Vous autres Piémontais
Qui parcourez la France
Il faut vous arracher les dents
Ne point porter de ventre
Bon bras et bon jambe
Bon coeur pour travailler
Faire beaucoup d’ouvrage
Et ne guère gagner
Je m’en vais à Bordeaux
Travailler pour un maître
Travailler pour un maître
Qui est tant épargnant
Et lorsque l’on est à table
Il vous regarde aux dents
Un Dimanche matin
Au retour de la messe
J’ai apperçut madame
Qui montait
Dans sa chambre en haut
Elle s’en va dire au maître
Que les valets mangent trop.
Je m’en suis bien pensé:
Il faut avoir patience
Le beau temp il viendra
Dans ta sale boutique
Travaille qui voudra
Quand le temps sera venu
Le temp de la violette
Compte, compte mon maître
Compte moi de l’argent
Dans Paris la noble ville
C’est pour y travailler
“Oh! Dit-moi mon garçon
N’auriez-tu le courage
De me laisser ici
Avec tant de l’ouvrage?
Fini donc la campagne
Je te ferais content
Finissons donc l’ouvrage
De ce beau bâtiment”
Ne te souvien-tu pas
L’hiver pendant qu’il gèle
Tu me fouettait mon sac
Cinq à six fois par semaine
Je disait entre moi-même:
Le beau temp il viendras
Dans ta sale boutique
Travaille qui voudra
L’on dit que les Français
Sont pires que le diable
Il vous ferait boire que de l’eau
Et coucher sur la paille
Les draps que l’on nous donne
Grand Dieu qu’ils ont des trous!
Ils ont servi de voile
A tous ces vieux vesseaux
Si j’attrappe un Français
Dans mon pays étrange
Je lui casserais les os
Briserais la carcasse
De la peau de son ventre
Je ferais un tambour
Pour appeler le diable
Qu’il vienne à son secours
Qui parcourez la France
Il faut vous arracher les dents
Ne point porter de ventre
Bon bras et bon jambe
Bon coeur pour travailler
Faire beaucoup d’ouvrage
Et ne guère gagner
Je m’en vais à Bordeaux
Travailler pour un maître
Travailler pour un maître
Qui est tant épargnant
Et lorsque l’on est à table
Il vous regarde aux dents
Un Dimanche matin
Au retour de la messe
J’ai apperçut madame
Qui montait
Dans sa chambre en haut
Elle s’en va dire au maître
Que les valets mangent trop.
Je m’en suis bien pensé:
Il faut avoir patience
Le beau temp il viendra
Dans ta sale boutique
Travaille qui voudra
Quand le temps sera venu
Le temp de la violette
Compte, compte mon maître
Compte moi de l’argent
Dans Paris la noble ville
C’est pour y travailler
“Oh! Dit-moi mon garçon
N’auriez-tu le courage
De me laisser ici
Avec tant de l’ouvrage?
Fini donc la campagne
Je te ferais content
Finissons donc l’ouvrage
De ce beau bâtiment”
Ne te souvien-tu pas
L’hiver pendant qu’il gèle
Tu me fouettait mon sac
Cinq à six fois par semaine
Je disait entre moi-même:
Le beau temp il viendras
Dans ta sale boutique
Travaille qui voudra
L’on dit que les Français
Sont pires que le diable
Il vous ferait boire que de l’eau
Et coucher sur la paille
Les draps que l’on nous donne
Grand Dieu qu’ils ont des trous!
Ils ont servi de voile
A tous ces vieux vesseaux
Si j’attrappe un Français
Dans mon pays étrange
Je lui casserais les os
Briserais la carcasse
De la peau de son ventre
Je ferais un tambour
Pour appeler le diable
Qu’il vienne à son secours
inviata da Bernart - 8/8/2013 - 16:48
Lingua: Italiano
Traduzione italiana dalla raccolta intitolata “Tin Tun Teno - Registrazioni dal vivo di cantori e suonatori delle Valli Chisone e Germanasca” pubblicata nel 1989.
VOIALTRI PIEMONTESI CHE GIRATE LA FRANCIA
Voialtri piemontesi
che girate la Francia
dovete stringere i denti
e tirare la cinghia
buone braccia e
buone gambe
tanta forza per lavorare
darvi molto da fare
per un misero guadagno
Me ne vado a Bordeaux
a lavorare per un padrone
a lavorare per un padrone
che è così taccagno
che quando siete a tavola
vi guarda perfino i denti
Una domenica mattina
al ritorno dalla messa
ho notato la signora
che saliva in camera
va di sopra a dire al padrone
che i garzoni mangiano troppo
Mi son detto
“Bisogna avere pazienza
il bel tempo arriverà
e il tuo sporco lavoro
vada a farlo chi vuole!”
Quando arriverà il tempo
il tempo della violetta
“Fa un po’ il conto, padrone
dei soldi che mi devi
a Parigi, nobile città
andrò a passare il tempo”
“Di un po’, caro ragazzo
avresti il coraggio
di lasciarmi cosi
con tutto il lavoro che c’è?
Finisci la stagione
e ti farò contento
finiamo dunque di lavorare
a questo bell’edificio”
“Non ti ricordi
d’inverno, che gelo?
