolo di Stimela siphum' eRhodesia, ove stimela è la resa ndebele/zulu dell'inglese steamer “treno a vapore”. Secondo i due ricercatori sudafricani Booth e Nauright, i lavoratori zulu si appropriano del canto sia per darsi ritmo durante il lavoro di squadra, sia per alleviare la fatica e la noia (una pratica, ovviamente, comune in tutto il mondo durante i lavori pesanti e, sovente, forzati); in particolare, Shosholoza veniva cantata a ritmo dai lavoratori mentre scavavano coi loro picconi, vale a dire durante il massimo della fatica, nello stile “chiama e rispondi”: un uomo cantava un verso in assolo, mentre il resto del gruppo rispondeva a eco.
Va da sé che, quasi subito, Shosholoza divenne anche un canto di prigionieri, condannati o meno ai lavori forzati; del resto, le condizioni di lavoro dei minatori erano assolutamente identiche. Così come i minatori, i prigionieri lo cantavano divisi per file. Una delle più celebri descrizioni di come veniva eseguito il canto ci proviene da un prigioniero che lo cantava assieme agli altri: tale Nelson Mandela. Durante la sua lunghissima prigionia sull'isola di Robben, anche Mandela era forzato al lavoro di spaccapietre; ed ebbe a dire quanto segue. “La canzone può essere vista come un simbolo della lotta contro l'apartheid, simile al movimento di un treno che avanza”. Mandela dichiarò anche che “quel canto rendeva la vita più facile”.
Ho qui sottomano la mia grammatica Xhosa, Learn Xhosa with Anne Munnik (l'autrice), pubblicato nel 1994 dalla casa editrice Shuter & Shooter (la mia è la 5a edizione del 2006): Shosholoza è pure lì, nella sua versione xhosa (Tshotsholoza), a pagina 171. L'autrice scrive: ”The Xhosa people have a wonderful sense of rhythm. This is seen in their movement when singing, dancing and even walking, 'Tshotsholoza' is a much loved song, which was often sung by groups such as road workers when working together. It is a reminder of how important it is to work as a team, and how a song can help to make life easier.” Queste brevi frasi tratte da un corso di una lingua simile esemplificano bene l' “evoluzione” fatta subire a Shosholoza: il “tipico esempio” del “meraviglioso senso del ritmo” (cantare, ballare, camminare), l'importanza di “lavorare assieme” e la “vità più facile”. C'è tutto il “nuovo Sudafrica” in questo, e non è un caso che il corso di Xhosa sia del 1994. Nemmeno mezza parola sui minatori, che continuavano e continuano a scendere come schiavi nelle miniere, ed ogni accento posto sulla “solidarietà”.
La “nazionalizzazione” di Shosholoza è proceduta a passi da gigante. Si cominciò nel 1995, con il famoso campionato mondiale di rugby vinto proprio dal Sudafrica; da allora, non c'è praticamente evento sportivo in Sudafrica senza Shosholoza. La storia narra che fu cantata da Dan Moyane, il conduttore di un popolarissimo talk show radiofonico, Talk Radio 702 Breakfast Show. In soli cinque giorni il canto fu registrato, masterizzato e messo in circolazione in tempo per la prima partita del campionato mondiale di rugby, prodotto dal Famous Faces Management di Stuart Lee. Fu così che il canto dei minatori e dei prigionieri fece fare soldi a carrettate ai suoi produttori; divenne, insomma, un'autentica miniera d'oro (o di diamanti) al pari di quelle dove scendevano i minatori per dieci soldi. La cosa si è naturalmente ripetuta ai mondiali di calcio sudafricani del 2010:
Tutto lo star system sudafricano e internazionale si è accorto, naturalmente, di Shosholoza: si ricordano le interpretazioni di Helmut Lotti, Ladysmith Black Mambazo, PJ Powers, del Soweto Gospel Choir e del Drakenberg Boys' Choir. Tra tutte quante, mi piace comunque sottolineare l'interpretazione di Peter Gabriel, uno che alla lotta anti-apartheid ha dato una canzone come Biko:
A dire il vero, ben prima di Peter Gabriel, Shosholoza era stato cantato da qualcuno nella cui voce, e non c'è da dubitarne, il canto manteneva tutta la sua valenza originaria: Pete Seeger.
Di Shosholoza si è accorto ben bene pure il cinema. A dire il vero, quella che è probabilmente la sua prima apparizione sul grande schermo è quantomeno sorprendente: fa infatti parte, come “Ciocio-Ciociolosa”, della colonna sonora del film “ecologista” Io sto con gli ippopotami con Bud Spencer e Terence Hill:
Questo circa trent'anni prima che Clint Eastwood la includesse nel suo Invictus, film interamente dedicato alle vicende della “riconciliazione nazionale” dopo la fine dell'apartheid e, in particolare, proprio ai mondiali di rugby del 1995. Il canto fu registrato a cappella dal gruppo degli Overtone:
E così via. Sarà, probabilmente, il destino di ogni canto divenuto simbolo: quello di essere, appunto, buono per ogni cosa, di tutto e del contrario di tutto. Dovremmo saperne qualcosa, del resto, con Bella ciao (finita ultimamente anche nella pubblicità di una casa di abbigliamento “sponsor della gente comune”). Shosholoza sembra ultimamente essere a casa sua ancora in qualche lotta (come quella del raduno “Occupy COP17” indetto nel dicembre 2011 per protestare in occasione dell'ennesimo “trattato climatico” dell'ONU, l'Organizzazione della Nullità Universale), sia sulle miliardarie barche a vela della Coppa America, come si vede nella foto iniziale. In occasione della prima partecipazione sudafricana alla coppona degli strapaperoni, infatti, il team sudafricano si chiamava proprio “Shosholoza”; o andatelo a dire ai vecchi minatori o ai prigionieri di Robben Island, come Mandela. A proposito di Mandela: guardate che cosa cantava la folla radunata davanti a casa sua poco dopo la sua morte il 5 dicembre scorso:
In quel canto davanti alla casa del vecchio, forse, Shosholoza è tornato a casa sua. A casa di qualcuno che la aveva cantata sia come galeotto forzato, sia come presidente della repubblica; e in questo ci sono tutte le contraddizioni possibili e immaginabili. Resta soltanto da chiedersi che vita e che fine abbiano fatto quei primi, sconosciuti minatori che intonarono il canto su un treno a vapore che li portava in una miniera. Nulla se ne sa, nulla se ne potrà mai sapere. [RV]