Evviva nüm
insema a quei d'Arlün
emm fa la spetasciada
e l'em vingiüda nüm
Nüm mangerem
pulaster e capùn
e ai padrùn
ghe tajum i cujùn
Ai uperari che andaràn
a la giurnada del padrùn
ghe tajerem
'na piana de melgùn
La giurnada pü a nissün
la giurnada pü a nissün
e i capùn
metà per ün
Evviva nüm
evviva quei d'Appian
e s'emm piantà el sciopero
per mangià pan
Evviva nüm
evviva l'üniùn
e s'emm piantà el sciopero
per pagà pü i capùn
I sciuri sü l'albergo
i sciuri sü l'albergo
e i pover paisàn
je mandan a l'inferno
Trumbalalillallà trumbalalillallera.
insema a quei d'Arlün
emm fa la spetasciada
e l'em vingiüda nüm
Nüm mangerem
pulaster e capùn
e ai padrùn
ghe tajum i cujùn
Ai uperari che andaràn
a la giurnada del padrùn
ghe tajerem
'na piana de melgùn
La giurnada pü a nissün
la giurnada pü a nissün
e i capùn
metà per ün
Evviva nüm
evviva quei d'Appian
e s'emm piantà el sciopero
per mangià pan
Evviva nüm
evviva l'üniùn
e s'emm piantà el sciopero
per pagà pü i capùn
I sciuri sü l'albergo
i sciuri sü l'albergo
e i pover paisàn
je mandan a l'inferno
Trumbalalillallà trumbalalillallera.
inviata da Bernart - 1/12/2013 - 23:30
Lingua: Italiano
Traduzione italiana da Il Deposito
EVVIVA NOI
Evviva noi
insieme a quelli di Arluno
abbiam fatto una spetazzata
l'abbiamo vinta noi
Noi mangeremo
pollastri e capponi
e ai padroni
taglieremo i coglioni
Agli operai che andranno
a giornata dal padrone
taglieremo
una piana di granoturco
A giornata più da nessuno
a giornata più da nessuno
e i capponi
metà per uno
Evviva noi
evviva quelli di Appiano
abbiamo organizzato lo sciopero
per mangiare il pane
Evviva noi
evviva l'unione
abbiamo organizzato lo sciopero
per non pagare più i capponi
I signori all'albergo
i signori all'albergo
e i poveri contadini
li mandano all'inferno
Trumbalalillallà trumbalalillallera.
Evviva noi
insieme a quelli di Arluno
abbiam fatto una spetazzata
l'abbiamo vinta noi
Noi mangeremo
pollastri e capponi
e ai padroni
taglieremo i coglioni
Agli operai che andranno
a giornata dal padrone
taglieremo
una piana di granoturco
A giornata più da nessuno
a giornata più da nessuno
e i capponi
metà per uno
Evviva noi
evviva quelli di Appiano
abbiamo organizzato lo sciopero
per mangiare il pane
Evviva noi
evviva l'unione
abbiamo organizzato lo sciopero
per non pagare più i capponi
I signori all'albergo
i signori all'albergo
e i poveri contadini
li mandano all'inferno
Trumbalalillallà trumbalalillallera.
inviata da Bernart - 1/12/2013 - 23:31
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Franco Coggiola (1939-1996), astigiano, etnomusicologo e archivista, e Gianni Bosio (1923-1971), mantovano, storico e socialista misero insieme queste strofe consultando articoli pubblicati su giornali dell’epoca a proposito delle importanti agitazioni contadine avvenute nell’alta Lombardia nel 1889.
Eseguita da Ezio Cuppone con il coro del Nuovo Canzoniere Milanese.
Nello spettacolo “Il bosco degli alberi”, scritto da Bosio e Coggiola e interpretato dal Nuovo Canzoniere Milanese nel 1971.
Poi in “Avanti Popolo - Due secoli di canti popolari e di protesta civile –”, a cura dell’Istituto Ernesto de Martino, 1998
Testo trovato su Il Deposito
Prima ancora della Grande Depressione economica del 1929 vi fu un altro lungo periodo di crisi planetaria iniziato con il “venerdì nero” del 1873, quando il 9 maggio crollò la borsa di Vienna. La crisi agraria ed industriale da sovrapproduzione, dovuta agli effetti negativi della prima globalizzazione, portò al crollo dei prezzi di molti prodotti di base, con conseguenti riduzioni salariali e licenziamenti, proteste, repressioni sanguinose e vaste migrazioni. Laddove poi - come in Italia - la crisi investiva un sistema produttivo in larga parte ancora arretrato e semifeudale, i suoi effetti furono ancor più devastanti. Si pensi, per esempio, che all’epoca anche i contadini lombardi (mica solo quelli meridionali) erano costretti ancora al cosiddetto “pendìzio” (o appendìzio), un omaggio che il fittavolo doveva periodicamente assicurare al padrone, nelle forme di regalie in natura e di prestazioni di lavoro gratuite e semigratuite: pieno feudalesimo!
Quando cadde il prezzo del grano i padroni scaricarono i minori profitti sulle spalle dei contadini, costringendoli a subire revisioni dei contratti colonici così aspre da ridurre la generalità delle famiglie sulla soglia della miseria e della denutrizione.
Il 10 maggio 1889 l’esasperazione dei contadini (ma anche dei lavoratori degli stabilimenti tessili) esplose a Casorezzo, al termine dei Vespri: «Fòera i dané! Avert i grané! Mort ai sciori!», e giù una fitta sassaiola contro le case dei padroni. L’intervento di carabinieri e soldati fu salutato da fischi, sberleffi e pantomime. Due giorni dopo ad Arluno l’insurrezione scoppiò quando, sempre dopo la messa, la gente si riunì per assistere ad uno spettacolo di burattini. La maschera bergamasca di Gioppino che si burlava di carabinieri ed autorità, ai quali infine distribuiva sonore legnate, provocò lo spontaneo trasferimento dell’azione dal teatro alla realtà: «Gioppin l'a comenciàa, comencém anca nùn? - Comencém anca nùn!»... Quella sera una folla di 1500 persone furiose penetrò negli stabilimenti tessili distruggendoli, devastò e saccheggiò parecchie case di signori e infine attaccò il palazzo del conte Giorgio Dal Verme, grande proprietario e sindaco del paese: non si salvò nulla... Analoga furia devastatrice si vide a Magnago, Venzaghello, Bienate, Buscate, Castano, Turbigo, Robecchetto, Bareggio: dappertutto contadini e operai inferociti distrussero muri e recinzioni e lapidarono letteralmente le case dei signori e qualunque cosa recasse i segni del potere padronale. A Corbetta gli scontri con i carabinieri furono particolarmente duri. I militari, soverchiati dai manifestanti, spararono in aria ma ciò non fece che infittire la sassaiola. La scarica successiva fu ad altezza uomo: Enrico Lovati, un contadino di 17 anni, stramazzò colpito alla nuca da un proiettile.
Ma i contadini lombardi non furono sconfitti, anzi, gran parte delle loro rivendicazioni furono successivamente accolte: le giornate coloniche vennero rivalutate e si finì con le corvées obbligatorie e pendìzi e, più in generale, venne sancita la fine di un sistema fondato sul dominio signorile e sulla mezzadria di stampo feudale. (liberamente tratto da “Quando il paesano rifiutò il pendìzio”, di Gianfranco Gallianí Cavenago, 1999)