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Aρμενία

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Armenía
Στίχοι: παραδοσιακοί (απόδοση στα Ελληνικά του Λευτέρη Παπαδόπουλου)
Μουσική: παραδιοσιακή, εκτός τα τραγούδια β' (του Μίκη Θεοδωράκη) και στ' (του Τζικ Νακασιάν)
Πρώτη εκτέλεση: Βασίλης Παπακωνσταντίνου
1981

Testi tradizionali armeni tradotti in greco da Lefteris Papadopoulos
Musica tradizionale, eccetto la seconda canzone ( di Mikis Theodorakis) e la sesta (di Gik Nakasian)
Prima esecuzione di Vassilis Papakonstandinou
1981
armenia 1981

Il fatto che nel corso delle rispettive storie plurimillenarie i popoli greco e hay (armeno) abbiano condiviso qualche secolo di giogo ottomano ha creato una sorta di solidarietà reciproca, che consente loro di non rivangare i momenti di divisione, come quando al tempo della disputa monofisita si separarono (V sec.) in materia di fede cristiana. Ad esempio, sulla questione del genocidio armeno, i Greci non hanno dubbi. Per quanto i Turchi, rispetto al trattamento degli Armeni, respingano ufficialmente la definizione di genocidio, cercando di negare i fatti o almeno ridimensionandone la portata, e premano perché le principali potenze e organizzazioni internazionali non la adottino, la Grecia fa parte dell'ancor sparuto gruppo (una ventina) di Stati che questa deliberazione invece hanno preso e, di conseguenza, sollecitano il governo turco a riconoscere "il grande crimine" e a cancellare la legge che manda in galera i cittadini che lo ammettano pubblicamente, come è accaduto, tra gli altri, al Nobel per la letteratura Orhan Pamuk.

Questo disco, del 1981, che sembra inteso a rinsaldare la reciproca solidarietà tra i Greci e gli Armeni, in nome delle sofferenze patite sotto i Turchi, è basato in grandissima parte su testi e musiche tradizionali armene. Solo in due casi le musiche sono state composte ad hoc, una da Theodorakis e l'altra da un compositore armeno, Gik Nakasian. Lefteris Papadopoulos (Atene, 1935 - viv.), scrittore, giornalista, e fecondissimo creatore di testi per la migliore canzone greca, ne curò la traduzione. Nella biografia di Papadopoulos l'esperienza dello sradicamento è parte integrante della sua storia familiare, poiché i suoi genitori erano stati profughi, il padre dall'Anatolia e la madre dalla Russia. Nonostante la virulenza guerresca dei testi, non credo che l'edizione di questo disco sia stata un'operazione funzionale a un cieco sentimento nazionalistico antiturco. I tre Greci implicati in questa produzione, Papadopoulos, Theodorakis e Papakonstandinou hanno tutti e tre fisionomie che lo escludono, composte come sono di grecità e di respiro internazionalistico. Penso al rapporto di Theodorakis con il musicista turco Livaneli e alla sua non mai interrotta perorazione di un superamento dei conflitti nazionalistici tra i due popoli, e penso anche alle traduzioni che Papadopoulos ha fatto del poeta turco Nazim Hikmet per Manos Loizos. Nemmeno l'immagine politica dell'interprete Papakonstandinou consente dubbi in merito.

Con questo disco si voleva da parte loro, credo io, rendere omaggio ai "cugini" armeni. Ovviamente, non è consentito parlare di quel popolo senza ricordarne le spaventose sofferenze subite per mano dei Turchi, perché l'unico modo ammissibile per superare la storia non consiste certo nel dimenticarla.
Questa nota è già troppo lunga, ma devo ancora inserire un avvertimento e una considerazione. L'avvertimento riguarda i fatti storici sotto descritti. Credo che la narrazione sia per grandi linee attendibile, ma non vada presa per oro colato, trattandosi di un tipico raffazzonamento da wikipedia...e ci siamo intesi.

