[1975]
Musica / Música / Music:
José Seves Sepúlveda
Album: Hacia la libertad
Ciudad Ho-chi-minh non ha parole; è un brano interamente musicale. Tanti anni fa godette di un po' di fama; stenterei adesso a trovare qualcuno che se ne ricordasse almeno un po', e sapesse accennare alle sue prime note. Risale a un aprile di trentasette anni fa, quando finì, finalmente, una guerra tra le più lunghe e sanguinose del ventesimo secolo. Finì con un elicottero che scappava ignominiosamente dall'ambasciata della più grande "potenza" mondiale, che non aveva saputo piegare un popolo intero; sotto gli occhi di un solo giornalista che testimoniò quegli storici avvenimenti. Si chiamava Tiziano Terzani ed era nato a cinquecento metri da dove abito, in via Pisana al numero 147, rione di Monticelli, Firenze.
Mentre i vietnamiti si riappropriavano del proprio paese, i cileni avevano da poco iniziato il loro inferno a base degli stessi signori che scappavano in elicottero da Saigon, coadiuvati da alcuni militari assassini e traditori. Nemmeno due anni prima, e quell'inferno sarebbe durato a lungo. Alcuni cileni in esilio in Italia, che formavano un gruppo musicale molto famoso e che, in seguito, sarebbero stati accusati di essere noiosi e ripetitivi da non pochi mediocri incapaci di leggere anche le note sul pentagramma, pensarono di comporre un omaggio a quegli avvenimenti lontani e vicini al tempo stesso. Fu così che José Seves, un musicista di prim'ordine, scrisse Ciudad Ho-chi-minh. Un piccolo brano musicale senza parole, e uno dei pochi piccoli brani musicali che sanno parlare da soli.
L'unico che io conosca, il quale preveda, accanto agli strumenti, l'uso del martello, dei chiodi, di una sega a mano. Un motivetto piuttosto semplice, di coloratura "indocinese" effettuata con gli strumenti andini (il triple, il charango), che descrive l'attività di comuni lavoratori che ricostruiscono una città e un paese dopo le devastazioni materiali e umane di una guerra infinita. Ora che quella città è divenuta una metropoli modernissima di oltre sette milioni di abitanti in un paese che "tira" economicamente a ritmi vertiginosi, sarà bene riascoltare un po' questo motivetto col suo martello della storia. [RV]
Musica / Música / Music:
José Seves Sepúlveda
Album: Hacia la libertad
Mentre i vietnamiti si riappropriavano del proprio paese, i cileni avevano da poco iniziato il loro inferno a base degli stessi signori che scappavano in elicottero da Saigon, coadiuvati da alcuni militari assassini e traditori. Nemmeno due anni prima, e quell'inferno sarebbe durato a lungo. Alcuni cileni in esilio in Italia, che formavano un gruppo musicale molto famoso e che, in seguito, sarebbero stati accusati di essere noiosi e ripetitivi da non pochi mediocri incapaci di leggere anche le note sul pentagramma, pensarono di comporre un omaggio a quegli avvenimenti lontani e vicini al tempo stesso. Fu così che José Seves, un musicista di prim'ordine, scrisse Ciudad Ho-chi-minh. Un piccolo brano musicale senza parole, e uno dei pochi piccoli brani musicali che sanno parlare da soli.
L'unico che io conosca, il quale preveda, accanto agli strumenti, l'uso del martello, dei chiodi, di una sega a mano. Un motivetto piuttosto semplice, di coloratura "indocinese" effettuata con gli strumenti andini (il triple, il charango), che descrive l'attività di comuni lavoratori che ricostruiscono una città e un paese dopo le devastazioni materiali e umane di una guerra infinita. Ora che quella città è divenuta una metropoli modernissima di oltre sette milioni di abitanti in un paese che "tira" economicamente a ritmi vertiginosi, sarà bene riascoltare un po' questo motivetto col suo martello della storia. [RV]