Tu mi prendevi a frustate
cinque o sei volte la settimana
Io tra me dicevo:
“Il bel tempo arriverà
e il tuo sporco lavoro
vada a farlo chi vuole!”
Dicono che i francesi
sono peggio del diavolo
ci fan bere solo acqua
e dormire sulla paglia
le lenzuola che ci danno
Dio mio, che buchi hanno!
Servivano da vele
sui vascelli di un tempo
Se mi viene fra le mani un francese
quando sarò tornato a casa
gli romperò la schiena
e farò a pezzi la carcassa
con la pelle del ventre
farò un tamburo
per chiamare il diavolo
che venga in suo aiuto
Voialtri piemontesi
che girate la Francia
dovete stringere i denti
e tirare la cinghia
buone braccia e
buone gambe
tanta forza per lavorare
darvi molto da fare
per un misero guadagno
Me ne vado a Bordeaux
a lavorare per un padrone
a lavorare per un padrone
che è così taccagno
che quando siete a tavola
vi guarda perfino i denti
Una domenica mattina
al ritorno dalla messa
ho notato la signora
che saliva in camera
va di sopra a dire al padrone
che i garzoni mangiano troppo
Mi son detto
“Bisogna avere pazienza
il bel tempo arriverà
e il tuo sporco lavoro
vada a farlo chi vuole!”
Quando arriverà il tempo
il tempo della violetta
“Fa un po’ il conto, padrone
dei soldi che mi devi
a Parigi, nobile città
andrò a passare il tempo”
“Di un po’, caro ragazzo
avresti il coraggio
di lasciarmi cosi
con tutto il lavoro che c’è?
Finisci la stagione
e ti farò contento
finiamo dunque di lavorare
a questo bell’edificio”
“Non ti ricordi
d’inverno, che gelo?
Tu mi prendevi a frustate
cinque o sei volte la settimana
Io tra me dicevo:
“Il bel tempo arriverà
e il tuo sporco lavoro
vada a farlo chi vuole!”
Dicono che i francesi
sono peggio del diavolo
ci fan bere solo acqua
e dormire sulla paglia
le lenzuola che ci danno
Dio mio, che buchi hanno!
Servivano da vele
sui vascelli di un tempo
Se mi viene fra le mani un francese
quando sarò tornato a casa
gli romperò la schiena
e farò a pezzi la carcassa
con la pelle del ventre
farò un tamburo
per chiamare il diavolo
che venga in suo aiuto
inviata da Bernart - 9/8/2013 - 11:10
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Si tratta di un quaderno di cm. 14x21, contenente 143 canti.
Sul frontespizio, la scritta "Tron Enrico / l'anno 1898 / Roberso"
Alcune canzoni sono in francese, altre in piemontese ad altre in italiano.
Purtroppo il cahier citato, come gli altri contenuti del sito, non sono più consultabili on line, salvo far uso della Macchina del Tempo…
Nel 1876 gli italiani in Francia erano 163.000; nel 1881 il loro numero complessivo era salito a 240.000; mentre all’inizio del nuovo secolo la colonia transalpina avrebbe raggiunto la cifra di 330.000. Nel primo censimento del Novecento gli italiani superarono per la prima volta il numero dei belgi, anche se soltanto nel 1911 diventarono il primo gruppo di stranieri presenti nel paese. A quella data gli italiani costituivano il 36 per cento degli immigrati e oltre l’1 per cento dell’intera popolazione francese. È noto, tuttavia, che ai conteggi dei censimenti sfuggivano proprio gli emigranti di tipo stagionale e temporaneo, che formavano la stragrande maggioranza dei frequentatori del vicino paese d’oltralpe, soprattutto nelle regioni di confine. Gli italiani che varcavano annualmente la frontiera erano valutati infatti attorno ai 30.000 […]”
(da “L'emigrazione italiana in Francia: un fenomeno di lunga durata”, di Paola Corti, Università di Torino, Altreitalie, collana delle Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 2003)
Il trattamento che i francesi riservavano ai lavoratori immigrati piemontesi, specie quelli stagionali, (“Vi faranno bere solo acqua e dormire sulla paglia, e per coperte la tela sforacchiata delle vele di tutte le loro vecchie navi da guerra…”) era tale da meritarsi quanto auspicato nell’ultima strofa di questa canzone: “Se metto le mani su di un francese che passa di qui, gli spezzo le ossa, lo scuoio e con la pelle della sua ventrazza ci faccio un tamburo per chiamare il diavolo che venga in suo soccorso” …
E si veda anche la canzone En arribent a Peccais che ricorda il misconosciuto massacro avvenuto nel 1893 ad Aigues-Mortes, Linguadoca: 9 morti accertati, parecchi dispersi, un centinaio di feriti, tutti lavoratori italiani immigrati, massacrati a colpi di pietre e randelli dai loro compagni francesi e dagli abitanti del luogo.
I racconti di mia nonna e di mia zia, servette stagionali nel briançonese nei primi due decenni del secolo scorso (e in Francia ci andavano a piedi dall’alta val Pragelato, e così poi tornavano), non erano drammatici come questi, ma la loro vita era comunque durissima. Sfruttate e sottopagate, i pochi soldi che portavano a casa erano comunque assai spesso l’entrata più ingente dell’intero bilancio familiare in un’economia fondata su di una mera, fragilissima sussistenza (patate, segale e pochi animali).