La seconda riguarda il tenore bellicoso di alcuni dei testi. Ritorna per l'ennesima volta la nostra contraddizione. Riteniamo giusto far emergere le sofferenze degli oppressi di oggi, e anche di ieri e anche di domani, e di certo non ci scandalizziamo se lo schiavo muove guerra al suo padrone. Anzi: lo applaudiamo. Ma è un fatto che, quando si canta la guerra, ricorrono inesorabilmente sempre gli stessi "topoi", al punto da riuscire intercambiabili, al di là delle buone o delle cattive ragioni di chi canta. Io ne prendo atto, ma confesso che non mi diverto. (gpt)

In Grecia, la memoria del genocidio armeno del 1915 - 16 viene abbastanza spesso ravvivata, perché vi si scorge l'inquietante prodromo di quanto sarebbe accaduto ai cristiani ellenofoni dell'Asia Minore nel 1922: un tema anch'esso mai accantonato, né dalla destra né dalla sinistra. Più in ombra, invece, rimane la prima fase del genocidio, quella del periodo hamidiano sul finire del secolo XIX; mentre del tutto sconosciuto si può dire il rosario di pogrom precedenti, praticati o istigati dal Sultanato (che allo scopo si serviva anche dei Curdi: gli stessi che, dopo lo sradicamento dei Greci e degli Armeni dall'Anatolia, per decenni hanno dovuto sfidare in armi il governo di Ankara per ottenere l'attuale parvenza di autonomia e una qualche dignità politica e culturale).

Gli elementi interni ai testi delle canzoni di questo disco ci portano non tanto al genocidio più conosciuto, perpetrato nel corso del primo conflitto mondiale, quanto alla precedente fase, quella della repressione hamidiana - e alle sue propaggini successive, che si saldarono ai due conflitti balcanici - nella quale culminò una ventennale diffidenza del Sultanato ottomano verso la minoranza armena.

Sconfitto dall'Impero Russo nella guerra del 1877 con gravi perdite territoriali sancite dal Trattato di Santo Stefano e poi mitigate dal Congresso di Berlino del 1878, il governo ottomano, probabilmente alla ricerca di capri espiatori, trovò conveniente ritenere gli Armeni corresponsabili del disastro militare e li considerò elemento infido a causa della non celata simpatia che essi avevano dimostrato per l'avanzata russa. Non solo alcune formazioni di volontari armeni avevano combattuto al fianco dei Russi, cosa sarebbero tornati a fare anche durante la Prima Guerra Mondiale, ma addirittura il braccio orientale della tenaglia zarista aveva portato all'occupazione, accompagnata da focolai di rivolta e da sommosse popolari antiottomane, di una notevole porzione della regione armena, cioè del distretto di Kars, comprendente i resti di Ani, la città simbolo dell'orgoglio e del rimpianto armeni. (Ani fu ripresa solo durante la prima guerra mondiale, nel 1918, quando la Russia in via di bolscevizzazione abbandonò il conflitto; poi di nuovo perduta con il crollo del Sultanato e annessa all'effimera Repubblica indipendente armena del 1918-20; recuperata dai kemalisti e definitivamente mantenuta con gli accordi di Kars del 1921 tra la repubblica turca e il nuovo Stato socialista avviato a diventare URSS, il quale dal suo canto si apprestava a dar vita in Transcaucasia a una Repubblica socialista sovietica degli Armeni).

Contro le comunità armene rimaste in territorio ottomano dopo il Congresso di Berlino del 1878, cioè nella regione tradizionalmente armena a ridosso delle nuove acquisizioni russe, e nella Cilicia e fino al golfo di Adana - dove nei secoli precedenti si era formata la cosiddetta "Piccola Armenia"- Istanbul scatenò le proprie forze armate, ma soprattutto attizzò l'ostilità dei Curdi, cui venne fatta balenare l'opportunità di sostituirsi nelle proprietà degli Armeni in fuga. Sotto lo stesso tipo di pressione curda si sarebbero poi trovate pure le comunità greche del Ponto.
Alle violenze sistematiche e alle pesanti discriminazioni anche fiscali, gli Armeni risposero, allora, dotandosi di organismi politici per guidare un proprio movimento di liberazione, e di una milizia di combattenti, detti "kanavor" (volontari) ovvero "fedayyin" (martiri della nazione) per difendere le comunità dai pogrom. Il termine arabo "fedayyin" compare per la prima volta nelle cronache politiche proprio per designare questi guerriglieri armeni. La varie anime della resistenza armena nel 1890 si federarono a Tbilisi (Georgia) nel Dashnaksoutioùn (HHD) - un partito ancor oggi attivo nella Repubblica Armena, nel Nagorno Karabah e nel Libano.

Fondatori del Dashnàk furono Christapor Mikaelian, marxista, Stepan Zorian, populista, e Simon Zavarian, seguace di Bakunin, che ne divenne sostanzialmente il leader. Con il Dashnàk, l'azione militare cominciò a trasformarsi da difensiva a offensiva, mentre si moltiplicavano le sollevazioni popolari, specialmente tra i contadini armeni dei distretti di Mush, Van, Bitlis. Nel 1894 alcuni commando del Dashnàk fecero saltare diverse agenzie del Banco Ottomano nel cuore della capitale Istanbul: e allora si scatenò la repressione in grande stile che va sotto il nome di Genocidio o Massacro Hamidiano, dal nome del Sultano Abdul Hamid II, che lo decretò. Le stragi si protrassero fino al 1896, suscitando grande indignazione in Europa, perché la diffusione del telegrafo consentì per la prima volta di conoscere a livello di opinione pubblica le condizioni degli Armeni soggetti agli Ottomani. Si ritiene abbastanza attendibile la stima che in questi massacri siano stati assassinati circa 50.000 Armeni.

Quanto alle vittime del secondo massacro del 1915 - 16, i Turchi ne ammettono circa 200.000 e gli Armeni ne lamentano più di due milioni. E' opinione abbastanza diffusa che siano state 1.300.000 circa. (gpt)
1) Ματωμένο λάβαρο

Πρόσταξε ο φονιάς, πρόσταξε με οργή
τούτο το λαό, σβήστε απ' τη γη.
Μα οι φενταΐ, γίνανε φωτιά
κάψαν τους εχθρούς μας, κάψαν τη νυχτιά.

Γειά σας φενταΐ, ζήτω το Ντασνάκ
ζήτω η Αρμενία και η λευτεριά

Λάβαρο ακριβό,του τρανού Ντασνάκ
όχι στο ζυγό, όχι στη σκλαβιά.
άσπλαχνοι εχθροί, μας ποδοπατούν
και στις αλυσίδες, χρόνια μας κρατούν.

Όλοι στη γραμμή, κι όλοι μας μαζί
μόνο μιά φορά, ο καθένας ζεί.
Ήρθε ο καιρός του ξεσηκωμού
της στερνής μας πάλης και του λυτρωμού.


2) Βρόντησαν τα βόλια

Απ' τις κανονιές κόκκινη βροχή
Κι από τους πια, τη στερνή γραφή
Να σου ξαναπώ, πόσο σ' αγαπώ
εχθρούς έχω κυκλωθεί
Και σου γράφω
Ξέχασέ την καημέ
Να μη κλάψει για με
Και να βρεί μιά φωλιά
Σ' άλλη αγκαλιά
Και να κάνει παιδιά
Μ' ατσαλένια καρδιά
που θα βάλουν φωτιά
σ' όλη την Τουρκιά

Μες στη ρεματιά, μες τον Νταλβορίκ
χάθηκε ο Σερόπ, πάει στον ουρανό
Κι η στερνή γραφή, απ' το Νταλβορίκ
μάτωσε κι αυτή, σαν το δειλινό


3) Θρήνος για τον Φεντά Κερύ

Αχ παλληκάρι αρχηγέ Κερύ
σε πήρε ο χάρος αρχηγέ Κερύ.
Μες στα σωθικά μας η λαβωματιά
στη φτωχή καρδιά μας στάχτη και φωτιά.

Πουλιά πετάξτε σ' άλλους ουρανούς
και το μαντάτο πείτε σ' ολουνούς.
Τον αητό στο χώμα θάψαμε βαθειά
τώρα τσακισμένα μένουν τα σπαθιά.

Πρωί στις δεκαπέντε του Μαγιού
έσβησε η φλόγα του παλικαριού.
Η κακιά η σφαίρα νάταν να μας βρεί
παρά που 'βρε σένα αρχηγέ Κερύ.


4) Πληγωμένος Φεντά

Δίχως σπίτι και πατρίδα και κορμί όλο πληγές.
Mε το όπλο αγκαλιά μου πάνω στις βουνοπλαγιές
χάνω απόψε τη ζωή μου μα κανείς να μη νοιαστεί.
Ο αγώνας, ως τη νίκη, πρέπει να συνεχιστεί

Ο αγέρας το κορμί μου στη κρεμάλα σαν κουνά
θα σφυρίζει "εκδικηθείτε", "βάψτε μ' αίμα τα βουνά".
Κι απ' τ' αρμένικα τα βόλια σαν θερίζοντ' οι εχθροί
στα ουράνια θ' αγαλλιάζει η πικρή μου η ψυχή.

Ειμ' Αρμένης στρατιώτης, είμαι ο Πέτρος Σερεμτζιάν
οι εχθροί γύρω-τριγύρω στην κρεμάλα με τραβάν.
Χάνω απόψε τη ζωή μου μα κανείς να μη νοιαστεί
ο αγώνας ως τη νίκη, πρέπει να συνεχιστεί.


5) Φεντά

Μες στη νύχτα, μες στον κάμπο,
προχωρούν οι φενταΐ
σταυρωτά τα φυσεκλίκια,
περπατούν και τρεμ' η γη.

Πάρτε αδέρφια το παιδί μου,
πλάι σας να σκοτωθεί
κι απ' το θάνατο η πατρίδα
κάποτε ν' αναστηθεί.

Είσαι άντρας, έχεις μπράτσα
και στα στήθια σου βοή
δεν σε θέλω νά 'σαι γιος μου
αν δεν γίνεις φενταΐ.

6) Αρμένικο χώμα

Ο βοσκός χαμένος,
πάει το κοπάδι
Αρμενία μάνα μου,
έπεσε σκοτάδι.

Τουτ' η γη δική μας
γύρω οι νεκροί μας
κάψανε τα σπίτια μας
μα όχι την Ψυχή μας.

Και το Μους και το Βαν
κι όλα τα λιβάδια
Αρμενία μάνα μου,
τώρα είναι άδεια.

Όπου δείς Αρμένη
πες του να γυρίσει
στη γλυκειά πατρίδα μας
γιά να πολεμήσει.

Όμορφη η Ανι,
μα την έχουν κλέψει
Αρμενία μάνα μου
σ' έχουν μακελέψει.


7) Μίλα μας Φεντά

Μίλα μας Φεντά, μίλα καθαρά
στεναχώρια έχεις στην καρδιά
στεναχώρια στην καρδιά
μίλησε μας καθαρά.

Παλικάρια μας βγάλτε το σπαθί
να γελάσω, να 'φχαριστηθώ
γιατί αμέσως θα σκεφτώ
πόσο αίμα θα χυθεί.

Δες τα ξίφη μας τα αστραφτερά
να γεμίσεις πάλι με χαρά
να γεμίσεις με χαρά
αχ Φεντά παλικαρά.

Τ' άγιο λάβαρο του Ντασνακτσουτιούν
στην πατρίδα, πάλι θα υψωθεί
στην πατρίδα θα υψωθεί
από σας σταυραετοί.

8) Ξύπνα λαέ

Βαρβάρων άσπλαχνη φυλή
με μαχαίρι και με δαυλί.
Χίλιοι αυτοί, δέκα εμείς
μες στο αίμα τ' άνθος της ζωής.

Αρμένη πούθε να κρυφτείς
πού να τρέξεις γιό να σωθείς
χίλιοι αυτοί, δέκα εμείς
μες στο αίμα τ' άνθος της ζωής.

Κατάρα μαύρη στην Τουρκιά
στο Σουλτόνο μοίρα κακιά.
Χίλιοι αυτοί, δέκα εμείς
μες στο αίμα τ' άνθος της ζωής.


9) Μπανκ Οτομάν

Στων Οθωμανών τη μπάνκα
μια ομάδα του Ντασνάκ
έριξε προχτές μια μπόμπα
κι όλα γίναν γης μαδιάμ.

Άκουσε ο Χαμίτ το νέο
και φωνάζει το Ναζίμ.
Στην κρεμάλα, στο πιστόλι
τους Αρμένηδες Ναζίμ.

Στων Οθωμανών τη μπάνκα
κι άλλη μπόμπα μπήκε χτες
κι όσες μπάνκες τόσες μπόμπες
φουκαρά Χαμίτ μην κλαις.

10) Ζήτω, ζήτω

Τις πληγές σου προσκυνώ
με τον πόνο σου πονώ
Γεια σου σύντροφε απ' το Άραξ
που 'σαι μες στη φυλακή
Κάποια μέρα στο κελί σου
Θε να μπει κι η Κυριακή

Ζήτω, ζήτω, το σπαθί του Νιζτέχ φεγγοβολεί
Ζήτω, ζήτω, και θα δεις και τον Τσάρο στο κελί

Τις πληγές σου προσκυνώ
με τον πόνο σου πονώ
Σε φοβήθηκε ο Τσάρος
και σ' εξόρισε μακριά
μα μη σκιάζεσαι και φτάνει
κι η δική μας η σειρά


11) Εμπρός εθνομάρτυρες

Αθάνατοι εμπρός της άγιας φυλής
της θυσιασμένης φυλής
εμπρός να υψώσουμε στ' άγρια τα βουνά
την τρίχρωμη σημαία ξανά.

Στρατός λαϊκός εκδικητής εθελοντικός.
Εμπρός στη μάχη εμπρός γιά νίκη ή θανή
Γενναίοι εμπρός πάντα μπρός.

Το αίμα του εχθρού ποτίζει τη γη
λευτεριάς ροδίζει αυγή.
Γιά τους Αρμένηδες, γιά την προσφυγιά
ο γυρισμός, πατρίδα γλυκειά.

inviata da Gian Piero Testa - 16/10/2012 - 17:06



Lingua: Italiano

Versione italiana di Gian Piero Testa
1) STENDARDO INSANGUINATO

L'assassino ordinò, ordinò con ira
a questo popolo, sparite dalla terra.
Ma i fedayyin si fecero di fuoco
bruciarono i nemici nostri, bruciarono la notte.

Salve fedday viva il Dashnàk
viva l'Armenia e la libertà

Stendardo prezioso, del grande Dashnàk
mai sotto il giogo, mai in schiavitù.
Nemici spietati ci calpestano
e da anni ci tengono in catene.

Tutti in fila, e tutti insieme,
solo una volta ognuno vive.
E' giunta l'ora della sollevazione
dell'ultima nostra lotta e del riscatto.


2) TUONARONO LE CANNONATE

Di cannonate una rossa pioggia
E dai nemici sono ormai accerchiato
E ormai ti scrivo l'ultimo messaggio
Per dirti ancora quanto ti amo.

Dimenticala, dolore
Che non pianga per me
E che trovi un nido
In un altro abbraccio
E che faccia figli
con un cuore d'acciaio
perché portino il fuoco
in tutta la Turchia
Dentro la corrente, dentro il Dalvorik
è caduto Serop, e va in cielo
E l'ultimo messaggio dal Dalvorik
anch'esso è insanguinato come un tramonto.


3) LAMENTO PER IL FEDAY KERI'

Ahi prode capitan Kerì
ti ha preso la Morte capitan Kerì:
Nelle viscere nostre la tua ferita
nel nostro povero cuore cenere e fuoco.

Volate uccelli ad altri cieli
e portate a tutti la notizia.
Abbiamo sepolto l'aquila profonda nella terra
ora le spade rimaste sono infrante.

La mattina del quindici maggio
si è spenta la fiamma del valoroso.
Avesse colto noi la perfida palla
invece di cogliere te capitan Kerì.


4) UN FEDAY FERITO

Senza casa né patria e tutto piagato in corpo.
Con il fucile in braccio sulle erte dei monti
stasera perdo la mia vita ma nessuno se ne crucci.
La lotta bisogna che continui fino alla vittoria.

Quando il vento farà oscillare il mio corpo sulla forca
fischierà " fate vendetta", "tingete di sangue i monti".
E quando dalle pallottole armene saranno falciati i nemici
nei campi celesti esulterà la mia anima triste.

Sono un soldato armeno, sono Pietro Seremgiàn
i nemici stretti intorno mi trascinano alla forca.
Stasera perdo la mia vita ma nessuno se ne crucci.
La lotta bisogna che continui fino alla vittoria.


5) FEDDAY

Nella notte, nella piana
avanzano i feddayyn
le bandoliere incrociate
camminano e la terra trema.

Prendete fratelli il mio figliolo
che cada al vostro fianco
e dalla sua morte la patria
risorga un giorno.

Sei un uomo, hai due braccia
e nel tuo petto un grido
non ti voglio come figlio
se un feday non mi diventi.


6) TERRA D'ARMENIA

Il pastore sperduto
spinge il suo gregge
Armenia madre mia
è scesa la tenebra.

Questa terra nostra
i nostri monti intorno
le nostre case hanno bruciato
ma non la nostra Anima.

E il Mush e il Van
e tutti i pascoli
Armenia madre mia
ora sono svuotati.

Dove tu scorga un Armeno
digli di ritornare
nella nostra dolce patria
che venga a combattere.

O mia bella Ani
mi ti hanno rubata
Armenia madre mia
ti hanno macellata.


7) PARLACI FEDAY

Parlaci Feday, parla chiaro
hai nel cuore un dispiacere
un dispiacere in cuore
parlaci chiaramente.

Prodi nostri sguainate la spada
perch'io rida e sia contento
perché subito penserò
quanto sangue scorrerà.

Guarda le nostre fulgenti spade
per riempirti ancora di gioia
per riempirti di gioia
ah valoroso Feday

La santa bandiera del Dashnaktsutiùn
sarà di nuovo alzata sulla nostra patria
sarà alzata sulla patria
dai nostri capi guerriglieri (*) .

(*) Il traduttore L. Papadopoulos usa qui il tradizionale termine greco che indicava i capi Klefti e Armatoli, come anche i capi partigiani della resistenza: stavraétos, cioè aquila, falco, ecc.


8) DESTATI POPOLO

Una stirpe spietata di barbari
con la fiaccola e il pugnale.
Mille loro, dieci noi
dentro il sangue il fiore della vita.

Armeno dove ti puoi nascondere
dove correre per salvarti?
Mille loro, dieci noi
dentro il sangue il fiore della vita.

Nera maledizione alla Turchia
al Sultano mala ventura.
Mille loro, dieci noi
dentro il sangue il fiore della vita.


9) BANK OTOMAN

Nella banca degli Ottomani
un commando del Dashnàk
ieri l'altro ha scagliato una bomba
e tutto è andato sottosopra.

Sentì Ahmed la notizia
e chiamò Nazìm.
Sulla forca, a pistolettate
gli Armeni, Nazìm.

Nella banca degli Ottomani
un'altra bomba è entrata ieri
e quante banche tante bombe
povero Ahmed non piangere.


10) VIVA, VIVA

Mi prosterno alle tue ferite
e soffro del tuo dolore
Salve compagno dell' Araxe
che stai nella prigione
Un giorno nella tua cella
per Dio entrerà la domenica.

Viva, viva, sfolgora la spada di Niztech
Viva, viva, e nella cella vedrai pure lo Zar

Mi prosterno alle tue ferite
e soffro del tuo dolore
Di te si è impaurito lo Zar
e ti ha confinato lontano
ma non t'adombrare ché verrà
pure il nostro turno.


11) AVANTI MARTIRI DELLA NAZIONE

Avanti immortali della santa stirpe
della stirpe immolata
avanti innalziamo ancora sugli aspri
monti la bandiera dai tre colori (*)

Un esercito popolare di volontari vendicatore.
Avanti alla battaglia, avanti alla vittoria o alla morte.
Valorosi avanti sempre avanti.

Il sangue del nemico bagna la luna
si tinge di rosa l'alba della libertà.
Per le donne armene e i profughi tutti
venga il ritorno, o dolce patria.

(*) Il rosso, il blu e l'arancione in bande orizzontali di uguali dimensioni.

inviata da Gian Piero Testa - 16/10/2012 - 17:08




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